Viterbo
VITERBO, 10 ANNI DI ARSENICO NELL'ACQUA: DALL'ISDE PRECISE INDICAZIONI PER IL RISARCIMENTO SANITARIO
Tempo di lettura 4 minutiAnche dalla conferenza di Viterbo dell’11 aprile 2015, nella seconda Giornata di studio dedicata al tema "Acqua bene comune", un nuovo forte appello per il diritto alla salute
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10 anni faon
Redazione
Viterbo – Si è svolta sabato 11 aprile 2015 a Viterbo, presso la sala degli Almadiani, la conferenza sul tema “Arsenico: cosa è bene sapere, ricordare e fare”.
La conferenza nell’ambito delle iniziative organizzate dal comitato “Non ce la beviamo “ per la seconda Giornata di studio dedicata al tema : “Acqua bene comune”, ha visto una rilevante presenza di cittadini, rappresentanti delle istituzioni e giornalisti.
La dottoressa Antonella Litta, referente dell’Associazione italiana medici per l'ambiente – Isde (International Society of Doctors for the Environment), ha introdotto la sua relazione medico-scientifica con la considerazione che proprio dal mancato rispetto dell’articolo 32 della Carta costituzionale in materia di tutela della salute, così come dal mancato rispetto del Decreto Legislativo 31/2001 – che fissa i parametri di salubrità e potabilità delle acque ad uso umano – attraverso il ricorso all’istituto della deroga, ha avuto origine l’esposizione cronica all’arsenico, sostanza tossica e cancerogena, di oltre un milione di cittadini italiani.
Per oltre un decennio, ha proseguito la dottoressa Litta, le popolazioni interessate da questa problematica ambientale e sanitaria, ed in particolare quelle del Lazio, sono state molto spesso se non quasi del tutto lasciate all’oscuro circa i gravissimi rischi correlati all’assunzione di acqua ed alimenti contaminati da arsenico ed esposte a valori di arsenico fuorilegge, che hanno raggiunto anche i 50 microgrammi/litro, ovvero cinque volte il limite di legge previsto per questa sostanza tossica e cancerogena per la quale non esiste alcuna soglia di assoluta ed accettabile certezza per esposizioni croniche: l’Organizzazione mondiale della Sanità raccomanda infatti di porre in atto interventi ed azioni per portare questo valore il più possibile vicino allo zero.
Eppure i periodi di deroga, come disposto dal succitato Decreto legislativo, avrebbero dovuto avere la durata più breve possibile e comunque non superiore ai tre anni durante i quali si sarebbero dovuti realizzare impianti capaci di ridurre ed eliminare l’arsenico dalle acque e così risolvere definitivamente ed efficacemente questo problema.
Nei periodi di deroga, sempre secondo quanto previsto anche dalle disposizione europee, alle donne in gravidanza e ai bambini (per i noti effetti dell’arsenico anche sullo sviluppo cerebrale – incremento di disturbi neurocomportamentali e neoplasie -) si sarebbe dovuta assicurare acqua con il minor quantitativo possibile di arsenico, sempre al di sotto di 10 microgrammi/litro, meglio se a contenuto zero, e acqua con le stesse caratteristiche avrebbero dovuto utilizzare le industrie alimentari.
L’arsenico è infatti classificato dall’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro (I.A.R.C.) come elemento cancerogeno certo di classe 1 e posto in diretta correlazione con molte patologie oncologiche e in particolare con il tumore del polmone, della vescica, del rene e della cute; una consistente documentazione scientifica lo correla anche ai tumori del fegato e del colon.
Sempre l’assunzione cronica di questo elemento è indicata anche quale responsabile di patologie cardiovascolari; neurologiche; diabete di tipo 2; lesioni cutanee; disturbi respiratori; disturbi della sfera riproduttiva e malattie ematologiche.
L’esposizione ultradecennale e fuorilegge a questa sostanza, insieme alla mancanza di una corretta e diffusa informazione, e insieme alla mancata distribuzione di acqua idonea alle persone e alle industrie alimentari, non è rimasta senza conseguenze per la salute delle popolazioni in termini di aumento di rischio per cause di morte e malattie correlate all’esposizione all’arsenico, come purtroppo certificato da diversi studi epidemiologici che non hanno fatto altro che confermare quanto già evidenziato da decenni di studi e ricerche internazionali; come ha evidenziato la referente dell’Isde citando gli studi condotti anche sulla popolazione residente nella Provincia di Viterbo e in particolare lo studio “Valutazione Epidemiologica degli effetti sulla salute in relazione alla contaminazione da Arsenico nelle acque potabili nelle popolazioni residenti nei comuni del Lazio”, realizzato dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale del Lazio; lo studio dell’Istituto Superiore di Sanità “Arsenico urinario speciato quale biomarcatore dell’esposizione alimentare all’arsenico inorganico in popolazioni residenti in aree ricche di arsenico nel Lazio”; i risultati dello studio Sepias – Sorveglianza epidemiologica in aree interessate da inquinamento ambientale da arsenico di origine naturale o antropica – realizzato dall’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio nazionale delle ricerche; e il recentissimo studio “ Valutazione Epidemiologica degli effetti sulla salute in relazione alla contaminazione da Arsenico nelle acque potabili: studio di coorte nella popolazione residente nella provincia di Viterbo, 1990-2010” concluso nel 2014 e realizzato sempre dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale del Lazio che ha dimostrato e di nuovo confermato un gradiente di rischio per cause di morte e malattie al crescere del livello di esposizione all’arsenico nelle acque; in particolare quest’ultimo studio ha evidenziato e riconfermato un eccesso di mortalità per il tumore del polmone, le malattie del sistema circolatorio, le malattie respiratorie e il diabete.
La dottoressa Litta trattando poi la specifica situazione del Comune di Viterbo, ha fatto notare come debba essere ottimizzata la gestione dei dearsenificatori in quanto solo il loro funzionamento efficiente e costante può garantire subito acqua salubre e potabile alla cittadinanza e come sia necessario intervenire per ridurre l’esposizione ad altri fattori inquinanti delle persone, e in particolare delle donne in gravidanza e dei bambini, istituendo anche un registro comunale degli impianti e delle attività ad elevato impatto ambientale e sanitario.
La rappresentante dell’Associazione italiana medici per l’ambiente ha rinnovato un forte appello alle istituzioni affinché sia garantito a tutte le persone l’accesso all’acqua potabile; e un altrettanto forte appello affinché le istituzioni impediscano che ulteriori agenti inquinanti possano contaminare le falde acquifere.
A conclusione della relazione la dottoressa Litta ha rinnovato l’appello (espresso più volte anche congiuntamente alla sezione viterbese della Fimmg – Federazione italiana medici di medicina generale, e all’Ordine dei medici di Viterbo) perché nei confronti delle popolazioni esposte si attui subito una sorta di “risarcimento sanitario” ovvero: informazione corretta e diffusa rivolta a tutti i cittadini residenti nei Comuni della provincia di Viterbo e in particolare nelle scuole, negli ambulatori medici, nelle strutture militari e carcerarie; studi di monitoraggio dello stato di salute delle persone e in particolare dei bambini per patologie correlabili anche all’esposizione all’arsenico (disturbi del neurocomportamento e neoplasie dell’età pediatrica), attraverso progetti di prevenzione che prevedano l’esecuzione di visite ed esami mirati, totalmente gratuiti e in strutture pubbliche e che possano almeno in parte “risarcire” a livello sanitario il danno subito a causa dell’esposizione ad una sostanza tossica e cancerogena come l’arsenico.
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