Terremoto: epicentro Italia e… il salvatore della Patria

 

di Roberto Ragone


Abbiamo sempre conosciuto i terremoti come circoscritti ad una precisa zona della nostra penisola: Friuli, Belice, Irpinia, Emilia-Romagna, L’Aquila e così via. Questo ultimo evento sismico l’avevamo già catalogato come Lazio-Marche-Umbria-Abruzzo, in realtà Amatrice. E già si incominciava a fare i conti della ricostruzione, con la partenza lenta di quella macchina burocrato-pachidermica che è la Pubblica Amministrazione – che Dio ne scampi! Già il nostro furetto al governo, il dottor Matteo Renzi incominciava a tuonare contro un’Europa che riteneva dovesse concedere ampi margini di manovra economica al di fuori dei vari patti iniqui che hanno caratterizzato l’infelice ingresso dell’Italia in quel tritacarne che si chiama Unione Europea; cioè aumentare ancora il debito che pagheranno i nostri pronipoti.

 

E ancora in questi momenti, approfittando da una diretta da Palazzo Chigi concessa graziosamente da quella RAI che ormai gli obbedisce come un cagnolino ben addestrato, si  mostra in piena retorica di 'salvatore della Patria', promettendo ricostruzioni a piene mani, contro i 'tecnicismi burocratici' di quell'Unione a cui si è inchinato, e che ora sfrutta nelle sue reprimende per carpire il favore di quei cittadini a cui l'Unione ha fatto ben più che male.


Si può anche vedere una corrispondenza fra il terremoto, o i terremoti, che scuotono l'Italia in questi giorni, e il terremoto antidemocratico che ci minaccia nelle sembianze della modifica costituzionale da votare il 4 dicembre. Sono ambedue eventi catastrofici, con la differenza che il secondo è prevedibile ed evitabile con un voto intelligente; a dispetto di quella Piazza del Popolo che sabato pomeriggio è stata mostrata fitta di manifestanti e di bandiere del PD – mentre era in realtà mezza vuota – sfruttando, come al solito, inquadrature a tutto uso e consumo dell'Oratore – Renzi. Ma, come si dice, non si può fare i conti senza l’oste.


Come briciole su di una tovaglia, l’ultima botta, quella di domenica mattina, ore 7,40 ora solare, ci ha scossi in su e giù dal Trentino alla Puglia, all’incirca duemilacinquecento chilometri, o poco meno. Dimostrando che la nostra presenza sulla Terra è quella di poco più che inquilini, a dispetto di tutte le nefandezze che al nostro globo terracqueo imponiamo ogni giorno nel nome di un profitto che rimane comunque fine a sé stesso. Se invadiamo l’ambiente di plastica e dei suoi venefici componenti dal Polo Nord fino alle più alte vette dell’Himalaia; se i nostri pesci, anche in oceano, ingoiano micro particelle di ogni tipo di derivato da petrolio, addizionato di componenti cancerogeni; se  le navi lavano le stive al largo, se il grande polmone verde della foresta amazzonica viene ogni giorno distrutto per ettari, se l’aria è irrespirabile per gli scarichi, non delle auto, ma delle grandi aziende; se i nostri fiumi, le falde, i torrenti, le sorgenti sono inquinati per le aziende protette da alto che scaricano i loro liquami; se, alla fine, l’aria, l’acqua, la terra, sono ormai compromesse; se i ghiacci si sciolgono, togliendo ai selvatici il loro naturale ambiente; se continuiamo a trivellare in Adriatico, nonostante sia un mare chiuso, inquinandolo senza rimedio, e negando il danno; se traforiamo montagne in nome di un falso progresso, in realtà a vantaggio dei soliti noti; se progettiamo un inutile, costoso e pericoloso ponte fra Calabria e Sicilia – e si potrebbe continuare -, allora possiamo ben affermare che le innumerevoli nefandezze che imponiamo al nostro ambiente, sono tali, e che noi, da inquilini poco riguardosi, ne approfittiamo. Non sono esse comunque che generano i terremoti, ma dovremmo guardare con più spirito critico la nostra presenza sulla Terra; pensare che ciò che abbiamo impiegato una vita per costruire può essere distrutto in meno di dieci secondi. Di fronte ad un evento sismico dopo il quale l’unica priorità è scavare anche a mani nude, nell’immediatezza, per cercare di salvare chi ha avuto la sorte di rimanere sotto il solaio della sua casa, dovremmo tutti ridimensionarci. Non vogliamo essere integralisti come il viceministro israeliano Ayoub Kara, che ha visto nel terremoto italiano una punizione divina per l’astensione dell’Italia al voto in sede Unesco, sulla città vecchia di Gerusalemme, che avrebbe in tal modo negato il legame millenario di Israele con l’Ebraismo, costringendo quindi Tel Aviv a chiederci scusa. Ma senz’altro dovremmo guardarci allo specchio e valutare con un metro diverso la nostra vita. Quando si scende da un aereo, o da una nave, si guarda al suolo come a qualcosa di fermo, di stabile, e qualcuno si china anche a baciarlo, in segno di gratitudine, magari dopo una grande paura. Ma quando ciò che hai sempre giudicato fermo e stabile sotto i tuoi piedi incomincia a ballare, allora tutto ciò su cui avevi fondato la tua vita, sballa.


