Ubisoft torna in pista con The Crew 2

Ubisoft riporta i giocatori a gareggiare su bolidi fiammanti con The Crew 2, sequel dell’innovativo racing game uscito 4 anni fa su Pc, Xbox One, PS4 e che torna anche stavolta sulle medesime piattaforme. In questo sequel l’obiettivo degli sviluppatori è quello di creare un mondo in stile MMO dove i giocatori possono sia competere in maniera cooperativa, sia unirsi in “clan” per sfidare altri piloti in adrenaliniche gare a bordo di bolidi fiammanti in una mappa immensa. In The Crew 2 tutto questo è possibile in quanto viene proposta una riproduzione di ben 1900 miglia quadrate del territorio continentale degli Stati Uniti, compreso delle sue città più famose come Detroit, New York, Los Angeles, Miami, Las Vegas e delle sue zone rurali. Anche se la mappa di gioco è praticamente identica a quella vista nel primo episodio, le differenze sono palpabili durante l’esplorazione, soprattutto dal punto di vista artistico/grafico. Gli sviluppatori di Ivory Tower, infatti, hanno davvero rimesso mano sul comparto tecnico, migliorando il sistema di illuminazione, i riflessi e l’effettistica e introducendo una risoluzione 4K per le console più potenti in circolazione. Il ciclo giorno e notte, il meteo dinamico e un frame rate solido e ancorato ai 30fps esaltano l’open world dell’esperienza, che, almeno visivamente, nonostante qualche pop-up di troppo, riesce a regalare scorci davvero suggestivi, perfetti per spingere al massimo la modalità foto e video editing, completi di diversi setting per tutti i gusti e con la possibilità di riavvolgere il tempo per fotografare il momento perfetto; sfrecciare tra le strade di una città, rimanere incantati da un tramonto nel Grand Canyon, prendere il sole sulle spiagge di Miami, fare il coast to coast o semplicemente girovagare nel Dakota con la frequente e tipica pioggia scrosciante, rende il tutto estremamente emozionante e a tratti ineguagliabile. Tra le novità più succose in game spiccano due tipologie di nuovi veicoli, gli aerei e i motoscafi, innesti volti ad incrementare la varietà generale del gioco, che offrono la possibilità ai giocatori di esibirsi in evoluzioni acrobatiche passando tra un checkpoint e l’altro, opportunamente posti sui tetti dei grattacieli, oppure di muoversi sugli specchi d’acqua che attraversano le zone metropolitane a bordo di modernissime imbarcazioni. Ogni veicolo presente in The Crew 2 ha un sistema di progressione che si rifà a quanto già visto nel titolo originale, anche se qui differisce per il pretesto per gareggiare: non si avrà più a che fare con una trama poco più che abbozzata, semplicemente si verrà catapultati in una sorta di mondo di gare clandestine dove l’obiettivo sarà quello di diventare famosi a suon di followers conquistati attraverso le vittorie. Ovviamente la popolarità si otterrà tagliando per primi il traguardo, inoltre salire sul podio garantirà parti aggiuntive per personalizzare ogni veicolo al fine di renderli maggiormente performanti e appariscenti in gara. Tra le parti aggiuntive spiccano senza dubbio le estetiche come le livree colorate, i cerchioni e gli spoiler, ma sono ovviamente presenti anche tante modifiche che apportano migliorie prestazionali al proprio bolide, includendo velocità, frenata, turbo e così via. Il sistema, va detto, funziona bene e invoglia a sviluppare tutti i veicoli in proprio possesso, e se si desidera collezionarli tutti bisognerà rimboccarsi le maniche in quanto i veicoli presenti in The Crew 2 sono circa duecento.

Ovviamente, essendo il titolo Ubisoft un prodotto destinato a garantire tantissime ore di gioco, il numero e la tipologia di eventi disponibili nella mappa è ulteriormente aumentata, con gare di ogni tipo che includono decine di modalità disponibili, oltre alle sfide che popolano ulteriormente l’area e che di solito consistono nell’eseguire fotografie alla fauna locale, espedienti utili per tentare di colmare un vuoto che altrimenti sarebbe troppo evidente, vista anche la scomparsa degli inseguimenti con la polizia. Infine è bene fare un appunto al gameplay, che si rivela votato all’arcade, forse troppo. Infatti rilasciare l’acceleratore non paga quasi mai, tanto che si percepisce come rischio minore quello di impattare contro gli elementi di contorno delle ambientazioni, anche se il sistema di collisioni lascia parecchio a desiderare: capiterà spesso infatti di riuscire nell’intento di travolgere e sradicare una fermata del bus proseguendo verso il traguardo, ma capiterà anche di schiantarsi contro elementi apparentemente meno resilienti. Per quanto riguarda l’intelligenza dei bot in gara, questa purtroppo non sorprende, infatti per via di un’imprevedibilità troppo bassa, alla fine la vera sfida risulterà essere quella contro il tempo per assicurarsi ulteriori bonus a fine gara. Chiude il quadro un sonoro all’altezza, composto da musiche azzeccate e campionamenti adeguati allo scopo, migliorati ulteriormente rispetto alla discreta base sfoggiata dal prequel. Un’ultima nota, infine, va fatta per l’esperienza online: per la sua natura The Crew 2 impone di essere costantemente connessi alla rete, consentendo così di riuscire a incrociare altri giocatori intenti ad esplorare la vasta ambientazione proposta dal titolo Ubisoft. Al momento ci si può solo confrontare solo in piccole sfide riguardanti i tempi di percorrenza dei tracciati, oppure sulla velocità massima sfoggiata in quel particolare tratto di percorso, in attesa del PvP vero e proprio previsto per il mese di dicembre. Per quanto sia lodevole che il supporto post-lancio sia completamente gratuito (il season pass offre solamente l’accesso anticipato ai veicoli aggiuntivi e poco altro), risulta davvero stravagante che delle componenti fondamentali di ogni racing game (come la modalità competitiva) non siamo presenti dal giorno del lancio ed anzi rappresentino promesse per il futuro. La prima parte del titolo è strutturata come una sorta di campagna, in cui il giocatore è chiamato a visitare quattro punti nevralgici delle competizioni ad alta velocità. Guadagnando follower, popolarità e contanti è possibile sbloccare nuovi mezzi, nuove categorie di gare e nuove attività, in un percorso di crescita che sulle prime sembra ben strutturato.

Il vero problema è che il cammino che porta a diventare una star è davvero troppo breve per riuscire a tenere in piedi la produzione. In circa sette ore di gioco si saranno probabilmente affrontate tutte le competizioni principali, e resteranno le minuscole attività secondarie rappresentate da slalom, opportunità fotografiche, prove di velocità o acrobazie aeree. Quindi è bene mettere in conto che le attività end game, fattore da considerare come seconda parte del titolo, fino all’uscita del PvP in inverno sono veramente poche e poco soddisfacenti. Tirando le somme, si può dire che The Crew 2 inizia la sua corsa verso il successo con un assetto non ottimale. Mancano le modalità competitive, mancano attività secondarie spalmate in maniera uniforme sulla grande mappa di gioco, capaci di trattenere gli utenti sui server anche dopo il completamento della “carriera”. Nei prossimi mesi arriveranno nuove tipologie di veicoli e di gare, assieme al PvP ed alla riscrittura del sistema di loot. Ma per adesso? Ora il gioco si presenta come un arcade leggero, divertente e disimpegnato, senza però particolari guizzi ludici o creativi. Il suo punto di forza è la varietà: di panorami, di veicoli, di situazioni. Ma visto che il concept di base resta quello del primo capitolo, manca l’elemento di originalità a condire il tutto. Intendiamoci, The Crew 2 non è affatto un brutto gioco, diverte ed è bello da vedere, ma per chi si aspetta un racing game in stile MMO, al momento potrebbe restare deluso.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8,5
Sonoro: 8,5
Gameplay: 7,5
Longevità: 7,5
VOTO FINALE: 8

