Dynasty Warriors 9, la saga dedicata alla Cina feudale sposa il genere Open World

La storia della Cina feudale alla fine della dinastia Han, narrata nel “Romanzo dei tre regni” di Luo Guanzhong, rivive per l’ennesima volta in Dynasty Warriors 9, videogame per Pc, Xbox One e PS4. In questa nona trasposizione videoludica di uno dei testi più importanti della letteratura cinese, Tecmo Koei e gli sviluppatori di Omega Force hanno voluto dare nuova linfa vitale al genere fondendo l’universo open world con quello hack and slash. Da diversi anni, la più grande critica che è stata mossa alla saga di Dynasty Warriors è la sua quasi totale immobilità nell’introdurre nuovi elementi di gameplay, nello svecchiare le meccaniche e nel rendere appetibile il prodotto anche ai nuovi giocatori. Ma il tempo di questa pigrizia produttiva sembra essere giunto al termine. La prima enorme novità in Dynasty Warriors 9, come già detto, è l’esordio dei meccanismi open world. Niente più labirintiche mappe da percorrere con i tantissimi generali giocabili. Stavolta, invece, si avrà a disposizione l’intera Cina completamente da esplorare, location che propone una miriade di cose da fare. Ovviamente, essendo questo un cambiamento di proporzioni immani, esso muta quasi drasticamente la natura della serie facendo abbandonare le canoniche battaglie su mappa ed estendendo il conflitto fra le dinastie Wei, Wu e Shu sull’intero Paese. Ad affiancare questa grande trasformazione vi è poi l’introduzione di nuove meccaniche e di idee più o meno originali, pronte a completare il nuovo impianto di gioco. Tradimenti, alleanze, rapimenti, epocali battaglie, conquista del territorio, rivolte, omicidi, intrighi politici e macchinazioni militari saranno il fulcro dell’intero comparto narrativo, la cui storia viene raccontata e suddivisa negli oltre 10 capitoli, a seconda di quale dinastia si sceglierà, nei quali non mancheranno colpi di scena molto interessanti. A livello di storia, Dynasty Warriors 9 mantiene la linea canonica di sempre, ma lo fa con una forma tutta nuova: ci si trova nel secondo secolo d.C. e Cao Cao, della famiglia Wei, è chiamato a sedare la temuta rivolta dei Turbanti Gialli, in una Cina devastata dai conflitti dei signori della guerra. Nonostante i nomi e gli avvenimenti richiamino eventi storici, come da tradizione, la trama non ha alcuna pretesa di stampo documentaristico, piuttosto viene utilizzata come pretesto per mettere in moto una serie di eventi che permettono di esplorare liberamente il mondo di Dynasty Warriors 9. Proseguendo nella storyline principale si renderanno disponibili nuovi generali che si uniranno alle cause di Cao Cao o del leader della dinastia che si è scelto di giocare, tutti completamente giocabili e che rendono grande ancora di più la produzione. Omega Force, così facendo, non rinuncia ad uno dei principali punti di forza della serie, ma anzi lo esalta in maniera magnifica. Alla fine del gioco saranno selezionabili novanta personaggi, dotati di uno stile di combattimento personalizzato, con cui si potranno affrontare i vari capitoli della trama e capire la storia da diversi punti di vista. Il sistema di combattimento rimane fedele allo spirito della serie e non presenta particolari tecnicismi, ma si amplia grazie a nuove combo spettacolari e di facile esecuzione. I protagonisti possiedono una serie di attacchi semplici che possono essere combinati con gli attacchi muta-stato e con il distruttivo attacco musou, quando l’apposita barra è carica. Avanzando nella trama ci si accorgerà ben presto di quanto il mondo di Dynasty Warriors 9 sia vivo e in costante mutamento.

Mentre si sarà impegnati a portare a termine una determinata missione, si verrà continuamente aggiornati degli esiti delle altre battaglie che si combattono ai confini dei territori occupati dalla fazione di chi gioca. Dove la zona si incontra con quella di una fazione nemica sarà possibile trovare sulla mappa l’icona di due spade che si incrociano. Si potrà decidere di partecipare liberamente a queste battaglie per rosicchiare pian piano i territori avversari oppure di ignorarle. Ma occhio, perché se ci si concentra unicamente su un unico fronte, altri nemici potrebbero cercare di sfondare dalla parte opposta dei confini del regno di chi gioca. Il palcoscenico sul quale si muoveranno le “pedine” di chi gioca, mai come in questo capitolo, apre il suo sipario su un mondo gigantesco: la mappa di gioco è infatti estremamente vasta, e potrà essere percorsa in tutta libertà ora a piedi ora a cavallo, mentre si assisterà a cicli giorno/notte dinamici e a condizioni meteo variabili. Mentre ci si troverà a spostarsi in lungo e in largo per la Cina in groppa al proprio fido destriero ci si potrà imbattere in truppe nemiche, in animali da cacciare, in fumi nei quali dedicarsi alla pesca, oppure ancora in avamposti da liberare, in cittadine fortificate, in accampamenti di fortuna o torri di controllo con cui “sincronizzare” l’ambiente circostante e svelare nuovi dettagli sulla mappa in stile Assassin’s Creed. Tutti gli stilemi appartenenti ai classici esponenti del genere free roaming si raggruppano in Dynasty Warriors 9 donando un senso di freschezza e di novità assoluta rispetto al passato. Prima di svolgere una specifica missione utile per proseguire nella trama, sarà possibile portare a termine differenti quest secondarie che permetteranno di guadagnare punti esperienza con cui salire di livello, nonché recuperare risorse, pergamene o materiali grazie ai quali dedicarsi al crafting ed al potenziamento del proprio eroe. Nelle città, inoltre, sarà possibile trovare alcune botteghe dove rifocillarsi o migliorare il proprio equipaggiamento. L’aggiunta di tutte queste attività collaterali, nonostante si basino su meccaniche molto elementari, rappresentano un ottimo punto di partenza per il rilancio dell’intera saga e uno sforzo più che apprezzabile da parte della casa produttrice di voler valorizzare un brand ormai fermo al passato.

Ovviamente, quando si tratta di menare le mani, Dynasty Warriors 9 mantiene invariata la sua verve combattiva e offre tutto ciò che i giocatori si aspettano. Il fulcro del gameplay resta il button mashing sfrenato, con orde di incalcolabili soldati da affrontare senza alcuna riserva: a supporto della solita ripetitività concettuale sopraggiunge una notevole varietà di armi a disposizione che modifica ampiamente i moveset dei personaggi utilizzabili, tutti dotati di un personale stile di lotta. Oltre agli attacchi leggeri e pesanti si potranno sfruttare anche due colpi extra definiti “Variabile” e “Reattivo”, la cui attivazione dipende rispettivamente dalla condizione e dalla situazione in cui riversa l’avversario, così da acuire i danni inflitti. In aggiunta, alla pressione del dorsale destro in combinazione con uno dei quattro tasti del pad, si potranno anche alcune tecniche speciali con cui stordire o scagliare in aria gli oppositori, ponendoli alla mercé delle spettacolari “mosse finali”, che andranno azionate solo dopo aver riempito l’apposito indicatore. In generale, il combat system di Dynasty Warriors 9, benché presenti alcune variazioni interessanti, resta privo di qualsivoglia piglio strategico, ma in fondo chi acquista un titolo del genere sa che cosa vuole e a cosa andrà incontro. Ovviamente le boss fight contro i generali nemici sono combattimenti più complessi del normale che richiederanno un pizzico di strategia e di pazienza, ma in Dynasty Warriors 9, proprio come in passato, ciò che conta e diverte, è la possibilità di sbaragliare migliaia di avversari per portare al trionfo i propri eroi. Dal punto di vista estetico il titolo Koei Tecmo non brilla e resta troppo ancorato al passato per via di animazioni legnose e per nulla armoniche e, come al solito, propone un universo pieno di nemici che si muovono in maniera identica e a volte addirittura all’unisono. Fortunatamente dal punto di vista grafico il salto qualitativo rispetto al passato c’è stato, ma il tutto non riesce ancora a far restare i giocatori a bocca aperta dinanzi lo schermo. La colonna sonora è ben eseguita e arrangiata, ma nonostante si componga di pezzi a volte anche estremamente coinvolgenti, alle lunghe risulta essere ridondante e ripetitiva, in quanto presenta un numero limitato di brani. Buono invece il frame rate che fortunatamente, anche quando sullo schermo ci sono centinaia di modelli che si muovono, resta quasi sempre stabile. Splendide alcune vedute al tramonto o all’alba che sicuramente si faranno ammirare dai gamers più attenti. Tirando le somme, nonostante Dynasty Warriors 9 non raggiunga la perfezione assoluta, il titolo risulta comunque un discreto acquisto. Questo prodotto è mirato ovviamente a un pubblico che preferisce i videogames in single player e che preferisce rilassarsi senza pensare troppo o spendere ore ed ore dinanzi lo schermo. Detto ciò, lo sforzo dovuto al rinnovamento è assolutamente apprezzabile e nonostante alcuni lati del gameplay siano assolutamente da rivedere, Dynasty Warriors 9 riesce comunque a divertire e a farsi amare.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 7,5
Sonoro: 7,5
Gameplay: 8
Longevità: 8,5
VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Monster Hunter World, Capcom sforna un vero capolavoro per Xbox One e PS4

Capcom inizia il suo 2018 con una vera e propria bomba. Monster Hunter World, nuovo capitolo della saga nata nel 2004 su Playstation 2 e che negli ultimi anni è rimasta relegata ai possessori di Nintendo WiiU e 3DS, arriva finalmente sulle console della famiglia Xbox One e su PlayStation 4 per la gioia di tutti quei fan che da tempo chiedevano un titolo dedicato alla serie sulle piattaforme next-gen. Inutile girarci intorno, prima d’iniziare l’analisi di Monster Hunter World è necessario dire che il lavoro svolto su questo videogame è veramente strabiliante e, senza ombra di dubbio, ci si trova dinanzi a uno dei prodotti più validi in circolazione, capace di tenere incollato per centinaia di ore coinvolgendo i giocatori in spettacolari cacce ai mostri. Nonostante la natura del titolo, complessa e all’inizio forse troppo macchinosa per i casual gamer, una volta che si sono apprese le dinamiche di gioco, sempre spiegate in maniera chiara da brevi tutorial in game, qualsiasi tipo di giocatore difficilmente riuscirà a staccarsi dal titolo di Capcom. Ma iniziamo dal principio: se nei vecchi videogame della serie la trama era praticamente inesistente, in Monster Hunter World Capcom ha svolto un lavoro davvero ben fatto per donare un senso logico ed un filo conduttore più consistente alle cacce che i giocatori dovranno affrontare. Come suggerisce la parola “World”, presente nel titolo, il teatro in cui si svolgeranno le imprese dei gamers è il Nuovo Mondo, un continente inesplorato ricco di creature e di misteri da svelare. Ogni dieci anni i Draghi Anziani attraversano l’oceano per arrivare in questo Nuovo Mondo, anche se nessuno ha mai saputo il motivo di questa migrazione. Nel corso degli anni sono state quindi organizzate delle spedizioni per fare ricerche su questa terra, e il giocatore si troverà a vestire i panni di un cacciatore della Quinta Flotta arrivata seguendo le tracce di Zorah Magdaros, un enorme Drago Anziano dalle sembianze di un vulcano che erutta magma e lapilli. Ovviamente l’arrivo nel Nuovo Mondo non è assolutamente una passeggiata, e già dalla prima rocambolesca sequenza iniziale si nota la volontà di Capcom di spingere molto sulla trama grazie a numerose cut-scenes spettacolari realizzate con il motore di gioco e soprattutto la presenza di un doppiaggio anche in italiano che dona al prodotto quel qualcosa in più. Prima di partire per il lungo viaggio nel Nuovo Mondo, ogni giocatore deve creare il suo avatar personalizzato grazie ad un editor completo in ogni minimo dettaglio. In gioco, poi, sono presenti diversi comprimari e personaggi più o meno secondari caratterizzati in maniera piuttosto buona che arricchiscono l’universo di gioco in maniera gradevole e intelligente.

