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Le recenti elezioni regionali in Liguria offrono uno spaccato inquietante di una realtà che appare sempre più deteriorata: meno di un ligure su due si è recato alle urne.
Con una percentuale di affluenza che si attesta sul 45,97% degli aventi diritto al voto, ci troviamo di fronte a un ulteriore, doloroso segnale di disaffezione politica nel nostro Paese e ciò che emerge non è solo un dato numerico, ma una vera e propria Caporetto della democrazia rappresentativa.
È sconcertante pensare che in un momento in cui il dibattito politico dovrebbe animarsi e contribuire a delineare il futuro del paese, molti preferiscano rifugiarsi nell’astensione piuttosto che partecipare attivamente.
Questo silenzio assordante, che affonda le radici in una crescente sfiducia nei confronti dei partiti e dei loro rappresentanti, non è un fenomeno isolato, ma un sintomo di un malessere profondamente radicato nella nostra società.
Il “non voto” si erge a un segno di protesta, un atto di ribellione contro un sistema che non riesce più a garantire quella rappresentatività che dovrebbe essere il pilastro dei nostri principi democratici.
Gli scandali che, a ripetizione, travolgono la classe politica italiana alimentano questa crisi di fiducia, spingendo i cittadini a considerare la loro assenza alle urne come una scelta consapevole, una ferma dichiarazione di impotenza contro un sistema che percepiscono come corrotto e distante dalle loro esigenze quotidiane.
In questo marasma, dove la politica langue e i cittadini si sentono sempre più esclusi, il silenzio degli attuali governanti si fa ancora più assordante.
Chi sono coloro che dovrebbero guidarci verso una rinascita democratica?
Dove sono le risposte a questo malcontento?
La retorica confortante non basta più a risollevare le sorti di un’aspettativa sempre più delusa.
In questo contesto, la frase di Robert Sabatier risuona come un monito:
“C’è una azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino, e consiste nel togliergli la voglia di votare.”
Ed è proprio questa la condizione in cui ci troviamo oggi dove i cittadini, privati della motivazione per partecipare attivamente al processo democratico, si trovano a vivere in un limbo di indifferenza, e l’astensione diventa un gesto di rifiuto verso un mondo politico percepito come alieno.
Come ci si può aspettare che l’elettore si senta rappresentato quando le scelte politiche sembrano lontane anni luce dalle vere necessità della comunità?
È necessario un cambio di paradigma, una rinascita del dialogo tra governanti e governati, in grado di restituire ai cittadini la dignità di essere parte attiva del proprio destino.
Nel breve termine, sarà fondamentale fare tesoro di queste elezioni per riscoprire l’importanza del confronto, del dibattito e, in ultima analisi, della responsabilità civica e, forse solo così, potremo sperare di riaccendere la “voglia di votare” in un Paese che, oggi più che mai, ha bisogno di sentirsi rappresentato.
La vittoria decretata dagli astenuti è, probabilmente, la sconfitta più grande per la nostra democrazia.
È tempo di svegliarsi e rispondere a questo grido di allarme.
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