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YARA GAMBIRASIO: A CACCIA DI INDIZI PER PROVARE LA COLPEVOLEZZA DI MASSIMO BOSSETTI

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Tempo di lettura 3 minuti Nel caso di Massimo Bossetti, è difficile perfino distinguere indizi e congetture da quello che spesso appare come puro e semplice gossip.

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di Alessandra Pilloni

Non ha mai vacillato Massimo Bossetti in oltre cento giorni di custodia cautelare nei quali notizie e smentite si sono susseguite senza soluzione di continuità.
La sete di sangue, che non sempre corrisponde al sacrosanto desiderio di giustizia, era tanta: così, non paghi per la condanna sommaria che, anticipando ogni tribunale, ha seguito il fermo, ci siamo anche imbattuti nelle scelte di un GIP che bolla l’indagato, incensurato, come persona dotata di “ferocia tale” da rendere “estremamente probabile la reiterazione di reati della stessa indole”, senza basarsi su alcuna evidenza concreta, ma su una sorta di condanna preprocessuale che presuppone che Bossetti sia colpevole del reato contestatogli.

Ci si aspetterebbe, a questo punto, che ci siano perlomeno delle prove dotate di un certo grado di attendibilità a suo carico.
Una tale aspettativa è però vanificata dalla semplice lettura del'ordinanza di custodia cautelare, che definisce ripetutamente i presunti fatti richiamati come "probabili", "non illogici" e "suggestivi".
Eppure non dovrebbe essere una mera “probabilità” e "non illogicità", né tantomeno una qualche forma di “suggestione” a poter costare, in uno stato di diritto, la privazione della libertà ad un cittadino.
A livello mediatico, si è parlato di DNA come prova schiacciante, poiché è stato detto che “il DNA non mente”; purtroppo, però, ci si è dimenticati di aggiungere che il DNA non dice ciò che ci si vuole sentir dire, e nello specifico non dice come e quando sia arrivato lì.
Il DNA, di per sé, non è prova di colpevolezza, e dal momento che non è databile, non vale neppure a collocare temporalmente un indagato sulla scena del crimine.
A questo può aggiungersi il fatto che il DNA può essere trasportato, non solo dolosamente, ma anche in via del tutto incidentale: la casistica giudiziaria internazionale contempla perfino casi di tracce biologiche rinvenute sotto le unghie delle vittime e rivelatesi esito di trasporto.
Insomma, sulla scena del crimine o sul corpo della vittima possono essere isolate tracce di DNA di persone non solo del tutto estranee al delitto, ma perfino che non hanno mai avuto neppure un contatto diretto con la vittima.
Anche un oggetto, come un'arma sporca, può veicolare sulla scena del crimine il DNA di un precedente utilizzatore del tutto estraneo all'azione omicidiaria.
Il DNA può dunque rivelarsi un elemento importante per le indagini, ma di per sé non è né prova di colpevolezza né, tantomeno, prova schiacciante, e se non contestualizzato in maniera critica rischia di condurre a tentativi grossolani di risolvere indagini sulla base di congetture che, puntualmente, finiscono per non reggere al dibattimento o per portare a sentenze di condanna che, lungi dalle certezze richieste al diritto, portano con sé dubbi che pesano come macigni.

E' notizia di pochi giorni fa che la Cassazione, nelle motivazioni alla sentenza di assoluzione nei confronti di Raniero Busco, per il delitto di Via Poma, ha stigmatizzato il fatto che la condanna di primo grado si fosse basata su mere congetture.

Nel caso di Massimo Bossetti, è difficile perfino distinguere indizi e congetture da quello che spesso appare come puro e semplice gossip.
Anche elementi in apparenza più concreti non sono scevri da dubbi.
Negli ultimi giorni, è emersa l'indiscrezione secondo la quale la Procura sarebbe convinta del fatto che il furgone ripreso a Brembate alle 18,01 da una telecamera di sorveglianza sia quello di Massimo Bossetti.
Stando a quanto emerso la convinzione della Procura si baserebbe sul fatto che il furgone ripreso abbia, come quello del carpentiere, un catarifrangente non di serie.
Al di là della discrasia cronologica, data dal fatto che la scomparsa di Yara si colloca ben più tardi, resta difficile credere che si possa basare con attendibilità l'identificazione di un furgone, del quale non si vede la targa, su un catarifrangente: non è inusuale, in effetti, trovare furgoni con catarifrangenti non di serie, e soprattutto una tale conclusione non sembra affatto sanare l'incompatibilità della fanaleria evidenziata dal criminologo investigativo Ezio Denti, e visibile a colpo d'occhio.