Ma torniamo al gioco, una volta sbarcati ci si troverà ad Astera, il villaggio/base dove sarà necessario collaborare con gli altri membri della Gilda, al fine di migliorare sempre più le capacità delle varie sezioni in cui è divisa. Ad ognuno il proprio ruolo: i biologi passeranno il loro tempo con il naso sui libri a studiare ogni dettaglio delle specie di fauna e flora che si incontreranno man mano che si andrà avanti nel gioco, e chiederanno continuamente ai giocatori di aiutarli nel recuperare campioni. I responsabili delle risorse invece si occuperanno di gestire i materiali e anche loro avranno bisogno di una mano nel recupero degli approvvigionamenti. C’è poi la Forgia, luogo che è chiaramente è adibito alla creazione di armi, armature, amuleti e quant’altro, a patto di avere i materiali giusti per costruirle. Infine c’è la mensa, un luogo tradizionale per la serie, dove si sono sempre consumati pasti tra i più disparati e abbondanti in modo assolutamente comico. A completare il quadro, ci sono gli alloggi e la Caccia Celeste, che in seguito si aprirà per le sfide in multigiocatore con regole fisse. Insomma, chi gioca alla serie da tempo ha già capito che Astera rappresenta l’hub principale dove si svolgerà la prima delle due attività principali di Monster Hunter, ossia la preparazione prima della caccia ai mostri. Qui si scelgono con cura tutti gli equipaggiamenti per la battuta perfetta, dove, con l’obiettivo ben in testa, si possono creare gli strumenti necessari per riuscire ad essere più performanti in combattimento. A seconda del mostro che sarà necessario affrontare e se bisogna ucciderlo o catturarlo, tutto cambia ed è inutile partire per la spedizione senza le capacità offensive e difensive necessarie, o senza l’equipaggiamento giusto. Nella seconda attività principale infatti, cioè quando si parte per la caccia, sarà il momento di ritrovarsi da soli contro la natura, e lo scontro, se non si è preparati a dovere potrebbe facilmente essere fatale. Il sistema di crescita del personaggio su cui si basa Monster Hunter World segue la canonica evoluzione che aveva già in precedenza. Pur potendolo definire un gioco di ruolo, il livello di crescita del protagonista non si basa su un livello di esperienza che aumenta affrontando un gran numero di combattimenti. Infatti per accrescere statistiche come attacco, velocità e difesa e via discorrendo, il tutto ricade tutto sull’equipaggiamento, soprattutto armi e armature. I mostri, che si dovranno affrontare nelle missioni che si susseguono una dopo l’altra, avranno sempre la stessa quantità di salute, caratteristiche e punti di forza e debolezza, mentre sarà compito di chi gioca potenziare la propria attrezzatura e le abilità per poterli sconfiggere più agevolmente. Per chi non lo sapesse e si stesse chiedendo: perché dovrei uccidere due volte lo stesso mostro? La risposta è semplice, a ogni cattura o uccisione della bestia in questione, saranno dati alcuni pezzi di mostro come ad esempio scaglie, pelle, corazze ecc… tale distribuzione dei materiali è totalmente casuale e ovviamente non basterà a completare i 5 pezzi che compongono un set di armatura. Quindi di conseguenza i giocatori dovranno cacciare e ricacciare la creatura in questione per riuscire a realizzare e potenziare l’armatura.

Ovviamente ogni essere che si manderà ko dà l’accesso a un set di armatura unico, con punti di forza e debolezze sia fisiche che elementali. Tutto ciò porterà i giocatori a dover creare armi e protezioni adeguate a seconda del mostro che sarà necessario uccidere e per fare ciò saranno necessarie tante ore di caccia e grande abilità. I mostri si dividono in piccoli, medi e grandi, con questi ultimi che rappresentano i boss di ogni mappa. L’incedere è praticamente una sequenza infinita di cacce al mostro volte a recuperare i materiali migliori e a forgiare equipaggiamento più forte, per proseguire ulteriormente. Un loop ludico che cattura, grazie alla vastissima quantità di armi che si possono creare nella Forgia: ne esistono infatti ben quattordici tipi, ovvero tutte quelle apparse nei capitoli precedenti, e ognuna ha un suo stile di gioco e move-set unico, diverse ramificazioni a seconda di come si vuole evolverla. Grazie ad un albero che aumenta sempre di più la lunghezza dei propri rami, ad ogni recupero e miglioramento in forgia l’arma assumerà caratteristiche migliori ed un aspetto completamente diverso. Ad esempio uccidendo o catturando l’Anjarath, un mostro che fa del fuoco la sua caratteristica principale: una volta sconfittolo e recuperate parti come scaglie, pelle e quant’altro, queste si potranno applicare all’arma per crearne una di serie legata al mostro ucciso, con parti estetiche che ricordano la corazza e i poteri del fuoco. Per ogni mostro si svilupperà una nuova serie, sempre diversa dalle altre, che richiederà il recupero di materiali in altre cacce. Come già detto, anche le armature si comportano allo stesso modo, e bastano già solo questi due fattori ad alimentare la voglia di avventurarsi in una nuova spedizione. Il mestiere del cacciatore non si riduce però solo al mero combattimento. Le mappe di Monster Hunter non sono arene, bensì luoghi aperti dove la natura è viva e fa il suo corso a prescindere da ciò che il giocatore farà. Sarà necessario quindi imparare ad essere ottimi segugi per scandagliarle a fondo e scoprire le tracce dei mostri che bisognerà a cacciare. Fortunatamente però non si sarà lasciati soli e allo sbaraglio, nella squadra ci sarà un Palico, un piccolo aiutante felino tanto carino quanto utile in battaglia, visto che ci curerà e distrarrà i nemici all’occorrenza. Inoltre, grande novità di Monster Hunter World, ci saranno anche gli insetti guida, ossia delle creature volanti luminose d’importanza fondamentale che evidenziano risorse da raccogliere e che seguiranno le tracce dei mostri. Molti giocatori storici potrebbero non gradire la presenza di queste creature e l’eccessiva semplificazione che questi insetti potrebbero apportare alle battute di caccia. Possiamo però dire che il sistema funziona e non rende l’esperienza troppo semplice, queste specie di lucciole, infatti, non portano il giocatore automaticamente fra le fauci della preda, ma lo guidano a scovare progressivamente le tracce delle creature. C’è da dire che ad ogni recupero aumenta l’affinità degli insetti verso tale creatura, essa è divisa in livelli, quindi sarà solo dopo tante spedizioni, che questi riusciranno a trovare i boss molto rapidamente, simulando una sorta di conoscenza ed esperienza della fauna da scovare.

Se i mostri sono i gli antagonisti in Monster Hunter World, l’ambiente veste, come già detto il ruolo di co-protagonista. Nei precedenti capitoli le mappe erano divise in zone, ovvero delle aree più o meno estese collegate tra loro ma con confini ben precisi, e per passare da una all’altra bisognava attendere dei brevi ma fastidiosi caricamenti. In Monster Hunter World tutto questo appartiene al passato: ogni mappa è sì divisa in zone, ma solo per una mera questione di comodità di orientamento, poiché l’ambiente è finalmente unito in enormi aree open world. Niente più attese nel passaggio da una prateria alla foresta o alle montagne, ogni mappa è liberamente esplorabile senza interruzioni e permettendoci di muoverci in maniera naturale sfruttando elementi come le liane, arrampicandoci sulle piante per raggiungere zone sopraelevate o scivolando lungo delle scarpate, il tutto circondati da una flora e fauna viva e credibile e dall’alternarsi del giorno e della notte. Già dalla prima missione si viene catapultati nella Foresta vicino Astera e ci si ritrova in una enorme area che cambia morfologia continuamente, passando da aree aperte a intricati grovigli di liane fino a cunicoli sotterranei mentre intorno al protagonista pascolano innocui Apodoth erbivori e feroci Jagras che non esitano ad attaccare a vista, ma anche lucertole, insetti, uccelli e così via che possono anche essere catturati con il retino per diversi scopi. Praticamente ad ogni passo si possono trovare oggetti con cui interagire o da raccogliere come erbe, funghi, resti di ossa e simili, utili per creare pozioni e oggetti di supporto tramite il sistema di crafting. Il bello dell’universo di Monster Hunter World è che l’ecosistema funziona proprio come nella realtà ed esiste una precisa catena alimentare, infatti non è raro che durante una caccia magari si intrometta un altro mostro magari più grande e i due comincino a lottare per il territorio, lasciando quindi il protagonista nella scomoda posizione di poter approfittare che i due mostri si azzannino a vicenda, ma al tempo stesso rischiare di rimanere coinvolto nella lotta o, peggio ancora, essere attaccato da due fronti. Sta all’esperienza del giocatore capire quando sfruttare queste occasioni a proprio vantaggio e quando darsela a gambe, perché se già un mostro è impegnativo, due insieme possono diventare facilmente ingestibili. Chiude il cerchio delle interazioni ambientali la possibilità di alcuni mostri particolarmente grandi di distruggere delle parti dello scenario cambiando quindi la morfologia della mappa, per cui magari durante una carica il mostro può far cadere degli alberi o sfondare una parete, creando anche delle rampe da cui saltare per cavalcare il dorso della bestia, oppure provocare una frana che può ferirlo. Il bello di Monster Hunter World però è dato dalla possibilità di giocare insieme ad altri tre cacciatori per un totale di 4 players contemporaneamente. Durante le missioni infatti sarà possibile dare una mano a qualcuno in difficoltà, partecipando alla sua missione, oppure richiedere aiuto ad altri giocatori sparando un razzo sos. Tale funzione inserirà la missione che si sta affrontando in una lista dove altri cacciatori potranno decidere di entrare per dare ausilio. Ovviamente in più giocatori si è e più sarà difficile abbattere il nemico, ma ovviamente anche il danno che si farà sarà maggiore.

Naturalmente quando si gioca con amici sarà possibile determinare il numero di giocatori prima di partire in missione, così da non avere intromissioni esterne, oppure impostare una password per la propria sessione di gioco in maniera tale da poter consentire l’accesso solo a chi si vuole. Dopo tante ore spese in Monster Hunter World, è chiaro come l’anima della serie sia rimasta praticamente intatta. Tranne l’approccio alle mappe e gli insetti guida, il gameplay resta fedele alla tradizione e i veterani se ne accorgeranno presto. È tutto più grande, più bello, più rifinito rispetto al passato, eppure le meccaniche di fondo restano sempre le stesse. A rendere il tutto ancora più grandioso è sicuramente il comparto tecnico. Grazie al potenziale delle console di attuale generazione, Capcom ha finalmente realizzato il Monster Hunter dei sogni, il titolo della saga col miglior aspetto di sempre. Niente più basse risoluzioni o modelli poligonali di scarsa fattura, il Nuovo Mondo gode di un aspetto gradevole che migliora la classica ispirazione fantasy/tribale tipica della serie. È da sottolineare l’eccelsa qualità delle animazioni di tutti gli animali presenti in gioco. Non solo i mostri più grandi, che hanno dell’incredibile per fluidità e complessità delle articolazioni, ma anche il Palico, nonché gli animali piccoli e piccolissimi, hanno animazioni curatissime, mai viste in un titolo tripla A di questo genere. Si generano così combattimenti dall’alto coefficiente di spettacolarità, tra giganti che si danno battaglia e piccoli dettagli a schermo che arricchiscono l’esperienza. Una qualità che da sola vale il prezzo del videogioco. Se poi si conta che, a quanto detto, i dlc che arricchiranno il titolo in futuro saranno totalmente gratuiti, c’è solo da sperare per il meglio. Tirando le somme, Monster Hunter World è un episodio mastodontico della serie Capcom, che ne segna il ritorno in grande stile su console casalinghe esaltando il brand all’ennesima potenza. La casa giapponese ha avuto l’accortezza di riuscire a mantenere intatta la tradizione del gioco aggiungendo alcune semplificazioni che potranno dare una grande mano ai neofiti lasciando però piena libertà nel loro utilizzo per soddisfare anche i veterani in cerca di una maggiore sfida, oltre a limare e perfezionare alcune meccaniche ormai obsolete ed inutilmente lente. Fortunatamente la giocabilità rimane il punto centrale del titolo, ma viene anche dato spazio ad una trama ricca di filmati e dialoghi. La componente del farming volutamente eccessiva poi garantisce un monteore di gioco assolutamente altissimo che però corre il rischio di allontanare chi non apprezza questo stile di gioco. Se siete fra quelle persone che si avvicinano a questo brand per la prima volta probabilmente resterete un po’ spiazzati e spaventati durante le prime ore di gioco, ma superato il primo ostacolo e una volta iniziate a capire le meccaniche si entrerà in una spirale da cui è difficile uscire. Monster Hunter World, come i suoi predecessori non è quindi un gioco per tutti perché serve tempo, impegno e costanza, ma una volta che si entra nell’ottica di gioco è davvero difficile farne a meno. Insomma, con questo titolo Capcom ha fatto bingo, è riuscita a creare un prodotto destinato a entrare con tutti i meriti nell’Olimpo dei videogames.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9,5
Sonoro: 9,5
Gameplay: 9,5
Longevità: 9,5
VOTO FINALE: 9,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Dragon Ball FighterZ, il nuovo picchiaduro ispirato all’universo di Akira Toriyama

