Assassin’s Creed Rogue Remastered, il capitolo più cupo della saga torna su Next Gen

A distanza di quattro anni dal lancio, Ubisoft propone l’edizione rimasterizzata di Assassin’s Creed Rogue, capitolo più oscuro dell’intera serie passato in sordina per via della sua uscita esclusivamente su Pc, Xbox 360 e Ps3, ma soprattutto perché fu messo in vendita nello stesso periodo di “Unity”, primo titolo della serie che usciva sulle console next gen. Già al tempo del lancio, questo titolo di “transizione” da un’epoca videoludica a un’altra, era stato etichettato come una copia carbone del bellissimo “Black Flag”, dal momento che ne recuperava pressoché integralmente buona parte delle meccaniche di gioco. La vera novità di Rogue, però, consisteva nelle sue ambizioni narrative: per la prima volta nella saga, infatti, il giocatore era chiamato ad impersonare un templare, nemico giurato degli Assassini. Da un simile spunto “rivoluzionario” non è germogliato però un gameplay altrettanto coraggioso. Dinanzi alle caraibiche meraviglie di “AC Black Flag” o alle sublimi architetture parigine di “Unity”, le lunghe traversate marine di Shay apparivano lievemente sottotono. Eppure, nel complesso, Rogue non era certo un prodotto da sottovalutare: mescolando alcune soluzioni di gioco estrapolate dai suoi predecessori, l’opera ha finito per incarnare un ottimo riassunto delle caratteristiche chiave del brand. Pertanto, la versione rimasterizzata di Rogue, che trasporta anche su Xbox One e PS4 l’ultimo capitolo della così detta “trilogia americana”, racchiude l’essenza vera degli Assassin’s Creed, prima che la serie decidesse di “migrare” verso nuovi orizzonti creativi.

Assassin’s Creed Rogue racconta il viaggio di Shay Cormac evidenziando una vera e propria presa di coscienza, ma soprattutto stravolgendo la così netta distinzione tra buoni e cattivi presente fin dai primi titoli della saga. Dopotutto, prima di essere la storia di un eterno conflitto tra due schieramenti, quella di Assassin’s Creed racconta una storia di uomini. Nonostante alcuni buchi di sceneggiatura, è stato il terzo capitolo della serie a instillare il seme del dubbio nella mente dei giocatori: chi ha memoria della seppur breve alleanza tra Haytham Kenway e il figlio Connor? In quei frangenti il Gran Maestro Templare espone la sua versione dei fatti al giovane, mettendo in luce le fragilità del credo degli Assassini. Da quel preciso momento la serie ha iniziato a non vestire più soltanto il bianco o il nero, anzi ha ridefinito sé stessa con diverse tonalità di chiaroscuro. Assassin’s Creed Rogue, non ha fatto altro che trattare a fondo i temi di cui sopra, narrando – tra le altre cose – vicende un po’ più interessanti e circostanziate rispetto a quanto visto in “Black Flag”. Ubisoft ha quindi deciso di dare una seconda chance a questo titolo proponendolo in versione rimasterizzata per tutti i giocatori che vogliono saperne di più sul ciclo a stelle e strisce dell’opera. Il protagonista di Assassin’s Creed Rogue è diverso da tutti gli altri in quanto va oltre la fede nella sua fazione d’appartenenza, e cerca di vedere con i propri occhi ciò che è giusto o sbagliato, senza lasciarsi incantare da ideali predeterminati. Shay è un Assassino, ma non nutre più fiducia nel “credo”, colpevole – a suo dire – d’aver agito senza moralità alcuna. Pronto a tradire la causa della Confraternita pur di rispettare il suo codice d’onore, il protagonista si arruola così tra le fila del nemico, indossando le vesti di un Templare. Giocando ad Assassin’s Creed Rogue ci si accorge di come esso rimanga un capitolo di spessore all’interno della timeline, un tassello mancante che, sebbene non del tutto indispensabile, aiuta a fare chiarezza su alcuni snodi dell’epopea di Ubisoft. Laddove, almeno nelle premesse, la storyline tenti di imboccare sentieri alternativi a quelli canonici, ludicamente tutto resta estremamente tradizionale. Questo immobilismo, sia chiaro, non è per forza un male, specialmente se consideriamo che la base di partenza è la stessa di “Black Flag”, un gioco che ha saputo traghettare la serie verso lidi avventurosi e pirateschi. Ecco che, come nel quarto episodio, anche in Rogue le battaglie navali svolgono un ruolo centrale. La Morrigan è un’imbarcazione da domare, imbellettare, potenziare: si potrà così veleggiare tra le onde, godersi i panorami lontani, il sibilo della brezza, i canti marinareschi. Ancora oggi, se Rogue sopravvive alle intemperie degli anni, il merito spetta a questo instancabile gusto per i viaggi a bordo dell’imbarcazione, per le avvincenti battaglie navali, per i saccheggi e gli abbordaggi, per gli inseguimenti rocamboleschi fra le onde in tempests, per la scoperta di atolli deserti e tesori sommersi. Nel 2014, Ubisoft commise l’errore di proporre un’esperienza troppo simile a quella del suo predecessore uscito appena un anno prima, limitando fortemente lo stimolo, il gusto ed il desiderio di perdersi al largo dell’oceano. Ma oggi, dopo essere stati avvolti dal solleone d’Egitto con Origins (qui la nostra recensione) ed aver attraversato immense distese di sabbia, bagnarsi con l’acqua salata del mare trasmette una sensazione quasi di novità. In quanto a giocabilità, Assassin’s Creed Rogue non era particolarmente originale già quattro anni fa, e questa edizione rimasterizzata del prodotto non apporta alcun cambiamento. L’impostazione iniziale è esattamente quella di Black Flag: nelle primissime battute della storia si ottiene una nave e la si utilizza per muoversi all’interno di mappe marittime, alternando la missione principale ad attività collaterali. A questo si aggiungono le classiche missioni individuali per il brand, da effettuare in ambienti urbani più o meno estesi.

Se Edward Kenway si muoveva in un’unica mappa di Cuba e dintorni, l’avventura di Shay ne presenta due, la River Valley e l’Atlantico del Nord. Meno estese del predecessore, si differenziano per la natura e il clima, e presentano un paio di insediamenti minori accessibili senza caricamenti. L’unica ambientazione cittadina è New York, la cui mappa è in buona parte ripresa dal terzo capitolo della serie. Le meccaniche a disposizione del giocatore, a terra come in mare, sono sempre le stesse: arrampicata, mimetizzazione e stealth sono quelli ovviamente già visti in “Black Flag”, con la cerbottana sostituita da un fucile ad aria compressa. Allo stesso modo non sono cambiati né il sistema di guida della Morrigan né il suo sistema di potenziamento. Anche il combattimento, tanto in mare quanto a terra, non si muove da com’era sulle piattaforme old gen. Se la trama principale è ristretta in sei sequenze di ricordi, per una durata complessiva di circa una decina di ore, le attività collaterali sono come sempre abbondanti e tengono impegnati i giocatori per almeno il doppio del tempo. In Assassin’s Creed Rogue l’unico elemento effettivamente nuovo rispetto ai titoli precedenti è la possibilità di subire abbordaggi e non solo farli. Questa condizione avviene quando la Morrigan viene speronata con successo dal veliero avversario, cosa che obbligherà i giocatori a difendersi in corpo a corpo. Cacciare gli animali rimane comunque abbastanza velleitario, così come il potenziamento del personaggio, tanto che si finisce per concentrare tutte le finanze solo sulla Morrigan procurandosi i materiali con la pirateria. Per dare vita a questo Assassin’s Creed Rogue: Remastered, Ubisoft ha rimesso insieme buona parte del team originale, che con piacere è tornato a lavoro sulle gesta di Shay Cormac. Gli sforzi della squadra hanno permesso al gioco di offrire una risoluzione di 4K sia su Xbox One X che su PS4 Pro e di arricchire la presentazione visiva con una serie di accorgimenti grafici. Le texture in alta definizione, le luci e le ombre di qualità più elevata e una miglior effettistica in generale, non potranno che far piacere a coloro che vestiranno i panni del cacciatore di Assassini per la prima volta. I miglioramenti grafici e le differenze con le versioni della scorsa generazione sono evidenti anche su PS4 e Xbox One, che vantano tutte le migliorie di cui sopra e una risoluzione di 1080p. Sul fronte sonoro, Rogue si presenta bene grazie a un doppiaggio in Italiano sempre calzante e a una colonna sonora avvincente. Tirando le somme, se vi state chiedendo se vale effettivamente la pena di acquistare Assassin’s Creed Rogue Remastered, la risposta è sì, a patto che non lo abbiate giocato in versione “old gen” o siate dei fan sfegatati della serie che vogliono avere la collezione al completo. L’avventura di Shay è assolutamente godibile anche a 4 anni di distanza dalla sua uscita e se si vuole avere una visuale globale dell’intero universo della serie, non giocare questo capitolo sarebbe un vero e proprio errore.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8,5
Sonoro: 8
Gameplay: 8
Longevità: 7,5
VOTO FINALE: 8

 

Francesco Pellegrino Lise




Tutti pronti all’arrembaggio con Sea of Thieves

Sea of Thieves, il videogame sviluppato da Rare, in esclusiva per Pc Windows e per la famiglia delle console Xbox One, è arrivato sul mercato per stupire e divertire grazie a delle meccaniche di gioco inedite, uno scenario in stile piratesco, ma soprattutto grazie a un carico di ironia incredibile. Sea of Thieves è un titolo atipico, difficile da classificare per quanto riguarda il genere, ma in ogni caso si tratta di un’esperienza multiplayer esclusivamente online, a cui ci si può dedicare da soli, ma che moltiplica esponenzialmente il suo fattore di divertimento se giocato in compagnia di amici o altri players online. Infatti il suo punto forte risiede nella capacità di spingere alla cooperazione i vari componenti della ciurma, che devono imparare a collaborare sia per condurre degnamente il proprio vascello che per avere la meglio sugli altri equipaggi, ma anche per combattere, trovare tesori nascosti, esplorare velieri sommersi e molto altro ancora. Ma iniziamo dal principio. Dopo la breve presentazione iniziale, Sea of Thieves invita a creare un avatar digitale tramite un editor dei personaggi totalmente atipico. Un editor che a conti fatti non dà al giocatore la possibilità di scegliere e personalizzare il proprio pirata in tutti i suoi aspetti, ma consente solo di selezionare il proprio alter ego virtuale tra una serie di modelli pre-confezionati che si potranno scartare fino a trovare quello che più si avvicina al proprio ideale di vecchio lupo di mare. Una volta individuato il pirata che si controllerà in gioco, finalmente si verrà lanciati nel vivo dell’avventura di Sea of Thieves. Una volta iniziato si potrà scegliere di mettersi al comando di una “sloop”, imbarcazione di dimensioni ridotte adatta a un giocatore singolo o a una squadra di massimo due pirati, o di un più grande galeone, che consente di salpare in compagnia di una squadra da tre o quattro giocatori, sia con gli amici che tramite matchmaking online. Una volta che si sarà scelto come e con chi tuffarsi nel vivo dell’azione, i giocatori si troveranno all’interno di una locanda di uno degli Avamposti che caratterizzano i mari di Sea of Thieves, pronti a perdersi tra fantastiche avventure, mari insidiosi e misteri da svelare. E adesso? Bene, prima di acquistare il titolo è bene tenere a mente che ci si trova dinanzi a un vero e proprio simulatore piratesco, e infatti, in quanto i pirati erano uomini liberi, anche l’azione di gioco è totalmente libera.

