Uno Bianca: polemiche tra l'Arcivescono di Bologna e l'Associazione delle vittime

di Angelo Barraco
 
Bologna – Si torna a parlare della Banda della Uno Bianca, a seguito delle dichiarazione dell’Arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi nel corso di un’intervista al “Festival Francescano”, in ha dichiarato “Ho un rapporto epistolare con uno della banda della Uno Bianca. Ho capito che il perdono è un itinerario faticoso ma che bisogna cercare di coltivare: è l'unica via umana che ci è concessa perché il male non distrugga noi” ha aggiunto “quando è difficile, doloroso, privo di senso” sottolineando che “il perdono non vuol dire cancellare la giustizia. Il perdono vuole la giustizia e libera dall'odio e dalla vendetta e per questo è ancora più forte. Il perdono libera”. Parole che sono state pronunciate in Piazza Maggiore e che hanno falciato l’animo di chi ancora ricorda quegli anni in cui il terrorismo e la criminalità si muovevano ad unisono, le strade diventavano quasi costantemente cimiteri a cielo aperto e le famiglie erano pronte a piangere il prossimo figlio o padre che non sarebbe tornato più a casa. Dichiarazioni che sono arrivate all’associazione delle vittime della Uno Bianca che ha replicato “L'Arcivescovo Matteo Zuppi mi disse già a giugno, a margine della Festa della Repubblica, che Alberto Savi, il 'fratello buono' della Banda della Uno bianca, gli aveva scritto per chiedere perdono. Io risposi: ma quale fratello buono, era come Fabio e Roberto. Era tra i killer che uccisero i carabinieri al Pilastro il 4 gennaio '91. Ho letto che Zuppi gli ha risposto mesi dopo che il perdono se lo devono meritare”. Rosanna Zecchi, presidente dell’associazione familiari vittime della Uno Bianca e vedova di Primo Zecchi e ha aggiunto “La mamma di Umberto Erriu uno dei due carabinieri uccisi a Castel Maggiore il 20 aprile 1988, mi disse che il perdono se vuole lo decide Dio, le colpe terrene si devono pagare. Fra l'altro non stanno facendo nemmeno il carcere duro. Come associazione siamo tutti d'accordo. Paghino per quello che hanno fatto, nessun perdono. Sono dei delinquenti crudeli”. Una vicenda che ha riaperto una ferita non ancora cicatrizzata e che brucia ancora quando vi si poggia il fastidioso alcol che dovrebbe lentamente attutire il dolore ma che in realtà risulta lesivo per i familiari delle vittime che all’improvviso dall’oggi al domani hanno perso una persona cara, abbandonata per terra dalla polvere issata su da una macchina tanto comune quanto inquietante. 
 
La Banda della Uno Bianca ha insanguinato l’Emilia Romagna tra la fine degli anni 80 e la prima metà degli anni 90. Una lunga scia di sangue che per un lungo lasso di tempo è rimasta avvolta dal mistero, nascondendosi dietro ad un’incognita quale l’autovettura più comune dell’epoca, che impregnava l’asfalto di gomma, polvere e sangue, diventando allo stesso tempo il fattore scatenante di morte e dolore. Un gruppo criminale che si è sempre mosso nell’ombra, guidato dalla prontezza nell’agire determinata da una sicurezza dovuta alle professioni che svolgevano la maggior parte dei membri che ne facevano parte. Roberto Savi, classe 1954, è stato un appartenente della Polizia di Stato presso la Questura di Bologna, rivestendo il ruolo di assistente Capo; il fratello Fabio Savi, classe 1960, fece domanda per entrare in Polizia ma un problema alla vista comprometterà quelli che saranno i suoi obiettivi, inducendolo a svolgere lavori saltuari; Alberto Savi, classe 1965, è il fratello minore dei due fratelli appena citati, è un poliziotto e quando viene arrestato svolge il suo servizio d’ordine servizio presso il Commissariato di Rimini; un altro soggetto che viene coinvolto nella vicenda nella Uno Bianca è Pietro Gugliotta, classe 1969, un poliziotto che svolge servizio di operatore radio alla questura di Bologna. Non partecipa alle azione del gruppo ma viene condannato a 18 anni di reclusione; Marino Occhipinti, classe 1965, prende parte ad un’azione criminale che cagiona la morte di una guardia giurata e viene condannato all’ergastolo. Anch’esso è un poliziotto a Bologna e al momento dell’arresto la sua carica era di vice sovrintendente alla sezione narcotici; Luca Vallicelli, anch’esso poliziotto, ha partecipato alle prime rapine della banda ma senza cagionare la morte di nessun innocente. E’ attualmente libero a seguito di un patteggiamento di tre anni e otto mesi. I fratelli Savi sono stati condannati a tre ergastoli ciascuno, un ergastolo per Occhipinti, 28 anni per Gugliotta che si sono ridotti a 18 anni. Quest’ultimo, nel 2008, dopo 14 anni di reclusione ha ottenuto la libertà grazie all’indulto. Mario Occhipinti aveva chiesto lo sconto di pena un anno fa, ma la Procura ha deciso il no. L’ex poliziotto che prese parte ad un’operazione della Banda della Uno Bianca assaltando un furgone della Coop di Castel Maggiore, il 19 febbraio del 1988 dove fu uccisa la Guardia Giurata Carlo Beccari.  L’arresto di Occhipinti avvenne il 29 novembre del 1994, quando era vice-sovrintendente della sezione narcotici della Squadra Mobile. L’uomo si trova in regime di semilibertà dal 2012 e aveva chiesto il rito abbreviato, il Pm ha respinto l’accoglimento dell’istanza, il Gip invece si è riservato. 
 