 

Francesco Pellegrino Lise




Crash Bandicoot N.Sane Trilogy arriva anche su Xbox One, Pc e Switch

Con l’arrivo della Crash Bandicoot N.Sane Trilogy anche su Xbox One, Pc e Nintendo Switch, il “vero” Crash, quello partorito dalla mente dei programmatori californiani di Naughty Dog, ha smesso ufficialmente di essere una personaggio esclusivo delle console Sony. Il titolo infatti raccoglie i primi tre capitoli della saga, rispettivamente Crash Bandicoot, Crash Bandicoot 2: Cortex Strikes Back e Crash Bandicoot 3: Warped, con una nuova veste grafica, più moderna e meno squadrata rispetto al passato, grazie al lavoro svolto da Vicarious Visions, che si è decisamente concentrato su quella, lasciando quasi invariato tutto il resto, con i pro e i contro di vent’anni fa. Quindi, parlando di giocabilità, almeno per quel che riguarda le meccaniche, c’è ben poco da raccontare se non per i livelli Stormy Ascent e Future Tense che rappresentano qualcosa di inedito, ma non di così rivoluzionario. Le modalità in-game rimangono le medesime, così come i nemici, con il Dr. Neo Cortex come cattivone principale e ricorrente. In game, per facilitarsi la vita è meglio usare i tasti direzionali rispetto alle levette analogiche, dal momento che la maggior parte dei salti, e dei movimenti in generale, avviene in maniera bidirezionale (avanti-dietro, destra-sinistra). Altra meccanica ripresa dal titolo uscito un anno fa su ps4 è la possibilità di usare Coco Bandicoot che, soprattutto per il pubblico femminile, potrebbe rappresentare una novità gradita e al contempo dare importanza alla sorella del protagonista, che non è mai stata troppo al centro del franchise. Su Xbox One i caricamenti sono incredibilmente veloci, forse fin troppo: se da una parte ha una connotazione positiva, visto che si ottimizzano i tempi, dall’altra non permette ai giocatori di leggere i suggerimenti che vengono proposti di volta in volta. Per quel che riguardano i tip, non sempre sono fondamentali, ma per un pubblico che si approccia alla trilogia senza mai averla provata prima, forse era il caso di farli apparire qualche secondo in più.

https://www.youtube.com/watch?v=041DBnxBYPI

La versione più interessante, tra quelle rilasciate i primi di luglio è sicuramente quella per Nintendo Switch

Questo perché, come accade con tutti i giochi per la console ibrida giapponese, rende possibile fruire la trilogia in un’inedita modalità portatile. Switch alla mano, Crash Bandicoot N. Sane Trilogy è lo stesso spettacolo visivo di sempre, anche se propone una grafica meno definita e pulita rispetto a tutte le altre versioni per console e PC. In generale, i colori sono più scuri e la visuale è tendenzialmente più sporca per via dell’aliasing, visibile soprattutto in lontananza, e una leggera sfocatura che copre l’immagine. Escluse queste piccole (e forse lecite) differenze, che si notano maggiormente giocando in modalità TV, a livello prestazionale, invece, la N. Sane Trilogy per Switch si presenta nello stesso e identico modo delle altre versioni per console base (PS4 e Xbox One, quindi): il frame rate è ancorato ai 30 fps, mentre la qualità dell’opera di rimasterizzazione di Vicarious Visions resta pregevole e apprezzabilissima sia per qualità che gusto artistico. La condizione generale dell’adattamento viene ammorbidita dalla fruizione sullo splendido schermo di Nintendo Switch, che ho preferito rispetto alla modalità televisiva per due motivi: l’aspetto visivo tendenzialmente più gradevole e la possibilità di giocare in mobilità. La struttura dei livelli, che durano quasi sempre una decina abbondante di minuti, e la spensieratezza del gameplay rendono la N. Sane Trilogy perfetta anche per una partita mordi e fuggi, una situazione pressoché inedita per la maggior parte degli utenti interessati al rifacimento in alta definizione: ci sono stati, in passato, dei capitoli portatili di Crash, ma, escludendo l’emulazione su PSP e PS Vita, questo è l’unico modo per fruire i capitoli principali della saga in movimento.

Per quanto riguarda il comparto tecnico, su Xbox One normale ed S la trilogia si comporta esattamente come visto e apprezzato un anno fa su PlayStation 4. I 1080p e i 30fps vengono raggiunti senza troppi problemi e, in generale, la grafica è davvero molto piacevole, però la cosa cambia nettamente su Xbox One X, dove si ha letteralmente la sensazione di essere di fronte a un’immagine più pulita e definita, addirittura più di quella che caratterizza da un anno la versione per PlayStation 4 Pro. Ovviamente la versione PC di Crash Bandicoot N. Sane Trilogy è, a ben vedere, il massimo dal punto di vista visivo, però se non si dispone di un pad, il gioco perde molto a livello di feeling, specialmente se si è degli amanti della saga che hanno avuto il piacere di giocare alle versioni originali di 20 anni fa. E’ bene dedicare qualche riga anche ai livelli bonus, Stormy Ascent, già disponibile da luglio scorso su PS4, e Future Tense, arrivato anche su console Sony proprio in concomitanza con il lancio della trilogia su PC, Xbox One e Nintendo Switch. Entrambi gli stage offrono un level design che innalza la difficoltà in maniera esponenziale e che farà davvero dannare i giocatori con salti al millimetro, piattaforme instabili e checkpoint distribuiti col contagocce. Stormy Ascent è un livello ostico pensato in origine da Naughty Dog, Future Tense è invece una trovata totalmente inedita realizzata da Vicarious Visions, che si è ispirata proprio al castello tempestoso del primo contenuto aggiuntivo per proporre la sua personalissima visione per un livello difficile di Crash. Tirando le somme, se vi state chiedendo se vale la pena di acquistare questa Crash Bandicoot N.Sane Trilogy, la nostra risposta è assolutamente sì, infatti qualora voleste rivivere o vogliate scoprire i fasti dell’eroe che ha accompagnato un po’ tutti i gamers dall’era analogica a quella digitale, basterà acquistare il titolo al prezzo di 40 euro e prepararsi a vivere ore ed ore di folle divertimento in salsa old style. Una vera chicca per tutti, un tesoro imperdibile per chi è cresciuto con i videogame del brand.

