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Editoriali

Un presidente della “mutua” e l’Italia in coma farmacologico

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Siamo in mano al’ISS, – Istituto Superiore della Sanità – propaggine di quella Organizzazione Mondiale della Sanità che ha proibito i tamponi a tappeto, e le mascherine come ‘allarmanti’.

L’accesso di prudenza rischia di salvare clinicamente il malato, ma di farlo morire.

Ormai è sotto gli occhi di tutti che Conte ripete a pappagallo la lezioncina imparata da coloro che la pandemia la guardano solo attraverso il vetrino di un microscopio, senza voler vedere i danni, invece macroscopici, che sta producendo. Non c’è in effetti equilibrio fra la situazione del paese e le decisioni prudenziali adottate dal governo, tutte orientate ad un unico scopo: rendere inoffensivo il virus, o almeno circoscrivere la sua diffusione.

In realtà, non essendo stati capaci di farlo a tempo debito, i personaggi che stanno dietro al nostro Presidente del Consiglio – prodigo di decreti ad ogni piè sospinto – tendono a monopolizzare la situazione: anzi l’hanno monopolizzata a tal punto, che fanno uscire notizie come quella secondo la quale in Germania – che vanta il minor numero di morti – i contagi sarebbero aumentati in virtù della riapertura dei negozi.

Sappiamo benissimo che i Tedeschi conteggiano soltanto i morti ‘per’ Coronavirus, e non ‘in conseguenza’ di Coronavirus. Sappiamo anche che dalle autopsie svolte dopo tre o quattro giorni il virus è sparito. Eppure, si agita lo spettro dei contagi ‘in conseguenza della riapertura dei negozi’. Mentre la parte attiva della nostra nazione non può ripartire per, almeno, limitare i danni. Tutto ciò in seguito a discriminazioni assolutamente di fantasia.

Non si capisce che differenza possa fare se il mio viaggio si fermi ai confini della regione, o prosegua oltre, quando sono munito di guanti, mascherina e magari di gel igienizzante. Non si capisce che differenza possa fare non riaprire i ristoranti che offrono distanza sociale e diaframmi ai clienti. Non si capisce perchè alcuni negozi possano riaprire dopo il 4 di maggio e altri no: forse perchè i loro servizi non sono considerati importanti? Ricordiamoci che i supermercati non hanno mai subito alcuna discriminazione, anzi. E nei supermercati siamo andati tutti, facendo la coda per l’ingresso e indossando guanti e mascherine.

Che differenza c’è fra questi e tutti gli altri negozi, compresi quelli che offrono un servizio al clienti, e che ogni giorno perdono la possibilità di continuare ad esistere? In queste occasioni, è vero, bisogna guardare alla lotta al virus. Ma bisogna anche avere intelligenza e coraggio. La prima, il nostro governo ha ampiamente dimostrato di non averne, preso fra capo e collo da una pandemia che qualcuno aveva già prevenuto, e questo nonostante l’avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del primo di febbraio. Il secondo, analogamente, sta dimostrando che è merce rara, da queste parti. Non sarebbe, come si difende Conte, un ‘liberi tutti’.

Ma un po’ di coraggio serve anche al chirurgo che deve effettuare una difficile operazione, senza la quale il paziente è certo che morirà. Gli accessi alla Caritas sono aumentati del 114%. I senza tetto in conseguenza di perdita di lavoro sono sotto gli occhi di tutti. Gente che fino a venti giorni fa aveva una casa e un lavoro, ora piange per la strada, chiedendo qualcosa da mangiare. Piccole imprese che avevano, fino a due mesi fa, un presente florido e un futuro proiettato verso la crescita, ora rischiano di chiudere, avendo diminuito il loro lavoro dell’80/90%. Un paziente normale si può mettere in coma farmacologico, affinchè il suo organismo ripari i danni. L’Italia no. I soldi promessi, sbandierati e forse ‘stanziati’, oltre ad essere una miseria, ai più non sono mai arrivati, e c’è già qualcuno a cui saranno richiesti indietro.

Soffochiamo nella burocrazia, e mai come oggi ne possiamo vedere gli effetti nefasti. Basterebbe che il retorico e verboso Presidente del Consiglio, che ama tanto il palcoscenico televisivo quando deve snocciolare alla Camera o al Senato le sue faticose e prolisse composizioni, ricche di un italiano dotto e anch’esso burocratico, avesse un po’ più di ‘palle’, visto che autonomamente ha assunto il ruolo di ‘uomo forte’ al potere, quello che quando parla dice ‘noi’ e non ‘io’, e non si sa se lo fa per dividere con altri la responsabilità delle sue decisioni, oppure, come il papa, adotta un improvvido plurale maiestatis. Insomma, l’Italia affonda, osservata dai componenti della commissione scientifica nominata a cura del Coronavirus, e tutti stanno a guardare senza gettarle un salvagente. Come l’avessero messa in coma farmacologico, e pensassero di poterla risvegliare a cose finite. Non vorremmo, e questo l’abbiamo già scritto, che alla fine della fiera dovessimo dire che l’operazione è riuscita, ma il paziente è morto.

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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