Connect with us

Editoriali

Tritolo e petali di rosa

Clicca e condividi l'articolo

Tempo di lettura 3 minuti

Published

on

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 3 minuti

di Angelo Barraco
 
L’eco dell’esplosione che il 23 maggio del 1992 ha sventrato l’autostrada A29 all’altezza di Capaci, cagionando la morte del Giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro rimbomba ancora nelle orecchie degli italiani che hanno perso quel giorno un paladino nella lotta alla mafia, un uomo che lottava contro un potere che si stava ramificando nei meandri più oscuri e insidiosi della politica e dello Stato e che doveva essere prontamente stanato e annientato. Le riprese video di quel giorno hanno immortalato lo stupore dei palermitani accorsi che esclamano “ma chi ci misiro, a bumma atomica ci misiro” (ma che gli hanno messo, la bomba atomica gli hanno messo). Tanta la rabbia anche ai funerali di Stato, in cui il popolo palermitano si ribella alla ferocia di Riina e Provenzano urlando in coro “hanno ucciso i nostri fratelli” e tra le urla e le lacrime c’è chi sottolinea ai giornalisti presenti che “questa città, questo potere lo odia” (riferendosi al potere mafioso)”. Il Presidente della Repubblica era Scalfaro e alcuni cittadini rivolgono un grido disperato per la situazione che vige in quel momento a Palermo, gridano “Presidente i morti sono qua, ca sunnu i moitte” (Presidente, i morti sono qua). Un eco di bomba che si ripete a Palermo anche il 19 luglio 1992, quando quel lungo budello urbano di Via d’Amelio diventa scenario di morte e sangue, in cui le lamiere e le fiamme si fondono con i brandelli di carne sventrata e polverizzata. Sono stati uccisi il magistrato Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Un’Italia messa in ginocchio che si asciuga ancora oggi le lacrime di un’amara sconfitta per mano di un potere mafioso che è riuscito a strappar via alla vita coloro che avrebbero potuto neutralizzare un sistema criminale che si stava incanalando in tessuti sociali con la 24ore. Poi cos’è successo? Tutto è cambiato, la storia è cambiata e il duro lavoro di Falcone e Borsellino per combattere la legalità e portare in auge valori come la giustizia e la lotta contro la criminalità che fine ha fatto? Alcuni avvenimenti recenti portano a pensare che il sacrificio dei due magistrati sia definitivamente scomparso in quella tanto rovente quanto terribile estate del 92. Se un tempo la criminalità organizzata si nascondeva dalla piazza, preferendo le masserie e i cunicoli piuttosto che l’occhio indiscreto del cittadino onesto, oggi ostenta il suo bene stare dinnanzi al popolo “sovrano”. Siamo a Roma, nella Basilica di San Giovanni Bosco a Cinecittà e si sta svolgendo un funerale particolare, poiché è deceduto Vittorio Casamonica, 65 anni e ritenuto uno dei maggiori esponenti dell’omonimo clan. L’uomo è ritenuto responsabile di attività illecite quali usura, racket, traffico di stupefacenti nel sud est della città. Il suo funerale non è passato in sordina e non si è tenuto di certo in una masseria o in una chiesa sperduta sopra ad una montagna lontana da occhi indiscreti, ma in una zona centrale, con una carrozza antica con bassorilievi dorato con sei cavalli neri, un elicottero che sorvolava la zona e lanciava petali di rosa, diversi manifesti con su scritto “Hai conquistato Roma, ora conquista il paradiso” oppure “Vittorio Casamonica re di Roma”. Al termine della cerimonia sono state suonate le note del film “Il Padrino” rigorosamente suonata da un’orchestra. Sulla bara un’immagine di Padre Pio. Funerali che hanno indignato il mondo dell’opinione pubblica e della politica, tutti si sono chiesti come mai è stato possibile tutto ciò e ognuno ha  prontamente puntato il dito su altri in merito a quanto accaduto ma ciò che ormai è chiaro dinnanzi gli occhi di tutti, è la presenza di una criminalità diversa rispetto al passato, che non si nasconde più, ma che emerge pubblicamente, che ostenta, sfidando la politica e il sistema costituito. Recentemente colui che ha pilotato l’elicottero per i funerali di Vittorio Casamonia, disperdendo pedali di rosa dall’alto, ha compiuto la medesima operazione per una coppia di sposi di Nicotera, fregandosene spudoratamente dei permessi necessari. La tv ci propina ottimi film in cui viene magistralmente raffigurata la criminalità del presente e del passato, in cui la lotta al crimine rappresenta la massima priorità ai fini di portare in auge i valori della giustizia e della legalità. Ma tutto ciò risulta mera ipocrisia alla luce di elementi oggettivi e concreti che dimostrano l’inefficienza di apparati che non contrastano concretamente un potere criminale che si muove sotto la luce del sole, eludendo quelle che sono le regole etiche, morali nonché giuridiche in merito ad azioni compiute per lo svolgimento di determinate azioni. Il popolo si indigna ma è confuso poiché gli insegnamenti di Falcone e Borsellino risultano ormai un lontano e dolce ricordo, lasciato da uomini che hanno creduto realmente che questo paese potesse cambiare. “Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche ed incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare. Ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare” Giovanni Falcone. 

Continue Reading
Click to comment

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.