Non c’è una storia da seguire, né un tutorial efficace che spieghi tutto ciò che il gioco è in grado di offrire. Il giocatore si troverà a vagare per le isole, interagendo con personaggi misteriosi che parleranno solo tramite indovinelli, per poi iniziare a capire lentamente quali sono i principi base di Sea of Thieves. Ben presto si comprenderà che tale scopo è andare alla ricerca di bottino tramite le immancabili Cacce al Tesoro, che consentiranno di guadagnare Oro, con cui acquistare nuovi oggetti estetici, e punti con cui migliorare la propria reputazione nei confronti di una delle tre fazioni disponibili nel gioco: i Cacciatori di tesori, l’Ordine delle Anime, che prevede missioni dove bisogna eliminare capitani scheletrici e ottenere i loro teschi maledetti, e l’Alleanza del Mercante che prevede la consegna di animali o merci entro un orario stabilito in un determinato avamposto. Portando a termine gli incarichi per una singola fazione, si guadagnerà reputazione e di conseguenza, man mano che questa crescerà, si avrà accesso a missioni più complesse e ovviamente remunerative. In Sea of Thieves però non ci sono pirati più forti, ma conta solo l’abilità del singolo e della squadra. Infatti il personaggio non potrà avanzare di livello e sarà privo di abilità e talenti con cui approcciare alle varie situazioni in modo differente. Allo stesso modo, armi e indumenti sono privi di perk o statistiche in grado di cambiare il gameplay in modo evidente. È così che ogni pistola sparerà esattamente allo stesso modo, ogni spada richiederà lo stesso numero di colpi per atterrare un avversario e ogni cannone infliggerà lo stesso tipo di danni a un vascello nemico. Ciò non vuol dire che in Sea of Thieves ci siano pochi oggetti da acquistare o da scovare, tutto il contrario, ma la differenza tra una pistola e l’altra è prettamente estetica e servirà solo a distinguere un più navigato vecchio lupo di mare da un novello marinaio che ha appena iniziato a giocare. Tale impostazione del gioco seppur da principio può far storcere il naso, in realtà è assolutamente giusta per un titolo di questo tipo. La gloria e il bottino si conquistano col sudore della fronte e non grazie ad abilità e potenziamenti assurdi. Insomma, Il gameplay sviluppato da Rare dona a tutti le stesse possibilità di colpire l’avversario e mandarlo al tappeto. Insomma, Sea of Thieves è un gioco spietato, dove vince il più bravo e, perché no, il più furbo, dove le squadre composte da un gruppo affiatato di pirati possono avere facilmente la meglio rispetto al povero pirata di turno che, al timone della sua “sloop”, stava cercando di riportare all’avamposto un misero forziere. Ma il titolo è anche quel gioco che punisce una squadra da 4 giocatori quando il singolo pirata sulla “sloop” sa come utilizzare la propria nave e dove colpire con i cannoni. Insomma, è un gioco di pirati, quindi scorrettezze, furti di bottino e vendette sono il sale e l’anima delle avventure in mare. Insomma, quando si gioca in gruppo la comunicazione tra i membri dell’equipaggio è fondamentale per sopravvivere in mare aperto.

In Sea of Thieves non si fa distinzioni tra comparto PvE e PvP e in qualsiasi momento si può essere attaccati da un gruppo di pirati intenzionati a rubare il bottino che con fatica si sta cercando di andare a vendere all’avamposto. In questi casi, ognuno deve essere in grado di gestire i ruoli nevralgici della navigazione per portare in salvo il bottino: il giocatore incaricato di salire sull’albero maestro può scrutare l’orizzonte e cercare di anticipare le mosse del nemico sfruttando il binocolo, che fa parte della dotazione standard di ogni giocatore ed è richiamabile tramite la ruota degli oggetti con uno dei tasti dorsali. Il pirata assegnato al cannone dovrà prestare particolare attenzione al movimento delle onde e calibrare il colpo adeguatamente, questo perché fallirlo potrebbe risultare fatale in quanto il nemico potrebbe rispondere al fuoco e trasformare la nave in un colabrodo. A questo punto il povero pirata addetto alle riparazioni delle falle nello scafo difficilmente potrà sistemare tutto in fretta e la nave si riempirà d’acqua. Se questo dovesse accadere, l’intera ciurma sarà condannata a colare a picco e a rinunciare al bottino. Anche perché una banda di manigoldi intenzionata a rubare i tesori che si sta disperatamente tentando di portare in salvo non esiterà mai a speronare, colpire con armi dalla distanza o cercare di abbordare pur di raggiungere il proprio obiettivo. Se si dovesse morire, niente paura, si verrà trasportati sul vascello dei dannati, ossia una nave fantasma sulla quale bisognerà attendere circa una decina di secondi prima di poter tornare in vita. Ogni volta che si risorgerà ci si troverà sulla propria nave. Se la nave è affondata invece, basterà avvicinarsi a una delle sirene, premere il tasto X e si verrà riportati su una nuova nave. A questo punto si potrà decidere se andare a vendicarsi o proseguire verso nuove avventure sperando di non essere presi nuovamente di mira. Ovviamente, navigando per mare non si è mai tranquilli e bisogna stare attenti ad alcuni eventi letali: ossia le tempeste e il temibile Kraken. Nel primo caso, ci si troverà in condizioni atmosferiche che renderanno estremamente difficile la navigazione, con la bussola completamente impazzita e il timone che farà resistenza e si sposterà dalla direzione opposta dove si sta cercando di manovrare. Ma non è tutto: tra fulmini che possono danneggiare la nave e la ciurma, onde altissime che assieme alla pioggia possono far imbarcare acqua o, peggio, celare uno scoglio che potrebbe distruggere il galeone, navigare nel bel mezzo di una tempesta potrebbe essere una delle esperienze più dure o esaltanti da affrontare. Per quanto riguarda il Kraken, la pericolosità è differente, infatti mentre si sta navigando tranquillamente verso una qualsiasi rotta, le acque attorno la nave si tingeranno di nero e dei giganteschi tentacoli dapprima si erigeranno verso il cielo con fare minaccioso e poi tenteranno di stritolare la barca, catturare per divorare i pirati e generalmente sterminare l’intero equipaggio che così perderà nave, bottino e ovviamente reputazione. Oltre a tutto questo, in gioco sono presenti i fortini o raid. Questi sono eventi periodici evidenziati da un’enorme nube a forma di teschio, che saranno facilmente riconoscibili all’orizzonte. Dirigendo verso la sua direzione ci si troverà di fronte a una attività sensibilmente diversa, in cui è necessario affrontare orde composte da decine e decine di non morti fino all’immancabile boss, che una volta sconfitto lascerà cadere una chiave speciale che darà accesso a una stanza stracolma di tesori. A questo punto bisognerà trasportare quanti più tesori possibili sulla nave e cercare di farla franca fino all’avamposto più vicino, così da ottenere un quantitativo di reputazione superiore rispetto alle missioni classiche. Ovviamente essendo la nube a forma di teschio ben visibile a tutti, è molto probabile che ci si troverà a dover combattere con altre ciurme che vorranno mettere le loro mani sul bottino. Oltre a tutto questo, sul proprio cammino ci si potrà imbattere in, messaggi in bottiglia, oggetti di valore abbandonati e relitti affondati che celano casse di merci rare, teschi maledetti o tesori da scambiare per danaro e punti esperienza dai relativi “vendor”. Da quello che abbiamo potuto comprendere, quando si raggiungerà il livello massimo con le tre fazioni, si potrebbe sbloccare qualcosa di speciale che allungherebbe ancora di più la lista delle cose da fare. L’unica cosa da fare per scoprirlo è giocare.

Se tutto questo però non dovesse bastare, è importante sapere che Rare sta sviluppando e svilupperà costantemente migliorie e nuovi contenuti per un’esperienza di gioco ancora più grande. Detto questo è bene citare anche la componente goliardica, affrontare i viaggi suonando con ghironde e fisarmoniche canti marinareschi o ubriacarsi in taverna vomitando addosso i compagni mentre la realtà e i suoni si distorcono è sempre una scena esilarante da vivere e da ripetere nei momenti di stanca. Per quanto riguarda il comparto tecnico di Sea of Thieves, i ragazzi di Rare hanno svolto un lavoro davvero superbo. A partire dalla resa del mare, d’incredibile realismo per un gioco che ha tra i suoi punti di forza una grafica volutamente fumettosa. I cavalloni si infrangono in credibili spruzzi e il moto ondoso, influenzato da vento, correnti e scogliere, è quanto di più bello si sia mai visto in un gioco negli ultimi anni. Tramonti, albe, ma anche tempeste e cieli stellati completano una fotografia degna di essere innalzata verso l’olimpo del gaming. Ovviamente il comparto video da urlo è accompagnato da un audio decisamente buono. Gli effetti sonori molto più realistici di quel che ci si aspetterebbe da un titolo che da un lato simula e dall’atro gioca sull’argomento pirati e sono accompagnati da una colonna sonora a tema, che alterna pezzi inediti ad arrangiamenti in salsa corsara di canzoni famose. Tirando le somme, se avete nostalgie di quell’universo magico che solo Monkey Island era riuscito a creare nei lontani anni ’90, oppure avete semplicemente voglia di solcare le onde con i vostri amici, questo Sea of Thieves vi stupirà. Ovviamente se si gioca da soli il titolo perde molto, ma la possibilità di utilizzare il matchmaking e stringere nuove amicizie fa si che questo piccolo ostacolo si possa superare facilmente. A parere nostro non giocare l’ultima fatica di Rare sarebbe un vero peccato, in quanto introduce finalmente un genere di gioco tutto nuovo, in grado di tenere incollati allo schermo anche per mesi.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9
Sonoro: 9,5
Gameplay: 8,5
Longevità: 9
VOTO FINALE: 9

 

Francesco Pellegrino Lise




A.O.T. 2, il sequel del videogame ispirato al manga best seller

Koei Tecmo ha da poco lanciato A.O.T. 2 (Attack on Titan), il nuovo capitolo della colossale serie action per PlayStation 4, Nintendo Switch, Xbox One e Steam. In questo sequel è possibile rivivere la caotica e frenetica azione del manga attraverso gli occhi di un cadetto creato su misura; con una nuova prospettiva del tutto nuova sugli iconici eventi della serie. I giocatori sperimenteranno la nuova e migliorata Omni-Directional Mobility Gear, che offrirà un’avanzata libertà di movimento e una precisa mira utile per contrattaccare le mosse potenziate dei Giganti. Per chi non lo sapesse “L’Attacco dei Giganti” o “Attack on Titan” è un’opera congegnata da Hajime Isayama e questa produzione ha riscosso un grosso successo negli ultimi anni grazie alla sua storia capace di tenere alta l’attenzione di tutti gli appassionati sparsi per tutto il globo. La serie videoludica di questo franchise – sviluppata dagli sviluppatori di Omega Force – è riuscita anch’essa a meravigliare gli utenti attraverso meccaniche innovative, adrenaliniche e soprattutto molto simili alla controparte su carta e trasmessa successivamente in versione anime in tv.

Per quanto riguarda la trama, il gioco, come anche il manga, è ambientato in un mondo di fantasia dove la razza umana è stata quasi decimata dalla prima apparizione di giganti, ossia colossi molto simili all’uomo per le fattezze, ma dotati di intelligenza molto limitata. La loro natura li spinge a uccidere gli uomini e non hanno particolari necessità di cibo e acqua per vivere. L’unica salvezza per il genere umano è rappresentata da tre cinta di mura gigantesche chiamate Wall Maria, Wall Rose e Wal Sina, rispettivamente dalla più esterna a quella più interna. Per garantire una maggiore protezione da eventuali attacchi, la civiltà in questione ha sviluppato un’organizzazione militare che comprende tre rami con altrettanti compiti: il Corpo di Guarnigione (responsabile della difesa delle città e della manutenzione delle mura), il Corpo di Gendarmeria (garante dell’ordine pubblico) e infine il Corpo di Ricerca (soldati ricognitori che si spingono oltre alle mura alla ricerca di nuove informazioni sui giganti per poterli finalmente annientare). Dopo molti anni di sconfitte e di morti, l’uomo ha congegnato una particolare attrezzatura, l’ Omni-Directional Mobility Gear, che permette di effettuare il cosiddetto “Movimento Tridimensionale”. Questa tecnologia consente a un semplice soldato di “volare” attraverso l’utilizzo di rampini lanciati a grande velocità e a gas ad alta pressione. La storia inizia nell’anno 845 quando appare dal nulla un gigante – denominato Gigante Colossale – capace con un solo calcio di perforare Wall Maria, nel distretto di Shiganshina. Questo avvenimento ha concesso a tanti giganti di intrufolarsi nelle mura di cinta e di conseguenza mangiare molti umili cittadini che vivevano nelle vicinanze. In questa tragedia riescono a salvarsi tre bambini – i protagonisti della saga di Attack on Titan – Eren Jaeger, Mikasa Ackermann e Armin Arelet. I tre sono accomunati dalla stessa storia e intraprendono una carriera militare per combattere l’avanzata nemica e di vendicarsi della morte dei propri cari. Fin dai primissimi minuti A.O.T.2 spiega questi avvenimenti attraverso una serie di filmati molto brevi e successivamente consente agli utenti di creare un proprio personaggio che affiancherà quelli descritti in precedenza e agli altri membri del 104esimo corpo dei cadetti. L’alter-ego viene introdotto nella narrazione come un “soldato anonimo” presente nella trama originale dell’anime e la storia viene raccontata attraverso gli occhi di quest’ultimo.