Francesco Pellegrino Lise




Tutti supereroi con il videogame LEGO Gli Incredibili

Warner Bros. Interactive Entertainment, TT Games, The LEGO Group e Disney e Pixar hanno finalmente lanciato LEGO Gli Incredibili, un nuovo videogioco in cui i giocatori potranno vivere le emozionanti avventure dell’iconica famiglia dotata di superpoteri in sequenze d’azione mozzafiato tratte da entrambi i film (la seconda pellicola sarà nei cinema dal 19 settembre ndr.). I fan scopriranno tutte le straordinarie abilità di cui è dotata la famiglia Parr, e col lavoro di squadra impareranno a combinarle per creare superpoteri unici con cui aiutare i leggendari eroi ad affrontare il crimine in un vibrante mondo fatto di mattoncini e ricco di divertimento ed emozioni. LEGO Gli Incredibili è disponibile per Nintendo Switch, PlayStation 4, Xbox One, e PC. A differenza della maggior parte dei titoli targati LEGO, Gli Incredibili proietta i giocatori all’interno di una storia che non si conosce e non si limita ad affrontare le vicende narrative del film Gli Incredibili 2, ma ritorna sulle orme del titolo originale nella seconda metà del gioco. La formula adottata da TT Gmes resta ancora una volta invariata e, sebbene qualche minuzia meccanica permette di distinguere Lego Gli Incredibili dagli altri titoli basati sull’universo dei mattoncini, l’esperienza di gioco finale resta pressoché invariata. Laddove titoli come Lego Batman o Lego Marvel’s Avengers compensano la disarmante semplicità del titolo con una varietà impressionante nel numero dei personaggi e del carico narrativo che questi portano all’interno delle storie e mini-storie presenti all’interno del mondo di gioco, Lego Gli Incredibili scopre il fianco a causa della monotonia del roster di personaggi proposti che, oltre ad essere inferiore rispetto agli altri titoli LEGO ( Soltanto 113 ), questi non rappresentano un’attrattiva sufficiente soprattutto al di fuori della cerchia della famiglia Parr. Nessuno, per esempio, ha interesse nel selezionare lo scagnozzo di turno per sperimentarne i poteri e la scarsità di alternative proposte all’interno del titolo va a braccetto con una longevità decisamente inferiore alla media dei titoli

Gli Incredibili non rappresenta dunque la migliore espressione videoludica offerta da TT Games, il titolo riesce infatti a raccontare le storie di ben due film ma la durata complessiva delle missioni principali, un totale di 12, 6 per film, non supererà le 7 ore massime. A tradire la natura semplicistica del titolo troviamo infatti un sistema di combattimento ancora incagliato nei suoi problemi di collisioni che si arrende ad un livello di sfida praticamente inesistente il tutto accompagnato da una gestione della telecamera e della prospettiva molto spesso fastidiosa. Anche il gameplay del titolo non è proprio il massimo. Durante l’intera narrazione ci si troverà molto spesso a ripetere ciclicamente le stesse azioni, livello dopo livello. Sconfiggere nemici, risolvere qualche enigma ambientale molto semplice e costruire il mezzo con cui sconfiggere il boss di turno o l’aggeggio utile a salvare la situazione. Giusto per essere onesti, alcuni enigmi sono ben realizzati e qualche battaglia con i boss è divertente da completare, però ripensando ad altri titoli della serie LEGO, come ad esempio LEGO Star Wars: Il risveglio della Forza, il ritmo della narrazione e la varietà delle azioni da svolgere sono nettamente inferiori. Terminato il capitolo iniziale, il gioco lascia i giocatori liberi di esplorare il grande HUB centrale, la città “Municiberg”, forse la parte meglio riuscita dell’intera produzione. Attraverso questa vasta area completamente esplorabile si avrà libero accesso a numerosissime missioni secondarie e a tantissimi collezionabili. Qui, oltre al poter rigiocare tutti i capitoli della trama in “Modalità libera” dando la possibilità di utilizzare tutti i personaggi sbloccati, si potranno anche affrontare le “Ondate di criminalità”, ossia delle missioni secondarie più complesse, basate su più cittadini da salvare, in cui sarà necessario liberare i diversi quartieri della città dai malvagi di turno.

Fortunatamente la presenza di tanti personaggi presi da altre serie Disney Pixar come Dory di “Alla ricerca di Nemo” o di Russell di “UP” faranno la gioi degli appassionati, inoltre, altra nota positiva, l‘intero titolo è completamente giocabile in cooperativa a schermo condiviso, quindi due amici nella stessa stanza potranno lottare fianco a fianco come dei veri compagni supereroi. Tecnicamente parlando, LEGO: Gli Incredibili resta fedele a tutta la serie di giochi targati LEGO. Per le ambientazioni TT Games regala un mondo incredibilmente bello da vedere, tutto fatto a cubetti e pieno di colori. Sfortunatamente la totale assenza di cali di frame rate non riesce a distogliere l’attenzione dalla corposa dose di pop up che su tutte le piattaforme si nota. Pollice verso anche per quanto riguarda i caricamenti, soprattutto all’inizio e al termine di ogni missione, con picchi nel loading dell’HUB principale che a volte è veramente estenuante. Per quanto riguarda l’audio, il doppiaggio, completamente in italiano, è stato realizzato da quasi tutti i doppiatori del film, ma volendosi incaponire, si avverte un leggero problema di sincro del movimento delle “labbra” con l’audio; molto spesso, soprattutto nei video, potrà capitare di vedere il personaggio muovere la bocca senza emettere alcun suono. Le musiche sono orecchiabili e riprese dal film, nonostante si riducano ad un loop infinito durante l’esplorazione. Tirando le somme, questo LEGO Gli incredibili è un titolo che non riesce a lasciare a bocca aperta, ma possiede anche qualche punto di forza. Se si considera poi che il gioco è un prodotto diretto a un target di gamers giovanissimo, tanti dei difetti sopra elencati non si noteranno e quindi, se visto in questa ottica, il prodotto potrebbe fare la gioia dei più piccini.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 7
Sonoro: 8
Gameplay: 7,5
Longevità: 7,5
VOTO FINALE: 8,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Super Bomberman R, il ritorno di un grande classico

A dieci anni di distanza dall’ultimo capitolo del titolo Konami, Super Bomberman R porta gli iconici omini che piazzano bombe sulle nuove piattaforme di gioco. Il titolo nato da principio come esclusiva per Nintendo Switch è arrivato recentemente anche su Xbox One, PS4 e Pc per la gioia di tutti gli appassionati della serie. Il videogame rappresenta la promessa di un meraviglioso viaggio nella memoria, all’epoca in cui Bomberman era sinonimo di frenetiche battaglie multigiocatore, seguite da convulse risate e sfottò a valanga. Super Bomberman R è caratterizzato da diverse modalità di gioco. La campagna singolo giocatore rappresenta un valore aggiunto in grado di intrattenere il giocatore anche in assenza di compagnia. Ovviamente è bene specificare che acquistare questo titolo con il solo intento di godersi la campagna singolo giocatore sarebbe uno spreco di soldi, non tanto per la qualità della stessa, quanto più perché Bomberman in generale è collocabile nel genere dei party game per antonomasia. Detto ciò, la campagna vedrà i giocatori contrapposti nei panni di uno dei classici Bomberman buoni contro cinque Bomberman malvagi capitanati dal perfido Imperatore Buggler. Ciò significa che nei vari mondi di gioco bisognerà affrontare un certo numero di livelli contro mostri “classici” per poi affrontare i boss di fine livello, i Bomberman malvagi appunto. I combattimenti contro i boss si compongono di due parti: una prima fase che consiste nell’affrontare un avversario simile ad un Bomberman, dotato di poteri particolari, ed una seconda fase in cui sarà necessario affrontare una enorme versione potenziata dello stesso avversario in campo aperto. Le missioni offrono alcuni spunti davvero interessanti, purtroppo ripresi solo in parte negli otto livelli a disposizione per le battaglie multigiocatore. La campagna di Super Bomberman R, nonostante qualche missione leggermente più difficile che potrebbe risultare più ostica del normale, fila liscia nel giro di qualche ora. È anche possibile giocare a fianco di un amico grazie alla modalità co-op. Le scene di intermezzo sono coloratissime e caratterizzate da un’animazione piacevole e di buona fattura. Il tutto inoltre è doppiato in lingua inglese a livello professionale che seppur non farà impazzire i più piccoli, dona al videogame di Konami un valore aggiunto.

