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Viterbo

VITERBO E PROVINCIA: TRA MITI, FIABE, LEGGENDE E STORIA – “LA BELLA GALIANA E LA TROIA BIANCA DÌ VITERBO”

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Le campane della Collegiata S.Angelo  e la campana del Comune suonavano ininterrottamente mandando per tutta Viterbo la gioia e l’entusiasmo di tutta la cittadinanza. In segno di riconoscenza ed a perenne memoria, i priori e  la città assunsero  per propria insegna il leone liberatore che tutt’ora sventola orgoglioso nella stemma di Viterbo.

 

Rubrica settimanale di Emanuel Galea [ Già pubblicata sull'edizione de L'osservatore d'Italia sfogliabile di sabato 31 maggio 2014 – per consultare www.osservatoreitalia.com ]

 

di Emanuel Galea

Viterbo – Continuiamo a parlare di Viterbo, la città  dalle belle torri, dalle belle fontane e dalle belle donne. Il vuoto lasciato dalla fanciulla, che secondo Lanzellotto,  cronista Viterbese dell’epoca, “era la più bella che vantasse la Terra” a oggi nessuna lo ha colmato.
 Di lei leggiamo nella “Istoria della Città di Viterbo di Feliciano Bussi – Parte I°, Libro II – pag.90” la seguente descrizione:
“…nell’anno 1138, in quella stessa Città di Viterbo morì una di lei Nobile Signora per nome Galiana, la quale in sua gioventù era forse stata la più bella fanciulla, che vantasse la Terra, non mi dispiace in questo luogo di farne parola, trascrivendo particolarmente ciò, che della medesima lasciarono registrato i Viterbesi Cronisti, Lanzellotto adunnque,riferito da Nicola della Tuccia,  così dice : Havevamo (i Viterbesi) una giovanhe chiamata Galiana bella, la quale non trovava pari di bellezza, e molta gente veniva da longhi parti per vederla, e lo Exercito dé Romani venne in assedio di Viterbo per haverla per forza a petitione di uno di loro signore, stettero gran tempo,  in fine non potendola havere, domandarono in grazia, che li fosse mostrata, e così di grazia li fu mostrata sopra le Mura di Sancto Chimento, ove furono scaricati tre Merli, di questo contenti se ne ritornarono in Roma. E quando detta Galiana morì, fu messa in un bel deposito di marmo intagliato, e posto avanti la Chiesa di Sancto Angelo de Spata. Quello Deposito scorgesi tuttavia nello stesso luogo, cioè a mano destra nell’entrare in detta Chiesa. Sopra il medesimo appaiono due iscrizioni in pietra peperino, nella prima così si legge:
A Galiana, patrizia viterbese, la cui incomparabile bellezza unita a straordinaria pudicizia, fu il vederla grande premio ai mortali. I consoli in ammirazione della nobiltà di così magnifica donna, per decreto del Consiglio, posero questo ricordo d'onore e di pietà, scolpito nella pietra. 1138”

Nicola della Tuccia, quotando il cronista Lanzellotto si limita a dirci che “così di grazia li fu mostrata sopra le Mura di Sancto Chimento, ove furono scaricati tre Merli, di questo contenti se ne ritornarono in Roma”.Altri cronisti che si sono occupatI della vicenda, sono più specifici, narrando che affacciandosi  da una lunetta nella torre , fu colpita alla gola da una freccia scagliata da un soldato, non si sa se  per sua iniziativa, o se per ordine del signore dell’esercito romano, vendicandosi del raffronto da lei subito. Fatto sta che la bella fanciulla viterbese cadde morta, lì dove si era esibita per amor di patria. Il seguito della vicenda l’abbiamo appreso dalla penna di Feliciano Bussi.  La reazione dei viterbesi fu molto violente e le leggende intorno a lei non smisero di fiorire per secoli  dopo.Sulla sua esatta data di morte i cronisti sono discordi. Nel epitaffio, riportato da Lanzellotto risulta che la nobile damigella fosse deceduta , colpita da  quella freccia, nel 1158, mentre in altri versioni si opta per il 1138. Per noi , in questo contesto, il fatto , di per sé, e di scarsa importanza. Invece ci interessa il passaggio, sempre riportato dal Bussi nel suo Istoria della Città di Viterbo, dove dice :
“Il priore della Collegiata di S. Angelo, parendogli forse, che le più antiche iscrizioni o non fossero molto intelligibili, perché scritte in caratteri Gotici, o non fossero di uno stile molto bello ed elegante . avendole fatte rimuovere dal loro sito” E più avanti prosegue :
“il fatto sia (per quello si è detto) che Galiana o sia Galeana, poté essere creduta nel suo secolo l’Elena di Viterbo, con quello mggior preggio che in essa camminarono di egual passo la bellezza, e la pudicizia”.