Esattamente come il suo predecessore, A.O.T. 2 offre una corposa Modalità Storia che, a dispetto dei pronostici, permette al giocatore di rivivere non solo gli eventi della seconda stagione dell’anime, ma anche di ripercorrere ancora una volta le vicende raccontate nella prima serie televisiva e nel videogioco lanciato soltanto due anni fa. Tutto ciò rappresenta un perfetto punto di partenza per chiunque non abbia provato il precedente titolo. A.O.T. 2 presenta però una fondamentale differenza rispetto al suo predecessore, ossia, come già detto qualche riga più in alto, la possibilità di creare un proprio avatar personalizzabile e di riscoprire la travagliata storia del fumetto best seller attraverso un nuovo punto di vista. Cresciuto nel piccolo distretto di Shiganshina, cosa che difatti lo rende un coetaneo di Eren Jeager, Mikasa Ackerman e Armin Arlert, il protagonista creato dal giocatore è uno dei pochi superstiti del tremendo attacco perpetrato all’inizio della vicenda dal Gigante Colossale e dal Gigante Corazzato, il quale, durante l’incidente, finisce col renderlo orfano. Salito per caso a bordo di un vascello di soccorso, il giovane si imbatte proprio nello stesso Eren, il quale compie l’ambiziosa promessa di sterminare ogni singolo titano; è proprio questo fatidico incontro a spronare anche l’avatar, rimasto ormai solo, ad unirsi al 104° Corpo Cadetti per diventare un soldato, soddisfare la propria sete di vendetta e riprendersi la città perduta. Dopo aver personalizzato l’aspetto, l’abbigliamento e persino il sesso del protagonista controllato dal giocatore, A.O.T. 2 pone i gamers subito dinanzi ad una delle più interessanti novità della modalità Storia, ossia la cosiddetta “Vita quotidiana”. Mentre la prima incarnazione della saga si limitava a proporre una lunga selezione di missioni cui prendere parte in rapida successione, il nuovo episodio intervalla le suddette spedizioni con lunghi via vai per le strade delle tantissime location esplorabili. Tra un incarico e l’altro, durante le fasi di vita quotidiana, l’avatar può quindi scoprire dei nuovi negozi e altrettanti servizi, ma soprattutto iniziare una conversazione con i personaggi originali del cast, al fine di incrementarne l’affezione, approfondirne la caratterizzazione e sbloccare nuove abilità. Ogni personaggio dispone infatti di un parametro relativo all’amicizia, il quale sale di livello attraverso una serie di azioni che spaziano dalla collaborazione sul campo di battaglia alla scelta delle giuste risposte durante i dialoghi tenuti fra i vari attori principali. Compiacendo i compagni e instaurando legami sociali sempre più saldi, l’avatar eredita di volta in volta le abilità dei commilitoni, consentendo al giocatore non solo di apprendere dei gustosi aneddoti inediti sui propri beniamini, ma persino di personalizzare il personaggio controllato per tutta la durata della campagna principale. A patto di disporre di un adeguato numero di Punti Abilità, l’avatar può invero equipaggiare tutte le capacità altrui, le quali corrispondono a nuove azioni o a poderosi incrementi in termini di statistiche, mentre altre ancora tornano utili durante le imprese di tutti i giorni. Alternando sapientemente le missioni e la vita quotidiana, la modalità storia di A.O.T. 2 vanta dunque una longevità di tutto rispetto che, nel caso in cui si decida di approfondire i legami con tutti i vari personaggi del gioco e svelare dei retroscena assenti persino nell’anime e nel manga originale, potrebbe portar via diverse decine di ore.

Tra le nuove caratteristiche di A.O.T. 2 c’è l’Azione di Squadra sul campo di battaglia; che include opzioni di supporto offerte dai membri del proprio team. Le opzioni includono Salvataggio, Recupero e la Titan Transformation; quest’ultima offre a un membro del team il potenziale per sbloccare il potere dei Giganti. Con i Giganti in grado di sfoggiare movimenti potenziati, gli Scout dovranno usare strategicamente un arsenale di nuove abilità per sopravvivere; dagli attacchi evade-style, come l’abilità dell’azionamento a gancio, agli attacchi furtivi di lunga portata, strategicamente studiati con l’aiuto del nuovo strumento monoculare. Persino il terreno di gioco, in questa seconda incarnazione del brand, assume un’importante valenza strategica. Se in passato i giocatori erano soliti sfruttare i compagni per rifornirsi di oggetti, cambiare le lame smussate del proprio equipaggiamento e fare il pieno di gas, A.O.T. 2 ha invece introdotto le basi, che spaziano da quelle estrattive, utili per recuperare materiali rari, a quelle d’artiglieria automatizzata, per sottomettere i titani a colpi di cannone. In questo caso, tuttavia, gli insediamenti alleati non saranno sempre disponibili sulla mappa, ma dovranno essere edificati sul posto attraverso l’uso degli appositi segnali di costruzione, recuperabili completando le missioni secondarie. Di conseguenza, se in passato la principale attrattiva di A.O.T. era rappresentata dagli scontri con gli Anomali – titani particolarmente ostici e dal comportamento imprevedibile, in grado di neutralizzare qualsiasi manovra evasiva – tutte le nuove meccaniche proposte dal team di sviluppo introducono un genuino livello di strategia che, ai livelli di difficoltà più elevati, saprà soddisfare anche i giocatori più “skillati”. Come nel precedente episodio, ciascuna vittoria premia con i Fondi Corpo, necessari per acquistare oggetti e costruire nuove attrezzature. Personalizzabile durante la vita quotidiana, l’armamentario ripropone il semplicissimo sistema di crafting già esaminato due anni fa, con l’unica eccezione che stavolta i giocatori avranno accesso a una gamma di armi ben più variegata. In A.O.T. 2, i giocatori potranno anche divertirsi in una delle nuove modalità online appena introdotte, ossia la modalità Annihilation; una tipologia di gioco 4v4 dove gli Scouts dovranno competere per raggiungere il punteggio più alto, sconfiggendo Giganti e catturando basi. Inoltre potranno combattere l’uno contro l’altro per ottenere il miglior punteggio e ascendere in cima alla leader board. Nella modalità storia Co-op, invece, i giocatori potranno richiedere l’aiuto dei loro amici mentre completano l’avvincente trama della storia principale. Quanto detto fino a ora però è solo l’inizio in quanto una nuova accattivante modalità online, con Giganti giocabili, sarà disponibile dopo il lancio. Dal punto di vista estetico A.O.T. 2 si rivela un titolo estremamente piacevole da vedere, tanto quanto, a suo tempo, lo era stato il predecessore. Il confronto diretto non è casuale: eesattamente come Wings of Freedom, questo seguito punta forte sulla bontà del suo cel shading, su una costruzione poligonale buona e sulla perfetta riproduzione dei modelli di tutti i personaggi principali della serie di riferimento. I filmati in computer grafica potrebbero essere tranquillamente scambiati per quelli originali, come originali sono anche le voci dei doppiatori giapponesi (con sottotitoli in italiano), che offrono grandi prove recitative, talmente buone da andare oltre la barriera linguistica e veicolare eccellentemente le emozioni dei personaggi. I passi avanti più evidenti rispetto al primo titolo sono stati fatti a livello di ambientazioni, che, pur rimanendo un gradino sotto ai modelli dei personaggi in quanto a dettaglio e pulizia, si sono dimostrate assai più varie e particolareggiate di quelle del capitolo precedente. A livello di performance, il framerate è sempre stabile, con cali minimi e mai che pesano sul gameplay, con tempi di caricamento decisamente brevi in ogni frangente. Tirando le somme, con A.O.T. 2 gli amanti della serie saranno assolutamente felici di trovarsi fra le mani un prodotto solido, bello da vedere, da giocare e da condividere assieme ai propri amici online.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8,5
Sonoro: 9
Gameplay: 8,5
Longevità: 8,5
VOTO FINALE: 8,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Final Fantasy XV è ancora più grande con la Royal edition

Final Fantasy XV Royal Edition è un nuovo pacchetto completo pensato per i possessori di PlayStation 4 e Xbox One. Forte di una mole immensa di contenuti, il dlc permette di giocare per ore e ore in uno degli universi più ispirati della serie. Il gdr uscito due anni fa (qui la nostra recensione dell’edizione di lancio 2016) continua quindi ad arricchirsi di novità e aggiornamenti che lo rendono ancora più unico nel suo genere. Final Fantasy XV Royal Edition è davvero quanto di meglio si possa desiderare per gli appassionati del titolo anche se lascia ancora spazio per il futuro, infatti, questa versione del gioco non comprende al suo interno i futuri contenuti annunciati da Square Enix, ma si “limita” a unire in un unico pacchetto il gioco base, il “season pass”, tutti gli oggetti DLC rilasciati singolarmente (fra cui l’utilissimo Booster Pack) e, ultimo ma non meno importante, il Royal Pack, ultimo arrivato del Final Fantasy XV Universe. Si tratta di una versione pensata per i giocatori che, volenti o nolenti, non hanno vissuto il titolo al lancio e non hanno accesso alla Windows Edition per PC; tutti gli altri potranno invece acquistare singolarmente il Royal Pack, in formato digitale, dai rispettivi store online, al prezzo di listino di 14,99 Euro. Tra contenuti scaricabili aggiuntivi, add-on, zone extra, nuovi nemici e missioni secondarie ci si trova quasi dinanzi ad una versione raddoppiata del titolo canonico. L’elemento forse più interessanti di tutti è l’aggiunta di una nuova zona finale, le Rovine di Insomnia, che presenta adesso nemici come Cerberus e Omega. Qui, inoltre, sarà possibile affrontare gli antichi sovrani del mondo di gioco. Una maggiore libertà nell’esplorazione del mondo di Eos, inoltre, viene ora garantita dalla presenza dello Yacht del padre di Noctis, col quale si potrà salpare tra le acque di Capo Caem e quelle di Altissia. Con l’imbarcazione è possibile accedere anche a nuovi pesci e ricette, aggiunta che farà la gioia dei collezionisti. Ma il pacchetto offerto da Final Fantasy XV Royal Edition è significativo anche per la quantità di oggetti che mette a disposizione dei giocatori. Ci sono più di una dozzina di contenuti liberamente scaricabili, tra armi, verniciature per la Regalia, la vettura di Noctis, e dei set di oggetti. Ci sono inoltre tutti i DLC dedicati ai personaggi secondari, che ampliano le ore di gioco offerte: Episode Gladio, Episode Prompto, l’espansione Online Comrades, e Episode Ignis.

La stessa Regalia ora può essere potenziata al modello Type-D per guidarla anche fuori strada. Persino la mitologia e le leggende dei vari luoghi sono state perfezionate, ampliate e approfondite, permettendo di saperne di più su un mondo già di per sè ricchissimo e affascinante. Tirando le somme si può dire che Final Fantasy XV Royal Edition è finalmente il titolo che tutti si aspettavano già nel 2016, ossia: un gioco completo, al pieno delle sue possibilità, dove sicuramente c’è ancora qualcosa da migliorare, come sempre, ma tutto quello che è presente funziona come dovrebbe. Questa Royal edition di Final Fantasy XV include una tale mole di contenuti da giustificare ancora una volta il prezzo pieno, perché nella sostanza aumenta di almeno 25 ore l’esplorazione, l’approfondimento e la raccolta di collezionabili. Oltre ad offrire tanti spunti secondari nel corso della stessa avventura. Se avete già giocato Final Fantasy XV, potete avere l’occasione di riscoprire il titolo, e vi sembrerà ancora freschissimo come due anni fa, questo perché, vi ricordiamo, il gioco base nonostante fosse “troncato” in alcuni punti poggiava su fondamenta solidissime, una trama avvincente, e quindi possedeva tutte le carte per essere ricordato come uno degli episodi più epici della saga di Final Fantasy.

