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L’America dell’era Trump va al voto per rinnovare il Congresso e per decidere se la strada del tycoon verso le presidenziali del 2020 sarà in discesa verso la rielezione, oppure irta di ostacoli come solo un biennio da ‘anatra zoppa’ può esserlo per un presidente americano. Ma proprio per il loro impatto sull’agenda della Casa Bianca, le elezioni di metà mandato di martedì 6 novembre sono attese con grande interesse ovunque nel mondo, per capire se la dottrina dell’America First troverà piena attuazione nei prossimi due anni oppure se il progetto anti-globalista e protezionista subirà un’inevitabile frenata.
Lo scenario resta incerto, con i democratici che hanno buone ragioni per sperare in quella ‘blue wave‘ che farebbe loro riconquistare almeno la Camera dei Rappresentanti, rinnovata in tutti i suoi 435 seggi.
A due settimane dal voto i sondaggi li danno ancora in vantaggio, ma solo per pochi punti. I giochi dunque restano aperti. Mentre al Senato le chance di vittoria per i dem sono quasi vicine allo zero. Due i punti di forza che potrebbero rivelarsi fondamentali per lo sgambetto dei democratici a Trump: l’affluenza record, secondo le previsioni mai così alta per le midterm da almeno 40 anni, e nell’era del #metoo il voto delle donne, con il primato assoluto di candidate al Congresso, ben 257 su entrambe i fronti.
Sul fronte dei repubblicani invece si punta soprattutto sull’effetto Trump, la cui popolarità continua a volare, forte soprattutto di un’economia americana che continua a correre come non mai. Senza parlare di come il tycoon, che sta battendo a tappeto il Paese, si senta a suo agio nel fare della questione immigrazione il punto di forza del rush finale verso il voto. Tra l’altro con una carta ancora da poter giocare: quella di un ulteriore taglio delle tasse per la classe media.
Ma più di uno spettro aleggia sulla Casa Bianca. Il primo è la marcia della carovana dei 7.000 migranti verso gli Usa, che rischia di trasformarsi in una vera e propria crisi nazionale e umanitaria proprio alla vigilia delle elezioni. C’è poi la preoccupazione più grande per il tycoon: negli Usa la chiamano ‘October surprise’, la temutissima mossa prima di ogni elezione che in questo caso potrebbe arrivare all’improvviso dal Russiagate. E se il Congresso dovesse tornare, almeno in parte, in mano ai democratici, è chiaro che la campagna per un’impeachment o per una destituzione del presidente assumerebbe un vigore finora mai visto.
Nel dettaglio ai dem servirebbero 23 seggi per vincere alla Camera, a partire da quelli oggi occupati da repubblicani ma espressi nei distretti in cui nel 2016 vinse Hillary Clinton.
n tutto sono 75 i match più incerti per un posto alla Camera bassa, e riguardano 30 Stati Usa: dal nordest (vedi New York) al Midwest (vedi l’Iowa), dalla Florida alla traballante roccaforte repubblicana del Texas. Al Senato, dove ai repubblicani basta confermare i 51 seggi di oggi, i confronti più avvincenti sono in Nevada, Arizona, Missouri. Ma soprattutto c’è la supersfida in Texas tra Ted Cruz e il giovane astro nascente dei democratici Beto O’Rourke, che in molti vedono candidato alla Casa Bianca contro Trump nel 2020.
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