Finalmente Dragon Ball FighterZ, il picchiaduro bidimensionale ispirato all’universo del manga e degli anime di Akira Toriyama è disponibile su Pc, PS4 ed Xbox One. Da tempo i fan più sfegatati della serie aspettavano un titolo come questo e l’attesa è stata ampiamente ripagata grazie alle potenzialità di questo splendido prodotto. Ma veniamo al dunque. Dragon Ball FighterZ potrebbe essere a tutti gli effetti il miglior gioco di lotta dedicato alla serie in quanto, diversamente per quanto è avvenuto in passato, il lavoro svolto da Arc System Works per Bandai Namco è stato supervisionato dallo stesso Toriyama che per chi avesse bisogno di un paragone è come se George Lucas avesse supervisionato i lavori di un videogame dedicato a Guerre Stellari. Forte di questo fattore fondamentale Dragon Ball FighterZ si presenta agli occhi degli appassionati come un picchiaduro a duelli con team da tre personaggi ciascuno dove l’aspetto della squadra è tutt’altro che da sottovalutare viste le caratteristiche molto differenti del combat system dei lottatori. Avere un perfetto mix di caratteristiche diverse, consentirà a chi sta dinanzi lo schermo di essere sempre pronto ad affrontare il nemico di turno con gli strumenti migliori e le tecniche più devastanti. Una volta avviato il gioco, il personaggio verrà catapultato in un’area dove controllerà un mini avatar che potrà essere mosso in lungo e in largo per scegliere che cosa fare. Senza ombra di dubbio, dopo aver svolto le sessioni di tutorial, la modalità con cui consigliamo di iniziare a giocare con Dragon Ball FighterZ è indubbiamente la storia sia per la difficoltà che cresce in modo adeguato, sia per sbloccare vari elementi utilizzabili poi anche altrove. Il fulcro della storia è un personaggio inedito e realizzato sempre da Toriyama: Androide 21. Si tratta di una misteriosa scienziata che possiede le stesse conoscenze della persona che ha creato gli Androidi nel manga, ossia il perfido Dottor Gelo. Purtroppo la modalità storia di Dragon Ball Fighter Z non brilla per originalità o per trama, ma comunque rappresenta un’esperienza da fare per comprendere al meglio le meccaniche di gioco e lottare con grinta negli scontri futuri. Le vicende narrate metteranno chi gioca dinanzi all’invasione di cloni ombra che hanno preso le sembianze di tutti i più noti combattenti: tra questi vi saranno anche alcuni antagonisti storici, come Freezer, Cell, Kid Buu e l’Androide numero 16. A mettere la Terra in pericolo stavolta sarà quindi il già citato Androide 21, intenzionato a raggiungere la forma perfetta divorando i lottatori dopo averli trasformati in dolcetti. In pratica possiamo dire che 21 ha lo stesso scopo di Cell ma assorbe i nemici come Bu. Per contrastare tale forza, Goku, Crilin, Piccolo, Vegeta e gli altri Guerrieri Z si dovranno affidare a una strana forza che riesce a parlare con loro e allo stesso tempo restituire loro la forza che è stata sottratta dopo la comparsa dei cloni. Questa forza non è altro che il giocatore, tale feature dà vita a un’espediente ludico attraverso il quale chi sta dinanzi lo schermo potrà comandare gli eroi in battaglia, creando una sorta di connessione magica e giustificando, così, il battle system.

Sul cammino di chi affronterà la storia di Dragon Ball FighterZ bisognerà liberare i compagni di battaglia salvandoli da alcune situazioni spiacevoli, ma allo stesso tempo affrontare numerose battaglie contro i cloni di cui sopra, tutte purtroppo numerose e ripetitive. Tutti gli scontri sono suddivisi in tre diverse categorie: le battaglie tutorial, che come suggerisce lo stesso nome accompagneranno i giocatori attraverso delle mosse guidate che serviranno ad apprendere al meglio le meccaniche del titolo, le battaglie normali, che permetteranno di ottenere soltanto punti esperienza in più, e infine le battaglie boss, che saranno i fondamentali bivi per procedere verso il capitolo successivo. La criticità della modalità storia è che le mappe proposte per ogni capitolo hanno numerosi snodi che conducono attraverso battaglie che col tempo diventano sempre più ripetitive e che rappresenteranno soltanto un intralcio al boss di quel determinato capitolo. Farmare per accaparrare crediti Zeni e punti esperienza potrà anche essere una soluzione, ma Dragon Ball FighterZ è un picchiaduro che consentirà di fronteggiare l’ostacolo a prescindere da quanti nemici si siano affrontati in precedenza. Inoltre la difficoltà iniziale rappresentata dal mancato recover dei punti salute dopo una battaglia viene facilmente aggirata da quelli che sono i punti abilità, sbloccati casualmente dopo una sfida, e che sbloccheranno alcuni perk passivi che colmeranno ogni possibile gap con gli avversari, di livello superiore. Gli archi narrativi lungo i quali si snoda lo story mode di Dragon Ball FighterZ sono tre in totale: ognuno di essi ha una durata di circa 5 ore, con un totale di 15 ore di single player, che per quanto possano sembrare molte, risulteranno decisamente ripetitive. Nel corso dei vari archi si andranno ad aggiungere vari dettagli allo scenario, con i tre archi che però non si intrecceranno mai, fino a scoprire tutto ciò che si cela dietro l’Androide numero 21 e chiaramente perfezionando l’utilizzo di gran parte dei personaggi della rosa a disposizione. Dopo lo story mode ci si potrà sbizzarrire in modalità online e offline che potranno aumentare all’infinito la longevità del titolo visto che le variazioni sul tema sono veramente tante ed il combat system risulta essere facilmente digeribile sia per i novellini ma al tempo stesso appagante per i cultori del genere, risultando così un prodotto capace di essere appetibile veramente per tutti i palati. Sarà possibile partecipare al classico torneo, svolgere combattimenti singoli, incontri in multiplayer classificati e giocare a una modalità che prevede 3, 5 o 7 scontri che daranno la possibilità di sbloccare gustose ricompense se finite in modalità difficile con un giudizio pari almeno ad A. Il sistema di combattimento di Dragon Ball FighterZ vanta diversi livelli di profondità ed è in grado di adattarsi a ogni tipologia di giocatore. I meno esperti possono affidarsi alle semplici combo Z o alle varianti proposte dalle Sfide di ogni personaggio. Quelle, unite a una gestione caotica degli assist e all’abuso delle mosse speciali anche dalla lunga distanza, bastano per garantire tanto divertimento ai principianti con il medesimo grado di esperienza. Con qualche ora di pratica nella modalità allenamento, però, si capisce che il gioco offre molto di più.

Usando con attenzione tutti gli elementi proposti dagli sviluppatori si possono realizzare combo complesse, articolate e dai tempismi anche molto stretti. Per eseguirle è necessaria una gestione attenta delle barre, a cui sono associati i teletrasporti, le versioni potenziate delle mosse speciali e le devastanti Super, più o meno potenti a seconda del numero di indicatori consumati per eseguirle. Per ottenere risultati davvero degni di nota, però, è indispensabile creare una squadra bilanciata, i cui personaggi possono lavorare insieme in modo impeccabile. Ogni lottatore ha caratteristiche uniche e offre il meglio in situazioni ben precise delle battaglie. Combattenti come Androide 18 o Freezer sono perfetti per iniziare il duello e caricare le barre per i compagni, grazie a una serie di elementi utili per mantenere alta la pressione sfruttando gli assist della squadra. Altri personaggi vantano assist utili per prolungare le combo o per impedire all’avversario di continuare ad attaccare senza sosta. Altri ancora possono causare danni mostruosi bruciando un gran numero di barre, motivo per cui è consigliabile farli entrare nelle fasi finali della battaglia. Gli elementi da tenere in considerazione per creare la squadra perfetta sono tanti e grazie alla modalità Allenamento si potranno passare ore e ore a sperimentare soluzioni sempre nuove e devastanti per diventare un combattente difficile da battere. La meccanica più interessante e innovativa legata a questo Dragon Ball FighterZ è indubbiamente quella legata all’evocazione del Drago Shenron. Durante ogni combattimento è possibile sbloccare le sette Sfere del Drago per ottenere benefici durante il combattimento, ossia: la resurrezione di un alleato morto, l’invincibilità per qualche secondo, il recupero dell’energia o il pieno di carica. Le sfere potranno essere trovate eseguendo particolari combo in serie o eseguendo un tot numero di colpi in sequenza. Parlando invece dell’aspetto prettamente estetico e del loot system, c’è da dire che oltre alle ricompense per il completamento, ogni modalità premia con una quantità variabile di Zeni. Investendola al negozio per l’acquisto di Capsule Z si sbloccano colori per i personaggi, avatar da sfoggiare nella sala d’attesa, adesivi e titoli di ogni tipo. Tutto questo rappresenta una simpatica spinta in più per continuare a lottare e farà la gioia dei completisti che vorranno accaparrarsi tutto. Aprendo le capsule acquistate al negozio se si dovesse trovare due volte lo stesso oggetto, al suo posto si riceverà una Moneta Z Premium, un altro tipo di valuta che una volta accumulata garantisce l’accesso a ricompense più rare. La quantità di elementi da sbloccare è altissima e per accumulare Zeni e monete Z Premium si deve giocare davvero molto a lungo: il titolo è però abbastanza generoso e ci non si sente mai totalmente insoddisfatti delle ricompense ottenute.