 

GIUDIZIO FINALE 9

 

Francesco Pellegrino Lise




Devil May Cry HD Collection, Dante torna su Pc, Xbox One e Ps4

Quando un gioco scrive la storia di un certo periodo del gaming è più che giusto riproporlo in versione rimasterizzata per le generazioni successive di console. Questo è proprio il caso della Devil may Cry Hd Collection, ossia un’edizione che ripropone i primi tre capitoli della serie che hanno reso Dante, il carismatico protagonista che indossa l’iconico cappotto di pelle rossa, un vero simbolo per tutti gli appassionati di videogames. Devil May Cry, al tempo in cui fu lanciato, ossia nel lontano 2001, rappresentava la perfetta incarnazione di un gioco destinato a scrivere la storia. Prodotto da Capcom, una software house che negli anni ’90 aveva già ampiamente contribuito a definire i contorni del mercato e che era destinata a farlo anche in futuro, con il primo capitolo di questa saga la casa nipponica contribuì al grandioso successo dell’era PlayStation 2. Adesso a distanza di 17 anni è arrivata la possibilità di rispolverare questi ricordi, grazie alla HD Collection di Devil May Cry che Capcom ha pubblicato su PS4, Xbox One e PC. Il lavoro svolto dal team di sviluppo, però, non riesce però a rendere il giusto merito all’epicità dei primi 3 capitoli della serie, infatti la HD Collection rappresenta di fatto una versione leggermente ammodernata dell’omonima pubblicazione già arrivata ben sei anni fa sulle console della scorsa generazione (PS3 e Xbox 360). L’aggiornamento tecnico, sostanzialmente relegato all’incremento della risoluzione, risulta essere troppo marginale per giustificare il prezzo di (ri)lancio. Il problema attorno al quale ruota l’intera produzione di questa HD Collection, infatti, risiede nell’aver riproposto tre titoli che non sono stati minimamente rivisti dal punto di vista tecnico. Tutte le cutscenes, dal primo al terzo capitolo, sono rimaste inalterate, accompagnate da una scarsa pulizia delle texture e un’immagine “stretchata” che soprattutto nei sottotitoli e in tutti i testi che supportano l’esperienza si mostra in maniera fastidiosa. Tutte le schermate d’intermezzo, tra cui quella che anticipa ogni livello oppure tutti i menù, comprese le animazioni delle armi – soprattutto quelle del primo capitolo – non hanno subito alcun tipo di modifica e sono state proposte così come erano originariamente.

Il passaggio dalle scene di intermezzo, rimaste in bassa risoluzione, ai momenti di gameplay è visibile, soprattutto perché i secondi godono di una pulizia maggiore, di un tentativo di proporre una risoluzione quantomeno più gradevole: il tutto viene sicuramente supportato adeguatamente da quelli che sono gli fps che assicurano una fluidità al titolo non solo molto alta, ma anche molto stabile, aspetti che non sono da sottovalutare e che danno un valore sicuramente più alto alla saga. Dall’altro lato, però, la telecamera continua ad avere le medesime problematiche che presentavano i Devil May Cry originali, con dei ribaltamenti della visuale che nelle stanze più anguste risultano essere abbastanza fastidiosi. L’immagine, poi, resta a 4:3 quando Dante raccoglierà un oggetto, andando a contrastare i 16:9 delle scene normali con delle bande nere laterali e con un fondale opaco e sfocato. E’ importante segnalare che se la versione PC riesce a offrire una risoluzione in 4K, quella per console non si sposta dai 1080p, confermando che il lavoro svolto non si discosta tantissimo da quanto proposto al pubblico sei anni fa. Complessivamente, per chi volesse lanciarsi in una malinconica “operazione nostalgia”, o per chi avesse intenzione di comprendere e scoprire l’epoca d’oro degli action 3D, giocare alla trilogia di Devil May Cry resta un passaggio obbligato e fortemente consigliato. Quello che però risulta davvero difficile da giustificare è l’operazione commerciale alla base di questa raccolta in alta definizione. È davvero poco comprensibile come, sei anni dopo l’uscita della HD Collection per PS3 ed Xbox 360, il publisher non abbia trovato il tempo necessario a sistemare questi problemi, rendendo la trilogia originale di DMC pienamente godibile anche su questa generazione di console. Se siete appassionati della saga o siete semplicemente intenzionati ad acquistare questo titolo è importante sottolineare che se il capostipite della serie e il suo seguito vanno essenzialmente affrontati con spirito da retrogamer, senza doversi aspettare miracoli grafici, mentre il terzo episodio è ancora oggi godibile senza troppi compromessi. Ma i problemi di questa raccolta sono indipendenti dalla qualità dei titoli che contiene. Capcom si è limitata a prendere una trilogia pubblicata durante la scorsa generazione, ne ha aumentato la risoluzione, ma ha lasciato inalterate le cut-scene e i menù. Tale rimasterizzazione a metà non giustifica il costo pieno del prodotto e potrebbe far storcere la bocca a chi si aspettava una messa a nuovo di una delle serie più importanti del mondo del gaming. Tirando le somme, se avete nostalgia dei primi tre episodi della saga, oppure volete far vedere ai vostri figli come erano i videogames quasi 20 anni fa, questa raccolta fa per voi. Nel caso contrario, se avete già spolpato questi titoli quando uscirono o avete giocato la collection su Ps3 o Xbox 360, il suo acquisto potrebbe sembrare superfluo.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 5,5
Sonoro: 6
Gameplay: 6
Longevità: 6,5

VOTO FINALE: 6

 

Francesco Pellegrino Lise




Metal Gear Survive, lo spin-off della saga Konami arriva su Xbox One, Ps4 e Pc

Prima di entrare nel vivo della recensione è bene premettere che Metal Gear Survive deve essere visto e valutato per quello che è, ossia un semplice spin off ambientato nell’universo della serie, un episodio a sè che non si propone in alcun modo di continuare o arricchire la storia pensata da Hideo Kojima. Metal Gear Survive non si vuole presentare agli occhi del mondo come un nuovo capitolo della saga principale, pertanto, il titolo sarà da noi descritto e valutato proprio come un videogame del tutto slegato dalle opere di Kojima ed è proprio con questo spirito che bisognerebbe giocarlo.

La trama di Metal Gear Survive ha inizio nel 1975, durante l’attacco contro Big Boss alla Mother Base, l’ormai celebre piattaforma marittima e sua base delle operazioni

Come ormai gli appassionati della saga sapranno, l’attacco è andato a buon fine, e Big Boss si trova costretto a scappare insieme a Miller e a pochi altri superstiti. Poco dopo la sua fuga, però, si apre nel cielo un grosso wormhole che risucchia al suo interno tutto quello che trova. La scena si concentra su due soldati in particolare, il protagonista, e un compagno, Seth. Sfortunatamente non si riesce a salvarlo e Seth viene risucchiato nel portale mentre l’alter ego virtuale di chi gioca cadrà a terra perdendo i sensi e venendo dato per morto. Dopo circa sei mesi da questo fatto, il protagonista sarà risvegliato in una struttura appartenente alla Sezione Wardenclyffe, un’organizzazione di ricerca segreta del governo, e un uomo soprannominato Goodluck aggiornerà il giocatore sulla situazione. Goodluck frà sapere che il Wormhole collega il mondo a una dimensione alternativa dove si è diffusa un’infezione che trasforma gli umani in creature simili a zombie, e spiega inoltre che il contatto del protagonista con esso lo ha infettato. A questo punto verrà assegnata la missione che bisognerà portare a termine, ossia: attraversare il wormhole e raggiungere Dite, cioè la destinazione da raggiungere, trovare una cura per l’infezione e salvare gli eventuali superstiti. Una volta ascoltato il brief e ottenuto il soprannome di “capitano”, il protagonista sarà pronto a partire per la sua missione. I primi due personaggi con cui si farà conoscenza su Dite saranno Reeve, un soldato che combatteva nello schieramento opposto sulla Mother Base, e Virgil, una IA dalla doppia personalità che guiderà il giocatore durante la sua permanenza su Dite. A questi, nelle circa 20 ore necessarie a terminare la storia principale, se ne affiancheranno poi altri: un’infermiera di nome Miranda e un poliziotto di nome Nicholas. Nonostante l’incipit da principio possa sembrare un po’ forzato, la narrazione della storia risulta nel suo complesso scorrevole e molto coinvolgente, senza momenti morti e coniata perfettamente per un titolo di questo genere.

Metal Gear Survive si presenta infatti come un Survival nel senso più classico del termine: dall’inizio alla fine della storia l’obiettivo principale sarà sempre lo stesso: sopravvivere. Sin dal primo minuto sarà necessario tenere sotto controllo due statistiche fondamentali, ovvero la fame che rappresenterà la vita massima, e la sete da cui invece dipenderà la stamina, ossia, l’energia necessaria per scattare, arrampicarsi o camminare accovacciati. A queste due, poche ore dopo l’inizio del viaggio su Dite se ne aggiungerà una terza, l’ossigeno, che non servirà nell’area principale, ma che verrà consumata durante le spedizioni nella “polvere”, ossia l’area dominata dagli infetti. Una volta raggiunto il campo base il giocatore avrà a disposizione solo un’area quasi senza difese e con soltanto poche strutture quali: un falò per cuocere il cibo o i banchi da lavoro per craftare gli indumenti, le armi e gli accessori. Tutte le ricette per gli equipaggiamenti e per le postazioni potenziate andranno trovate durante le spedizioni nella polvere. Un discorso simile vale anche per le risorse: tutto ciò che è necessario per costruire strumenti e molto altro ancora bisognerà trovarlo in giro, tra casolari abbandonati e rottami sparsi per la mappa. Queste risorse, da quelle alimentari ai materiali per costruzioni, ricompariranno ciclicamente negli stessi punti. Per ricordare le zone esatte dove si trova un determinato materiale interviene una feature della mappa di gioco molto interessante, che offre la possibilità al giocatore di posizionare a dei segnalini specifici come ad esempio una goccia d’acqua per indicare la presenza di risorse idriche o una testa di pecora per indicare dove poter trovare animali erbivori da cacciare. La mappa di gioco, da principio, sarà completamente oscurata, fatta eccezione per la zona del campo base, e ad ogni rientro da una spedizione si aggiornerà mostrando la morfologia ed eventuali punti di interesse delle zone che sono state esplorate. Gli equipaggiamenti, divisi per rarità attraverso i colori bianco, verde, blu, viola e arancione, sono davvero molti, tra armi corpo a corpo, armi da fuoco, granate e gadget vari. Quindi da questo punto di vista Metal Gear Survive offre una gran varietà. Durante le battaglie sarà possibile inoltre costruire barricate o torrette fisse per aiutare il protagonista a sopravvivere contro le ondate di mostri che si avventeranno su di esso. Armi e costruzioni potranno inoltre avere un danno elementare di fuoco, elettrico o ghiaccio, naturalmente con effetti differenti a seconda del tipo di nemico che bisognerà affrontare. Per quanto riguarda lo sviluppo e la crescita del protagonista, per farlo crescere di livello sarà necessario consumare punti Kuban, ossia la risorsa base del gioco, disponibile presso l’apposita postazione. Questa risorsa potrà essere facilmente ottenuta uccidendo i mostri e raccogliendola dai loro corpi morti, e ad ogni level up si otterrà un punto abilità che sarà possibile spendere per potenziare gli attributi base: forza, vitalità, destrezza e resistenza, o per sbloccare nuove mosse per danneggiare i nemici.

https://www.youtube.com/watch?v=gOb020icOzk

Metal Gear Survive, nonostante non riesca ad offrire una gran varietà di missioni da svolgere, offre la possibilità di giocare in maniera cooperativa online. Infatti, in qualsiasi momento, si potrà usare il proprio personaggio per giocare con altri players in missioni di recupero, una sorta di modalità ibrida fra orda e tower defense, in cui sarà necessario difendere punti specifici. Al contrario delle attività, le creature qui si differenziano molto bene tra di loro e oltre ai vaganti, ossia gli zombie più semplici, sono presenti anche gli striscianti, dei ragni giganti, le vedette, i kamikaze, i cercatori, gli afferratori e i temibili lanciatori. Le missioni multiplayer, purtroppo, soffrono di un’alta dose di monotonia, più di quanto avvenga nella modalità single player, dove la creazione della base permette di avere una gestione più variegata e un’offerta più interessante. In ogni caso l’esperienza in compagnia di altri tre amici è appagante, per le prime occasioni, e riuscirà a donare qualche interessante variante all’esperienza in solitaria nelle lande di Dite. Per quanto riguarda la grafica, il comparto tecnico si presenta molto solido grazie al Fox Engine, che non ha di certo bisogno di presentazioni: la campionatura sonora appartiene a quella che è presente in Metal Gear Solid V e non stona con il resto dell’esperienza, che dal punto di vista visivo pianta bene i piedi a terra e non dà spazio a incertezze o imperfezioni. Tirando le somme, con questo Metal Gear Survive Konami lancia sul mercato un’interessante variante alla storia canonica di Ideo Kojima. Metal Gear Survive paga lo scotto del nome che porta, ma trascina l’eredità e l’iconografica della saga nell’ambito dei survival, inventandosi una linea temporale alternativa per raccontare una storia sicuramente meno credibile, ma non per questo priva di spunti interessanti. Creando un sistema di progressione tripartito, basato sullo sviluppo di personaggio, equipaggiamento e base, il titolo riesce a valorizzare in maniera convincente delle meccaniche survival basilari ma efficaci. Quello che stupisce è però la struttura della campagna e la quantità di contenuti presenti dopo trenta ore di gioco, infatti, Metal Gear Survive propone un endgame suddiviso tra missioni co-op ed una fase esplorativa rinvigorita dalla presenza di boss inediti e sottoclassi da potenziare. Allo stato attuale dei fatti il punto debole del prodotto è soprattutto la monotonia del multiplayer, che spesso diventa meccanico, anche se non risulta mai banale o poco impegnativo. Per quanto per i puristi della serie sia legittimo non avere in simpatia Metal Gear Survive, chiunque deciderà di avvicinarsi al titolo con mente aperta, troverà nel prodotto di Konami un gioco di sopravvivenza più che discreto, che potrebbe addirittura migliorare nel caso in cui il supporto post-lancio sia costante e continuo. Insomma, Metal Gear Survive, seppur non fa gridare al miracolo, offre un’esperienza di gioco appagante, un livello di sfida buono e molte ore di sano divertimento.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8,5
Sonoro: 8
Gameplay: 8
Longevità: 7,5
VOTO FINALE: 8

