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Editoriali

TRAPANI: ABBATTUTA LA TORRE MAFIOSA DEI MESSINA DENARO

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Tempo di lettura 10 minuti Allegato con all'articolo il video con le immagini dell'operazione e le intercettazioni ambientali

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Redazione

Trapani – Arrestati i vertici operativi dell'organizzazione tra cui la sorella del boss latitante Matteo Messina Denaro Patrizia Messina Denaro e il nipote Francesco Guttadauro ed i cugini Mario Messina Denaro, Lorenzo Cimarosa E Giovanni Filardo. 
Nella mattinata odierna, Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza e D.I.A., hanno portato a termine un’importante operazione nei confronti del latitante Matteo Messina Denaro e del mandamento mafioso di Castelvetrano.
I provvedimenti di arresto sono stati disposti dal Gip del Tribunale di Palermo su richiesta dei magistrati della locale Procura Distrettuale che coordinano le attività di ricerca del boss trapanese: il Procuratore aggiunto d.ssa Teresa Principato e i sostituti procuratori Paolo Guido e Marzia Sabella. Lle ordinanze di custodia cautelare hanno riguardato 30 soggetti indagati, a vario titolo, per i reati di associazione mafiosa, estorsione aggravata, intestazione fittizia di beni, favoreggiamento aggravato, compravendita elettorale, corruzione, turbativa d’asta, aggravati dalle finalità mafiose.
 
I carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Trapani hanno eseguito 17 provvedimenti nei riguardi di soggetti indiziati a vario titolo di far parte delle famiglie mafiose di Castelvetrano e Campobello di Mazara. In particolare, le indagini hanno documentato le attività illecite del mandamento mafioso di Castelvetrano, accertando i ruoli di vertice degli esponenti della famiglia dei Messina Denaro, il capillare controllo del territorio ed il sistematico ricorso all’intimidazione per infiltrare il tessuto economico locale attraverso imprese di diretta emanazione dell’organizzazione criminale. L’articolata attività conferma il ruolo apicale tutt’ora rivestito dal latitante Matteo Messina Denaro all’interno del mandamento e della provincia mafiosa, che si concretizza nella direzione delle varie articolazioni dell’organizzazione, nella risoluzione di controversie interne al circuito familiare e nella gestione degli ingenti interessi economici del sodalizio. in tale ambito, è stato possibile documentare il ruolo di vertice operativo assunto da Francesco Guttadauro, figlio di Filippo e Rosalia Messina Denaro, anche quale collettore delle relazioni connesse all’attività di sostentamento della famiglia dei Messina Denaro e dello stesso latitante. Sono stati in particolare documentati, anche attraverso intercettazioni di notevole valore probatorio, i ripetuti interventi del Guttadauro per dirimere i contrasti interni al circuito familiare, inerenti la spartizione dei guadagni provenienti dalle società controllate dagli imprenditori mafiosi Antonino Lo Sciuto e Lorenzo Cimarosa, quest’ultimo cugino del latitante.

Le indagini hanno altresì documentato come i citati Cimarosa e lo Sciuto, titolari delle società B.F.Costruzioni s.r.l. e M.G. Costruzioni s.r.l. abbiano gestito, per conto dell’organizzazione, la realizzazione di importanti commesse pubbliche e private nell’area di Castelvetrano, quali strade della zona industriale ed opere di completamento del cd. “polo tecnologico” di contrada airone, nonché i lavori per le piazzole e le sottostazioni elettriche del parco eolico denominato “ventodivino”, nel comune di Mazara del Vallo, a seguito di un accordo spartitorio con quest’ultimo mandamento mafioso. In tale quadro, le indagini hanno accertato anche le modalità di aggiramento dei vincoli imposti dal protocollo di legalità sottoscritto dall’appaltatore del parco eolico, l’impresa Fabbrica Energie Rinnovabili Alternative s.r.l., con la Prefettura di Trapani.