Come vi dicevamo, il piatto ricco del titolo arriva quando si ha a che fare con il multiplayer, proprio a tal proposito sono presenti ben tre modalità di gioco per quanto riguarda la così detta “Modalità Battaglia”: Battaglia Multigiocatore: per 4 o 8 giocatori, Battaglia in locale: fino a 4 giocatori, Battaglia online: come suggerisce il nome, si tratta di battaglie online che a loro volta si suddividono in altre due sottocategorie, ossia: Battaglia di lega: battaglie per 4 giocatori che ci permettono di scalare le classifiche mondiali, guadagnare PB e sbloccare oggetti estetici e Battaglia libera che permette di creare stanze di gioco e unirsi ai propri amici o partecipare a una Partita Rapida. Graficamente parlando nonostante la visuale isometrica, la precisione dei titoli 2D è comunque altra cosa, l’esperienza di gioco è ugualmente divertentissima, non ci si rende conto di quanto sia assuefacente la formula di gioco fin quando non la si prova, ed è questo un messaggio per coloro che magari non avessero mai avuto modo di mettere le mani su un capitolo della serie, cosa non impossibile, visto l’oblio nel quale era stata confinata degli anni recenti; tutti gli altri sanno benissimo di cosa stiamo parlando, di intensissimi scontri, tra strategia, temerarietà ed errori, scontri che susciteranno sempre ilarità, risolvendosi in grandi esplosioni. Peccato che battagliare online sia un po’ problematico, sia nel cercare sfidanti, sia negli scontri, nei quali il lag si fa sentire, ma da quello che possiamo apprendere Konami è già al lavoro su una patch risolutiva. Esteticamente Super Bomberman R è una vera gioia per gli occhi, sfondi e personaggi sono tutti coloratissimi e le arene di gioco per quanto semplici sono sempre molto gradevoli da vedere e giocare. Tirando le somme, con questo ritorno al passato Konami ha voluto regalare ai nuovi giocatori la possibilità di godere di un titolo evergreen e soprattutto ha donato ai gamers più attempati la possibilità di rivivere le emozioni di un vero pilastro della storia dei videogames. Se si ha la possibilità di giocare in compagnia o di giocare in multiplayer online Super Bomberman R è una vera “esplosione” di divertimento. Provare per credere.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8
Sonoro: 8
Gameplay: 8,5
Longevità: 8
VOTO FINALE: 8

 

Francesco Pellegrino Lise




Tennis World Tour arriva su Pc e console

Bigben Interactive e Breakpoint lanciano su Pc, Ps4, Switch e Xbox One, Tennis World Tour, nuovo videogioco dedicato ad una delle discipline sportive più amate e praticate nel mondo. Sfortunatamente il titolo non è riuscito nell’impresa di attestarsi come uno dei migliori videogame di questo settore e adesso vi spiegheremo il perché. Lo scopo di Tennis World Tour voleva essere quello di fornire un’esperienza tennistica autentica e come mai vista prima d’ora, figlia soprattutto di un motion capture intensivo e di grande qualità. Sarebbe stata buona cosa trovarsi dinanzi a una diversificazione delle animazioni per ciascuno dei trenta professionisti riprodotti, o quantomeno un sistema di gestione delle stesse più avanzato, capace di rendere i movimenti fluidi e naturali. Invece nel titolo non esiste nulla di tutto ciò: le animazioni sono a volte imprecise e spesso mal collegate tra loro. Poco realistico e da far storcere il naso anche l’approssimativo sistema di collisioni, che a discapito di tutte le patch e le migliorie giunte in questi giorni continua a mostrare momenti di raro imbarazzo a base di palline che cambiano traiettoria a più di un metro di distanza dalla racchetta come se fossero schegge impazzite. Purtroppo il peggio però deve ancora arrivare, infatti se le imperfezioni grafiche possono dare fastidio, assolutamente insopportabile è l’atteggiamento degli avversari guidati dall’intelligenza artificiale. Questi tennisti infatti sembrano essere poco combattivi e spesso e volentieri rinunciatari, infatti, più di una volta capiterà di andare a segno con dei colpi assolutamente prevedibili e recuperabili dal proprio avversario virtuale. Questa problematica è senza dubbio figlia dalla fretta con cui il team di sviluppo ha dovuto implementare il sistema di selezione del livello di difficoltà. Fino a pochi giorni fa, tra l’altro, poteva succedere che l’avversario diventasse per qualche break una sorta di manichino inattivo senza motivo salvo poi riprendersi e trasformarsi improvvisamente in una sorta di macchina da guerra capace di annientare il giocatore in quattro e quattr’otto pochi minuti più tardi. Sebbene sul versante tecnico Tennis World Tour sembra reggersi in piedi per scommessa, il team di sviluppo ha comunque dimostrato di poter dire la sua, confezionando una modalità carriera inaspettatamente complessa e ricca di dettagli, unico vero elemento di spicco di una produzione altrimenti tutt’altro che brillante. Buona parte degli sforzi produttivi profusi dagli sviluppatori sono stati riversati nella creazione di un editor dei personaggi che fosse almeno sufficiente, di un notevole parco attrezzature che andasse a coprire tutte le necessità di ogni appassionato di tennis e, soprattutto, di una sistema di crescita del personaggio che, pur senza apportare chissà quali innovazioni al genere di riferimento, risultasse tutto sommato ben studiato e ricco di opportunità. Lo scopo di chi gioca sarà sarà fondamentalmente quello di scalare le classifiche e arrivare infine ai primi posti del ranking mondiale, sconfiggendo partita dopo partita tutti gli avversari. Facendolo sarà possibile salire di livello e potenziare quattro statistiche diverse del personaggio, comprare nuovo equipaggiamento grazie alla valuta di gioco, oppure ottenere delle particolari “carte abilità” in grado di modificare le caratteristiche del proprio tennista. Questa modalità, al netto di qualche piccola falla, è l’unica in grado di sostenere il gioco. Dal punto di vista del sonoro gli effetti sono generalmente buoni e fedeli alla realtà, peccato per il commento in game che risulta a volte estremamente ridicolo e fatto veramente male. Alcune frasi del telecronista riescono addirittura anche a far ridere per quanto risultano essere forzate e fuori luogo.