Dal punto di vista tecnico, invece, al di là di un doppiaggio in lingua originale che esalta la qualità del prodotto, la finezza dei fondali, che hanno un movimento sempre gradevole e che si prestano a una distruzione quasi totale, la resa artistica è la parte migliore di tutto Dragon Ball FighterZ. I disegni, rigorosamente riproposti così come il disegno di Toriyama, hanno il pregio di mostrare la parte migliore del lavoro svolto. Il 2.5D realizzato da Arc System Works si fregia dei 1080p a 60fps, offrendo una rapidità d’azione che è unica e che non vi stancherà in nessuna delle animazioni, tantomeno nella realizzazione delle super, sempre gradevoli da guardare. Dal punto di vista di combattenti ce ne sono subito a disposizione 21 e altri 3 saranno sbloccabili a patto di rispettare determinate condizioni. Purtroppo, a nostro avviso, da questo punto di vista poteva essere fatto qualcosa in più. L’assenza di personaggi come l’androide 17, il dottor Gelo, Goten, Trunks bambino, Videl, Great Sayaman, Darbula e molti altri ancora fa storcere davvero il naso. Un vero peccato se si pensa che il prodotto finale è senza ombra di dubbio uno se non il migliore mai uscito in relazione alla saga di Akira Toriyama. Tirando le somme, lasciarsi sfuggire questo Dragon Ball FighterZ sarebbe davvero un errore. La sua natura è in grado di appagare sia gli appassionati del genere che i giocatori alle prime armi garantendo sempre un altissimo tasso di divertimento e di sfida. Se siete fan di Dragon Ball o semplicemente siete alla ricerca di un picchiaduro bello, fluido e avvincente, Dragon Ball FighterZ è senza ombra di dubbio ciò che fa per voi.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9
Sonoro: 9
Gameplay: 9
Longevità: 9,5
VOTO FINALE: 9

 

Francesco Pellegrino Lise




Nintendo Labo, Switch e forme di cartone per accendere la fantasia

In un mondo in cui i videogiochi hanno preso il posto dei giocattoli classici, dove spesso i bambini vengono tacciati di passare ore e ore imbambolati davanti agli schermi della tv, Nintendo prova a cambiare le carte in tavola proponendo un’idea innovativa che unisce la fantasia al gaming. Nintendo Labo è una nuova esperienza creativa e interattiva pensata per l’ammiraglia del colosso giapponese, la Switch, che punta tutto sulla fantasia riportando i giocatori indietro nel tempo a quando per divertirsi bastava un pezzo di cartone e tanta fantasia. Ma che cos’ è questo Nintendo Labo? Bene, l’idea è molto semplice quanto geniale: Labo si presenta come una scatola all’interno della quale ci sono dei semplici pezzi di cartone. Con questi componenti il giocatore può creare varie forme, denominate Toy-Con, che, combinate con il corpo tablet di Nintendo Switch e con i Joy-Con, prendono vita creando nuovi modi di giocare e una nuova esperienza di gioco interattiva, costruttiva, educativa e divertente. Al momento Nintendo ha presentato due kit: un Kit Base, con il quale è possibile creare una casa, una canna da pesca, una moto, un pianoforte e una macchina telecomandata; e un Kit Robot che permette di assemblare una vera e propria tuta da robot per vivere un’esperienza di gioco ancora più originale. Un terzo kit, invece, permette a tutti i giocatori grandi e piccini di personalizzare le proprie creazioni con pennarelli e adesivi colorati, rendendo ancora più unica l’esperienza di gioco. L’uscita di Nintendo Labo è prevista per il 27 aprile 2018 e i prezzi per l’Italia sono stati convertiti 1 a 1 rispetto al prezzo in dollari previsto negli Usa. I primi due kit saranno quindi messi in vendita al prezzo di 69, 99 e 79, 99 euro e ovviamente all’interno della confezione sono comprese, oltre ai componenti di cartone da montare anche le cartucce dedicate. Il terzo kit, ossia quello di personalizzazione, attualmente non è disponibile sullo store italiano di Amazon, ma negli Usa sarà venduto a 9,99 dollari.

https://www.youtube.com/watch?v=P3Bd3HUMkyU

Se vi state chiedendo se Nintendo Labo è davvero adatto ai bambini, la risposta è sicuramente “sì”. La costruzione delle forme sarà infatti molto semplice, è stata pensata infatti come un assemblaggio, molto in stile Ikea. All’interno dei kit Nintendo Labo ci sarà tutto il necessario per assemblare le forme con le quali interagire e che daranno vita ad altrettanti giochi, senza necessità di materiale e costo aggiuntivo. Nintendo, con Labo, va ben oltre la dimensione del videogioco, tornando al mondo reale con una scelta eco-friendly ed educativa, ricalcando un po’ le proprie origini, l’azienda giapponese nacque infatti nel 1889 come manifattura di carte da gioco. Riuscirà Nintendo Labo a conquistare i giocatori di tutto il mondo abituati a uno standard di gioco ormai consolidato? Al momento la risposta sembrerebbe di sì, in quanto le prenotazioni sul sito americano di Amazon sono già al primo posto. La vera rivoluzione del gaming risiede davvero nel passato? Secondo Nintendo è così, proprio per tale ragione Labo unisce oltre ai videogame, le gioie di costruire qualcosa in stile Lego e meccano per un divertimento assolutamente nuovo e originale.

 

Francesco Pellegrino Lise




MotoGP 2017, tutti in sella con il videogame ufficiale del Motomondiale

Amanti del motociclismo e del gaming è finalmente giunto il vostro momento. Anche quest’anno infatti l’italianissima Milestone porta su Pc, Ps4 e Xbox One il videogioco ufficiale dedicato al motomondiale ossia: Moto GP 2017. Con questo nuovo titolo la software house tricolore non si discosta dai precedenti episodi per quanto riguarda le classiche modalità di gioco, che ovviamente sono incentrate sulla stagione 2017. Con a disposizione tutti i piloti, le moto, le piste e anche 70 campioni storici appartenenti alle diverse classi 4 tempi e 2 tempi, ci si può lanciare nella modalità Carriera cominciando dalla novità di quest’anno, ossia la Red Bull Rookies Cup. Qui si possono acquisire la giusta esperienza per poter salire sino alla categoria più ambita, che è ovviamente la MotoGP. Modalità Carriera a parte, si potrà comunque spezzare il ritmo affrontando i Gran Premi con vecchie moto a due e quattro tempi che rappresenteranno un divertente espediente per ricordare le gare di altri tempi. Ma attenzione, per poter vivere tali ricordi sarà necessario sudarseli per cui, mentre il più recente Valentino Rossi è da subito disponibile, il primissimo “Dottore” dell’Aprilia RS125 va sbloccato a suon di vittorie.

Nel gioco non è presente un tutorial, ma una corposa sezione di modalità per gare veloci permette ai giocatori di mettersi alla prova selezionando tra Gran Premio, Campionato, Prova Cronometrata e Schermo Condiviso. Detto questo, una volta avviato MotoGP 2017 il menu principale presenta diverse opzioni fra cui spicca: una campagna single-player molto corposa che offre come novità assoluta la modalità Carriera Manageriale, dove si potrà creare e gestire un team MotoGP con tutte le variabili e le problematiche tecnico-commerciali che ne conseguono. L’obiettivo come Team Manager è arrivare alla classe MotoGP partendo dalla Moto3, e ovviamente non sarà una passeggiata. Per raggiungere questo risultato, infatti, servirà selezionare correttamente non solo i piloti ma anche tutto lo staff che dovrà supportarli. Quindi serviranno ingegneri, tecnici, massaggiatori, cuochi, esperti di marketing e soprattutto i risultati. Solo con vittorie e crediti guadagnati sarà possibile migliorare il team e attirare gli sponsor che aiuteranno finanziariamente la scuderia scelta a raggiungere l’obbiettivo principale. Questa modalità è molto articolata, perché non si basa solo e soltanto sulle corse ma sul gestire la vita dei propri piloti in gara e fuori, il che significa curare la loro salute fisica e la loro immagine anche con campagne marketing e di social PR, inserendo così nel titolo una componente RPG del tutto nuova ed interessante. Qualsiasi modalità di gioco si scelga, MotoGP 2017 risulta subito familiare a chi ha già avuto a che fare con gli ultimi giochi Milestone dedicati alla categoria.

Purtroppo il titolo è ancora basato sul vecchio motore grafico della software house, quindi, mentre sicuramente le motociclette hanno un livello di dettaglio migliorato, ci sono problemi con i tracciati che presentano colori troppo piatti e omogenei. I fondali, le aree che costeggiano le piste ed il pubblico sono uniformi, mancano di dettagli e sono poco credibili. Insomma, tutti quegli effetti realistici e grafici che servono a disegnare tracciati e scenari moderni e credibili sono assenti. La gara non ha quindi lo stesso impatto che ci si aspetterebbe e lo spettacolo non è completo se paragonato ai videogiochi, soprattutto di auto, attualmente in circolazione. Nonostante, dal punto di vista grafico, sembri di giocare a un titolo non molto recente, dove Milestone ha fatto centro con il suo nuovo MotoGP 2017 è sicuramente con il frame rate che resta sempre inchiodato sui 60 fps rendendo l’azione sullo schermo fluida ed estremamente godibile. La fisica, poi, è di buon livello quando si parla di impostazione delle traiettorie e reazione del mezzo a sollecitazioni o piccole collisioni, quello che si vede sullo schermo è assolutamente realistico. Una volta tolti gli aiuti, la differenza tra una dura Ducati e le più agili scuderie nipponiche è decisamente percettibile nella governabilità del mezzo. L’intelligenza artificiale, poi, risulta decisamente migliorata in linea generale rispetto a quanto visto in passato e questo fa sì che il gameplay possa offrire un livello di sfida buono. In MotoGP 2017 per quanto riguarda le personalizzazioni di pilota e mezzi è stato fatto veramente un lavoro eccezionale. I dettagli sono molto soddisfacenti, sia per quanto riguarda le silhouette dei piloti famosi, che per ciò che concerne le personalizzazioni degli accessori e delle livree delle moto. Sicuramente l’accordo di licenza siglato con Dorna Sports, titolare di molti diritti della MotoGP, ha portato all’interno del gioco la possibilità di utilizzare un’infinità di sponsor ufficiali. Ma il lavoro di Milestone sul nuovo MotoGP 2017 non finisce qui, infatti, nuove ed originali campionature dei motori delle moto rappresentano un passo importante nel creare la giusta atmosfera di gara, facendo leva sulle emozioni che possono creare i differenti ruggiti che si possono ben distinguere quando si cambia moto. Per quanto riguarda il multigiocatore, MotoGP 2017 offre la Stagione Co-Op, dove bisognerà gareggiare privatamente solo con gli amici, oppure le classiche modalità Gran Premio e Campionato in cui si potrà creare una partita privata o lanciarsi nel matchmaking e affrontare giocatori da ogni parte del globo. Tirando le somme, con questo MotoGP 2017 Milestone ha fatto centro a metà, infatti nonostante l’aspetto grafico piuttosto deludente rispetto ad altri titoli racing attualmente in commercio, il gioco riesce a divertire parecchio grazie ai 60 fps a un’intelligenza artificiale nel complesso buona e alle tante possibilità di gioco offerte. Se a quanto detto si aggiungono una grandissima varietà di personalizzazioni e la profondità della nuova modalità carriera, si può sinceramente dire che, a patto di essere veramente appassionati di motociclismo, MotoGP 2017 è un acquisto davvero obbligatorio.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 6,5
Sonoro: 7,5
Gameplay: 7,5
Longevità: 7

VOTO FINALE: 7,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Destiny 2 si espande con il primo dlc: La maledizione di Osiride

A distanza di tre mesi dal lancio, Destiny 2 (qui la nostra recensione) si espande su Pc, Xbox One e Ps4 con il dlc La Maledizione di Osiride. Gli eventi narrati in questa nuova parentesi del titolo di Activisione e Bungie sono collocati temporalmente un paio di mesi dopo la Guerra Rossa e gli eventi narrati nel gioco base, quindi in seguito al risveglio del Viaggiatore e sarà proprio questo l’evento scatenante che darà il via a tutta la trama principale. All’inizio gli eventi narrati saranno introdotti da una sequenza cinematica di qualche minuto (che potete guardare qualche riga più in basso) che introdurrà la figura di Osiride, stregone e guardiano tra i più potenti in assoluto, alle prese con una battaglia Vex, che in seguito si scoprirà essere una simulazione di questi ultimi. All’interno di questa location, che ai giocatori più fedeli alla saga ricorderà subito la Volta di Vetro, Osiride si imbatterà in un’infelice scoperta: il futuro. Lo stregone scoprirà infatti che i Vex hanno capito come trionfare su bene e male, come spazzare via tutte le forme di vita dal sistema solare e che, soprattutto, sono a conoscenza della sua intrusione. Visivamente scosso, Osiride capisce che se vuole avere una possibilità per impedire che il futuro osservato diventi realtà, deve avvisare i Guardiani, separandosi dal suo fidato spettro Sagira per lanciarlo in un portale. Prima di riuscire a superare tale accesso, Sagira viene però colpita, disattivandosi e non potendo giungere a destinazione. A questo punto ha inizio l’avventura. Un ruolo particolarmente importante in questo dlc lo ricoprirà Fratello Vance, il fanatico numero uno di Osiride che, grazie alle sue conoscenze, consentirà di risvegliare Sagira. È a questo punto che si scoprirà l’esistenza della Foresta Infinita: un’infinita simulazione Vex grazie alla quale queste macchine senzienti possono testare tutti i possibili futuri. Ben presto si verrà anche a conoscenza della vera minaccia che bisognerà affrontare: Panoptes, un’entità Vex diversa da tutte quelle affrontate in precedenza, non soltanto per l’estetica differente dai soliti Vex, ma anche per il suo potere. A costituire una minaccia, oltre ai nemici meccanici, andranno ad aggiungersi anche le loro versioni passate e future, viste in precedenza soltanto nella Volta di Vetro. Il compito dei guardiani in questa espansione di Destiny 2, quindi, non sarà soltanto quello di fermare la mente Vex e impedire che il futuro visto da Osiride si concretizzi, ma trovare anche quest’ultimo per soccorrerlo e per riunirlo con Sagira, che nel corso dell’avventura si impossesserà dello spettro del protagonista.