Nel corso delle indagini, si registrava anche l’intervento del Cimarosa e dei Lo Sciuto nei confronti dell’imprenditore mazarese Carlo Loretta, per risolvere una disputa nata con riferimento alla quota dei lavori da far eseguire all’impresa M.E.S.T.R.A. srl., riconducibile alla locale famiglia mafiosa. La piena riconducibilità delle vicende societarie alla famiglia del latitante veniva confermata dai conflitti sulla spartizione degli utili d’impresa, ritenuta iniqua da Patrizia Messina Denaro e da Rosa Santangelo, zia del ricercato, con l’intervento risolutore, anche in questo caso, di Francesco Guttadauro.

Il provvedimento comprende, inoltre, le indagini sviluppate nei confronti di Nicolò Polizzi, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, ritenuto uno dei principali referenti dei flussi di comunicazioni mafiose verso la provincia di Palermo, con particolare riferimento ai contatti preparatori delle riunioni, tra il noto Francesco Luppino e i responsabili dei mandamenti di cosa nostra palermitana. il Luppino costituiva, infatti, all’epoca in cui le articolazioni palermitane di cosa nostra stavano tentando di ricostituire la commissione provinciale, il referente trapanese delle comunicazioni destinate a Matteo Messina Denaro.

Dopo l’arresto del Luppino, lo sviluppo delle investigazioni nei confronti di Polizzi Nicolò consentiva l’acquisizione di elementi che, oltre a confermarne la contiguità al latitante di Castelvetrano, definivano il ruolo di condizionamento delle commesse pubbliche e private in ambito locale. in particolare, il predetto emergeva quale referente nella gestione di alcune operazioni propedeutiche alla realizzazione del villaggio turistico della catena Valtur, in località Tre Fontane a Campobello di Mazara, ad opera della società Mediterraneo Villages s.p.a.. dalle indagini è emersa anche la capacità di quest’ultimo nel rapportarsi con la locale amministrazione comunale e con vari operatori economici per l’ottenimento di posti di lavoro e la cura di altri interessi del sodalizio mafioso. In particolare, è stato riscontrato l’appoggio offerto dal predetto polizzi e dalla famiglia mafiosa ad una candidata alle elezioni regionali del 2012, in cambio di rilevanti somme di denaro.
 
La Squadra Mobile di Trapani – S.C.O., ha eseguito 8 provvedimenti che hanno riguardato sia l’articolazione mafiosa di Paceco che quella di Castelvetrano.

A carico dell’indagata  Messina Denaro Patrizia, cui viene contestata l’associazione a delinquere di stampo mafioso,  la Polizia di Stato (Servizio Centrale Operativo  e Squadre Mobili Di Palermo e Trapani) ha raccolto importanti risultanze al fine di dare contezza dell’intraneità della sorella del latitante alla famiglia mafiosa di Castelvetrano. In particolare le intercettazioni dei colloqui in carcere tra la donna ed il di lei marito, Panicola Vincenzo (detenuto e già condannato in primo grado a dieci anni di reclusione per 416 bis c.p. nell’ambito del processo Golem fase II), hanno evidenziato come ai legami di parentela si siano affiancati ed addirittura sovrapposti i più stretti vincoli derivanti dalla comune appartenenza a cosa nostra.

I colloqui intercettati evidenziavano come la Messina Denaro Patrizia avesse avuto il compito dal marito di interloquire con il fratello latitante per sapere se lo stesso avesse o meno autorizzato l’imprenditore Grigoli Giuseppe a rendere dichiarazioni accusatorie contro altri indagati, con il fine ultimo di salvaguardare le aziende a lui sequestrate (il gruppo 6g.d.o. esercente nella grande distribuzione con il marchio Despar). 