 

Francesco Pellegrino Lise




Rainbow Six Siege si espande ancora, disponibili i primi contenuti dell’anno 3

Ubisoft annuncia che l’evento “Outbreak”, due nuovi operatori dell’Operazione Chimera e il primo principale aggiornamento dei contenuti del terzo anno di Tom Clancy’s Rainbow Six Siege sono ora disponibili per console e PC. I nuovi contenuti saranno accompagnati anche da alcune modifiche selezionate alle diverse edizioni del gioco, annunciate per la prima volta durante il “Six Invitational”. Il season pass anno 3 è disponibile sia su Pc che su Xbox One e PlayStation4.

Primi contenuti del terzo anno:

I due nuovi operatori di questa stagione sono specializzati in attacchi biologici e, oltre a essere giocabili nel multiplayer competitivo dell’Operazione Chimera, dovranno affrontare una serie minaccia nel primo evento in cooperativa del gioco: Outbreak. Provenienti rispettivamente da Francia e Russia, “Lion” e “Finka” sono veterani delle minacce biologiche, vantando una lunga esperienza in numerosi conflitti con armi biochimiche, ma anche l’unica speranza del team Rainbow di contenere l’infezione del parassita misterioso che ha colpito la piccola cittadina di Truth or Consequences, nel Nuovo Messico. Outbreak è una modalità in cooperativa per tre giocatori a tempo limitato che costringerà i giocatori a rivedere le proprie strategie e affidarsi ai propri compagni di squadra come mai prima d’ora, portando la tensione dei combattimenti ravvicinati contro un nuovo nemico che va ben oltre la minaccia terroristica, ovvero: civili colpiti da una mutazione dovuta allo schianto di un meteorite alieno.

Aggiornamenti aggiuntivi del terzo anno:

Tra i principali cambiamenti del terzo anno annunciati sempre al “Six Invitational”, il team di sviluppo ha svelato alcune novità per le edizioni del gioco del terzo anno, che garantiranno una maggiore accessibilità e una migliore progressione ai nuovi utenti di Siege. Da oggi, il costo in Fama dei 20 operatori originali e di tutti gli accessori sarà rimosso per tutti i giocatori che possiedono la Standard Edition o le edizioni Advanced, Gold e Complete. Inoltre, d’ora in poi gli acquirenti della Starter Edition riceveranno un totale di sei operatori casuali, rispetto ai due operatori della versione precedente. Una volta attivata, i giocatori riceveranno tre aggressori casuali e tre difensori casuali da una selezione di 10 operatori. “Questi cambiamenti fanno parte del costante impegno del team di sviluppo per arricchire l’esperienza dei giocatori di Siege. Vogliamo assicurarci che ogni sessione di gioco offra nuove meccaniche di gameplay. È un nuovo stadio che voglio sviluppare per il gioco”, ha illustrato Xavier Marquis, Direttore Creativo di Tom Clancy’s Rainbow Six Siege. Insomma, anche per quest’anno Ubisoft sembra avere pronto nel cassetto un imponente piano per mantenere vivo il bellissimo Rainbow Six Siege.

Francesco Pellegrino Lise




Kingdom Come: Deliverance, un’avventura epica ai tempi del Sacro Romano Impero

Kingdom Come: Deliverance è un RPG open-world con una storia capace di fare immergere in un’avventura epica ambientata ai tempi del Sacro Romano Impero. Il titolo, sviluppato da Warhorse Studios e prodotto da Deep Silver, è disponibile per Pc, Xbox One e PlayStation 4. Sbarcato su Kickstarter a gennaio del 2014, Kingdom Come: Deliverance ha catturato sin da subito l’interesse del pubblico con un concept intrigante, decisamente rivoluzionario. Lo sviluppatore ceco puntava infatti a lanciare sul mercato un gioco di ruolo totalmente svincolato dall’elemento fantasy, che prometteva di precipitare i giocatori in un mondo tanto realistico quanto brutale. Inizialmente previsto per la fine del 2015, il titolo è stato successivamente posticipato a data da definirsi, fino alla conferma di un’uscita multipiattaforma prevista per il 13 febbraio 2018. I ragazzi di Warhorse Studios hanno così messo sul piatto un titolo crudo, per certi versi simulativo, ma soprattutto capace d’immergere il giocatore in un medioevo concreto e plausibile. Ma veniamo al gioco: Kingdom Come: Deliverance narra la storia di Henry, figlio di un modesto fabbro nella Boemia di fine XIV secolo. Ci si trova negli anni dello Scisma d’Occidente: Venceslao IV, detto il Pigro, figlio primogenito e successore dell’amato re Carlo IV al trono di Boemia, è stato rapito da una congiura di nobili, stanchi della sua condotta e della sua incapacità a governare. Sigismondo d’Ungheria, cui si sono rivolti i nobili per detronizzare Venceslao, suo fratellastro, ne approfitta per invadere la Boemia con un ampio esercito, con cui non esita ad attaccare città e villaggi, massacrandone gli abitanti. Sulla sua strada finisce anche il villaggio di Henry. Pur con grande difficoltà, il protagonista riesce a fuggire alla strage, ma la sua famiglia e i suoi amici vengono uccisi senza pietà. Il titolo si apre prima di questi tragici eventi, con quello che si può considerare un lungo prologo in cui poter prendere confidenza con il personaggio, con i vari sistemi di gioco e con lo scenario. Al primo impatto l’ambientazione di gioco ricorda quella di un qualsiasi gioco di ruolo fantasy, ma è solo un abbaglio. Osservando attentamente il villaggio di Henry ci si accorgerà presto che la vantata accuratezza storica dello scenario è un fatto concreto: le case sono spoglie, le suppellettili sono poche, le strade sono piene di fango e letame, animali e abitanti vivono praticamente insieme e, aprendo ad esempio il forziere di un ubriacone, o di un contadino, non ci si trova dentro chissà quale tesoro, ma solo i suoi miseri strumenti da lavoro. Passando vicino alla locanda si possono ascoltare i discorsi degli abitanti, legati alle circostanze storiche che stanno vivendo, e si potrà parlare con alcuni di essi di questioni locali. Henry, nonostante desideri girare il mondo, è un ragazzo del suo tempo: gli piacciono le ragazze, la birra e fare scorribande con gli amici, ma allo stesso tempo ha un grande senso dell’onore e della religione, nonché un profondo rispetto per la gerarchia e l’autorità. Spetterà alle vicende che vivrà nel corso del gioco mettere in discussione o rafforzare alcuni di questi valori, ma il tutto sarà gestito con gradualità e soprattutto con grande rispetto per la storia. Kingdom Come: Deliverance, così come la storia che racconta, cerca di essere il più fedele possibile alla realtà, non al punto di divenire un simulatore inaccessibile ma alzandoil livello di profondità del gameplay ben oltre gli standard imposti dai giochi appartenenti a questa categoria.

Da questo punto di vista è impossibile non menzionare il combat system, vero fiore all’occhiello della produzione capace di fare la gioia di tutti gli appassionati di scherma medievale e appassionati dell’arte della spada. Con un tasto si portano i fendenti, mentre con un altro si può dare una stoccata. È possibile inoltre combinare i due attacchi per fare più danni e parare i colpi degli avversari. L’efficacia di Henry in combattimento dipende da una moltitudine di fattori differenti: forza, peso dell’arma, utilizzo di uno scudo, abilità sbloccate, stato attuale, ferite aperte e altro ancora. Ad esempio, mangiare fa bene perché sazia Henry e lo rende più forte, ma mangiare troppo gli può causare una forte indigestione, che lo rende più goffo e impacciato. Stesso discorso per l’alcol: un buon bicchiere migliora l’oratoria e rende più allegri, troppi bicchieri sfocano completamente la visuale, rendendo difficile individuare gli avversari. Insomma, il sistema di combattimento segue di pari passo la grammatica del resto del gioco, ossia che prova a essere realistico e verosimile, fuggendo da ogni possibile esagerazione. In Kingdom Come: Deliverance combattere è complicato e vedersela con più avversari è sempre un rischio. Qualcuno, abituato a sistemi più semplici e diretti, troverà il combattimento fin troppo legnoso, ma invece tale feature è un’originale scelta stilistica, che ben si lega al resto del gioco. Se il sistema di combattimento fosse stato simile ad altri titoli, certamente il gioco ne avrebbe guadagnato in dinamicità, ma la sua credibilità in relazione all’ambientazione ne avrebbe perso moltissimo nel suo complesso. Proseguendo avanti nel gioco, bisognerà assediare delle roccaforti e gli scontri si svolgeranno su una scala più ampia. In questi frangenti Kingdom Come: Deliverance dà proprio il meglio di sé facendo rivivere a chi gioca le sensazioni che dovevano provarsi sui campi di battaglia, con avanzate lente e scontri giocati non solo sulla forza bruta e l’abilità con la spada, ma anche sull’astuzia. Le prime ore di Kingdom Come: Deliverance gettano gli utenti, disorientati, tra le braccia di un gioco che fatica a nascondere tutte le proprie debolezze, specialmente sul fronte tecnico. Pur offrendo un colpo d’occhio di tutto rispetto, grazie a una cura per i dettagli storici e ambientali che ha del maniacale, è difficile non notare sin da subito il peso esercitato sulla produzione da un budget – relativamente – risicato e dalle dimensioni contenute del team di sviluppo. Le animazioni “robotiche” dei villici, con la fastidiosa tendenza a camminare “addosso” al protagonista e a intavolare dialoghi fissando una direzione a caso, le clamorose compenetrazioni di vestiario ed equipaggiamento, la legnosità di cavalli e cavalieri, un’interfaccia utente decisamente farraginosa: questi sono solo alcuni degli aspetti più lampanti di un comparto tecnico caratterizzato da notevoli spigolosità e forti fluttuazioni qualitative. A rendere il tutto più indigesto, ci sono anche alcune scelte di design tutt’altro che azzeccate Le prime 5-7 ore di gioco saranno probabilmente costellate da una miriade di piccoli crucci, avvalorati dall’eco di una narrativa che fatica a ingranare.

