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Editoriali

Terrorismo – si vis pacem para bellum

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Tempo di lettura 3 minuti Luogo comune che circola tra molta classe politica è che con la poesia non si mangia ed allora non rimane che navigare nell’ambiguità, nel compromesso, nel ridicolo e nelle facezie

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di Emanuel Galea


Quella italiana è una situazione molto ambigua e molto emblematica. È sancito dall’art.11 della costituzione “più bella del mondo: ”L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Belle parole, nobili intenti. Del resto questo è il paese di santi, poeti e navigatori secondo quanto asserì Benito Mussolini il 2 ottobre 1935 contro la condanna all’Italia, da parte delle Nazioni Unite, per l’aggressione all’Abissinia.

Ai giorni d’oggi di santi in giro non se ne vedono. Luogo comune che circola tra molta classe politica è che con la poesia non si mangia ed allora non rimane che navigare nell’ambiguità, nel compromesso, nel ridicolo e nelle facezie.

L’Italia ripudia la guerra ma autorizza la fabbricazione di armi. In Europa l’Italia è seconda solo alla Francia per esportazione di armi in Libia e non solo , che, secondo l’OPAL, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere, "Fomentiamo la violenza in contesti di cui poi dobbiamo preoccuparci". Queste raccomandazioni sono datate 2012.

Oggi, 2017, è arrivata l’ora di preoccuparci. Si può parlare di pace con chi continuamente manda segnali di guerra, minacce? Si può non reagire davanti alle carneficine che ormai ricorrono a ritmo preoccupante? Il buonsenso dice di no.

"se vuoi la pace, prepara la guerra". Ciò che fu valido nella seconda metà del IV° secolo, ai tempi di Flavius Vegetius Renatus, è maggiormente valido per i tempi che stiamo vivendo.

L’Italia non è in guerra, invece all’Italia e all’occidente è stata dichiarata guerra da una cellula impazzita staccatasi dal vero Islam e convertitasi al terrorismo.
 

 

Che fare?

Nello stesso libro sacro, il Siracide, ne troviamo scritto un ammonimento simile: “Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione» (Sir 2,1)”.
Anagrammando questa frase potremmo leggerne un ammonimento ai governanti : se veramente volete servire gli interessi del Paese preparatevi adeguatamente a contrastarne le minacce.

 

Come?


Il sociologo franco-persiano Farad Khosrokhavar direttore di ricerca dell’Istituto studi di scienze sociali di Parigi (EHESS), indagando sui motivi che spingono dei giovani musulmani europei di seconda o terza generazione a scegliere la strada del jihadismo, ha pubblicato le sue deduzioni nel libro in lingua francese, intitolato Radicalisation

Cito testualmente la definizione di “radicalizzazione” data da Khosrokhavar: “Con radicalizzazione si intende il processo che porta un individuo o un gruppo ad agire in forme violente collegandosi ad una ideologia, a contenuto politico, sociale o religioso….. estrema”.

Fermiamoci qui. Il decreto legge Fiano è una proposta di legge che vorrebbe introdurre nel codice penale il reato di propaganda del regime fascista.

Senza entrare in merito a questa proposta, la “radicalizzazione, processo che porta un individuo o un gruppo ad agire in forme violente collegandosi ad una ideologia … estrema” non meriterebbe anch’essa l’introduzione nel codice penale ?

L’Italia, ripetiamo, non è in guerra ma sovente la magistratura ordinaria è chiamata a giudicare reati di terrorismo, atti di guerra dichiarata dalla branca impazzita staccata dell’Islam. Gli autori dei reati, pertanto, non possono essere considerati alla stessa stregua degli altri criminali. Nella fattispecie sarebbe più applicabile la Corte marziale attrezzata con l’Ordinamento giudiziario militare per i reati di terrorismo


Si discute molto sul fatto che il più delle volte la radicalizzazione si forma nelle carceri, oltre che su internet , nelle moschee e in una certa misura nei centri di accoglienza. Coloro che hanno una condanna per atti terroristici e, se il legislatore decidesse domani per il reato di radicalizzazione, questi criminali non dovrebbero scontare la pena nelle case circondariali comuni ma per loro, onde evitare di facilitarne la radicalizzazione, dovrebbero essere reclusi in appositi carceri militari e sorvegliati dalla stessa arma.

Forse quello che scriviamo è pura fantasia, eppure “se vuoi la pace prepara la guerra” vuol dire anche questo, prevenire è cautelarsi.

Che non si dimentichino i governanti che il medico pietoso fece la piaga puzzolente e l’Italia, in questo frangente di piaghe ne ha più di una. Bisogna rompere gli indugi, è l’ora delle scelte.

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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