E rimane un senso diffuso di paura, una paura nuova e incontrollabile. Capisci che la tua vita non sarà mai più al sicuro, in nessun luogo, e che dovrai abituarti a convivere con un senso di allarme latente.  Come sfuggire ai terremoti? Tutta la fascia appenninica è zona sismica, e come abbiamo visto, quasi nessuna regione è completamente al sicuro. Epicentro? Italia, in questo caso, da Bolzano a Bari. Ma perché i terremoti non si possono prevedere, in un’era dotata di grande tecnologia come la nostra, quando possiamo osservare la nostra terra da migliaia di chilometri di altezza con apparecchi che possono addirittura leggere le targhe delle auto? L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia sostiene autoritariamente che i terremoti non si possono prevedere. Farlo significa mettere in dubbio la preminenza di tale organismo, commettendo reato di lesa maestà, e quindi i ricercatori che tengono alla propria carriera se ne astengono.

 

Comunque l’INGV insiste nella sua posizione, anche dopo che qualcuno, un tale Giuliani, aveva previsto il terremoto de L’Aquila. Ma le Cassandre sono poco gradite, sempre; pensiamo quanto sarebbe stato diverso il bilancio delle vittime se soltanto i cittadini de L’Aquila fossero stati messi in allarme. Il problema è anche etico. L’obiezione è semplicistica: siccome non è scientificamente provato che si possono prevedere i terremoti, non prevediamoli. Quindi se qualcuno che non è della casta, e non appartiene alla scienza ufficiale prevede un terremoto, non viene considerato. Se verrà anche denunciato, la volta successiva starà zitto. Di fronte a tali rischi è senz’altro preferibile un allarme a vuoto, piuttosto che l’impreparazione. Giampaolo Giuliani, il tecnico del Laboratorio di Fisica del Gran sasso che previde il terremoto ‘in zona di Sulmona’ e diede l’allarme, inascoltato; e che fu poi definito dal capo della Protezione Civile Bertolaso come ‘Uno di quegli imbecilli che si divertono a diffondere notizie false’, – ricordiamo che il terremoto di L’aquila si verificò una settimana più tardi di quanto pronosticato – ha avuto anche un precursore, anche lui stigmatizzato dalla scienza ufficiale, tale Raffaele Bendandi. Nato a Faenza, autodidatta definito poi ‘pseudoscienziato’, si appassionò all’astronomia, costruendosi da solo un telescopio e diversi sismografi. Nel 1917, durante i turni di guardia del servizio militare, elaborò, passeggiando lungo la battigia, una teoria per cui ritenne che la crosta terrestre, come le maree, fosse soggetta ad attrazione gravitazionale della luna. La sua ispirazione prevedeva anzi che tutti i pianeti del sistema solare, compreso lo stesso sole, fossero responsabili di sommovimenti della crosta terrestre. Ben più basata su principi certi è quella di Giuliani, il quale ha rilevato, in prossimità di un evento sismico, una fuoruscita di radon, un gas radioattivo che è presente soprattutto in zone vulcaniche. Negli USA il radon è considerato cancerogeno, e tenuto d’occhio, particolarmente nei materiali da costruzione, cosa che in Italia si trascura del tutto. Bendandi ha cercato le cause, Giuliani ha rilevato un campanello d'allarme. La conclusione è deludente: da una parte personaggi le cui osservazioni, ancorchè empiriche, andrebbero valutate e approfondite. Dall’altra la solita casta  che pretende di essere l’unica autorità riconosciuta e riconoscibile; per cui i terremoti non si possono prevedere, e continueranno a non potersi prevedere, d’imperio. Per ricostruire tutti i piccoli paesi con criteri antisismici veri – appalti degli ‘amici’ a parte, un’altra piaga della nostra nazione – ci vuole tempo e tanti soldi, e non si può aspettare che tutto sia realizzato. La faglia pericolosa si allunga lungo tutta la penisola. Servirebbe a tutti un po’ più di umiltà, quando si tratta di salvare non antichi edifici, ma le famiglie e il futuro di intere regioni.