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YARA GAMBIRASIO: MASSIMO BOSSETTI E LA SUA SALDA PRESUNZIONE D'INNOCENZA

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Tempo di lettura 5 minuti L’impressione che si ricava da un’analisi attenta degli elementi noti, tenuto conto della evidente insufficienza del solo DNA, è lontana dalle certezze apodittiche incautamente propagandate

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di Alessandra Pilloni

Sono trascorsi più di tre mesi dal fermo di Massimo Bossetti, accusato dell’omicidio della piccola Yara Gambirasio, e tra i tanti dubbi che si  impongono nell’analisi di questa triste vicenda, l’unico vero punto fermo sembra essere una condanna di piazza senza precedenti.
Il verdetto mediatico di colpevolezza nei confronti di quest’uomo è stato pressoché unanime, ma il muratore di Mapello non sembra vacillare nel proprio continuare a proclamarsi innocente, e ad occhio attento non possono sfuggire molti punti oscuri della vicenda, a partire dalle risultanze dell’esame autoptico, che nel descrivere le ferite riscontrate come “relativamente superficiali e insufficienti da sole a giustificare il decesso”, presumibilmente concausato da ipotermia,  sembra stonare con la figura di un agente adulto e avvezzo, per lavoro, all’uso di armi bianche da punta e taglio.
Negli ultimi giorni, a ridosso dell’istanza di scarcerazione presentata al GIP dagli avvocati di Bossetti, che a seguito del rigetto ricorreranno al Tribunale del Riesame, si è tornati a parlare di una serie di presunti elementi a carico dell’uomo che, se analizzati in maniera scevra di posizioni precostituite, non sembrano però essere tali.
Un’assenza dal lavoro in data 26 novembre 2010, dichiarata da Bossetti nel corso dell’ultimo interrogatorio e non in precedenza, è stata presentata come una contraddizione sospetta, un giudizio che tuttavia non trova spazio nell’ambito di una valutazione critica dell’elemento, in quanto difficilmente si potrà ritenere sospetta una confusione relativa ai propri spostamenti in una data specifica di ben quattro anni prima.
La stessa lettura dell’ordinanza di custodia cautelare del 19 giugno mostra in effetti come i ricordi di Bossetti fossero sin dall’inizio soggetti al naturale disorientamento dovuto al troppo tempo trascorso, con una probabile confusione in prima battuta sugli spostamenti relativi ai giorni immediatamente successivi all’omicidio, associati dall’uomo alla presenza, nei pressi della palestra di Brembate, di una serie di furgoni con grosse parabole relativi presumibilmente a mezzi di telecomunicazioni presenti sul luogo proprio per la scomparsa di Yara.
Un elemento, quello della contraddizione relativa all’assenza dal cantiere, che oltre a trovare delle logiche spiegazioni, rischia di risultare intrinsecamente vuoto di qualsivoglia valore probatorio, in quanto l’orario in cui si colloca l’aggressione alla piccola Yara sarebbe comunque incompatibile con i normali orari di lavoro di un muratore: così, se il fatto che Massimo Bossetti quel pomeriggio fosse stato al lavoro non avrebbe potuto costituire un alibi in suo favore, è del tutto illogico ritenere che il fatto contrario possa costituire un indizio a suo carico.
Per contro, questo elemento potrebbe essere perfino rivelarsi favorevole al Bossetti: infatti, tra i presunti indizi che deporrebbero contro di lui vi sono le polveri di calce rinvenute nell’albero bronchiale della piccola Yara, la cui presenza sarebbe, secondo l’ordinanza del GIP, dovuta alla permanenza in ambienti saturi di calce ovvero “ad un contatto con parti anatomiche (più facilmente mani) o indumenti indossati da terzi imbrattati di tale sostanza”.

 

Questo elemento è stato correlato alla professione svolta da Massimo Bossetti, ma se quel pomeriggio Massimo Bossetti non era al cantiere diventa difficile sostenere che potesse avere mani e abiti imbrattati di calce, ed allo stesso modo è problematico sostenere che possa definirsi ambiente “saturo” di calce il furgone, ancor più se nel furgone non risulta essere stata trovata traccia alcuna della piccola Yara.
Anche la notizia relativa ad un furgone simile a quello di Massimo Bossetti ripreso dalle telecamere di sorveglianza di una banca alle ore 18,01 di quel maledetto 26 novembre sembrerebbe essere un buco nell’acqua: infatti, un esperimento effettuato già a inizio luglio, a fini didattici, dal Dott. Ezio Denti, proprio in via Rampinelli e con le medesime condizioni di luce, ha mostrato un’evidente incompatibilità tra la fanaleria del furgone ripreso, che emette un fascio di luce a losanga arrotondata, e quella rettangolare di un Iveco Daily del modello in uso a Massimo Bossetti, tanto da spingere il criminologo, videosimulazione alla mano, a dichiarare che non solo il furgone ripreso non può essere quello di Massimo Bossetti, ma addirittura che è molto probabile non si tratti neppure di un Iveco Daily d’altro modello, ma di un Ford Transit.
L’impressione che si ricava da un’analisi attenta degli elementi noti, tenuto conto della evidente insufficienza del solo DNA, che non può provare di per sé colpevolezza di un delitto, sembra essere, in definitiva, molto lontana dalle certezze apodittiche incautamente propagandate.
Il diritto alla presunzione d’innocenza non dovrebbe mai essere dimenticato, ed ancor meno quando un’attenta analisi dei fatti sembra lasciare spazio a dubbi e discrasie evidenti.
Il rischio intrinseco del lasciare che la presunzione d’innocenza si riduca ad inutile grida secentesca, è infatti il ripetersi della dinamica che portò i falsi untori della “Storia della Colonna Infame” del Manzoni ad un’ingiusta condanna dettata dall’esecrazione della pubblica piazza e culminata con l’innalzamento di una colonna simbolica in memoria dell’infamia dei condannati.
La stessa colonna che sarebbe poi diventata, ahimè, emblema dell’infamia di chi troppo avventatamente aveva scelto di erigerla.