A livello di giocabilità, una volta preso il pad in mano, Tennis World Tour riesce fortunatamente, nonostante le numerose pecche elencate, a risultare piacevole. Andando oltre al primo impatto si riesce a intravedere qualche spunto interessante. Però è davvero impossibile girarci intorno: Tennis World Tour non è, e probabilmente non sarà mai, un prodotto capace di rendere pienamente felici i veri appassionati di tennis e coloro che cercano un titolo simulativo. Il gameplay di base resta infatti semplificato, a tratti persino elementare, e comunque lontano rispetto a quello delle grandi simulazioni tennistiche che erano presenti sul mercato una decina di anni fa. Come rapidamente spiegato anche nelle sessioni di allenamento, accessibili dall’apposita voce del menu principale, ogni tipologia di colpo a disposizione sarà mappata su uno dei tasti frontali del pad, con la possibilità di caricare a piacimento il tiro attraverso la pressione prolungata di uno dei tasti. Una scelta sensata e lineare, molto più di quella con cui è stato scelto di far direzionare la palla attraverso lo stick analogico sinistro, lo stesso con cui è necessario muovere il personaggio. Dopo un po’ di pratica, però, complice anche la possibilità di caricare il colpo in anticipo e mantenere la carica attiva fino a quando non si è vicini alla palla, ci si fa l’abitudine. Generalmente per abituarsi al gameplay di Tennis World Tour bastano un paio di partite e proprio questa semplicità rende la produzione un titolo fruibile da tutti, anche chi non conosce le basi di questo sport. Tirando le somme, questo Tennis World Tour, nonostante non sia un titolo realistico e nonostante non sia esente da difetti rilevanti, in linea di massima riesce a divertire, anche se gli appassionati di tennis e quei giocatori che cercano un titolo simulativo resteranno con l’amaro in bocca. A nostro avviso quindi il titolo di Bigben Interactive e Breakpoint dovrebbe essere acquistato solo da chi adora il tennis in maniera smodata o da chi cerca un titolo sportivo senza troppe pretese.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 5,5
Sonoro: 5
Gameplay: 6
Longevità: 5
VOTO FINALE: 5

 

Francesco Pellegrino Lise




Street Fighter 30th Anniversary Collection, una raccolta per veri intenditori

Era il lontano 1987 quando il primo Street Fighter fece la sua comparsa nelle sale giochi. A poco a poco il titolo divenne un vero fenomeno di culto che generò negli anni successivi tutta una serie di sequel, spin-off e cross over con altri giochi di lotta rafforzando sempre di più il brand e incidendo a colpi di successo il nome Street Fighter nell’Olimpo del gaming. La vera popolarità la serie l’acquisì però con Street Fighter II: The World Warrior, il picchiaduro 2D in grado di riscrivere le regole del genere come pochi titoli nella storia dei beat ‘em up a incontri. Cos’è che ha reso la saga di Ryu, Ken, e company così memorabile? Cosa ha spinto milioni di fan per ben trenta lunghissimi anni a combattere a colpi di Hadouken, Sonic Boom, Tiger Uppercut e tutte le altre mosse iconiche del titolo di Capcom? A tentare di dare una risposta definitiva ci pensa proprio la Street Fighter 30th Anniversary Collection, ultima compilation dedicata alla serie, che rappresenta di fatto una vera e propria antologia che racchiude i primi tre capitoli ufficiali in ogni loro variante, per un totale di ben 12 titoli differenti. Nello specifico la collezione contiene: Street Fighter (1987); Street Fighter II: The World Warrior (1991), con tutte le sue evoluzioni: Champion Edition (1992), Turbo: Hyper Fighting (1992), Super (1993) e Super Turbo (1994); i tre titoli della serie Alpha: Street Fighter Alpha (1995), Alpha 2 (1996) e Alpha 3 (1998); infine sono presenti le tre incarnazioni di Street Fighter III: New Generation (1997), 2nd Impact (1997) e 3rd Strike (1999). Il grande valore di questa raccolta risiede nel fatto che giocando ai titoli a disposizione ben presto ci si rende conto di tutte le evoluzioni compiute nel corso degli anni sul piano stilistico e su quello del gameplay, ma i veri puristi della saga siamo assolutamente certi potranno passare moltissimo tempo combattendo nelle evoluzioni del secondo capitolo, vero cuore pulsante della Collection targata Capcom. Le simulazioni delle edizioni arcade sono impeccabili e mantengono più o meno le stesse modalità dei titoli come erano in sala giochi, aggiungendo tuttavia la possibilità di una partita in locale e soprattutto la modalità online. Quest’ultima non è disponibile per tutti e dodici i videogames, ma solo per Street Fighter II: Hyper Fighting, Super Street Fighter II: Turbo, Street Fighter Alpha 3 e Street Fighter III: 3rd Strike.

Oltre alle classiche partite Classificate e Casual, la funzionalità online prevede la possibilità per quattro giocatori di entrare in una lobby, dove due di questi, in attesa del loro incontro, potranno assistere al duello degli altri due. Oltre a racchiudere i principali giochi della serie, esclusi ovviamente i recenti Street Fighter IV e V, questa collection offre svariate modalità grafiche per fruire i titoli al meglio. Tutta la sfilza di mosse tipiche delle produzioni di Capcom si possono apprezzare in modalità 4:3, come nei titoli originali, o in 16:9. Se si fruisce dell’immagine in 4:3 si può scegliere se attivare i contorni grafici o se si preferisce avere i bordi neri. I filtri grafici, che simulano i pixel del tubo catodico o dello schermo del cabinato, sono disattivabili, garantendo la sensazione di assoluta libertà di fruizione. Assieme alla possibilità di giocare online, probabilmente la parte migliore di questa Street Fighter 30th Anniversary Collection risiede nel fatto che è possibile ripercorrere alcuni dei momenti storici più importanti della serie grazie alla sezione Museo, la quale comprende una linea temporale interattiva che narra gli eventi che hanno portato il brand ad essere uno dei titoli di punta della scena picchiaduro mondiale. Inoltre in questa modalità si può ripercorrere la storia dei protagonisti, grazie all’inclusione delle intere biografie dei personaggi e si può ascoltare la colonna sonora di tutti e dodici i titoli, pezzo per pezzo. Tirando le somme, questa Street Fighter 30th Anniversary Collection rappresenta a tutti gli effetti una raccolta imperdibile per chiunque abbia almeno fatto una partita a uno dei titoli del colosso nipponico del gaming nel corso della propria vita. Però la vera forza della raccolta risiede anche nel fatto che i nuovi appassionati di videogames potranno scoprire dei veri e propri pezzi di storia, titoli che nonostante gli anni sulle loro spalle riescono sempre a divertire come il primo giorno e che sembrano non aver accusato per nulla i segni del tempo. Se a tutto questo ben di Dio si aggiunge anche il fatto che la Street Fighter 30th Anniversary Collection viene venduta a un prezzo ridotto rispetto gli standard sia su Pc che su Xbox One, Ps4 e Switch, non possedere questa raccolta sarebbe veramente un errore imperdonabile.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8,5
Sonoro: 8,5
Gameplay: 9
Longevità: 9,5
VOTO FINALE: 9

 

