Castelli Romani
Velletri, caso Davide Cervia: condannato il Ministero della Difesa
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7 anni faon
VELLETRI (RM) – Dopo 28 anni, la causa intentata dalla famiglia Cervia – la moglie Marisa Gentile, e i figli Erika e Daniele – contro il Ministero della Difesa, è giunta a sentenza, dopo vari rinvii, una sentenza di condanna per il Ministero, riconosciuto colpevole, a causa dei depistaggi e dei ritardi nelle indagini, a volte addirittura latitanti, di avere ostacolato la ricerca della verità. Il Ministero è stato giudicato colpevole, e condannato a pagare un indennizzo virtuale di un euro, nonostante alla famiglia fosse stata offerta in passato una grossa somma di denaro, regolarmente rifiutata.
Tutte le risultanze successive metteranno in luce l’unica ipotesi plausibile per la sua sparizione, e cioè che elementi non ufficialmente identificati lo avevano prelevato, – cioè rapito – in ordine ad una operazione di ‘vendita’ nei confronti di un paese straniero, acquirente, in modo plausibile, di uno dei sistemi d’arma elettronici di cui il Cervia era esperto. In quegli anni – ricordiamo la strage di Ustica, della quale di recente un marine americano ha rivelato un lato fino ad allora non conosciuto, e cioè che nel momento del transito dell’aereo passeggeri Itavia abbattuto era in corso una battaglia aerea – la situazione sul Mediterraneo non era per nulla tranquilla, e in teatro di guerra generale l’utilizzo di un sistema d’arma sofisticato come quello di cui Cervia era esperto sarebbe risultato decisivo, ma difficile da utilizzare senza qualcuno che lo conoscesse a fondo.
“Finalmente la nostra causa è arrivata a sentenza” dichiara la signora Marisa Gentile “Siamo proprio molto felici di questo momento, perchè abbiamo lottato tantissimo per arrivare a far scrivere quello che noi sosteniamo da ventotto anni”.
Ho visto che lei va anche nelle scuole, per raccontare ciò che è successo a suo marito, e che, anzi, in una occasione le hanno anche tagliato un copertone.
Ormai questa è diventata una questione politica, e a questo punto solo la politica può intervenire per chiarire perchè le Istituzioni hanno mentito. Giudiziariamente noi non possiamo fare più niente, anche perchè l’Avvocatura dello Stato, che rappresenta i Ministeri, ci ha fatto firmare davanti al giudice un documento con il quale ci saremmo impegnati a non proporre più azioni giudiziarie penali o civili nei confronti delle Amministrazioni Pubbliche, quindi ci hanno proprio legato le mani. Quello però che possiamo fare comunque è un lavoro di memoria, perchè io non voglio che questa storia venga dimenticata, per cui quello che stiamo facendo, appunto, sono gli incontri nelle scuole, perchè i ragazzi giovani non la conoscono proprio, quindi secondo me ha molta importanza diffondere questa storia.
L’avvocato Licia D’Amico ha seguito la famiglia Cervia fin dal 1992, e oggi è giustamente soddisfatta della sentenza. Avvocato, può darci qualche impressione a caldo per questo risultato?
Stiamo per diffondere un comunicato stampa congiunto, degli avvocati e della famiglia, che focalizza quelli che sono i punti nodali di questa lunga sentenza. In particolare il riconoscimento, dell’esistenza, nel nostro ordinamento, di un diritto alla verità. In questa sentenza c’è una novità assoluta, cioè il riconoscimento del fatto che il Ministero della Difesa ha violato questo diritto, e per questo viene condannato; che la famiglia Cervia è l’unica che in questi anni si è battuta per conoscere la verità, quindi nient’affatto ostacolando la difesa della verità, come l’Avvocatura dello Stato, e quindi il Ministero aveva detto praticamente fino a ieri, e da ultimo confermando che Cervia era un tecnico assolutamente specializzato, e che le sue competenze erano talmente preziose e talmente significative, che costituiscono la ragione per la quale è scomparso.
Lei ha seguito il caso fin dall’inizio?
No, da qualche anno dopo, ma praticamente da quasi subito, forse dal ’92. Fin dall’inizio comunque era chiara quella verità che poi è emersa. Noi eravamo convintissimi che le cose stessero nei termini più volte detti, che Cervia fosse stato rapito per le sue particolari competenze, soprattutto in un momento storico in cui nel bacino del Mediterraneo stava accadendo quello che stava accadendo. La situazione appariva molto chiara, ma purtroppo le indagini avevano preso tutt’altra piega; anzi, per la verità non avevano preso nessuna piega, perchè il problema è stato quello dell’inerzia. Oggi arriva questa sentenza che dice queste tre cose che noi diciamo da ventotto anni, ma le dice una sentenza, e questa è la cosa importante. Non so quante altre volte sia accaduto che una Istituzione dello Stato, un Ministero, sia stato condannato a risarcire un danno ad una famiglia per aver nascosto la verità, insomma, non è poca cosa.
Come studio vi siete occupati anche della vicenda di Ustica?
Sì, certo, il diritto alla verità per la prima volta si affaccia sulla scena processuale italiana nella vicenda di Ustica. Ora, naturalmente, fare un paragone diretto fra la vicenda di Ustica, e il rapimento di Cervia, non è facilissimo, perchè le implicazioni sono infinite, ma, per la prima volta, lì si dice che esiste un diritto alla verità, e qui oggi è la seconda volta sostanzialmente nel nostro ordinamento in cui un Ministero viene condannato per aver violato il diritto alla verità di una famiglia.
Il rapimento
Il 12 settembre del 1990, dopo una giornata di lavoro presso la ditta in cui lavorava dopo essersi congedato dalla Marina Militare, dove aveva acquisito particolari competenze nell’ambito di sofisticati e segreti armamenti, mostrando una perizia ed una capacità non comuni – qualità all’inizio negate dallo Stesso Ministero della Marina – l’ex sergente Davide Cervia, classificato ‘Esperto in guerra elettronica’, imbarcato a suo tempo sulla fregata missilistica Maestrale, viene rapito sulla strada del ritorno alla sua abitazione da tre persone che lo fanno salire – a detta di un testimone oculare – su di un’auto verde, che si allontana velocemente, mentre una quarta si mette al volante della sua Volkswagen Golf bianca, che verrà poi ritrovata successivamente, abbandonata. Fin da subito è apparso chiaro alla moglie Marisa Gentile e ai due figli, Erika e Daniele Cervia, che era in atto un depistaggio proprio da parte degli organi che avrebbero dovuto fare chiarezza sulla vicenda. Infatti, nonostante la testimonianza oculare del guardiano di una villa di fronte a quella di Davide Cervia, – che aveva riferito che Davide Cervia era stato forzato a salire sull’auto verde, e che i segni che gli aveva indirizzato non erano saluti, ma richieste di aiuto – e nonostante tale testimonianza fosse stata confermata da quella di un autista della COTRAL – transitato in quell’ora nei pressi del luogo del rapimento, e costretto ad una brusca frenata a causa delle due auto giunte a velocità sostenuta, che gli avevano tagliato la strada, – le indagini venivano subito orientate in direzione dell’allontanamento volontario da parte dei Carabinieri. Davide Cervia non verrà più ritrovato.
Roberto Ragone
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