Ci soffermiamo su questo punto.  I fatti storici sono ben designati e commentati non solo dal Lanzellotto ma anche dal Nanni, dal Goffredo e da altri . A noi colpisce l’ipotesi dei priori della Collegiata di S.Angelo che avanzano il dubbio che Galiana  “poté essere stata creduto nel suo secolo l’Elena di Viterbo”. Un ipotesi molto suggestiva tanto vero che la leggenda narra una vicenda avendo radici mitologici greci.

Una leggenda attribuisce la nascita di Viterbo ad opera di profughi provenienti dalla distrutta città di Troia. Si legge che a  ricordo di questa origine si narra che venisse mantenuta e venerata una troia bianca e, nel giorno di Pasqua, le venisse offerta come pasto, presso il fiume Paradosso, una fanciulla tratta a sorte tra le
vergini della città. Al calar del sole la legarono nuda a un gran masso vicino al fiume e si allontanarono. Non appena i primi raggi della luna solcavano il cielo , dal bosco s’affacciava sorniona, la troia bianca, una scrofa grintosa e minacciosa puntava dritto verso il masso sacrificale. Ringhiando e grugnando avventava la vittima , divorandola. Questo rito macabro durò per anni ed anni e per i viterbesi l’avvicinarsi della primavera incuteva tristezza ed apprensione.

Nacque Galiana, e la sua bellezza sbocciava sempre di più man mano che si sviluppava. Diventò una giovinetta di rara bellezza, ammirata da tutti e corteggiata da nobili e potenti.
All’avvicinarsi della primavera si compiva il solito rito per scegliere la damigella più bella da sacrificare alla dea Elena. La sorte cadde sulla Galiana. S’ammutolì tutta la città e per tutte le contrade, non si lamentava che la triste sorte. Dura lex sed lex. La imbavagliano, le legano i polsi dietro la schiena, conducendola a forza nella carrozza. , Non teme la triste sorte, è indignata contro il fato crudele e fiera come una eroina attende la sua fine. Non profferì parola, seppure ansimante, nessun urlo mentre dal bosco uscì galoppando la scrofa bianca dirigendosi bavosa verso di lei, con le zanne già fuori pronta per addentarla.
Nella versione viterbese, in questo attimo orrendo non appare Perseo a salvare la fanciulla. Attimi a mozza fiato, la brava gente viterbese trattiene il respiro e sgomenta attende il macabro finale. Come un lampo, ruggendo, tremendo e minaccioso, con la criniera che svolazza nel vento, scivola come una freccia scagliata nel vuoto, un enorme leone, senza toccare terra si getta sulla scrofa bianca, colpendola di schiena, l’azzanna, la morde, la squarta trascinando brandelli di carne, di pelle, di ossa, alzando polvere e segnando di sangue il suo misterioso ed alquanto improvviso  ritiro nella boscaglia.La liete novella subito arrivò in città. Amici e spasimanti corsero a liberare la bella eroina, la rediviva.. Le campane della Collegiata S.Angelo  e la campana del Comune suonavano ininterrottamente mandando per tutta Viterbo la gioia e l’entusiasmo di tutta la cittadinanza. In segno di riconoscenza ed a perenne memoria, i priori e  la città assunsero  per propria insegna il leone liberatore che tutt’ora sventola orgoglioso nella stemma di Viterbo.

Triste constatare che la bella Galiana, liberata così provvidenzialmente dalle fauci della scrofa bianca, dovesse perire, anni dopo, trafitta dalla freccia di un soldato dell’esercito romano.

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