Resta un fatto: alla dubbia sussistenza ontologica dei presunti indizi di stampo congetturale, fa da contraltare un'inquietante assenza di riscontri proprio laddove sarebbero potuti emergere in modo univoco, ossia in ordine a tracce riconducibili a Yara sugli autoveicoli di Massimo Bossetti, non riscontrate, e reperti piliferi trovati sulla vittima, incompatibili con l'indagato.
Inoltre, la recente testimonianza di Iro Rovedatti, pilota della protezione civile che sorvolando il campo di Chignolo a bassa quota non vide mai il corpo di Yara, che ove presente si sarebbe dovuto vedere, sembra aprire nuovi interrogativi sul luogo del delitto stesso.
Un ennesimo sintomo del fatto che di questo omicidio si sappia davvero troppo poco per giungere a conclusioni affrettate.

In tempi di spending review, la possibilità di aver preso un abbaglio dopo una spesa di milioni di euro per seguire un’indagine basata su una traccia biologica di natura incerta e di altrettanto incerta valenza probatoria, non è uno degli eventi più auspicabili.
Ma se dinnanzi all'omicidio di una piccola vittima che attende giustizia una tale spesa è giustificata dalla ricerca della verità, non può esserlo invece dal presupposto che a tale verità si debba arrivare necessariamente né, tantomeno, in maniera forzata. 

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Roma, aggressioni e borseggi in metro. Riccardi (UdC): “Linea più dura per garantire la sicurezza pubblica”

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“Ci troviamo ad affrontare un problema che il Governo non può più ignorare: i borseggiatori operano impuniti nelle metropolitane di Roma. Questa situazione è inaccettabile e richiede un intervento deciso e immediato. Ritengo che la sicurezza dei cittadini debba essere una priorità assoluta e che la moderazione non significhi inazione”.
È assai dura la reazione del commissario cittadino di Roma Capitale dell’UdC, il dottor Roberto Riccardi, circa le continue, ripetute aggressioni e borseggi nella Capitale.

Dottor Riccardi secondo Lei dove bisogna intervenire in fretta nella legislazione italiana in tale materia?
I recenti episodi di furto nei mezzi pubblici mettono in luce una legislazione troppo permissiva. La normativa attuale, che prevede l’intervento delle Forze dell’Ordine solo su querela dei borseggiati, è del tutto inefficace. Questo non solo rallenta l’intervento delle autorità, ma spesso disincentiva le vittime a denunciare, sapendo che le conseguenze per i borseggiatori saranno minime o inesistenti.
Le leggi attuali non sono sufficienti per contrastare efficacemente questo fenomeno. È necessario un cambio di rotta deciso.

il commissario cittadino UdC di Roma Capitale, dottor Roberto Riccardi

E cosa può fare in più, in questo frangente, l’organo giudiziario?
Bisogna smettere di essere troppo indulgenti con i delinquenti. Va adottata una linea più dura per garantire la sicurezza pubblica.
Lei rappresenta uno dei partiti di governo nazionale. Esiste una vostra “ricetta” in merito?
Ecco le misure che proponiamo; arresto obbligatorio per i borseggiatori con l’introduzione dell’arresto obbligatorio per chiunque venga colto in flagrante a commettere furti nei mezzi pubblici. Questo deterrente è essenziale per scoraggiare i delinquenti e proteggere i cittadini.
Modifica della normativa vigente; bisogna consentire l’intervento delle Forze dell’Ordine anche in assenza di querela da parte della vittima, permettendo un’azione tempestiva e decisa contro i borseggiatori.
Inasprimento delle pene ed introduzione di sanzioni più severe per i reati di furto, specialmente quando commessi in luoghi pubblici e affollati come le metropolitane.
Campagne di sensibilizzazione informando i cittadini sui loro diritti e sull’importanza di denunciare ogni atto di borseggio, contribuendo così a creare una comunità più sicura e coesa.
Ma Lei crede che con tali misure si possa mettere un argine alla questione che preoccupa non solo i romani ma le decine di migliaia di turisti che ogni giorno arrivano nella capitale?
Non possiamo più permetterci di essere indulgenti. Dobbiamo agire con fermezza per garantire la sicurezza di tutti i nostri cittadini.
Le Forze dell’Ordine devono essere messe nelle condizioni di poter agire senza ritardi e senza ostacoli burocratici.
Dobbiamo essere determinati nello spuntare le armi dei buonisti ed a ripristinare la legalità nelle nostre strade e nelle nostre metropolitane. Solo con un intervento deciso e risoluto potremo garantire una Roma più sicura e vivibile per tutti.

Risposte chiare e concrete quelle del commissario cittadino UdC di Roma Capitale Roberto Riccardi.
Ci auguriamo che questa volta la politica affronti davvero con tale determinazione questa assenza di sicurezza per i romani e per le migliaia di turisti che si apprestano a giungere nella Capitale per l’imminente apertura, il 24 dicembre 2024, dell’Anno Giubilare.

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