Tale esigenza originava dal malumore maturato nei confronti del Grigoli a seguito di sue propalazioni processuali e quindi dalla eventualità che lo stesso potesse essere “punito” con un pestaggio da parte di altri detenuti.
La donna, nel corso di successivi colloqui, dava conto di aver comunicato (in maniera riservata) con il noto latitante e di aver da lui ricevuto chiare direttive “di lasciare stare” il Grigoli, non tanto perché avesse autorizzato lo stesso a rendere dichiarazioni ma perché un’eventuale sua piena collaborazione avrebbe arrecato un più grave danno all’organizzazione criminale.
Sulla base di tali intercettazioni, pertanto, si acquisiva prova del fatto che la donna, dimostrando di essere in grado di interloquire direttamente con il fratello latitante, svolgesse un ruolo funzionale all’interno della famiglia mafiosa di Castelvatrano  tale da garantire al Messina Denaro Matteo tempestiva e piena cognizione di questioni d’interesse della consorteria e di poter esercitare le sue prerogative di valutazione e decisione, correlate alla funzione di vertice allo stesso riconosciuta.

Viene contestata all’indagato Mario Messina Denaro la tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. In particolare è stato verificato come il Messina Denaro Mario frequentasse, senza averne plausibili motivazioni, il centro diagnostico Hermes di Castelvetrano. Non potendo escludere che tale frequentazione potesse essere connessa a fatti di natura illecita o, peggio, ad ipotesi di favoreggiamento nei confronti del più noto cugino latitante, venivano esperite più approfondite indagini anche di natura tecnica.
Le investigazioni consentivano, quindi, di acquisire importanti inconfutabili elementi di riscontro in ordine al tentativo di estorsione posto in essere dal  Messina Denaro Mario ai danni della Hermes di Castelvetrano ed in particolare  della sua rappresentante Ferraro Elena e del socio Tagliavia Francesco.
Le indagini evidenziavano come il Messina Denaro Mario si fosse presentato alle vittime, avvalendosi della reputazione negativa goduta sul territorio castelvetranese in quanto cugino del noto latitante nonché per i suoi trascorsi giudiziari (il Messina Denaro Mario è stato già condannato a 5 anni di reclusione per il reato di estorsione aggravata commessa nel 2008 nei confronti di un imprenditore di Castelvetrano) al fine di chiedere un’ingiusta dazione di denaro intimando alla Ferraro Elena di collaborare con altra clinica operante nel nord italia per poi prospettare la necessità di emettere delle fatture di importo superiore a quanto effettivamente eseguito allo scopo di costituire un  fondo “in nero” da consegnare illecitamente all’indagato che, a suo dire,  l’avrebbe utilizzato per sostenere le famiglie dei detenuti. Lo stesso Messina Denaro Mario, secondo quanto acquisito, avrebbe millantato di ricoprire un ruolo di vertice in seno alla consorteria mafiosa castelvetranese (testualmente si presentava come il capo di tutto) al fine di incutere maggiore timore alle vittime.
All’esito dei servizi tecnici venivano anche escusse le parti offese che confermavano il quadro delle acquisizioni probatorie fornendo un importante riscontro ai fini della successiva emissione del provvedimento restrittivo in argomento.
Gli altri provvedimenti hanno riguardato esponenti contigui al noto mafioso Mazzara Michele al quale viene contestato il reato di intestazione fittizia unitamente ai soci della SPE.FRA. Costruzioni s.r.l. in ordine a tale filone di indagine si realizzava una convergenza investigativa con i carabinieri che pervenivano ad acquisizioni analoghe deferendo all’A.G. i medesimi soggetti per gli stessi fatti. Si acquisivano fonti di prova secondo le quali il Mazzara, sempre al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, aveva fittiziamente intestato la sopra citata impresa SPE.FRA. Costruzioni s.r.l. agli indagati, Spezia Francesco, Agosta Antonella e Matteo (moglie e cognato dello spezia) e Fabiano Francesco, mantenendone la gestione diretta e fruendo degli utili d’impresa.

Monitorando il medesimo filone investigativo emergevano chiari indizi di colpevolezza in ordine a fatti di corruttela emersi nell’esecuzione, da parte della SPE.FRA. Costruzioni s.r.l., di lavori di “manutenzione ordinaria e straordinaria eseguiti presso la casa circondariale ucciardone di Palermo” affidati alla menzionata impresa.