Proseguendo nel gioco però, quasi in maniera quasi impercettibile, i difetti del gioco iniziano a perdere di definizione, sfumano mentre l’opera comincia a conquistare l’animo di chi gioca con una forza sorprendente. Così il mondo creato da Warhorse Studios è un palcoscenico avvolgente, vividissimo, sul quale va in scena una storia assolutamente memorabile, al netto di qualche cedimento nelle fasi finali dell’avventura. Imperfezioni che si riflettono anche sulla scrittura dei dialoghi e sulla qualità registica delle cut-scene, senza però riuscire ad oscurare la luminosità di una vera e propria perla ludica che travalica i propri difetti, offrendo al giocatore un’esperienza unica, che merita di essere vissuta. Come anticipato, Kingdom Come: Deliverance non trova nella realizzazione tecnica uno dei suoi maggiori punti di forza. Sebbene il motore di gioco riesca spesso a comporre scenari decisamente suggestivi, anche per merito di un buon sistema di illuminazione, quasi tutti gli aspetti del comparto grafico mostrano qualche carenza, tra texture spesso slavate e moli poligonali tutt’altro che impressionanti. Anche la gestione delle collisioni è ben lontana dalla perfezione, così come l’intelligenza artificiale che anima npc e animali, decisamente altalenante. Al gioco non manca poi una quota consistente di bug e glitch di vario genere, che però, fortunatamente, non inficiano la qualità complessiva dell’esperienza. Discorso diverso per il comparto sonoro, composto da brani in grado di sottolineare più che degnamente l’epicità delle scene a schermo. Buono anche il doppiaggio, che diventa a tratti eccellente quando a parlare sono i personaggi principali. Tirando le somme, Kingdom Come: Deliverance è un gioco che merita di essere giocato, ma non con superficialità. Chi ha fretta di gettarsi subito nella mischia non riuscirebbe ad apprezzarlo. Assaporare ora dopo ora la maestosità di un titolo che, seppur macchiato da alcuni bug e da una grafica non sempre magnifica, si rivela un’esperienza incredibilmente profonda e senza ombra di dubbio avvincente. Se si hanno pazienza, tempo a disposizione e voglia di tuffarsi ai tempi del Sacro Romano Impero, Kingdom Come: Deliverance è il gioco giusto da acquistare.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5
Sonoro: 8,5
Gameplay: 8,5
Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Dynasty Warriors 9, la saga dedicata alla Cina feudale sposa il genere Open World

La storia della Cina feudale alla fine della dinastia Han, narrata nel “Romanzo dei tre regni” di Luo Guanzhong, rivive per l’ennesima volta in Dynasty Warriors 9, videogame per Pc, Xbox One e PS4. In questa nona trasposizione videoludica di uno dei testi più importanti della letteratura cinese, Tecmo Koei e gli sviluppatori di Omega Force hanno voluto dare nuova linfa vitale al genere fondendo l’universo open world con quello hack and slash. Da diversi anni, la più grande critica che è stata mossa alla saga di Dynasty Warriors è la sua quasi totale immobilità nell’introdurre nuovi elementi di gameplay, nello svecchiare le meccaniche e nel rendere appetibile il prodotto anche ai nuovi giocatori. Ma il tempo di questa pigrizia produttiva sembra essere giunto al termine. La prima enorme novità in Dynasty Warriors 9, come già detto, è l’esordio dei meccanismi open world. Niente più labirintiche mappe da percorrere con i tantissimi generali giocabili. Stavolta, invece, si avrà a disposizione l’intera Cina completamente da esplorare, location che propone una miriade di cose da fare. Ovviamente, essendo questo un cambiamento di proporzioni immani, esso muta quasi drasticamente la natura della serie facendo abbandonare le canoniche battaglie su mappa ed estendendo il conflitto fra le dinastie Wei, Wu e Shu sull’intero Paese. Ad affiancare questa grande trasformazione vi è poi l’introduzione di nuove meccaniche e di idee più o meno originali, pronte a completare il nuovo impianto di gioco. Tradimenti, alleanze, rapimenti, epocali battaglie, conquista del territorio, rivolte, omicidi, intrighi politici e macchinazioni militari saranno il fulcro dell’intero comparto narrativo, la cui storia viene raccontata e suddivisa negli oltre 10 capitoli, a seconda di quale dinastia si sceglierà, nei quali non mancheranno colpi di scena molto interessanti. A livello di storia, Dynasty Warriors 9 mantiene la linea canonica di sempre, ma lo fa con una forma tutta nuova: ci si trova nel secondo secolo d.C. e Cao Cao, della famiglia Wei, è chiamato a sedare la temuta rivolta dei Turbanti Gialli, in una Cina devastata dai conflitti dei signori della guerra. Nonostante i nomi e gli avvenimenti richiamino eventi storici, come da tradizione, la trama non ha alcuna pretesa di stampo documentaristico, piuttosto viene utilizzata come pretesto per mettere in moto una serie di eventi che permettono di esplorare liberamente il mondo di Dynasty Warriors 9. Proseguendo nella storyline principale si renderanno disponibili nuovi generali che si uniranno alle cause di Cao Cao o del leader della dinastia che si è scelto di giocare, tutti completamente giocabili e che rendono grande ancora di più la produzione. Omega Force, così facendo, non rinuncia ad uno dei principali punti di forza della serie, ma anzi lo esalta in maniera magnifica. Alla fine del gioco saranno selezionabili novanta personaggi, dotati di uno stile di combattimento personalizzato, con cui si potranno affrontare i vari capitoli della trama e capire la storia da diversi punti di vista. Il sistema di combattimento rimane fedele allo spirito della serie e non presenta particolari tecnicismi, ma si amplia grazie a nuove combo spettacolari e di facile esecuzione. I protagonisti possiedono una serie di attacchi semplici che possono essere combinati con gli attacchi muta-stato e con il distruttivo attacco musou, quando l’apposita barra è carica. Avanzando nella trama ci si accorgerà ben presto di quanto il mondo di Dynasty Warriors 9 sia vivo e in costante mutamento.

Mentre si sarà impegnati a portare a termine una determinata missione, si verrà continuamente aggiornati degli esiti delle altre battaglie che si combattono ai confini dei territori occupati dalla fazione di chi gioca. Dove la zona si incontra con quella di una fazione nemica sarà possibile trovare sulla mappa l’icona di due spade che si incrociano. Si potrà decidere di partecipare liberamente a queste battaglie per rosicchiare pian piano i territori avversari oppure di ignorarle. Ma occhio, perché se ci si concentra unicamente su un unico fronte, altri nemici potrebbero cercare di sfondare dalla parte opposta dei confini del regno di chi gioca. Il palcoscenico sul quale si muoveranno le “pedine” di chi gioca, mai come in questo capitolo, apre il suo sipario su un mondo gigantesco: la mappa di gioco è infatti estremamente vasta, e potrà essere percorsa in tutta libertà ora a piedi ora a cavallo, mentre si assisterà a cicli giorno/notte dinamici e a condizioni meteo variabili. Mentre ci si troverà a spostarsi in lungo e in largo per la Cina in groppa al proprio fido destriero ci si potrà imbattere in truppe nemiche, in animali da cacciare, in fumi nei quali dedicarsi alla pesca, oppure ancora in avamposti da liberare, in cittadine fortificate, in accampamenti di fortuna o torri di controllo con cui “sincronizzare” l’ambiente circostante e svelare nuovi dettagli sulla mappa in stile Assassin’s Creed. Tutti gli stilemi appartenenti ai classici esponenti del genere free roaming si raggruppano in Dynasty Warriors 9 donando un senso di freschezza e di novità assoluta rispetto al passato. Prima di svolgere una specifica missione utile per proseguire nella trama, sarà possibile portare a termine differenti quest secondarie che permetteranno di guadagnare punti esperienza con cui salire di livello, nonché recuperare risorse, pergamene o materiali grazie ai quali dedicarsi al crafting ed al potenziamento del proprio eroe. Nelle città, inoltre, sarà possibile trovare alcune botteghe dove rifocillarsi o migliorare il proprio equipaggiamento. L’aggiunta di tutte queste attività collaterali, nonostante si basino su meccaniche molto elementari, rappresentano un ottimo punto di partenza per il rilancio dell’intera saga e uno sforzo più che apprezzabile da parte della casa produttrice di voler valorizzare un brand ormai fermo al passato.

Ovviamente, quando si tratta di menare le mani, Dynasty Warriors 9 mantiene invariata la sua verve combattiva e offre tutto ciò che i giocatori si aspettano. Il fulcro del gameplay resta il button mashing sfrenato, con orde di incalcolabili soldati da affrontare senza alcuna riserva: a supporto della solita ripetitività concettuale sopraggiunge una notevole varietà di armi a disposizione che modifica ampiamente i moveset dei personaggi utilizzabili, tutti dotati di un personale stile di lotta. Oltre agli attacchi leggeri e pesanti si potranno sfruttare anche due colpi extra definiti “Variabile” e “Reattivo”, la cui attivazione dipende rispettivamente dalla condizione e dalla situazione in cui riversa l’avversario, così da acuire i danni inflitti. In aggiunta, alla pressione del dorsale destro in combinazione con uno dei quattro tasti del pad, si potranno anche alcune tecniche speciali con cui stordire o scagliare in aria gli oppositori, ponendoli alla mercé delle spettacolari “mosse finali”, che andranno azionate solo dopo aver riempito l’apposito indicatore. In generale, il combat system di Dynasty Warriors 9, benché presenti alcune variazioni interessanti, resta privo di qualsivoglia piglio strategico, ma in fondo chi acquista un titolo del genere sa che cosa vuole e a cosa andrà incontro. Ovviamente le boss fight contro i generali nemici sono combattimenti più complessi del normale che richiederanno un pizzico di strategia e di pazienza, ma in Dynasty Warriors 9, proprio come in passato, ciò che conta e diverte, è la possibilità di sbaragliare migliaia di avversari per portare al trionfo i propri eroi. Dal punto di vista estetico il titolo Koei Tecmo non brilla e resta troppo ancorato al passato per via di animazioni legnose e per nulla armoniche e, come al solito, propone un universo pieno di nemici che si muovono in maniera identica e a volte addirittura all’unisono. Fortunatamente dal punto di vista grafico il salto qualitativo rispetto al passato c’è stato, ma il tutto non riesce ancora a far restare i giocatori a bocca aperta dinanzi lo schermo. La colonna sonora è ben eseguita e arrangiata, ma nonostante si componga di pezzi a volte anche estremamente coinvolgenti, alle lunghe risulta essere ridondante e ripetitiva, in quanto presenta un numero limitato di brani. Buono invece il frame rate che fortunatamente, anche quando sullo schermo ci sono centinaia di modelli che si muovono, resta quasi sempre stabile. Splendide alcune vedute al tramonto o all’alba che sicuramente si faranno ammirare dai gamers più attenti. Tirando le somme, nonostante Dynasty Warriors 9 non raggiunga la perfezione assoluta, il titolo risulta comunque un discreto acquisto. Questo prodotto è mirato ovviamente a un pubblico che preferisce i videogames in single player e che preferisce rilassarsi senza pensare troppo o spendere ore ed ore dinanzi lo schermo. Detto ciò, lo sforzo dovuto al rinnovamento è assolutamente apprezzabile e nonostante alcuni lati del gameplay siano assolutamente da rivedere, Dynasty Warriors 9 riesce comunque a divertire e a farsi amare.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 7,5
Sonoro: 7,5
Gameplay: 8
Longevità: 8,5
VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Monster Hunter World, Capcom sforna un vero capolavoro per Xbox One e PS4

Capcom inizia il suo 2018 con una vera e propria bomba. Monster Hunter World, nuovo capitolo della saga nata nel 2004 su Playstation 2 e che negli ultimi anni è rimasta relegata ai possessori di Nintendo WiiU e 3DS, arriva finalmente sulle console della famiglia Xbox One e su PlayStation 4 per la gioia di tutti quei fan che da tempo chiedevano un titolo dedicato alla serie sulle piattaforme next-gen. Inutile girarci intorno, prima d’iniziare l’analisi di Monster Hunter World è necessario dire che il lavoro svolto su questo videogame è veramente strabiliante e, senza ombra di dubbio, ci si trova dinanzi a uno dei prodotti più validi in circolazione, capace di tenere incollato per centinaia di ore coinvolgendo i giocatori in spettacolari cacce ai mostri. Nonostante la natura del titolo, complessa e all’inizio forse troppo macchinosa per i casual gamer, una volta che si sono apprese le dinamiche di gioco, sempre spiegate in maniera chiara da brevi tutorial in game, qualsiasi tipo di giocatore difficilmente riuscirà a staccarsi dal titolo di Capcom. Ma iniziamo dal principio: se nei vecchi videogame della serie la trama era praticamente inesistente, in Monster Hunter World Capcom ha svolto un lavoro davvero ben fatto per donare un senso logico ed un filo conduttore più consistente alle cacce che i giocatori dovranno affrontare. Come suggerisce la parola “World”, presente nel titolo, il teatro in cui si svolgeranno le imprese dei gamers è il Nuovo Mondo, un continente inesplorato ricco di creature e di misteri da svelare. Ogni dieci anni i Draghi Anziani attraversano l’oceano per arrivare in questo Nuovo Mondo, anche se nessuno ha mai saputo il motivo di questa migrazione. Nel corso degli anni sono state quindi organizzate delle spedizioni per fare ricerche su questa terra, e il giocatore si troverà a vestire i panni di un cacciatore della Quinta Flotta arrivata seguendo le tracce di Zorah Magdaros, un enorme Drago Anziano dalle sembianze di un vulcano che erutta magma e lapilli. Ovviamente l’arrivo nel Nuovo Mondo non è assolutamente una passeggiata, e già dalla prima rocambolesca sequenza iniziale si nota la volontà di Capcom di spingere molto sulla trama grazie a numerose cut-scenes spettacolari realizzate con il motore di gioco e soprattutto la presenza di un doppiaggio anche in italiano che dona al prodotto quel qualcosa in più. Prima di partire per il lungo viaggio nel Nuovo Mondo, ogni giocatore deve creare il suo avatar personalizzato grazie ad un editor completo in ogni minimo dettaglio. In gioco, poi, sono presenti diversi comprimari e personaggi più o meno secondari caratterizzati in maniera piuttosto buona che arricchiscono l’universo di gioco in maniera gradevole e intelligente.