La semilibertà. Dopo diciassette anni, due mesi e due giorni di carcere, Marino Occhipinti ottiene il 3 gennaio del 2012 la semilibertà che gli consente di lasciare l’istituto penitenziario per lavorare presso una cooperativa sociale. Prima della semilibertà però aveva potuto usufruire di alcuni permessi come quello avuto nel 2010 per andare ad una via crucis e il 31 maggio del 2010 era uscito per una malattia del padre. Aveva anche scritto una lettera di ringraziamento al Sindaco di Santa Sofia, paese in provincia di Forlì: “Dopo tutto quello che è successo, mi riferisco alla mia vicenda giudiziaria ero assolutamente sicuro che non sarei mai più tornato. Le parole di ringraziamento per come il paese di Santa Sofia ha saputo riaccogliermi che ho espresso in occasione delle esequie del mio babbo sono davvero sentite. Sono rimasto colpito quanto lei è venuto a porgere le condoglianze a me e a mia mamma”. Il Sindaco aveva risposto con una lettera pubblica: “Crediamo nella redenzione degli uomini e Marino ha iniziato il percorso di riacquisizione della sua dignità e per questo merita il nostro plauso. Molti santasofiesi, amici e conoscenti, lo hanno già accolto con affetto. Auspichiamo un suo completo e totale rientro nella nostra comunità”, ma tale scambio di lettere ha suscitato parecchie polemiche soprattutto da parte del circolo Sel locale che disse: “La redenzione di un colpevole è un fatto privato e come tale dovrebbe essere trattato. Enorme e incancellabile è invece la tragedia pubblica della Uno bianca che purtroppo è anche una tragedia privata e indimenticabile per le famiglie che subirono quei tragici eventi”.
 
Un anno fa è stato compiuto uno sfregio a Piazza Lipparini, nei confronti di un monumento in memoria dei tre carabinieri uccisi al Pilastro dalla Banda della Uno Bianca il 4 gennaio 1991 è stato imbrattato con una scritta “O noi o loro, Uno Bianca”. In merito a quanto accaduto è stato interpellato il magistrato che condusse le indagini all’epoca dei fatti, il procuratore aggiunto Valter Giovannini,  ha riferito che “si farà di tutto per individuare gli autori dell'odioso oltraggio”.  Il 4 gennaio 1991 furono uccisi dalla Banda della Uno Bianca: Mauro Mitilini, Andrea Moneta e Otello Stefanini. 
 
La Strage del Pilastro. Il 4 gennaio del 1991 alle ore 22, la Banda della Uno Bianca si trovava casualmente presso il quartiere Pilastro di Bologna per puro caso poiché era diretta a San Lazzaro di Savena per rubare auto. Ad un certo punto in Via Casini, all’altezza delle Torri, l’auto dei carabinieri sorpassa l’auto della Banda ma la banda non gradì il gesto poiché penso che tale manovra di sorpasso servisse per impossessarsi dei numeri di targa e decise di eliminare i carabinieri. Li hanno affiancati e ad un certo punto Roberto Savi inizia a sparare sul lato del conducente ad Otello Stefanini, malgrado le ferite però il carabiniere tenta la fuga ma sbatte accidentalmente contro dei cassonetti della spazzatura, l’auto viene immediatamente raggiunta dalla Banda e crivellata di proiettili. Andrea Moneta e Mauro Mitilini (gli altri carabinieri), rispondono al fuoco e feriscono Roberto Savi ma la banda ha il sopravvento poiché è in possesso di armi più forti e li uccide. La Banda si impossessa dell’ordine di servizio dei carabinieri.