La durata della main quest si attesta tra le 2 e le 3 ore, a seconda del tempo speso dal giocatore nell’esplorazione, un risultato quindi non paragonabile all’arco narrativo della legione rossa, ma sicuramente un bel passo in avanti rispetto alle appena tre o quattro missioni proposte ai tempi con L’Oscurità dal Profondo e Il Casato dei Lupi. Inoltre, in termini di ambientazioni, fatta eccezione per qualche breve passaggio su pianeti già conosciuti, tutte le missioni si svolgeranno su Mercurio, tra la Foresta infinita e il pianeta nelle sue versioni del presente, passato e futuro, in quelle che sono tra le destinazioni più ispirate e meglio strutturate mai viste in Destiny. L’area di gioco di Mercurio si divide in due aree: una esterna che costituisce la superficie del pianeta e la Foresta Infinita, dall’impronta molto più Vex, che collegherà i giocatori con le versioni passata e futura del pianeta. Qui grazie al pretesto della simulazione, sarà possibile fronteggiare anche i Caduti e l’Alveare. Sul pianeta saranno poi disponibili tutte le attività classiche delle destinazioni, dalle casse regionali dorate nascoste negli angoli più bui ai settori Perduti da scoprire e saccheggiare. E’inoltre presente una nuova tipologia di evento pubblico, creato appositamente per questa destinazione. Per quanto riguarda agli assalti, ne sono stati introdotti due inediti che riprendono molto da vicino alcune missioni della campagna. Entrambi faranno partire i giocatori da Mercurio attraverso la Foresta Infinita, con differenti destinazioni finali da raggiungere e nemici da fronteggiare. Un assalto porterà i gamers nella versione passata di Mercurio e la minaccia da affrontare sarà costituita dai Vex, mentre il secondo farà rimanere nel presente e il nemico finale sarà un leader Cabal. Ovviamente, anche il Crogiolo è stato arricchito con dei nuovi terreni di gioco in cui sfidarsi, per la precisione con tre nuove mappe.

E’ presente anche un nuovo Raid ambientato nella “pancia” del Leviatano. Articolato soltanto in tre step, di cui il primo molto introduttivo e principalmente platforming e gli altri due da completare nella stessa arena e con meccaniche condivise. A colpire innanzitutto è stata la presenza dei Vex; tolta infatti la parte introduttiva saranno loro la minaccia da affrontare. A rendere l’espansione di Destiny 2 ancora più intrigante ci pensano anche le ambientazioni spettacolari: ci si troverà infatti a combattere su una serie di rocce sospese che circondano il Boss, in netto contrasto con le sfarzose stanze del castello di Calus. Anche le meccaniche risultano abbastanza interessanti, l’unica vera pecca sta nella scarsa longevità. Non mancano infine tutta una serie di nuovi equipaggiamenti da ricercare e collezionare. Mentre tra quelli leggendari si trovano molti modelli simili ad alcuni già presenti, tra le armi e armature esotiche invece se ne trovano sia di inedite che di rifacimenti di alcune del primo Destiny 1 . Anche se ciò potrebbe non convincere, viene mantenuto un buon equilibrio tra equipaggiamenti nuovi e vecchi. Introdotte anche le armi prodigiose, ossia bocche di fuoco con contatore di uccisioni e che posseggono un perk aggiuntivo molto utile. Un’interessante novità in questo Destiny 2 è invece la forgia Vex, che di settimana in settimana metterà a disposizione degli incarichi secondari votati al puro grinding e che una volta completati ricompenseranno il giocatore con delle armi leggendarie a tema Vex e sottoquest legate alla lore di Destiny. Tirando le somme, quello che la Maledizione di Osiride offre è senza dubbio diverse ore di divertimento. La campagna è interessante ma a tratti sbrigativa e gli assalti sono curati, ma includerli entrambi nella campagna lascia un certo retrogusto amaro. Infine, il raid è senza dubbio la parte meglio riuscita, ma comunque troppo breve e troppo poco redditizia in termini di ricompense. In ogni caso aumentare il level cap al livello 25 e il livello di luce al 330 + 5 terrà i giocatori sempre molto impegnati e spingerà a fare più cose possibili nell’intero arco della settimana prima del reset attività fissato alle ore 18 di ogni martedì. Destiny 2 rimane sempre un titolo vivo e in continua espansione.

 

VOTO FINALE: 8,5

 

Francesco Pellegrino Lise




L.A. Noire, il poliziesco di Rockstar games torna su Xbox One, Ps4 e Nintendo Switch

Nel maggio del 2011 con L.A. Noire, Rockstar Games lanciò sul mercato un prodotto originale, un titolo d’investigazione dalle tinte free roaming e con qualche pennellata action, ambientato nella Los Angeles del 1947. Il videogame, nonostante la sua natura originale, vendette poco per gli standard di Rockstar, azienda che ricordiamo con prodotti come GTA e Red Dead Redemption ha conquistato milioni di giocatori in tutto il mondo, ma fortunatamente ha poi ottenuto una “gloria postuma” sufficiente a garantirgli una riedizione sull’attuale generazione di console. In questa riedizione di L.A. Noire.

I giocatori si troveranno a vestire nuovamente i panni di un uomo di nome Cole Phelps. Egli è uno dei tanti militari che ha combattuto contro i giapponesi sul fronte del Pacifico durante la seconda guerra mondiale. Al congedo, Phelps ha cercato di lasciarsi alle spalle quel terribile trauma intraprendendo una carriera in polizia e soprattutto cercando di compiere sempre il proprio dovere in maniera zelante. Dalla fase di semplice agente di pattuglia, che funge da tutorial, fino ad approdare alla sezione investigativa, il talento del protagonista emerge con prepotenza e le promozioni arrivano senza grossi intoppi. Tutto bene fino a quando l’ingerenza del dipartimento e il suo passato bellico non torneranno a rovinargli una serenità costruita con fatica e sacrificio. Con questi presupposti L.A. Noire propone una trama sensazionale, profonda, ben scritta e assolutamente coinvolgente che non vogliamo assolutamente svelare per evitare di rovinare l’esperienza di gioco a chi non ha mai provato la versione 2011. Durante la storia Phelps occupa il presente nel portare a galla il marcio della Los Angeles anni ‘40, mentre si scopriranno i suoi trascorsi come militare attraverso alcuni flashback dalla fotografia verdognola che appariranno fra un evento e l’altro della storia.

Attraverso questi ricordi si scoprirà ben presto il tormento del protagonista, nascosto in perfetto stile noir sotto il suo inflessibile senso della giustizia. In sostanza, la trama del gioco non cerca la linea netta tra bene e male, piuttosto invita le persone a riflettere su come il vizio e la depravazione possano tristemente colpire chiunque segnandolo per sempre. Lo stile proposto è quello tipico dei giochi targati Rockstar: graffiante ma non moralista, in ogni momento cerca di fare ironia tanto nei dialoghi quanto visivamente. La sceneggiatura inserisce nel suo 1947 gli echi dei nostri tempi, con dialoghi caustici su politica, guerra, vizio, corruzione, ipocrisia e chi vuole usare la giustizia per i propri scopi. Oltre ai casi che compongono la storia principale, ossia ventuno, questa edizione rimasterizzata per Xbox One, PlayStation 4 e Nintendo Switch ovviamente propone tutti i contenuti pubblicati in digitale, dagli abiti extra ai cinque casi aggiuntivi, che hanno la funzione di far capire meglio alcuni retroscena della storia del detective Phelps. Volendo classificare L.A. Noire, si può posizionare a metà fra un action poliziesco e un’avventura grafica. Phelps infatti non è una sorta di super-poliziotto tutto sparatorie e lampi di genio, ma è una persona comune, razionale, ma dallo spiccato intuito che indaga, esamina, interroga e deduce. E proprio questo è quello che si dovrà fare per buona parte del gameplay. Ogni caso che viene assegnato al protagonista di L.A. Noire si svolgerà secondo i canoni classici dell’investigazione, quindi bisognerà recarsi sulla scena del crimine per esaminare gli indizi, raccogliere prove e sentire le testimonianze. Fulcro dell’attività di Phelps è il suo taccuino: lì saranno immagazzinate tutte le informazioni necessarie al caso, oltre che ai luoghi scoperti e le persone coinvolte. Sempre attraverso di esso passerà il sistema di interrogazione e raccolta delle testimonianze. Questi dialoghi erano e rimangono probabilmente la parte più riuscita della produzione.

Phelps porrà delle domande ai testimoni dei crimini o alle persone coinvolte, e starà al giocatore capire se la risposta è sincera o meno. L’unico modo per farlo sarà osservarli mentre parlano e aspettano, cercando di cogliere nelle loro espressioni e soprattutto nei loro sguardi qualcosa di sospetto. Alla deposizione si può reagire in tre modi: assecondare la risposta, forzare la persona a dire tutto oppure smentirla, accusandola. Va da sé che quest’ultima possibilità richiede che si abbiano prove schiaccianti, pena il rifiuto a collaborare. In sé comunque il gioco non incentiva una condotta aggressiva, spingendo più al dialogo puro. In aiuto del giocatore ci saranno inoltre i cosiddetti Punti Intuito, questi, guadagnati salendo di livello, permetteranno di evidenziare gli indizi o facilitare gli interrogatori rimuovendo una risposta sbagliata.

Nonostante la grande libertà concessa e le diverse strade possibili per concludere ogni caso, il gioco è comunque disegnato in modo tale da non far rimanere mai bloccati o rendersi irrisolvibile. A distanza di ben 6 anni dalla prima pubblicazione, L.A. Noire torna sulle attuali console con una versione potenziata, in grado di sfruttare al massimo le capacità dei moderni hardware per dare nuovo lustro a questa fantastica, ma incompresa opera di Rockstar. Questo su Xbox One e PS4 si traduce in un aumento di risoluzione rispetto al passato: 1080p per le versioni standard, 4K per Ps4 Pro e Xbox One X, un frame rate assolutamente più stabile, tempo atmosferico e una migliore gestione di luci, riflessi e effetti volumetrici. Su console Microsoft e Sony Rockstar ha provato a rendere L.A. Noire non una semplice versione in alta definizione del gioco originale. Oltre ai miglioramenti grafici appena descritti, nel gioco si possono notare alcuni elementi pensati per migliorare e ottimizzare l’esperienza. Per esempio sono state introdotte due nuove visuali che semplificare l’analisi delle scene del crimine, alcuni collezionabili legati a dei nuovi trofei, sono state inserite quattro tipi di palme differenti per migliorare l’aspetto di Los Angeles ed è stato cambiato il nome delle risposte per essere più in tema poliziesco. La riedizione di L.A. Noire ovviamente approfitta delle nuove console per stabilizzarsi tecnicamente. La città di Los Angeles appare ben costruita e assolutamente verosimile. I volti realizzati con il motion-capture non sono stati ovviamente toccati, e la loro estrema cura ancora oggi stupisce. Stesso vale per gli ambienti e le abitazioni, tratteggiati con estremo realismo. Ma nonostante sia sensibile l’aumento di dettaglio e stabilità, è palese che ci si trovi dinanzi a un software del 2011. La linea di grattacieli e macchine appare troppo squadrata, così come il poco dettaglio su vegetazione e terreno erboso possono far storcere il naso ai giocatori più attenti. Ugualmente si nota il diverso dettaglio tra i volti che hanno ricevuto il motion-capture e quelli per cui non era necessario. Fortunatamente, però, la prova attoriale per ogni personaggio è assolutamente impeccabile, e ancora adesso è quel fattore “in più” che dimostra quanto il titolo Rockstar fosse avanti per i suoi anni.