Ma torniamo al gioco, una volta sbarcati ci si troverà ad Astera, il villaggio/base dove sarà necessario collaborare con gli altri membri della Gilda, al fine di migliorare sempre più le capacità delle varie sezioni in cui è divisa. Ad ognuno il proprio ruolo: i biologi passeranno il loro tempo con il naso sui libri a studiare ogni dettaglio delle specie di fauna e flora che si incontreranno man mano che si andrà avanti nel gioco, e chiederanno continuamente ai giocatori di aiutarli nel recuperare campioni. I responsabili delle risorse invece si occuperanno di gestire i materiali e anche loro avranno bisogno di una mano nel recupero degli approvvigionamenti. C’è poi la Forgia, luogo che è chiaramente è adibito alla creazione di armi, armature, amuleti e quant’altro, a patto di avere i materiali giusti per costruirle. Infine c’è la mensa, un luogo tradizionale per la serie, dove si sono sempre consumati pasti tra i più disparati e abbondanti in modo assolutamente comico. A completare il quadro, ci sono gli alloggi e la Caccia Celeste, che in seguito si aprirà per le sfide in multigiocatore con regole fisse. Insomma, chi gioca alla serie da tempo ha già capito che Astera rappresenta l’hub principale dove si svolgerà la prima delle due attività principali di Monster Hunter, ossia la preparazione prima della caccia ai mostri. Qui si scelgono con cura tutti gli equipaggiamenti per la battuta perfetta, dove, con l’obiettivo ben in testa, si possono creare gli strumenti necessari per riuscire ad essere più performanti in combattimento. A seconda del mostro che sarà necessario affrontare e se bisogna ucciderlo o catturarlo, tutto cambia ed è inutile partire per la spedizione senza le capacità offensive e difensive necessarie, o senza l’equipaggiamento giusto. Nella seconda attività principale infatti, cioè quando si parte per la caccia, sarà il momento di ritrovarsi da soli contro la natura, e lo scontro, se non si è preparati a dovere potrebbe facilmente essere fatale. Il sistema di crescita del personaggio su cui si basa Monster Hunter World segue la canonica evoluzione che aveva già in precedenza. Pur potendolo definire un gioco di ruolo, il livello di crescita del protagonista non si basa su un livello di esperienza che aumenta affrontando un gran numero di combattimenti. Infatti per accrescere statistiche come attacco, velocità e difesa e via discorrendo, il tutto ricade tutto sull’equipaggiamento, soprattutto armi e armature. I mostri, che si dovranno affrontare nelle missioni che si susseguono una dopo l’altra, avranno sempre la stessa quantità di salute, caratteristiche e punti di forza e debolezza, mentre sarà compito di chi gioca potenziare la propria attrezzatura e le abilità per poterli sconfiggere più agevolmente. Per chi non lo sapesse e si stesse chiedendo: perché dovrei uccidere due volte lo stesso mostro? La risposta è semplice, a ogni cattura o uccisione della bestia in questione, saranno dati alcuni pezzi di mostro come ad esempio scaglie, pelle, corazze ecc… tale distribuzione dei materiali è totalmente casuale e ovviamente non basterà a completare i 5 pezzi che compongono un set di armatura. Quindi di conseguenza i giocatori dovranno cacciare e ricacciare la creatura in questione per riuscire a realizzare e potenziare l’armatura.

Ovviamente ogni essere che si manderà ko dà l’accesso a un set di armatura unico, con punti di forza e debolezze sia fisiche che elementali. Tutto ciò porterà i giocatori a dover creare armi e protezioni adeguate a seconda del mostro che sarà necessario uccidere e per fare ciò saranno necessarie tante ore di caccia e grande abilità. I mostri si dividono in piccoli, medi e grandi, con questi ultimi che rappresentano i boss di ogni mappa. L’incedere è praticamente una sequenza infinita di cacce al mostro volte a recuperare i materiali migliori e a forgiare equipaggiamento più forte, per proseguire ulteriormente. Un loop ludico che cattura, grazie alla vastissima quantità di armi che si possono creare nella Forgia: ne esistono infatti ben quattordici tipi, ovvero tutte quelle apparse nei capitoli precedenti, e ognuna ha un suo stile di gioco e move-set unico, diverse ramificazioni a seconda di come si vuole evolverla. Grazie ad un albero che aumenta sempre di più la lunghezza dei propri rami, ad ogni recupero e miglioramento in forgia l’arma assumerà caratteristiche migliori ed un aspetto completamente diverso. Ad esempio uccidendo o catturando l’Anjarath, un mostro che fa del fuoco la sua caratteristica principale: una volta sconfittolo e recuperate parti come scaglie, pelle e quant’altro, queste si potranno applicare all’arma per crearne una di serie legata al mostro ucciso, con parti estetiche che ricordano la corazza e i poteri del fuoco. Per ogni mostro si svilupperà una nuova serie, sempre diversa dalle altre, che richiederà il recupero di materiali in altre cacce. Come già detto, anche le armature si comportano allo stesso modo, e bastano già solo questi due fattori ad alimentare la voglia di avventurarsi in una nuova spedizione. Il mestiere del cacciatore non si riduce però solo al mero combattimento. Le mappe di Monster Hunter non sono arene, bensì luoghi aperti dove la natura è viva e fa il suo corso a prescindere da ciò che il giocatore farà. Sarà necessario quindi imparare ad essere ottimi segugi per scandagliarle a fondo e scoprire le tracce dei mostri che bisognerà a cacciare. Fortunatamente però non si sarà lasciati soli e allo sbaraglio, nella squadra ci sarà un Palico, un piccolo aiutante felino tanto carino quanto utile in battaglia, visto che ci curerà e distrarrà i nemici all’occorrenza. Inoltre, grande novità di Monster Hunter World, ci saranno anche gli insetti guida, ossia delle creature volanti luminose d’importanza fondamentale che evidenziano risorse da raccogliere e che seguiranno le tracce dei mostri. Molti giocatori storici potrebbero non gradire la presenza di queste creature e l’eccessiva semplificazione che questi insetti potrebbero apportare alle battute di caccia. Possiamo però dire che il sistema funziona e non rende l’esperienza troppo semplice, queste specie di lucciole, infatti, non portano il giocatore automaticamente fra le fauci della preda, ma lo guidano a scovare progressivamente le tracce delle creature. C’è da dire che ad ogni recupero aumenta l’affinità degli insetti verso tale creatura, essa è divisa in livelli, quindi sarà solo dopo tante spedizioni, che questi riusciranno a trovare i boss molto rapidamente, simulando una sorta di conoscenza ed esperienza della fauna da scovare.

Se i mostri sono i gli antagonisti in Monster Hunter World, l’ambiente veste, come già detto il ruolo di co-protagonista. Nei precedenti capitoli le mappe erano divise in zone, ovvero delle aree più o meno estese collegate tra loro ma con confini ben precisi, e per passare da una all’altra bisognava attendere dei brevi ma fastidiosi caricamenti. In Monster Hunter World tutto questo appartiene al passato: ogni mappa è sì divisa in zone, ma solo per una mera questione di comodità di orientamento, poiché l’ambiente è finalmente unito in enormi aree open world. Niente più attese nel passaggio da una prateria alla foresta o alle montagne, ogni mappa è liberamente esplorabile senza interruzioni e permettendoci di muoverci in maniera naturale sfruttando elementi come le liane, arrampicandoci sulle piante per raggiungere zone sopraelevate o scivolando lungo delle scarpate, il tutto circondati da una flora e fauna viva e credibile e dall’alternarsi del giorno e della notte. Già dalla prima missione si viene catapultati nella Foresta vicino Astera e ci si ritrova in una enorme area che cambia morfologia continuamente, passando da aree aperte a intricati grovigli di liane fino a cunicoli sotterranei mentre intorno al protagonista pascolano innocui Apodoth erbivori e feroci Jagras che non esitano ad attaccare a vista, ma anche lucertole, insetti, uccelli e così via che possono anche essere catturati con il retino per diversi scopi. Praticamente ad ogni passo si possono trovare oggetti con cui interagire o da raccogliere come erbe, funghi, resti di ossa e simili, utili per creare pozioni e oggetti di supporto tramite il sistema di crafting. Il bello dell’universo di Monster Hunter World è che l’ecosistema funziona proprio come nella realtà ed esiste una precisa catena alimentare, infatti non è raro che durante una caccia magari si intrometta un altro mostro magari più grande e i due comincino a lottare per il territorio, lasciando quindi il protagonista nella scomoda posizione di poter approfittare che i due mostri si azzannino a vicenda, ma al tempo stesso rischiare di rimanere coinvolto nella lotta o, peggio ancora, essere attaccato da due fronti. Sta all’esperienza del giocatore capire quando sfruttare queste occasioni a proprio vantaggio e quando darsela a gambe, perché se già un mostro è impegnativo, due insieme possono diventare facilmente ingestibili. Chiude il cerchio delle interazioni ambientali la possibilità di alcuni mostri particolarmente grandi di distruggere delle parti dello scenario cambiando quindi la morfologia della mappa, per cui magari durante una carica il mostro può far cadere degli alberi o sfondare una parete, creando anche delle rampe da cui saltare per cavalcare il dorso della bestia, oppure provocare una frana che può ferirlo. Il bello di Monster Hunter World però è dato dalla possibilità di giocare insieme ad altri tre cacciatori per un totale di 4 players contemporaneamente. Durante le missioni infatti sarà possibile dare una mano a qualcuno in difficoltà, partecipando alla sua missione, oppure richiedere aiuto ad altri giocatori sparando un razzo sos. Tale funzione inserirà la missione che si sta affrontando in una lista dove altri cacciatori potranno decidere di entrare per dare ausilio. Ovviamente in più giocatori si è e più sarà difficile abbattere il nemico, ma ovviamente anche il danno che si farà sarà maggiore.

Naturalmente quando si gioca con amici sarà possibile determinare il numero di giocatori prima di partire in missione, così da non avere intromissioni esterne, oppure impostare una password per la propria sessione di gioco in maniera tale da poter consentire l’accesso solo a chi si vuole. Dopo tante ore spese in Monster Hunter World, è chiaro come l’anima della serie sia rimasta praticamente intatta. Tranne l’approccio alle mappe e gli insetti guida, il gameplay resta fedele alla tradizione e i veterani se ne accorgeranno presto. È tutto più grande, più bello, più rifinito rispetto al passato, eppure le meccaniche di fondo restano sempre le stesse. A rendere il tutto ancora più grandioso è sicuramente il comparto tecnico. Grazie al potenziale delle console di attuale generazione, Capcom ha finalmente realizzato il Monster Hunter dei sogni, il titolo della saga col miglior aspetto di sempre. Niente più basse risoluzioni o modelli poligonali di scarsa fattura, il Nuovo Mondo gode di un aspetto gradevole che migliora la classica ispirazione fantasy/tribale tipica della serie. È da sottolineare l’eccelsa qualità delle animazioni di tutti gli animali presenti in gioco. Non solo i mostri più grandi, che hanno dell’incredibile per fluidità e complessità delle articolazioni, ma anche il Palico, nonché gli animali piccoli e piccolissimi, hanno animazioni curatissime, mai viste in un titolo tripla A di questo genere. Si generano così combattimenti dall’alto coefficiente di spettacolarità, tra giganti che si danno battaglia e piccoli dettagli a schermo che arricchiscono l’esperienza. Una qualità che da sola vale il prezzo del videogioco. Se poi si conta che, a quanto detto, i dlc che arricchiranno il titolo in futuro saranno totalmente gratuiti, c’è solo da sperare per il meglio. Tirando le somme, Monster Hunter World è un episodio mastodontico della serie Capcom, che ne segna il ritorno in grande stile su console casalinghe esaltando il brand all’ennesima potenza. La casa giapponese ha avuto l’accortezza di riuscire a mantenere intatta la tradizione del gioco aggiungendo alcune semplificazioni che potranno dare una grande mano ai neofiti lasciando però piena libertà nel loro utilizzo per soddisfare anche i veterani in cerca di una maggiore sfida, oltre a limare e perfezionare alcune meccaniche ormai obsolete ed inutilmente lente. Fortunatamente la giocabilità rimane il punto centrale del titolo, ma viene anche dato spazio ad una trama ricca di filmati e dialoghi. La componente del farming volutamente eccessiva poi garantisce un monteore di gioco assolutamente altissimo che però corre il rischio di allontanare chi non apprezza questo stile di gioco. Se siete fra quelle persone che si avvicinano a questo brand per la prima volta probabilmente resterete un po’ spiazzati e spaventati durante le prime ore di gioco, ma superato il primo ostacolo e una volta iniziate a capire le meccaniche si entrerà in una spirale da cui è difficile uscire. Monster Hunter World, come i suoi predecessori non è quindi un gioco per tutti perché serve tempo, impegno e costanza, ma una volta che si entra nell’ottica di gioco è davvero difficile farne a meno. Insomma, con questo titolo Capcom ha fatto bingo, è riuscita a creare un prodotto destinato a entrare con tutti i meriti nell’Olimpo dei videogames.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9,5
Sonoro: 9,5
Gameplay: 9,5
Longevità: 9,5
VOTO FINALE: 9,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Dragon Ball FighterZ, il nuovo picchiaduro ispirato all’universo di Akira Toriyama