Nel dettaglio si accertava come l’indagato Marino Giuseppe – funzionario tecnico (ingegnere) del Ministero della Giustizia in servizio presso il Provveditorato Regionale del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria di Palermo – avesse ricevuto del denaro per compiere atti contrari al proprio ufficio per evitare alla ditta SPE.FRA. Costruzioni s.r.l. una penale per il ritardo nell’esecuzione nei lavori di cui sopra. per la promessa di pagamento al Marino Giuseppe (di 10.000 euro n.d.r.) venivano deferiti anche gli indagati Spezia Francesco e Pilato Giuseppe (un geometra dipendente della SPE.FRA. Costruzioni s.r.l.).

Nel medesimo contesto investigativo si evidenziavano prove a carico degli indagati Pilato Giuseppe e Torcivia Salvatore (altro funzionario tecnico del Ministero della Giustizia in servizio presso il Provveditorato Regionale del D.A.P. di Palermo) in ordine alla turbativa d’asta, manipolata in favore della menzionata ditta, relativa a due diverse procedure per lavori da eseguirsi presso la casca circondariale ucciardone  di Palermo (una di circa 44 mila euro per la realizzazione di impianti di sicurezza, ed un’altra di circa 37 mila euro per l’allacciamento di impianti tecnologici).
 
I militari del Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata – G.I.C.O – del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo, con la collaborazione del Servizio Centrale d’Investigazione sulla Criminalità Organizzata – S.C.I.C.O. – della Guardia di Finanza di Roma, hanno dato esecuzione a quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere, nei confronti di  Giovanni Filardo (50 anni), cugino del boss per parte di madre, la moglie, Franca Maria Barresi (45 anni) e le due figlie della coppia Floriana (26 anni) e Valentina (27 anni) componenti della fitta rete di fiancheggiatori del boss di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, accusati di trasferimento fraudolento di società e valori.

Ulteriori acquisizioni investigative sono confluiti nei provvedimenti eseguiti dai carabinieri nei confronti di Lorenzo Cimarosa  e Antonino Lo Sciuto.

Le investigazioni della Guardia di Finanza hanno permesso di scoprire, oltre alle personali responsabilità penali degli indagati nell’azione di supporto alla latitanza del boss trapanese, l’esistenza di un circuito imprenditoriale preordinato ad assicurare un completo controllo economico del territorio nel settore dell’edilizia e relativo indotto mediante la gestione dell’acquisizione, della spartizione e della realizzazione di importanti commesse, capeggiato proprio dal Filardo che dal carcere, ove all’epoca era recluso, dirigeva di fatto le imprese edili della famiglia, con l’appoggio di altre aziende della zona “disponibili” a supportare gli affari della “famiglia”.
dal luogo di detenzione, infatti, il Filardo impartiva ai suoi familiari (la moglie, le figlie, il cognato e i nipoti) precise disposizioni e direttive sull’attività imprenditoriale, puntualmente recepite e attuate, sostituendosi nella gestione degli affari di famiglia al congiunto detenuto, partecipando fattivamente all’acquisizione delle commesse per la realizzazione di strutture industriali/commerciali nel territorio di Castelvetrano e della provincia trapanese, come parchi eolici, capannoni e punti di ristorazione, curando anche la riscossione dei crediti presso i vari committenti (pubblici e privati) nonché i rapporti con gli istituiti di credito.
Le direttive impartite da Giovanni Filardo hanno riguardato sia la gestione delle aziende edili – con particolare riferimento alle assunzioni, ai licenziamenti, ai pagamenti ed alle riscossioni – sia il progressivo prosciugamento delle disponibilità finanziarie sociali e personali, per eludere l’applicazione delle misure di prevenzione di carattere patrimoniale previste dalla normativa antimafia. per il trasferimento delle somme dai conti correnti bancari e per talune operazioni di banca, una delle figlie si rivolgeva, su indicazione del padre, a impiegate compiacenti di alcuni importanti istituti di credito che con deferenza fornivano la necessaria consulenza.
Con particolare riferimento all’attività di sostegno economico al circuito familiare del latitante garantito dal Filardo emerge la contiguità e il ruolo di responsabilità decisionale raggiunto in seno al sodalizio mafioso da un’altra donna della famiglia Messina Denaro, Anna Patrizia, sorella di Matteo. quest’ultima, artefice d’insistenti pretese di denaro avanzate alla famiglia Filardo, verosimilmente quale contributo dovuto per le commesse ottenute, ha ricevuto somme in acconto corrisposte da Floriana Filardo proprio su indicazioni del padre recluso.
 