La colonna sonora non è stata ovviamente toccata, nel suo combinare pezzi jazz d’epoca con i giusti archi nelle situazioni più tese. Ancora adesso rimane bellissima e familiare la coppia di note di pianoforte che il gioco riproduce quando ci si avvicina a un oggetto che Cole può raccogliere o esaminare ed è sicuramente destinata a restare nelle menti dei giocatori più giovani. Ottimo anche il doppiaggio che rende l’esperienza di gioco completa e assolutamente credibile. Il primo e ultimo lavoro del Team Bondi è a distanza di sei anni un’opera ancora singolare, affascinante, ma purtroppo non adatta a tutti. L.A. Noire è un gioco serio, che usa la struttura open world come pretesto per un gioco più lineare e guidato, diretto però con una maestria veramente rara per essere un semplice videogioco. Alcuni limiti tecnologici sono stati accentuati con il passare del tempo, ma il restyling grafico che è stato effettuato riesce comunque a rendere il gioco piacevole da osservare anche sui moderni televisori in 4K, nonostante qualche saltuario calo nelle prestazoni. Tirando le somme, come sei anni fa, chi si aspetta da L.A. Noire un GTA ambientato negli anni ‘40, oggi come allora, rimarrà deluso, ma chi vuole un poliziesco scritto e diretto veramente bene o un’esperienza originale e ben confezionata non avrà di che pentirsene. L.A. Noire era ed è tutt’ora un capolavoro, un capolavoro incompreso che ci auguriamo possa essere capito grazie a questa edizione rimasterizzata.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8
Sonoro: 9,5
Gameplay: 10
Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Super Lucky’s Tale, il platform in esclusiva per Xbox One e Pc

Amanti del genere platform è il momento di rimboccarsi le maniche, infatti se siete possessori di una console della famiglia Xbox One potrete giocare al nuovissimo Super Lucky’s Tale. Il gioco, amplia la saga dedicata alla simpatica volpe Lucky, già protagonista di “Lucky’s Tale”, titolo che sfruttava la realtà virtuale. Microsoft si fa quindi carico di un nuovo titolo platform che, a differenza di Cuphead, punta sul 3D e sul 2.5D. Grazie al supporto di “Xbox Play Anywhere” si potrà scaricare la versione digitale del titolo in questione su un PC dotato di Windows 10 o su una delle tre varianti di Xbox One presenti sul mercato, certi di avere le medesime performance su tutte le console. Su PC le opzioni permettono di personalizzare una serie di parametri come texture, qualità degli effetti e delle ombre e l’attivazione o meno del Vsync, oltre all’ovvia scelta della risoluzione. Sul fronte dei comandi, invece, quando si gioca a Super Lucky’s Tale bisogna considerare l’uso di un pad come priorità anche su Pc, ma la tastiera è comunque supportata e relativamente comoda anche a seguito di un numero esiguo di azioni da poter compiere. Parlando dell’esperienza di gioco, la trama ripercorre un po’ i classici del genere, infatti tutto ha inizio quando dopo un atterraggio di emergenza, Lyra, sorella maggiore di Lucky, può finalmente mettersi a studiare il magico “libro delle ere”. A creare scompiglio però ci pensa “la cucciolata”, ossia una temibile banda di gatti interessata proprio al libro. Nella zuffa fra Lyra e i felini il libro si apre e il povero Lucky insieme alla banda vengono risucchiati al suo interno. Il tomo catapulta così in un universo parallelo i protagonisti e gli antagonisti di questa rocambolesca avventura, dove il simpatico volpino dovrà affrontare ben quattro mondi per poter sistemare le pagine del libro e ritornare alla sua realtà. L’obiettivo del giocatore, che ovviamente vestirà i panni del giovane Lucky sarà quello di raccogliere più quadrifogli possibili, risolvendo minigame, semplici puzzle o compiendo azioni particolari, al fine di rendere fluida la progressione, aprire le porte delle zone bloccate e tentare di soddisfare tutti i requisiti richiesti per non avere improvvise battute d’arresto. In Super Lucky’s Tale funziona un po’ come nella maggior parte dei platform, ma in questo caso saranno visibili solo i quadrifogli totali, che sono novantanove per mondo, e non quelli utili per superare l’area. Per ottenerli tutti bisognerà dunque andare a zonzo e cercarli, consapevoli che taluni sono ben nascosti e complicati da raggiungere, mentre altri sono reperibili all’interno dei sottolivelli che compongono ogni singolo mondo, precisamente quattro per ciascuna di queste mini aree. Il primo lo si otterrà superando semplicemente la zona, il secondo trovando un’area distaccata, solitamente posizionata sottoterra, il terzo accumulando trecento monete e il quarto, infine, collezionando le cinque lettere dislocate in aree difficili da scovare che compongono il nome del protagonista.

Questa struttura, assieme ad alcune sezione in 2.5D, ricordano molto serie storiche come Donkey Kong, e in effetti sono queste le parti più riuscite di Super Lucky’s Tale. Purtroppo però quando sarà necessario muoversi liberamente all’interno di ambienti tridimensionali, emerge qualche problema che farà storcere il naso ai puristi del genere. Nel gioco purtroppo non si potrà muovere la telecamera a trecentosessanta gradi come ormai è consuetudine in quasi tutti i titoli contemporanei; al contrario, si potra solo spostarla verso le tre direzioni previste dagli sviluppatori complicando di molto la vita ai giocatori che spesso e volentieri si troveranno a fallire salti decisivi che gli faranno perdere preziose vite. Questa è anche la causa di molti “reload” e, se non fosse che la difficoltà di Super Lucky’s Tale non si attesta mai a livelli elevatissimi, per quanto sia tale da risultare comunque impegnativa, risulta comunque frustrante l’idea di perdere per una colpa non del tutto da addebitare a chi gioca. A livello di tempo, ogni sottolivello ha una durata media di circa cinque minuti, salvo ovviamente che non si muoia e si debba ricominciare. Fin dai primi momenti di gioco si avverte anche un senso di estrema ripetitività delle piattaforme, che non sono particolarmente caratterizzate, per quanto svolgano la loro funzione. Graficamente parlando Super Lucky’s Tale è davvero molto gradevole da vedere, coloratissimo e in grado di presentare personaggi sempre aggraziati e carini, ma nonostante questo i personaggi mancano totalmente di profondità perché a conti fatti sembrano solo delle macchiette che recitano frasi scontate e mancano di personalità. A conti fatti, dopo averlo provato a lungo possiamo dire che questo gioco lascia un retrogusto amaro, di quelli che fanno dire che con un po’ più di accortezze il gioco sarebbe potuto venir fuori decisamente meglio. Tuttavia ,se si è amanti del genere vale comunque la pena dargli una chance. Infatti se si riuscirà a chiudere un occhio con i difetti sopra descritti, tra le mani potrebbe piombarvi un prodotto valido che nasconde indubbie qualità, ma che deve ancora mostrare il suo reale valore mafari con l’ausilio di qualche patch correttiva. Alla luce di quanto detto, tirando le somme, Questo Super Lucky’s Tale nonostante non impressioni per giocabilità e profondità si difende bene dal punto di vista grafico e della sfida. Riuscire a completare il titolo al cento per cento infatti non sarà affatto semplice e i giocatori più incalliti sicuramente apprezzeranno tale peculiarità.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5
Sonoro: 6,5
Gameplay: 6
Longevità: 6,5

VOTO FINALE: 6,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Videogames: quando bug e comportamenti di gioco sfidano la programmazione

Il mondo è bello perché è vario: una frase spesso abusata, che però nel nostro caso rende perfettamente l’idea. L’errore umano, infatti, può diventare quella variante necessaria per creare una rottura degli schemi imprevedibile: un fattore che può anche colpire macchinari, calcolatori e videogiochi. Il che appare quanto meno curioso, considerando che si parla di hardware o software progettati per svolgere esattamente un compito. Nello specifico, per svolgerlo senza andare mai fuori dagli schemi. Eppure glitch e bug, a loro modo, rendono più umana anche la perfezione: perfezione che naturalmente non ci appartiene, anche se siamo diventati uomini della tecnologia.

 

Slot machine: un gioco casuale “abitudinario”

Uno dei grandi classici dei giochi online sono le slot machine: giochi o software come questo sono pensati per ragionare secondo una logica casuale o semi-casuale. Nonostante questo, esistono comunque dei modelli comportamentali che è possibile sfruttare a proprio vantaggio per vincere. Per fare un esempio, adesso online si possono trovare tantissimi trucchi per le slot machine, giochi teoricamente legati al caso, ma in realtà comunque soggetti a tecniche e modalità per ottimizzare le chance di vittoria. Conoscendo questi “segreti”, è possibile provare ad indirizzare la fortuna verso le proprie tasche: anche se ovviamente rimane forte la componente dell’imprevedibilità.

Glitch: dall’elettrotecnica al videogaming

Diverso (anzi, opposto) è il caso dei glitch: un termine che oggi appartiene ai videogiochi, ma che in realtà è stato ereditato dall’elettrotecnica. Per glitch, infatti, s’intende una variazione in forma d’onda impossibile da prevedere. Nel videogaming, il glitch cambia leggermente connotati per diventare un comportamento anomalo del codice: tale comportamento, a differenza del caso precedente, è frutto dell’errore di programmazione umano. Un glitch, di fatto, consente ad un utente esperto di manipolare l’esperienza di gioco ai fini di trarne un vantaggio. Però, il glitch è anche una ventata di aria fresca che può generare eventi imprevedibili: ne guadagna anche il divertimento, se usato nel modo giusto.

 

Bug: il difetto che può mandare in crisi l’umanità

Il bug, a differenza del glitch, ha spesso una portata molto più ampia: se il secondo è circoscritto ad un certo errore isolato, il primo è invece diffuso su larga scala. Basti pensare al famigerato Millennium Bug, che nel 2000 prometteva di mandare in crisi i computer di tutto il mondo: salvo poi rivelarsi una clamorosa cortina di fumo. Vista la penetrazione della tecnologia al giorno d’oggi, i bug possono davvero modificare la nostra percezione del futuro: in tal caso, però, l’imprevedibilità non è di certo fonte di piacere o divertimento.

 

Fra bug e glitch: storia di due eventi imprevedibili

Quale modo migliore per chiudere questo nostro approfondimento, se non analizzando i primi bug e glitch della storia? A partire dal bug: il primo venne registrato nel lontano 1947. Ne fu vittima il calcolatore Harvard Mark II: la fonte di questo errore? Una povera falena che ebbe la sfortuna di incastrarsi dentro al computer. Quale fu, invece, il primo glitch legato ad un videogioco? Il famigerato livello 256 del cabinato Pacman (1980). Niente falene, stavolta: il problema era semplicemente un errore di programmazione.




Call of Duty WWII, il re degli sparatutto torna sul trono

Con Call of Duty WWII Activision ha fatto centro. Dopo diversi capitoli futuristici, ambientati in realtà dove i militari erano in grado di correre sui muri, spiccare doppi salti in volo e avere il supporto di apparecchiature e armi altamente tecnologiche, finalmente si torna con gli stivali per terra e soprattutto si torna ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Questo particolare periodo storico è stato proprio il punto di partenza del brand che negli anni, nel corso della sua evoluzione, ha poi abbracciato la guerra contemporanea con la splendida saga “Modern Warfare” e poi successivamente si è spinta, forse troppo più in la, verso un futuro hitech che non ha mai convinto pienamente la community. Dopo aver esplorato negli ultimi 5 anni un possibile lontano futuro, è toccato a Sledgehammer Games sviluppare Call of Duty WWII su Pc, Xbox One e PS4, ma soprattutto provare a guardarsi indietro per andare avanti introducendo qualche piccola ma funzionale novità durante tutto il corso della campagna più una zona social e una modalità a obiettivi per il multiplayer. Ma andiamo ad analizzare il tutto da principio. A livello di narrativa, la trama è ben realizzata e senza mai troppo eccedere nel patriottismo targato Usa, i personaggi si muovono in situazioni e scenari assolutamente credibili e mai esagerati. La Seconda Guerra Mondiale è una di quelle pagine della storia di cui parlare risulta sempre difficile. Gli atroci eventi che hanno portato alla morte milioni e milioni di persone sono stati trattati in un numero altissimo di prodotti tra pellicole, libri e videogiochi. Un argomento sviscerato ormai in tutte le salse e sotto diverse chiavi di lettura, argomento che porta con sé il rischio di apparire come qualcosa di già visto. Ma fortunatamente il team di Sledgehammer, come già aveva fatto in Advanced Warfare, batte molto sui concetti di “fratellanza” ed “eroismo” costruendo per Call of Duty WWII una storia di guerra appassionante, in puro stile hollywoodiano, che diventa sempre più interessante man mano che si procede nel gioco. Nel titolo sono presenti momenti dal forte impatto che non hanno paura di mostrare la brutalità della guerra, ma anche momenti in cui il cameratismo prende il sopravvento e il lato umano dei soldati viene fuori.