Francesco Pellegrino Lise




State of Decay 2, il ritorno dell’apocalisse zombie

Con State of Decay 2 Undead Labs e Microsoft sfornano il tanto agognato sequel, in esclusiva per le console della famiglia Xbox, dell’ottimo titolo zombie survival open world uscito nel 2011 per Xbox 360 e PC. Le vicende legate a State of Decay 2 si posizionano temporalmente 18 mesi dopo il titolo originale; l’esercito ha perso, disertando e lasciando indifesi i pochi rifugiati sparsi per le città e le campagne. I morti viventi, invece, diventano, ogni giorno che passa, sempre più famelici e numerosi. Come se non bastasse, un’infezione denominata “Piaga del Sangue” ha contagiato molti di loro, rendendoli ancora più pericolosi e soprattutto contagiosi per le persone ancora in vita. Questi zombie particolari sono riconoscibili dal loro continuo grondare sangue e venire morsi più volte da loro, significa rischiare di contrarre la stessa malattia e, di conseguenza, esporsi ad una possibile trasformazione a meno che non ci si riesca a curare in tempo. La Piaga del Sangue è una delle novità più importanti di questo seguito, il quale, non presentando una vera e propria storia raccontata, ricama su questa “malattia” il focus principale dell’avventura. Non si può, quindi, parlare di campagna o di storia vera e propria ma bensì di semplice “avventura” che può durare anche 100 ore di gioco. Ovviamente, uno scopo per concludere il tutto c’è e si dirama in due fasi opportunamente divise; in un primo momento bisogna eliminare ogni singolo “ammasso del sangue” presente nella mappa di gioco, questi sono l’origine della malattia e assomigliano a piccoli nidi, molto difficili da distruggere senza essere armati a dovere. Una volta completata questa difficile mansione, inizia la fase due, la quale si differenzia a seconda del leader che si è scelti per il proprio gruppo. In State of Decay 2 esistono quattro diversi tipi di caratterizzazione: Signore della Guerra, Costruttore, Commerciante e Sceriffo, è chiaro che un membro Eroe scelto può avere uno soltanto di questi status, che risultano casuali e non selezionabili dal giocatore. Una volta che ricade la scelta, viene sbloccata l’impresa, vale a dire la missione finale per concludere la partita; con il Signore della Guerra, ad esempio, per vincere bisogna spazzare via una particolare comunità violenta chiamata “Coalizione”. Il gioco ha inizio con la possibilità di scegliere una coppia di personaggi unici, quindi non proposti in maniera casuale. Dopo un breve tutorial in cui si viene catapultati nella vicenda, viene poi chiesto in quale, delle tre mappe presenti nel gioco, ci si vuole iniziare a insediare. Ognuna di loro è diversificata come area e come ambientazione, dalla montagna all’altopiano. La scelta è relativa, poiché se ci stanchiamo è possibile trasferire l’intera comunità in un’altra zona nel corso della partita. State of Decay 2 segue la logica del survival game, mettendo a disposizione più di un alter-ego con l’intenzione di far costruire/gestire una comunità. Importante constatare come lo studio Undead Labs abbia ben pensato di non stravolgere il sistema efficiente conosciuto nel primo capitolo, enfatizzando inoltre la meccanica della morte permanente dei personaggi al fine di impedire qualsivoglia azione priva di senno. Oltre a essere un survival game, però, State of Decay 2 è anche un gioco di ruolo con caratteristiche gestionali, visto che aggiunge alla solita gestione della comunità maggiori elementi di caratterizzazione, come la personalità o le abilità specifiche, che potranno man mano essere allenate al fine di sfruttare al meglio ogni peculiarità in dotazione. I punti di forza e debolezza, mostrati nel pannello dedicato, permettono al giocatore di scegliere il personaggio x a discapito di quello y quando si tratta di fare una particolare missione, ripulire un luogo infestato e così via, cercando di non ignorare anche la sfera caratteriale per evitare di generare risse all’interno del luogo sicuro. Ogni volta che una skill viene utilizzata, questa cresce di livello, raggiungendo dopo sei stelle un grado di specializzazione, da selezionare con cautela al fine di creare un team diversificato capace di far fronte a qualsiasi eventualità.

Avere tutti i personaggi specializzati nello stesso asset è uno sbaglio, perché si può finire per non avere l’abilità giusta per costruire un edificio necessario nella base, oppure utilizzare oggetti o armi più potenti. Come scritto in precedenza, gli sviluppatori non hanno voluto stravolgere un sistema già consolidato, scegliendo piuttosto di inserire tantissime variabili in più. Le prime missioni personali rappresentano il modo più rapido per ottenere influenza, ma contribuiscono anche al reperimento di risorse e oggetti utili per andare avanti, come materiali da costruzione, cibo, scorte mediche e molto altro ancora. Toccherà quindi scendere a patti con una serie di eventi, sfortunati o meno, dettati dalla casualità, che possono in qualche modo creare lo stimolo giusto utile a reagire alle difficoltà proposte dal gioco. Sopravvivere da soli è un conto, ma farlo in una comunità è tutta un’altra cosa. Per questo i consigli migliori restano: mai girare da soli, mai sovraccaricare lo zaino, mai uscire senza un’arma di riserva, mai lasciare una tanica di carburante extra a casa. Gestire la comunità è la parte più profonda e complessa dell’intera produzione, ma allo stesso tempo ciò che rende State of Decay unico nel suo genere di riferimento. La prima cosa da tenere a mente è che ogni azione ha una conseguenza sul morale dei compagni e sul rispetto degli alleati. La morte di un membro può causare depressione, tristezza, rabbia e provocare risse, suicidi, e fughe. Il compito di chi gioca, perciò, è quello di tenere il morale sempre alto, raccogliendo risorse vitali e costruendo particolari edifici debiti al benessere collettivo, come: letti, generatori, pozzi, salottini. Esattamente con nel precedente capitolo, i rifugi sono contati, ma sono nettamente più grandi e disposti di aree di costruzione piccole e grandi, dove poter edificare gli edifici più congeniali al nostro stile. Ogni struttura offre dei bonus ma anche dei malus, spetta al giocatore fare i dovuti accorgimenti su cosa e soprattutto dove costruire. Il rifugio è quindi l’hub della squadra, dei superstiti; un luogo in cui ci si può riposare dopo una giornata difficile, dove poter chiacchierare con gli altri membri e potersi curare in un’infermeria. La parte gestionale è fondamentale nel complesso dell’esperienza, saper gestire e organizzare i propri seguaci significa saper sopravvivere e riuscire a cavarsela. Spesso orde di zombie assaltano la base e vincere non è mai una cosa scontata, le perdite sono preventivabili. Per fortuna, rispetto al passato, si ha la possibilità di giocare con qualsiasi personaggio che viene introdotto nel campo base, ognuno con un background che incide sulle sue statistiche e sulla sua utilità; un medico è utile in un’infermeria, mentre un ex marine se la cava meglio a sparare. Come in una squadra di calcio, tutti sono utili ma nessuno è indispensabile, ragion per cui se qualcuno crea problemi, è possibile esiliarlo o addirittura ucciderlo al fine di preservare l’intera comunità. Anche un ammalato di Piaga del Sangue può essere salvato con la cura opportuna, ma può essere anche cacciato o soppresso. Insomma, da questo punto di vista State of Decay 2 offre infinite possibilità di situazioni e di conseguente divertimento. Il combat system scelto per State of Decay 2 mostra sia punti di forza che di debolezza. Le armi da fuoco restituiscono un feedback soddisfacente durante l’utilizzo, grazie al fatto che ognuna non solo provoca un rumore capace di attirare gli zombie, ma comporta un particolare rinculo o mira difettosa al momento in cui vengono utilizzate con un’abilità bassa. Ogni oggetto ha un livello di usura che scende a seconda dell’utilizzo, e di come ne viene fatto uso, arrivando inevitabilmente alla rottura. Per quanto riguarda le armi da mischia, queste vengono suddivise in contundenti e da taglio, ed è importante riconoscerne la differenza e la qualità perché durante le esplorazioni può capitare di far fronte a diverse problematiche. Le armi contundenti sono utilissime per danneggiare l’avversario facendolo subito mettere prono a terra, così da attivare l’esecuzione con la pressione contemporanea dei tasti (LB+X), mentre quelle da taglio smembrano con un’alta probabilità di tagliare un arto o perfino la testa. Il reperimento delle risorse in gioco è possibile frugando nei contenitori, tenendo premuto il tasto (Y), ma bisogna cercare di non fare di fretta al fine di fare tutto in modo silenzioso e letale.