Personale della DIA ha eseguito due provvedimenti restrittivi maturati nell’ambito delle indagini condotte da personale della direzione investigativa antimafia, supportate da numerose attività tecniche, nelle quali venivano raccolti una vasta mole di elementi convergenti che, riscontrati da fonti di prova di natura dichiarativa oltre che dalle risultanze investigative, hanno permesso di accertare la commissione di estorsioni, aggravate dal metodo mafioso, da parte di  Messina Denaro Patrizia, sorella del latitante Matteo Messina Denaro e Guttadauro  Francesco, figlio del pregiudicato mafioso Filippo e di  Rosalia Messina Denaro, altra sorella di Matteo.
Secondo la ricostruzione prospettata dagli investigatori della Direzione Investigativa Antimafia, la sorella ed il giovane nipote del noto latitante, avrebbero indebitamente richiesto a due ereditiere di Castelvetrano (TP), una quota sostanziosa delle cospicue somme di denaro che le stesse avevano ricevuto in eredità a seguito di lasciti di una loro conoscente, recentemente scomparsa.
una delle vittime, La Cascia Girolama, cedendo alle pressioni estorsive,  ha corrisposto a Messina Denaro Patrizia la somma di euro 70.000,00 (settantamila), mediante  assegni  circolari, la cui emissione veniva giustificata da inesistenti operazioni immobiliari.

La Cascia Girolama, seguendo le precise indicazioni impartitegli  da  Messina Denaro Patrizia,  rendeva al personale della D.I.A. false dichiarazioni, al fine di coprire l’attività delittuosa dei propri aguzzini.
Per tali ragioni, le veniva contestato il reato di favoreggiamento e sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari.
L’altra vittima, Campagna Rosetta, restia ad aderire alle illegittime pretese economiche della Messina Denaro, veniva, anche, contattata dal giovane Francesco Guttadauro, che non esitava a sollecitare reiteratamente anche i suoi prossimi congiunti, chiedendo anche a questi la corresponsione delle somme pretese dall’organizzazione criminale alla consanguinea.
Il Giudice delle indagini preliminari, nel provvedimento cautelare, non ha mancato di stigmatizzare come Messina Denaro Patrizia ed il nipote Guttadauro Francesco, per raggiungere i loro fini illeciti, non abbiano avuto necessità di ricorrere a condotte caratterizzate da atti di violenza o all’uso di espressioni apertamente minacciose, essendo sufficiente potersi avvalere della “forza intimidatrice” del vincolo associativo, evocando l’appartenenza, con ruoli apicali e di vertice, dei propri congiunti all’organizzazione criminale di tipo mafioso “cosa nostra”, tanto radicata in quel territorio dal pretendere di imporre anche una propria “imposta di successione” sui cittadini.
 
Oltre all’esecuzione delle misure cautelari personali, il G.I.C.O. e lo S.C.I.C.O. della Guardia di Finanza hanno proceduto, congiuntamente ai Carabinieri  e alla Polizia di Stato, al sequestro preventivo (art 321 cpp; art 12 sexies d.l. 306/92) di nr. 3 complessi aziendali ( B.F Costruzioni s.r.l. – M.G. Costruzioni s.r.l. – Spe.Fra. Costruzioni s.r.l.) riconducibili al latitante ma fittiziamente intestati ai suoi prestanome, costituiti da società operanti nel settore dell’edilizia per un valore complessivo di circa 5 milioni di euro, il tutto ricostruito con articolate indagini economico – finanziarie.
 

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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