Call of Duty WWII offre una campagna che può durare anche una quindicina di ore se giocata al livello di difficoltà massimo e l’intera storia si svolge attraverso 11 avvincenti missioni. Il protagonista dell’ultima fatica di Sledgehammer è il soldato scelto Ronald “Red” Daniels, della Prima Divisione Fanteria, che insieme alla sua squadra sbarca in Normandia il 6 giugno del 1944 per aprire un secondo fronte in Europa e riuscire a proseguire la marcia degli Alleati verso il cuore della Germania nazista. Il team è formato da diverse personalità, ognuna caratterizzata dalle proprie peculiarità e attraverso alcuni stereotipi. C’è Robert Zussman, uno trai i protagonisti principali divenuto ben presto il migliore amico di Daniels; Drew Stiles, soldato-fotografo col sogno di finire sulle pagine di LIFE una volta uscito dall’inferno della guerra; Frank Aiello, un po’ bigotto, razzista ma tra i sopravvissuti della campagna di Tunisia; William Pierson, sergente tecnico scontroso e duro e il “paterno” primo tenente Joseph Turner. Gli eventi di gioco si svolgono con molta frenesia, passando quasi senza sosta da una missione all’altra dove però si alternano tipologie differenti di approccio come la guida di mezzi terrestri, veicoli aerei, missioni stealth, di copertura col cecchino e una missione di infiltrazione dove il ritmo cala e si smette di imbracciare il fucile e si deve agire pensando. Durante la campagna la costruzione dell’empatia con i propri commilitoni passa attraverso due momenti. Il principale è ovviamente quello delle scene di intermezzo, dove si approfondisce la conoscenza dei protagonisti, il loro passato e dove verranno messi a nudo le loro paure e i loro sentimenti. Il secondario invece avviene grazie alla possibilità di chiedere munizioni, granate, fumogeni per l’artiglieria, medikit o l’uso del binocolo per segnalare i bersagli sul campo di battaglia ai compagni. Questo escamotage è stato sfruttato sia per spingere il giocatore a stare vicino ai propri commilitoni, solo in questo modo, infatti, si sarà nel raggio d’azione utile per ricevere l’approvvigionamento, sia per garantire la fluidità del gioco, nonostante una certa verosimiglianza dei combattimenti. Come accennato qualche riga sopra, per quanto riguarda la campagna, tornano a gran richiesta i medikit, quindi, una volta colpiti non basterà mettersi al riparo e aspettare che la vita si rigeneri, sarà quindi necessario centellinare i kit medici e farsi colpire il meno possibile, specialmente al livello di difficoltà più alto, dove la sfida diventa davvero dura. Non mancano poi momenti ad hoc creati per dare la sensazione di essere nel bel mezzo di una battaglia reale. Durante alcuni momenti, infatti, sarà chiesto di compiere delle Gesta Eroiche, ovvero di abbandonare per qualche secondo la battaglia per salvare un compagno, non importa che questo sia sotto attacco nemico o ferito ed esposto al fuoco nemico. In altri frangenti, invece, alcuni tedeschi potranno arrendersi e toccherà a noi decidere se farli prigionieri o freddarli sul posto. Insomma, la campagna di questo Call of Duty WWII, nonostante le solite limitazioni dovute al percorso obbligatorio per arrivare a fine livello e nonostante l’intelligenza artificiale dei nemici che non brilla molto, è un’esperienza assolutamente da provare perché è in grado di emozionare e soprattutto perché, grazie alla grafica straordinaria, dà proprio l’impressione di vivere il secondo conflitto mondiale in prima persona.

Ovviamente l’anima di CoD è sempre rappresentata dalla componente multiplayer, componente che quest’anno torna, è proprio il caso di dire, con i piedi per terra. Dimenticatevi quindi wallrun e jetpack d’ogni genere. Call of Duty WWII recupera il feeling dei migliori capitoli del brand. Time to kill in pieno stile CoD ma comunque bilanciato, reso ancor più tollerabile da armi interessanti, capaci di offrire sempre una valida alternativa, eccezion fatta per un paio di bocche da fuoco leggermente più sbilanciate di altre. Ci sono poi le Divisioni, ossia il nuovo sistema di classificazione dei soldati che instaura anche una progressione ben più stratificata, scindendo le Divisioni dal livello del giocatore e proponendo classi differenti, con caratteristiche e ricompense uniche legate alla tipologia d’arma utilizzata. Entrare in confidenza con queste nuove features non sarà da subito immediato, ma si verrà aiutati dalla possibilità di recarsi nel Quartier Generale, la nuova zona social raggiungibile in qualsiasi momento e senza tempo di caricamento, con la sola pressione di un tasto (options/start). Qui si possono incontrare altri giocatori, visitare alcuni NPC che daranno accesso agli Ordini e ai Contratti (taglie/obiettivi da portare a termine entro un certo periodo di tempo) e fare pratica con le nuove serie d’uccisioni, piuttosto che sfidare qualche altro soldato in un virtuoso 1vs1. Quest’area social funziona principalmente da hub centrale, proprio come accade con la Torre in Destiny, durante le sessioni di gameplay, dando la possibilità di capire al meglio le nuove funzioni e azzerare in qualche modo i tempi morti. Il comparto multiplayer di Call of Duty WWII è estremamente solido e, cosa più importante, completo: il gameplay viene esaltato da un ecosistema di attività ricco di opzioni, sempre stimolanti. Specializzarsi in una Divisione, “prestigiare” (ossia raggiungere il livello massimo e riazzerare tutte le abilità e le armi sbloccate in cambio di un emblema che lo dimostra), portare a termine gli Ordini, ottenere tutte le armi speciali, insomma nell’ultimo lavoro di Sledgehammer ci sono davvero molte cose da fare e annoiarsi è davvero difficile. Fiore all’occhiello della produzione è sicuramente la modalità Guerra, che al contrario del classico PvP, caratterizzato da una forte anima competitiva suggerisce un approccio più scanzonato e cooperativo. Prendendo spunto da “Rush” della serie Battlefield, Guerra divide i team in attaccanti e difensori, con i primi che non dovranno solo conquistare il punto A, B o C, bensì saranno chiamati a svolgere obbiettivi dinamici che variano sempre, di mappa in mappa. Al day one ne saranno disponibili tre diverse, ma altre arriveranno sicuramente con i DLC futuri. Guerra è una modalità incredibilmente divertente, che gode di dinamiche e di uno stile davvero unico. Oltre a quest’innovativa modalità di gioco, in Call of Duty WWII sono disponibili anche altre modalità come deathmatch, team deathmatch, postazione, dominio, uccisione confermata, cerca e distruggi, cattura la bandiera e Football. Quest’ultima modalità vedrà due team affrontarsi sul campo di battaglia con lo scopo di segnare con il pallone nella porta nemica, unica differenza con il rugby è che al posto dei placcaggi sono ammessi fucili, bombe e armi di ogni genere.

Se ancora non foste soddisfatti dell’offerta del titolo di Activision e Sledgehammer, sappiate che torna anche la famosissima modalità Zombie Nazisti. Nazi Zombies in Call of Duty WWII ha un concept horror e, anch’esso, molto cinematografico, visto che fra le fila del cast può vantare attori come Elodie Young e David Tennant. In questa tipologia di gioco si verrà catapultati in un villaggio della Germania dove, immersi in un contesto da brividi, bisognerà affrontare mostri d’ogni genere. La principale novità, oltre al concept, riguarda l’impossibilità di riparare finestre e accessi vari, obbligando i giocatori a prestare davvero molta attenzione a quello che li circonda. Al solito lo scopo sarà quello di avanzare nelle varie fasi della quest superando e uccidendo i vari zombi che compongono le diverse ondate, sempre più potenti. L’estrema collaborazione richiesta sarà al contempo uno sbarramento e un grande divertimento, in grado di dare vita a sessioni di gioco davvero impegnative e appaganti. Giocando Nazi Zombies il feeling è assolutamente positivo: setting riuscito e dinamiche di gameplay interessanti e ricorrenti, come la possibilità di potenziare alcune caratteristiche del personaggio acquistando power up di vario genere, oppure migliorare il proprio equipaggiamento acquistando le armi disponibili. Presente anche un sistema di consumabili molto utili nelle situazioni più intricate, unito alla progressione canonica del personaggio. Insomma Nazi Zombies appare rifinita e ben concepita, migliorata nell’aspetto e potenziata nell’esperienza; farà certamente felici i fan accaniti e siamo certi saprà avvicinarne di nuovi. Per quanto riguarda il comparto audio le musiche e il doppiaggio in lingua italiana sono resi in maniera davvero straordinaria, inoltre il rumore delle armi e di sottofondo in generale trasportano il giocatore nel bel mezzo della seconda guerra mondiale donando ancora di più credibilità al titolo. Dal punto di vista grafico e tecnico Sledghammer non ha rivoluzionato il motore di gioco, ma ha continuato a limare e perfezionare gli strumenti già a sua disposizione, rendendo sempre più impercettibile la differenza tra le parti giocate e quelle filmate. In generale l’effetto globale è d’impatto, grazie all’ottima regia con la quale ogni scena è stata confezionata e alla spettacolarità degli scenari scelti per ambientare le diverse battaglie. Quasi sempre sembrerà di trovarsi in una scena di Salvate il Soldato Ryan o Band of Brothers, quindi qualità massima e grandi emozioni. Inoltre il frame rate non si abbassa mai sotto i 60fps, di conseguenza possiamo dire che il titolo è in grado di offrire un’esperienza davvero curata. Tirando le somme, il tanto atteso ritorno alla seconda guerra mondiale ha fatto sicuramente bene a Call of Duty. Con WWII Activision e Sledgehammer Games non reinventano la ruota e tantomeno rivoluzionano una serie che, per più di un motivo, continua a rimanere assolutamente fedele a se stessa, ma riescono a migliorare le varie modalità e le tante risorse sotto praticamente ogni aspetto. La campagna è spettacolare, suggestiva e a tratti emozionante, il multiplayer è stato rinfrescato dalla modalità Guerra e dallo spazio sociale del Quartier Generale, gli zombi, a loro volta, tornano più cattivi che mai e danno quel senso di completezza che rendono grande una produzione. Insomma, quest’anno Call of Duty ha fatto centro in tutti i sensi e siamo assolutamente certi che questo capitolo resterà impresso nei cuori e nelle menti di tutti i gamers. Non avere Call of Duty WWII nella propria libreria di giochi sarebbe un vero peccato.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

 

Grafica: 9,5
Sonoro: 9,5
Gameplay: 9,5
Longevità: 9,5

 

VOTO FINALE: 9,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Need for Speed Payback, la saga racing di EA torna a brillare

Need for Speed Payback arriva su Pc, Xbox One e PlayStation 4 con l’obbiettivo preciso di riportare in auge lo spirito che ha reso grande la serie grazie alle corse clandestine, al tuning estremo, ma anche gettandosi alle spalle tutte le criticità venute fuori nel precedente capitolo della saga. Il nuovo titolo, sviluppato da Ghost Games, abbandona l’oscura Ventura Bay trasferendosi nella soleggiata Fortune Valley. Quest’ambientazione è resa dinamica dai molti eventi messi a disposizione sull’enorme mappa ed è resa ancora più accattivante grazie al ciclo giorno/notte che cambia faccia a canyon, superstrade e alle intricate vie cittadine che fanno da sfondo all’esperienza di gioco.

