VIOLENZE E BARBARIE ALL’AMBIENTE: 30 ANNI DI OMERTA’ IN MOLISE… E IN PROVINCIA DI FROSINONE?

 

Meritevole e coraggiosa e civile è l’iniziativa  degli studiosi molisani nel denunciare pubblicamente le malefatte avvelenatrici del loro territorio, come pure un plauso al Comune di Atina e al suo sindaco che hanno ospitato e dato spazio e voce alla denuncia.

 

di Michele Santulli

Ecco alla buon’ora un atto di coraggio e di civiltà: la denuncia pubblica e documentata di soprusi e di violenze all’ambiente e al territorio, nel caso specifico in particolare di avvelenamento e di rifiuti tossici nel Molise, pubblicamente qualche giorno addietro, denunciati e documentati: con coraggio e consapevolezza.

Dopo tanti resoconti di avvelenamento del territorio apparsi negli ultimi tempi, non vogliamo scendere nei particolari poiché possiamo ben immaginare di che cosa può mai trattarsi in Molise ma solamente rammentare  che  nella provincia, Frosinone,  si sono commesse le violenze e gli orrori più indicibili ai danni dell’ambiente e del paesaggio, certamente più che in Molise,  ma non risulta che vi sia stata mai una una pubblica accusa da parte dei cittadini e, peggio ancora, dei politici.

Il Molise è una regione giovanissima, sono una cinquantina d’anni che è stata costituita e in questo periodo, il più funesto per l’Italia, anche questa regione è stata preda indifesa e innocente della speculazione edilizia più sfacciata e predatoria e volgare da parte della feccia imprenditoriale. Feccia, a mio avviso, perché lesiva e distruttiva dei pubblici interessi e sollecita esclusivamente dei propri. Infatti in una società civile e democratica non si consente l’arricchimento dello speculatore a danno della distruzione del paesaggio e dell’ambiente, senza menzionare la quasi sempre non-architettura e non-qualità di quanto realizzato. L’attività edilizia non è stata una industria come sarebbe potuto essere ed è nei paesi avanzati, quindi operante nei limiti della legge e delle regole della economia, bensì un abuso e uno sfruttamento. Ovunque si volga lo sguardo, lo spettacolo è il medesimo: cementificazione e asfaltamento del territorio, al di fuori di qualsivoglia pur banale programmazione  architettonica e urbanistica. Ovviamente i concetti di arte e cultura e vivibilità e rispetto del paesaggio anche qui sono peregrini e sconosciuti.

Tutto si è concentrato sulla edificazione arrembaggistica e selvaggia del territorio, la stella polare è stata la speculazione, dai più grandi ai più piccoli. Basti ricordare che da Campobasso si diparte una superstrada  direzione Termoli-Vasto che per chilometri e chilometri si svolge su piloni, dunque aerea, sopraelevata! Nemmeno  gli sceicchi avrebbero osato tanto, che di soldi ne posseggono a quintali.  Mancando la remora civile e culturale del rispetto dell’ambiente e quindi del proprio simile sia da parte del cosiddetto costruttore e sia da parte del Comune che rilascia, quando la rilascia, la  autorizzazione, è stato normale e consequenziale quando il caso di procedere anche alla distruzione e avvelenamento scientifico e consapevole del territorio, nell’assenza completa e totale di qualsivoglia non dico freno inibitorio della coscienza civile quanto principalmente del controllo e presenza dell’organo di vigilanza  dello Stato. E pensando alla provincia di Frosinone, quanto avvenuto nella Valle del Sacco, nei secoli passati ritenuta già dagli antichi Romani uno dei beni più preziosi come l’oro e l’avorio, è troppo deplorevole e angoscioso per dimenticarlo. Lo Stato ha messo a disposizione provvidenze finanziarie incredibili, agevolazioni burocratiche e fiscali di ogni tipo, per facilitare la industrializzazione, e quindi la distruzione, della una volta splendida pianura. E gli insediamenti industriali sono nati, basta guardarsi in giro: cifre colossali di soldi pubblici tolti al benessere dei cittadini messi a disposizione degli industriali, senza minimamente preoccuparsi e interessarsi né del tipo di industria né di come si comportavano rispetto al territorio e all’ambiente. Ora avviene, finite le agevolazioni e provvidenze, che la prevalenza delle industrie hanno chiuso e le rimaste sono quelle farmaceutiche e chimiche nonché quelle di raffinazione che tutte le regioni un po’ attente evitano di avere a causa del fetore e degli odori maleodoranti che le caratterizzano, nonché degli incombenti pericoli di inquinamento.

Ma quanto imperdonabile e più che criminale, suicida, è stato il fatto che queste industrie non si  sono minimamente  sentite obbligate ad attrezzarsi con impianti di depurazione per cui è stato normale e perfino elementare per tutte, per anni e anni, riversare irresponsabilmente e criminosamente i loro rifiuti tossici nel fiume Sacco che è divenuto un avvelenatore dell’ambiente, nella assenza totale e completa di controllo e dello Stato e dei cittadini e delle istituzioni locali. Lo  Stato, quindi i cittadini, hanno pagato cifre colossali per favorire la industrializzazione, che ora è quasi scomparsa, e ora cifre altrettanto colossali per disinquinare e  bonificare l’ambiente, senza contare la cassa integrazione! Si è annientata la Valle del Sacco, si è avvelenato il territorio, si sono appezzentiti i cittadini per favorire la industrializzazione, ma nessuno è sceso in piazza a protestare e a pretendere giustizia. Eppure l’Unione Europea ammonisce:  “chi inquina, paga”.

E perciò tanto più meritevole e coraggiosa e civile è l’iniziativa  degli studiosi molisani nel denunciare pubblicamente le malefatte avvelenatrici del loro territorio, come pure un plauso al Comune di Atina e al suo sindaco che hanno ospitato e dato spazio e voce alla denuncia.