Oltre agli edifici infestati, dove è possibile trovare discrete ricompense, ci sono anche gli edifici dove si sta espandendo la Piaga del Sangue, a tutti gli effetti si tratta di nidi da distruggere per ottenere nuclei da fondere nelle cliniche per creare una cura. Andando avanti e migliorando le proprie caratteristiche miglioreranno anche gli zombie presenti sulla mappa, che da semplici diventeranno prima rossi, con escrescenze, e poi colossi, tumuli e così via. Ognuno di loro ha delle caratteristiche uniche e vi garantiamo che sono particolarmente coriacei da uccidere se non preparati doverosamente per lo scontro. Anche le orde sono lievemente migliorate e se ne vedono i frutti soprattutto nelle missioni secondarie legate alle enclavi vicine sparse per la mappa, visto che dargli il proprio aiuto non sempre si rivela un atto di altruismo giustificato o premiato degnamente. L’utilizzo della radio da campo, infine, concede al giocatore un attimo di respiro dall’esplorazione, indicando al modico costo di un pugno di influenza dei luoghi dove è possibile cercare delle risorse base. Questo comando richiederà più punti influenza quando la richiesta verte sulla ricerca di altri superstiti, oppure sul cambio della mappa da una zona all’altra. Se sul fronte gameplay e meccaniche di gioco Unlead Lab ha svolto un lavoro encomiabile, lo stesso non si può affermare parlando del comparto tecnico: State of Decay 2 è infatti molto distante, sia visivamente che a livello di animazioni, dalla maggior parte delle produzioni di tripla A. L’utilizzo dell’Unreal Engine ha sicuramente portato i suoi frutti e i progressi sono notevoli rispetto a quanto visto nel primo capitolo con un aspetto grafico molto più piacevole e animazioni nel complesso meno legnose. Le tre “mappe” inoltre sono vaste, completamente esplorabili, ricche di edifici e strutture da esplorare e non mancano macerie e rottami con cui interagire: insomma gli elementi di contorno a livello di quantità non mancano. Sicuramente State of Decay 2 non è un titolo che fa gridare al miracolo e non è l’esclusiva capace di sprigionare tutta la potenza di Xbox One X ma nel complesso risulta gradevole. Il frame rate risulta invece ancora troppo ballerino e paradossalmente i cali maggiori si verificano proprio sulla più potente console mentre sul modello tradizionale e su Xbox One S l’esperienza risulta più fluida a discapito però della risoluzione e di un campo visivo meno profondo e dettagliato.

Un lavoro praticamente ineccepibile invece è stato fatto sulla caratterizzazione dei personaggi: ognuno con il proprio background, desideri, aspettative, abilità uniche e tratti caratteriali e psicologici ben precisi che impatteranno direttamente sul gameplay, sulla gestione del rifugio e sugli obiettivi di missione. Poche le novità invece sui nemici: si incontreranno molti zombi noti, non mancheranno creature corazzate, mini-boss alquanto letali e anche gli esseri umani che non sempre saranno amichevoli. Per quanto riguarda il multiplayer cooperativo fino a 4 giocatori assieme, State of Decay 2 non riesce ad avere un’identità ben precisa. La cooperazione funziona in maniera simile a quanto già visto in Monster Hunter World: si lancia un razzo di segnalazione e si aspettano rinforzi, amici, persone sconosciute, non importa, arrivano con il loro personaggio per aiutare. Undead Labs ha voluto in qualche modo rendere questa modalità una sorta di “aiuto temporaneo” e non qualcosa da poter giocare dall’inizio alla fine. Per prima cosa non è possibile distaccarsi dall’host della partita e, inoltre, oltre ad aiutarlo non è possibile fare nient’altro. Ma allora, qual è il vantaggio di un giocatore che vi viene ad aiutare? A seconda delle missioni completate, degli oggetti trovati e degli zombie uccisi, si ottengono delle ricompense da poter utilizzare nella propria partita, ma attenzione però: se si muore dall’amico, si perde il personaggio. C’è poi la questione legata all’atmosfera e alla difficoltà, il gioco non si adegua e ciò significa che in 4 riesce ad essere fin troppo semplice, snaturando un po’ quel concetto di sana paura e tensione che l’esperienza riesce a conferire unicamente nel single player. Insomma una modalità gradita, ma troppo essenziale e priva di mordente, un mero contorno di produzione. Tirando le somme, State of Decay 2 è un buon prodotto, che riesce sicuramente a divertire e che farà la gioia degli appassionati delle più famose serie televisive dedicate all’apocalisse zombie. Alcune piccole imperfezioni però e il dover stare attenti a ogni piccolo particolare rendono il titolo di Undead Labs un’esperienza dedicata soprattutto a chi ha molta pazienza, tempo da spendere e nervi saldi. Insomma, se siete alla ricerca di un videogame dove è necessario buttarsi in mezzo all’azione e dove si ottengono risultati immediati allora è meglio navigare verso altri lidi. Se però si cerca un survival pieno di cose da fare, denso di suspance e con gameplay severo e a tratti crudele, allora State of Decay 2 è il gioco che fa per voi.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8
Sonoro: 8
Gameplay: 7
Longevità: 9
VOTO FINALE: 8

 

Francesco Pellegrino Lise




Dark Souls Remastered, il capolavoro originale di Miyazaki torna in grande stile

Quando si vuole intraprendere un’opera di riedizione di un titolo che è diventato un’icona del gaming, come Dark Souls di From Software, vista l’entità dell’intervento che si vuole compiere, i rischi sono elevatissimi. Cambiare anche il più piccolo particolare in un titolo basato sull’attenzione per il dettaglio e su un simbolismo così ben strutturato può in un sol colpo demolire l’impianto originale e attirare le ire di una delle community più prolifiche e intransigenti del web. Per questo, quando From Software annunciò il ritorno del proprio capolavoro sull’attuale generazione di console, i timori dei fan più accaniti iniziarono a moltiplicarsi vistosamente. Ora che Dark Souls Remastered è finalmente realtà, possiamo dire che l’opera di Miyazaki è riuscita a resistere agli strali del tempo, segno che quando alla base di un titolo c’è un ottimo lavoro il prodotto finale è destinato a resistere. Tutto ciò che era presente nel capolavoro originale è fortunatamente ancora intatto e, nonostante il passare del tempo, l’atmosfera silenziosa, oscura e ansiogena riesce ad avere lo stesso meraviglioso effetto di sempre su chi si trova dinanzi lo schermo. È evidente fin da subito che gli sviluppatori di Virtuos, lo studio asiatico che si è occupato del porting in collaborazione con Bandai Namco, si siano concentrati unicamente sull’adattamento estetico di tutta l’esperienza. Prima ancora di iniziare a vagare per le prigioni dei non-morti ci si accorge che anche i testi e le illustrazioni hanno ora una definizione ben maggiore di quella originale, sgranata e offuscata. La risoluzione è infatti la prima protagonista del miglioramento estetico generale e moltiplica esponenzialmente la quantità di pixel a schermo. Basti pensare che viene addirittura quadruplicata su PlayStation 4 Pro, Xbox One X e PC, dove si raggiungono i 4K senza troppe difficoltà. Lo stesso trattamento è stato riservato anche per le texture, finalmente limpide nel rivestire e rappresentare armature, armi ed incantesimi, rendendo il tutto decisamente più ricco di dettagli. In un gioco che narra la sua storia anche tramite le fattezze di un oggetto o il disegno su uno scudo, questo lavoro acquisisce ancora più importanza. Tramite risoluzione e texture migliorate la definizione grafica di tutto il titolo raggiunge livelli di precisione così alta da emozionare chi ha trascorso centinaia di ore sul titolo originale. Nel particolare sono due i miglioramenti che rappresentano le novità più interessanti di Dark Souls Remastered. L’illuminazione avanzata permette finalmente alle fonti luminose di influire sull’aspetto delle texture e mostra la proiezione di ombre dinamiche molto più al passo coi tempi. Alcuni piccoli effetti grafici, come gli sprite delle anime e alcune sorgenti di luce, sono poi stati completamente tirati a nuovo. Dove però si vede il vero salto in avanti rispetto al passato è nella fluidità dell’azione di gioco, infatti, il framerate è saldamente ancorato sui sessanta frame per secondo, anche nelle. situazioni più concitate e pesanti sul motore di gioco. Per quanto riguarda la giocabilità, niente è stato cambiato e persino la risposta dei comandi è la stessa di un tempo. Il regno di Lordran svetta ancora una volta in tutta la sua maestosità, e si offre tale e quale a come era in passato.