 

Per chi non lo sapesse, Need for Speed è una delle serie di corse d’auto più longeve di sempre. Nata nel 1994 su Panasonic 3DO con “The Need for Speed”, il titolo ha dettato le regole dei racing games simul-arcade con i suoi innumerevoli capitoli e spin-off che venivano rilasciati quasi a cadenza annuale. NfS è una serie che ha visto i suoi fasti durante la sesta generazione di console con i capitoli della serie Underground, tra i più apprezzati in assoluto, ma anche con Hot Pursuit II e Most Wanted, ma che negli ultimi anni s’è un po’ persa per strada con capitoli abbastanza sottotono come ProStreet del 2007 ed il più recente reboot del 2015. Con l’arrivo di concorrenti sempre più validi e agguerriti nel settore, come Forza Horizon, The Crew e Test Drive Unlimited, la serie targata EA aveva bisogno di qualcosa di più per primeggiare, e c’è da dire che con Need for Speed Payback, le novità sono davvero moltissime. La trama attorno cui ruota tutto il gameplay è semplice quanto coinvolgente e sembra proprio essere scritta per una produzione cinematografica in stile “Fast and Furious”.

 

Una banda composta da tre talentuosi piloti (Tyler “Ty” Morgan, Sean “Mac” McAlister e Jessica “Jess” Miller) che si danno alla macchia, mettendo a segno qualche colpo qua e là. La loro ultima impresa, rubare la fuoriserie di uno degli uomini più ricchi di Fortune Valley, viene però compromessa dal tradimento di una collaboratrice, Lina Navarro, che si scopre essere al soldo della Loggia, una potente organizzazione che fa soldi anche e soprattutto truccando le corse clandestine che si svolgono nella zona. Inseguito dalla polizia, Tyler non ha alternative: stringe un patto con l’uomo che voleva derubare ed entrambi si impegnano a vendicarsi nei confronti della Loggia. Per riuscire nell’impresa, però, bisognerà riunire la vecchia banda. Sei mesi dopo il tradimento di Lina Navarro, Tyler, spinto dal bisogno di denaro e dalla voglia di correre, decide finalmente di agire: si mette in mostra durante una gara per ottenere un ingaggio con la Loggia, quindi partecipa a una delle corse truccate dall’organizzazione solo per mandarla a rotoli, tagliando il traguardo per primo e facendo perdere un bel po’ di soldi ai propri nemici giurati. Scoperte le carte, la faccenda si fa seria e vengono dunque richiamati in azione Mac e Jess, la cui funzione nel gioco non è unicamente narrativa ma anche e soprattutto pratica, infatti, laddove Ty è specializzato nelle gare tradizionali e di accelerazione, Mac può guidare offroad e nelle sfide di derapata, mentre invece Jess è una maestra delle fughe, specie dalla polizia.

 

Tipologie diverse di eventi che nell’ampio open world di Need for Speed Payback richiedono l’uso di vetture specifiche, divise in cinque categorie: corsa, accelerazione, derapata, fuoristrada e fuga. Quando la squadra si riunisce e la storia ingrana, la mappa di Fortune Valley si riempie progressivamente di un gran numero di attività: alle missioni principali, che ruotano attorno a dieci gang da sconfiggere per arrivare infine a sfidare la Loggia, si aggiungono svariate quest secondarie, nella forma di semplici gare di velocità, autovelox da superare a tutta birra, collezionabili di vario genere e infine i “catorci”. Questi ultimi sono auto gloriose, dallo straordinario potenziale ma ridotte in condizioni pessime, che bisogna rimettere in sesto dopo averne trovato i componenti all’interno dello scenario, in una sorta di caccia al tesoro che spesso e volentieri implica salti spettacolari e un’approfondita esplorazione dell’area. Need for Speed Payback offre una storia principale che si completa nel giro di venti ore, ma se a queste si aggiungono tutte le attività collaterali di cui abbiamo parlato qualche riga più in alto e il multiplayer competitivo per otto giocatori, allora il tempo da passare in compagnia con la creazione di Ghost Games aumenta in maniera esponenziale. A livello di giocabilità, l’impostazione del titolo EA è open-world, e si tratta del mondo di gioco più vasto di sempre della serie Need for Speed. Fortune Valley offre chilometri e chilometri di autostrade, strade statali, strade di montagna e di campagna tutti da percorrere ad altissima velocita, ma non finisce qui, infatti oltre a queste zone si aggiunge anche la grande città di Silver Rock, metropoli viva e pulsante che ricorda alla lontana Las Vegas. La vastità di questo mondo si avvicina quasi ai livelli di quello proposto da GTA V, ma stavolta differentemente da ciò che accadeva in passato, c’è la possibilità di andare praticamente ovunque con la propria auto. Scalare montagne, correre attraverso una pianura sterrata o seguire vie secondarie nascoste fra immense sequoie sarà infatti sempre molto utile per scovare tutti i segreti celati nell’enorme area di gioco.

La modalità carriera di Need For Speed Payback ha inizio con un prologo lungo quasi un’ora in cui i giocatori potranno provare le varie tipologie di auto in eventi story-driven, per poi finalmente mettersi alla guida di una vettura di basso profilo. Da questo momento ci si potrà dedicare alle gare della missione principale oppure prender parte ad eventi e gare secondarie. Queste ultime sono fondamentali se si vuole progredire bene nella trama principale non solo perché utili a guadagnare punti Reputazione e denaro per comprare altre auto e potenziamenti, ma anche perché hanno integrato un sistema di scommesse che invogliano il giocatore a ripetere la gara con l’obiettivo di turno (che cambia ogni volta). Inoltre grazie all’ormai collaudato Autolog, battendo il miglior tempo registrato dalla community per quell’evento si potrà ottenere un ulteriore bonus. Vincendo le gare oltre a guadagnare punti reputazione e denaro sonante in proporzione al piazzamento al traguardo, si potranno ottenere come premio anche le così dette speed card, ossia delle carte a cui è affidato il sistema di upgrade delle prestazioni dell’auto. Ce ne sono di diversi tipi: Turbo, Testata, Freni, Nitro, Scarico e via dicendo. Ognuna di esse ha impatto su due o tre caratteristiche di rendimento della vettura, e ogni categoria è disponibile di diversi livelli che ne accrescono l’efficacia. Inoltre, ci sono diversi marchi di Speed Card, ed associandone tre o sei della stessa etichetta si possono ottenere importanti bonus sulle prestazioni della vettura. Le Speed Card possono essere montate immediatamente appena si ricevono come premio, oppure vendute, spedite al garage per applicarle ad altre auto, o ancora scambiate per tentare la fortuna e riceverne una migliore. Poiché le Speed Card possono anche essere comprate in officina con crediti di gioco a un prezzo non proprio economico, questo sistema invoglierà i giocatori a gareggiare tanto al fine di ottenerle gratuitamente. Le carte di potenziamento possano essere anche comprate con denaro reale tramite le famose micro-transazioni, ma a nostro avviso il modo più divertente per godersi il gioco è vincere le corse con quello che si ottiene col sudore della propria fronte e delle mani in pista. Sempre a livello di giocabilità, è importante sottolineare che in Need for Speed Payback esistono cinque categorie differenti di vetture, e di conseguenza di gare. Ogni tipologia di auto può infatti prendere parte esclusivamente agli eventi relativi alla sua classe, ma ognuna di esse può essere utilizzata liberamente per l’esplorazione del mondo di gioco. Le tipologie sono: Sprint (per le gare su asfalto), Derapata (per le gare in cui lo scopo è guadagnare più punti derapando), Off-road (per le gare su sterrato), Accelerazione (per le classiche gare drag in cui è obbligatorio usare il cambio manuale) e Fuga (spettacolari inseguimenti con la polizia in cui si vestiranno i panni della bella Jess). Suddividendo in questo modo le corse, a nostro avviso, EA e Ghost Games hanno fatto la scelta giusta perché così facendo ce n’è davvero per tutti i gusti e chiunque saprà sempre a che cosa va incontro e come affrontarlo. Lo stile di guida dichiaratamente arcade offerto da Need for Speed Payback risulta essere semplice e soddisfacente al tempo stesso. Il sistema di derapate è molto divertente e il comportamento delle vetture che varia a seconda della categoria è decisamente appagante, indipendentemente dal tipo di terreno su cui si corre. Va ricordato però che Need for Speed è anche sinonimo di grande personalizzazione, di tuning e del pimping più estremo e sregolato. In questo capitolo Ghost Games ha curato molto questo aspetto, dando la possibilità agli utenti di potersi sbizzarrire come preferiscono e di modificare pressoché tutte le parti del veicolo, rendendolo unico, esagerato e arrogante.

Need for Speed Payback non è un simulatore di corse e non fa assolutamente niente per nasconderlo. La fisica del gioco è a tratti improbabile, gli incidenti spettacolari si risolvono quasi sempre con ben pochi danni e ci sono vetture modificate che tengono testa a costosissime fuoriserie. Ma il gioco è bello proprio perché è così! Se si vuole vincere si deve lasciare a casa l’indole da guidatore corretto: ogni gara, che sia su strada o su sterrato, richiede un gran numero di sportellate e gesti scorretti, coadiuvati da una discreta conoscenza del terreno di scontro visto che è possibile sfruttare rampe e scorciatoie di vario genere magari per accorciare le distanze tra un checkpoint e l’altro. Il gioco funziona e diverte perché incoraggia chi sta con il pad in mano a comportarsi proprio come non farebbe nella vita reale: spinge ad andare contromano, a sfiorare le vetture che intralciano la strada durante le corse e non e a derapare selvaggiamente per affrontare curve anche tagliando la strada ai nostri avversari, anche a costo di danneggiare la carrozzeria del proprio bolide. A proposito dei danni, ovviamente questi sono presenti, ma si tratta di una caratteristica di natura solo estetica che non fa altro che enfatizzare la vena arcade del gioco. La vettura infatti si distruggerà mano a mano che si colpiscono ostacoli o avversari, senza però mai influire sulle performance della vostra vettura. Gli impatti comunque risultano sempre molto spettacolari, specialmente durante le gare o le missioni della tipologia Fuga che, un po’ sulla falsa riga della serie Burnout, permettono di effettuare degli spettacolari “takedown” su vetture della polizia o della Loggia. Graficamente parlando il Frostbite Engine, fiore all’occhiello delle produzioni targate EA, offre una solidità generale e le prestazioni in termini di frame rate non hanno mai cali improvvisi. Buona anche la resa artistica della città, con macro aree ben diversificate e la possibilità di percorrere le strade di montagna di Mount Providence, zone semidesertiche o ammirare il tramonto da Silver Canyon. I modelli delle vetture fanno egregiamente il loro lavoro mettendo in mostra la bellezza dei bolidi presenti in game, tutto questo è possibile in quanto le carrozzerie sono sempre ben popolate di poligoni e riflessi. Le ambientazioni sono anch’esse ben realizzate ma purtroppo i paesaggi si rivelano quasi anonimi, con textures troppo ripetute, anche se la mappa è correttamente suddivisa in macro aree molto diverse fra loro. Generalmente buono è anche il comparto sonoro. A rendere l’azione adrenalinica c’è una lunga selezione di brani rock, indie rock, elettronica e rap perfetti per gareggiare e percorrere i chilometri da una location all’altra. Il doppiaggio italiano, realizzato da professionisti del settore, è nel complesso buono e credibile. Ottimi invece i suoni emessi dai bolidi e gli altri effetti che caratterizzano l’azione al volante. Tirando le somme, questo Need for Speed Payback, nonostante non sia il miglior gioco di guida attualmente in commercio, a nostro avviso è un titolo che merita di essere giocato perché diverte. Tutto questo grazie alla sua natura arcade che non si perde in lunghe sessioni di regolazioni di assetto e preparazioni pre corsa, ma lancia il giocatore direttamente nell’azione rendendolo protagonista assoluto delle corse. Nonostante la modalità multigiocatore presente sia totalmente di contorno, le tante cose da fare e la possibilità randomica di ottenere le carte corsa rendono l’intera esperienza di gioco assolutamente godibile da ogni tipologia di giocatore. Quindi se amate le corse d’auto, lo stile alla Fast and Furious e una guida tipicamente arcade, Need for Speed Payback è tutto ciò di cui avete bisogno.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

 

Grafica: 8
Sonoro: 9
Gameplay: 8,5
Longevità: 8,5

 

VOTO FINALE: 8,5

 

Francesco Pellegrino Lise