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Editoriali

Vincenza Sicari "fuori" dall'ospedale Mondino: un caso tra vergogna e paradossi

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Tempo di lettura 4 minuti Buone ferie a tutti i nostri politici, quaranta giorni senza la rottura di scatole di dover andare a Montecitorio e altrove ben due giorni e mezzo alla settimana!

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Roberto Ragone

Di Vincenza Sicari, ex maratoneta nelle file dell’Esercito Italiano e ventottesima alla maratona di Pechino, abbiamo già scritto fin da aprile del presente anno, e chi ci segue conosce già tutti i problemi di questa giovane. Vincenza è allettata da circa due anni, senza che nessun medico abbia potuto formulare una diagnosi precisa. Il fatto è che è paralizzata dalla vita in giù, e non riesce più a muovere le gambe, né ad alzarsi dal letto autonomamente. Vincenza Sicari è stata dimessa dall’ospedale Mondino di Pavia, contro la sua volontà, nonostante le sue condizioni di salute. Siamo in un film dell’orrore. Questa non può essere la realtà che noi viviamo tutti i giorni, quella fatta di carità umana, di quella misericordia che s’invoca per i disgraziati che arrivano con i barconi, e  che il Papa predica nel suo Giubileo straordinario. A che serve, a chi serve, a chi è mai servito raccomandarsi alle Istituzioni, quando esse sono composte di persone che si guardano l’ombelico, soltanto protese al proprio vantaggio? Quando chi dovrebbe essere a capo di un Ministero importante come quello della cosiddetta ‘Salute’  in pratica sembra funzionare soltanto in certe circostanze istituzionali, quando si tratta di gestire i rapporti con la gente importante? Quali iniziative ha preso la ministra Lorenzin nei confronti dell’ospedale Mondino, e del caso di Vincenza Sicari? Si limita a credere ai comunicati dei medici che dicono che il caso di Vincenza è un caso psichiatrico, oppure ha deciso di andare a fondo della questione? L’impressione è che la Lorenzin viva un profondo imbarazzo, non sapendo che pesci prendere, perché magari da una parte vorrebbe riuscire a risolvere la situazione, ma dall’altra forse non vuole sbugiardare i medici implicati nella questione. E comunque ignorare Vincenza Sicari e le sue condizioni è la scelta peggiore, in ogni caso. Allora, una piccola riflessione: siamo proprio sicuri che le persone messe a capo di certi organismi siano sufficientemente competenti, visto oltretutto che i Ministeri si assegnano per chiamata – mentre i posti nel pubblico impiego per concorso – seguendo il vantaggio politico del governo in carica? Così può capitare, come succede, che si vada a capo di un Ministero senza averne la necessaria competenza, non avendo forse conseguito una laurea specifica. Personalmente ritengo che alla Sanità – come si diceva una volta – dovrebbe andare una persona con competenze mediche, cosa che, così a memoria, non mi pare di scorgere nel curriculum della ministra Lorenzin. A parte il fatto che qui non di competenze mediche si tratta, ma, appunto, di umanità e di voglia d’intervento per risolvere una situazione di coscienza. Per chi la coscienza la mette in moto. Un medico potrebbe ricordarsi del giuramento d’Ippocrate, quello che lo consegna ad una coscienza professionale che tende al bene del malato, fino all’ultimo. Chi medico non è, e non sarà mai, non ha di queste sollecitazioni. Forse questo potrebbe fare la differenza. Purtroppo in questo disgraziato Paese tutti sono bravi a parlare, e ad andare in televisione, nel grande palcoscenico mediatico che fa pubblicità e da’ visibilità. Quanto ai fatti, è un’altra storia. Allora, bocciata la Lorenzin, a chi ci rivolgeremo? Al Presidente della Repubblica? Al Presidente del Consiglio? Al Papa? Ad un intervento soprannaturale? Quello che sgomenta è la totale indifferenza di certe persone, pur di fronte ad una situazione che è sotto gli occhi di tutti; a parte lo staff medico dell’ospedale Mondino che, fatta una riunione al vertice, ha deciso di dimettere Vincenza Sicari, dichiarando – ma, a quanto pare non per iscritto – che la sua è una questione psichiatrica. Ma allora, perché Vincenza è paralizzata dalla vita in giù? I matti non camminano? E perché, visto che i medici sono così convinti di ciò che dicono,  nessuno finora si è assunto la responsabilità di stilare una diagnosi di disturbi mentali ed una richiesta di ricovero un psichiatria, limitandosi a buttar fuori da un letto d’ospedale una persona che ha bisogno comunque di cure mediche? Siamo in un film dell’orrore. Oggi Vincenza è ospite in una casa privata, e ringraziamo la persona che le ha dato questa possibilità. Ci sono due Italie, una come quella che vediamo a Montecitorio e Palazzo Madama, la ‘Casta’, tutta tesa ad alchimie politiche che sono fine a sé stesse; gente che vive in una bolla avulsa dalla realtà di tutti i giorni; gente che ha tutto a disposizione, lavorando il minimo indispensabile, e alle volte neanche quello; gente che ha tutti i diritti, e i doveri se li sceglie; gente che strepita che non può tirare avanti con appena 5.000 euro al mese, mentre c’è chi stenta a prenderne mille, e deve campare; gente che protesta e fa riscorso al Tar quando le si vogliono limitare ingiustificati privilegi: gente che per un pasto che altrove costerebbe almeno 70 o 80 euro spende al ristorante del Parlamento quanto uno di noi per un cornetto e cappuccino, o per un trancio di pizza al taglio; gente che va a fare la spesa al supermercato con la scorta. Poi c’è gente, invece – l’altra Italia – che accoglie in casa propria una persona completamente estranea, soltanto perché in quel momento ha bisogno di qualcuno che la ospiti, perché non ha dove andare, perché è vittima, da anni, di una delle più grosse e incomprensibili ingiustizie che mai si siano viste sotto il sole. Mentre invece si fa spazio ai migranti, li si accoglie in alberghi a quattro stelle, con vitto, diaria, sigarette e schede telefoniche, con la scelta del menù. Forse Vincenza Sicari dovrebbe rivolgersi al Ministero del Migrante, se ne esistesse uno, visto che quello della Salute è latitante. Buone ferie a tutti i nostri politici, quaranta giorni senza la rottura di scatole di dover andare a Montecitorio e altrove ben due giorni e mezzo alla settimana! Che diamine, un po’ di sole fa bene a tutti, no?

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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