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 18/09/2014 YARA GAMBIRASIO: AGGREDITA LA SORELLA DI MASSIMO BOSSETTI

 
 

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Roma, aggressioni e borseggi in metro. Riccardi (UdC): “Linea più dura per garantire la sicurezza pubblica”

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“Ci troviamo ad affrontare un problema che il Governo non può più ignorare: i borseggiatori operano impuniti nelle metropolitane di Roma. Questa situazione è inaccettabile e richiede un intervento deciso e immediato. Ritengo che la sicurezza dei cittadini debba essere una priorità assoluta e che la moderazione non significhi inazione”.
È assai dura la reazione del commissario cittadino di Roma Capitale dell’UdC, il dottor Roberto Riccardi, circa le continue, ripetute aggressioni e borseggi nella Capitale.

Dottor Riccardi secondo Lei dove bisogna intervenire in fretta nella legislazione italiana in tale materia?
I recenti episodi di furto nei mezzi pubblici mettono in luce una legislazione troppo permissiva. La normativa attuale, che prevede l’intervento delle Forze dell’Ordine solo su querela dei borseggiati, è del tutto inefficace. Questo non solo rallenta l’intervento delle autorità, ma spesso disincentiva le vittime a denunciare, sapendo che le conseguenze per i borseggiatori saranno minime o inesistenti.
Le leggi attuali non sono sufficienti per contrastare efficacemente questo fenomeno. È necessario un cambio di rotta deciso.

il commissario cittadino UdC di Roma Capitale, dottor Roberto Riccardi

E cosa può fare in più, in questo frangente, l’organo giudiziario?
Bisogna smettere di essere troppo indulgenti con i delinquenti. Va adottata una linea più dura per garantire la sicurezza pubblica.
Lei rappresenta uno dei partiti di governo nazionale. Esiste una vostra “ricetta” in merito?
Ecco le misure che proponiamo; arresto obbligatorio per i borseggiatori con l’introduzione dell’arresto obbligatorio per chiunque venga colto in flagrante a commettere furti nei mezzi pubblici. Questo deterrente è essenziale per scoraggiare i delinquenti e proteggere i cittadini.
Modifica della normativa vigente; bisogna consentire l’intervento delle Forze dell’Ordine anche in assenza di querela da parte della vittima, permettendo un’azione tempestiva e decisa contro i borseggiatori.
Inasprimento delle pene ed introduzione di sanzioni più severe per i reati di furto, specialmente quando commessi in luoghi pubblici e affollati come le metropolitane.
Campagne di sensibilizzazione informando i cittadini sui loro diritti e sull’importanza di denunciare ogni atto di borseggio, contribuendo così a creare una comunità più sicura e coesa.
Ma Lei crede che con tali misure si possa mettere un argine alla questione che preoccupa non solo i romani ma le decine di migliaia di turisti che ogni giorno arrivano nella capitale?
Non possiamo più permetterci di essere indulgenti. Dobbiamo agire con fermezza per garantire la sicurezza di tutti i nostri cittadini.
Le Forze dell’Ordine devono essere messe nelle condizioni di poter agire senza ritardi e senza ostacoli burocratici.
Dobbiamo essere determinati nello spuntare le armi dei buonisti ed a ripristinare la legalità nelle nostre strade e nelle nostre metropolitane. Solo con un intervento deciso e risoluto potremo garantire una Roma più sicura e vivibile per tutti.

Risposte chiare e concrete quelle del commissario cittadino UdC di Roma Capitale Roberto Riccardi.
Ci auguriamo che questa volta la politica affronti davvero con tale determinazione questa assenza di sicurezza per i romani e per le migliaia di turisti che si apprestano a giungere nella Capitale per l’imminente apertura, il 24 dicembre 2024, dell’Anno Giubilare.

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