Finalmente Dragon Ball FighterZ, il picchiaduro bidimensionale ispirato all’universo del manga e degli anime di Akira Toriyama è disponibile su Pc, PS4 ed Xbox One. Da tempo i fan più sfegatati della serie aspettavano un titolo come questo e l’attesa è stata ampiamente ripagata grazie alle potenzialità di questo splendido prodotto. Ma veniamo al dunque. Dragon Ball FighterZ potrebbe essere a tutti gli effetti il miglior gioco di lotta dedicato alla serie in quanto, diversamente per quanto è avvenuto in passato, il lavoro svolto da Arc System Works per Bandai Namco è stato supervisionato dallo stesso Toriyama che per chi avesse bisogno di un paragone è come se George Lucas avesse supervisionato i lavori di un videogame dedicato a Guerre Stellari. Forte di questo fattore fondamentale Dragon Ball FighterZ si presenta agli occhi degli appassionati come un picchiaduro a duelli con team da tre personaggi ciascuno dove l’aspetto della squadra è tutt’altro che da sottovalutare viste le caratteristiche molto differenti del combat system dei lottatori. Avere un perfetto mix di caratteristiche diverse, consentirà a chi sta dinanzi lo schermo di essere sempre pronto ad affrontare il nemico di turno con gli strumenti migliori e le tecniche più devastanti. Una volta avviato il gioco, il personaggio verrà catapultato in un’area dove controllerà un mini avatar che potrà essere mosso in lungo e in largo per scegliere che cosa fare. Senza ombra di dubbio, dopo aver svolto le sessioni di tutorial, la modalità con cui consigliamo di iniziare a giocare con Dragon Ball FighterZ è indubbiamente la storia sia per la difficoltà che cresce in modo adeguato, sia per sbloccare vari elementi utilizzabili poi anche altrove. Il fulcro della storia è un personaggio inedito e realizzato sempre da Toriyama: Androide 21. Si tratta di una misteriosa scienziata che possiede le stesse conoscenze della persona che ha creato gli Androidi nel manga, ossia il perfido Dottor Gelo. Purtroppo la modalità storia di Dragon Ball Fighter Z non brilla per originalità o per trama, ma comunque rappresenta un’esperienza da fare per comprendere al meglio le meccaniche di gioco e lottare con grinta negli scontri futuri. Le vicende narrate metteranno chi gioca dinanzi all’invasione di cloni ombra che hanno preso le sembianze di tutti i più noti combattenti: tra questi vi saranno anche alcuni antagonisti storici, come Freezer, Cell, Kid Buu e l’Androide numero 16. A mettere la Terra in pericolo stavolta sarà quindi il già citato Androide 21, intenzionato a raggiungere la forma perfetta divorando i lottatori dopo averli trasformati in dolcetti. In pratica possiamo dire che 21 ha lo stesso scopo di Cell ma assorbe i nemici come Bu. Per contrastare tale forza, Goku, Crilin, Piccolo, Vegeta e gli altri Guerrieri Z si dovranno affidare a una strana forza che riesce a parlare con loro e allo stesso tempo restituire loro la forza che è stata sottratta dopo la comparsa dei cloni. Questa forza non è altro che il giocatore, tale feature dà vita a un’espediente ludico attraverso il quale chi sta dinanzi lo schermo potrà comandare gli eroi in battaglia, creando una sorta di connessione magica e giustificando, così, il battle system.

Sul cammino di chi affronterà la storia di Dragon Ball FighterZ bisognerà liberare i compagni di battaglia salvandoli da alcune situazioni spiacevoli, ma allo stesso tempo affrontare numerose battaglie contro i cloni di cui sopra, tutte purtroppo numerose e ripetitive. Tutti gli scontri sono suddivisi in tre diverse categorie: le battaglie tutorial, che come suggerisce lo stesso nome accompagneranno i giocatori attraverso delle mosse guidate che serviranno ad apprendere al meglio le meccaniche del titolo, le battaglie normali, che permetteranno di ottenere soltanto punti esperienza in più, e infine le battaglie boss, che saranno i fondamentali bivi per procedere verso il capitolo successivo. La criticità della modalità storia è che le mappe proposte per ogni capitolo hanno numerosi snodi che conducono attraverso battaglie che col tempo diventano sempre più ripetitive e che rappresenteranno soltanto un intralcio al boss di quel determinato capitolo. Farmare per accaparrare crediti Zeni e punti esperienza potrà anche essere una soluzione, ma Dragon Ball FighterZ è un picchiaduro che consentirà di fronteggiare l’ostacolo a prescindere da quanti nemici si siano affrontati in precedenza. Inoltre la difficoltà iniziale rappresentata dal mancato recover dei punti salute dopo una battaglia viene facilmente aggirata da quelli che sono i punti abilità, sbloccati casualmente dopo una sfida, e che sbloccheranno alcuni perk passivi che colmeranno ogni possibile gap con gli avversari, di livello superiore. Gli archi narrativi lungo i quali si snoda lo story mode di Dragon Ball FighterZ sono tre in totale: ognuno di essi ha una durata di circa 5 ore, con un totale di 15 ore di single player, che per quanto possano sembrare molte, risulteranno decisamente ripetitive. Nel corso dei vari archi si andranno ad aggiungere vari dettagli allo scenario, con i tre archi che però non si intrecceranno mai, fino a scoprire tutto ciò che si cela dietro l’Androide numero 21 e chiaramente perfezionando l’utilizzo di gran parte dei personaggi della rosa a disposizione. Dopo lo story mode ci si potrà sbizzarrire in modalità online e offline che potranno aumentare all’infinito la longevità del titolo visto che le variazioni sul tema sono veramente tante ed il combat system risulta essere facilmente digeribile sia per i novellini ma al tempo stesso appagante per i cultori del genere, risultando così un prodotto capace di essere appetibile veramente per tutti i palati. Sarà possibile partecipare al classico torneo, svolgere combattimenti singoli, incontri in multiplayer classificati e giocare a una modalità che prevede 3, 5 o 7 scontri che daranno la possibilità di sbloccare gustose ricompense se finite in modalità difficile con un giudizio pari almeno ad A. Il sistema di combattimento di Dragon Ball FighterZ vanta diversi livelli di profondità ed è in grado di adattarsi a ogni tipologia di giocatore. I meno esperti possono affidarsi alle semplici combo Z o alle varianti proposte dalle Sfide di ogni personaggio. Quelle, unite a una gestione caotica degli assist e all’abuso delle mosse speciali anche dalla lunga distanza, bastano per garantire tanto divertimento ai principianti con il medesimo grado di esperienza. Con qualche ora di pratica nella modalità allenamento, però, si capisce che il gioco offre molto di più.

Usando con attenzione tutti gli elementi proposti dagli sviluppatori si possono realizzare combo complesse, articolate e dai tempismi anche molto stretti. Per eseguirle è necessaria una gestione attenta delle barre, a cui sono associati i teletrasporti, le versioni potenziate delle mosse speciali e le devastanti Super, più o meno potenti a seconda del numero di indicatori consumati per eseguirle. Per ottenere risultati davvero degni di nota, però, è indispensabile creare una squadra bilanciata, i cui personaggi possono lavorare insieme in modo impeccabile. Ogni lottatore ha caratteristiche uniche e offre il meglio in situazioni ben precise delle battaglie. Combattenti come Androide 18 o Freezer sono perfetti per iniziare il duello e caricare le barre per i compagni, grazie a una serie di elementi utili per mantenere alta la pressione sfruttando gli assist della squadra. Altri personaggi vantano assist utili per prolungare le combo o per impedire all’avversario di continuare ad attaccare senza sosta. Altri ancora possono causare danni mostruosi bruciando un gran numero di barre, motivo per cui è consigliabile farli entrare nelle fasi finali della battaglia. Gli elementi da tenere in considerazione per creare la squadra perfetta sono tanti e grazie alla modalità Allenamento si potranno passare ore e ore a sperimentare soluzioni sempre nuove e devastanti per diventare un combattente difficile da battere. La meccanica più interessante e innovativa legata a questo Dragon Ball FighterZ è indubbiamente quella legata all’evocazione del Drago Shenron. Durante ogni combattimento è possibile sbloccare le sette Sfere del Drago per ottenere benefici durante il combattimento, ossia: la resurrezione di un alleato morto, l’invincibilità per qualche secondo, il recupero dell’energia o il pieno di carica. Le sfere potranno essere trovate eseguendo particolari combo in serie o eseguendo un tot numero di colpi in sequenza. Parlando invece dell’aspetto prettamente estetico e del loot system, c’è da dire che oltre alle ricompense per il completamento, ogni modalità premia con una quantità variabile di Zeni. Investendola al negozio per l’acquisto di Capsule Z si sbloccano colori per i personaggi, avatar da sfoggiare nella sala d’attesa, adesivi e titoli di ogni tipo. Tutto questo rappresenta una simpatica spinta in più per continuare a lottare e farà la gioia dei completisti che vorranno accaparrarsi tutto. Aprendo le capsule acquistate al negozio se si dovesse trovare due volte lo stesso oggetto, al suo posto si riceverà una Moneta Z Premium, un altro tipo di valuta che una volta accumulata garantisce l’accesso a ricompense più rare. La quantità di elementi da sbloccare è altissima e per accumulare Zeni e monete Z Premium si deve giocare davvero molto a lungo: il titolo è però abbastanza generoso e ci non si sente mai totalmente insoddisfatti delle ricompense ottenute.

Dal punto di vista tecnico, invece, al di là di un doppiaggio in lingua originale che esalta la qualità del prodotto, la finezza dei fondali, che hanno un movimento sempre gradevole e che si prestano a una distruzione quasi totale, la resa artistica è la parte migliore di tutto Dragon Ball FighterZ. I disegni, rigorosamente riproposti così come il disegno di Toriyama, hanno il pregio di mostrare la parte migliore del lavoro svolto. Il 2.5D realizzato da Arc System Works si fregia dei 1080p a 60fps, offrendo una rapidità d’azione che è unica e che non vi stancherà in nessuna delle animazioni, tantomeno nella realizzazione delle super, sempre gradevoli da guardare. Dal punto di vista di combattenti ce ne sono subito a disposizione 21 e altri 3 saranno sbloccabili a patto di rispettare determinate condizioni. Purtroppo, a nostro avviso, da questo punto di vista poteva essere fatto qualcosa in più. L’assenza di personaggi come l’androide 17, il dottor Gelo, Goten, Trunks bambino, Videl, Great Sayaman, Darbula e molti altri ancora fa storcere davvero il naso. Un vero peccato se si pensa che il prodotto finale è senza ombra di dubbio uno se non il migliore mai uscito in relazione alla saga di Akira Toriyama. Tirando le somme, lasciarsi sfuggire questo Dragon Ball FighterZ sarebbe davvero un errore. La sua natura è in grado di appagare sia gli appassionati del genere che i giocatori alle prime armi garantendo sempre un altissimo tasso di divertimento e di sfida. Se siete fan di Dragon Ball o semplicemente siete alla ricerca di un picchiaduro bello, fluido e avvincente, Dragon Ball FighterZ è senza ombra di dubbio ciò che fa per voi.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9
Sonoro: 9
Gameplay: 9
Longevità: 9,5
VOTO FINALE: 9

 

Francesco Pellegrino Lise