Tutto ciò che avviene in Dark Souls non è finalizzato a causare la morte di chi gioca, ma ad indicare quali sono gli inciampi da non ripetere in futuro. Si tratta di un modo d’intendere il gaming molto comune oggi, ma che nel 2011 era in una fase di scoperta, oppure di “riscoperta” per coloro che provenivano dalla vecchia scuola a 8 e 16 bit. Si muore, si perdono tutte le anime accumulate in quella sessione e si lotta con tutte le proprie forze per non crollare nuovamente prima di aver raggiunto la zona del trapasso. L’incedere della produzione di From Software è grosso modo questo dall’inizio alla fine, intervallato dal tiepido sollievo di quei falò che simboleggiano l’oscurità verso cui sta precipitando il regno. A conti fatti, Dark Souls Remastered continua oggettivamente ad avere una sua attualità, anche al netto di due sequel che ne hanno ampliato non poco le caratteristiche e i contenuti. Chi avrà modo di avvicinarsi al primo episodio dopo aver già provato i suddetti eredi potrebbe trovarsi tra le mani un titolo più lento e macchinoso, al quale mancheranno alcune finezze introdotte solo successivamente. L’assenza iniziale del teletrasporto tra falò, un sistema di crafting eccessivamente intricato, il limite a 2 anelli, così come anche l’impossibilità di effettuare un respec: il lavoro di From Software è rimasto quell’originale diamante grezzo, dotato sì di un proprio equilibrio, ma anche piuttosto rigido se paragonato ai suoi successori. L’unico approccio possibile con una simile produzione è lo stesso che era richiesto nel 2011, pretendendo tanta umiltà, ma anche moltissima pazienza, nel tentativo di padroneggiare un gameplay molto ragionato e non sempre immediato. Se la componente visiva rappresenta sicuramente il principale fattore di novità per coloro che vorranno avvicinarsi a Dark Souls Remastered, non bisogna però tralasciare le diffuse innovazioni che ha subìto il gameplay, soprattutto per quanto riguarda il reparto online. Il titolo può infatti ora contare su server dedicati che vanno a soppiantare il vecchio e fastidioso sistema basato sul peer to peer, complice di tante situazioni surreali dovute alla discontinuità nella trasmissione dei dati tra giocatori. Una nuova base da cui partire per ricostruire un mondo fatto di segni d’evocazione, aiuti e macchie di sangue, ripopolando quello che negli ultimi anni era veramente diventato un regno abbandonato a se stesso. È lodevole inoltre notare come il team di sviluppo abbia provveduto ad inserire altri piacevoli cambiamenti al comparto multiplayer di Dark Souls, come ad esempio la possibilità di evocare direttamente un amico grazie allo stesso sistema di password già visto nel terzo capitolo. Un’introduzione che in parte snatura il senso di abbandono e di casualità che i giocatori del 2011 ricorderanno molto bene, ma che allo stesso tempo consente di godere appieno della possibilità di affrontare in cooperativa le infinite sfide delle terre dei Lord.

È stato aumentato anche il numero di invasioni possibili: un membro ospitante, tre aiutanti e due giocatori ostili, per un totale di sei non morti che possono scontrarsi contemporaneamente nello stesso match. Un’eventualità che è stata estesa anche alla modalità Arena, che ora offre anche battaglie 3v3 e un deathmatch tra 6 giocatori. Tirando le somme, presa per quello che è, questa edizione raggiunge in pieno il suo obiettivo: permettere di giocare il primo Dark Souls nella sua veste migliore. Certo, in alcuni casi il peso degli anni si fa sentire e l’aspetto spoglio, seppur definito delle ambientazioni, avrebbe forse meritato un trattamento ulteriore, ma fortunatamente nulla di tutto questo fa gridare allo scandalo o pregiudica la giocabilità del titolo. Dark Souls Remastered, insomma, è la giusta occasione per recuperare un capolavoro del recente passato se non avete avuto il piacere di giocarlo nel 2011, oppure di avventurarsi nelle terre delle anime oscure tra le storie di draghi e giganti ancora una volta ma con una veste grafica migliorata, un comparto multiplayer assolutamente di tutto rispetto e una fluidità che rende l’esperienza assolutamente incredibile. Il prezzo conveniente unito alla presenza dei contenuti aggiuntivi a nostro avviso sono la ciliegina sulla torta in più che rendono l’acquisto di Dark Souls Remastered ancora più goloso. Quindi, sia che si sia dei veterani del titolo originale, sia che ci si avvicini per la prima volta a questo capolavoro, questa riedizione merita assolutamente l’acquisto.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9
Sonoro: 8,5
Gameplay: 8
Longevità: 9
VOTO FINALE: 8,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Conan Exiles, un survival game duro e crudele nell’universo di Robert E. Howard

Con oltre un anno trascorso in accesso anticipato su Steam, Conan Exiles è uno degli esempi più lampanti di gioco che ha saputo adattarsi al feedback degli utenti modificandosi in meglio. Ambientato nel mondo fantasy creato da Robert E. Howard, il gioco si presenta agli occhi dei giocatori Xbox One e PS4 come un survival duro e puro che scaglia i giocatori senza risorse e nudi in un mondo ostile. Conan Exiles lascia fin da subito il giocatore in balia di se stesso proprio per anticipare quale sarà la dura realtà in cui bisognerà sopravvivere e combattere. Dopo una breve introduzione, scandita da una cutscene nella quale mette il giocatore nei panni di un criminale esiliato e condannato a morte che viene tirato giù dalla croce da Conan, il protagonista si ritroverà direttamente all’interno di un avanzato sistema di generazione del personaggio che offre ampie opzioni di modifica sia per quanto concerne la corporatura che per i lineamenti del volto. Una volta portate a termine queste formalità, l’avventura ha finalmente inizio, ma non sarà subito facile abituarsi al sistema di controllo e soprattutto alle dinamiche necessarie per la progressione del proprio alter ego virtuale. La flebile premessa narrativa lascia immediatamente spazio ad una fitta rete di richieste, le quali si faranno man mano sempre più complesse e articolate, raggruppate in una sezione del menu denominata “avventura”. I primi compiti suggeriti saranno estremamente semplici e rivestiranno il ruolo di tutorial per coloro che si trovano alla prima esperienza con il genere di riferimento. Ciò significa che fin dall’inizio in Conan Exiles bisognerà darsi da fare per bere o mangiare non appena ce ne sarà bisogno, ma sarà necessario anche reperire risorse da utilizzare per la creazione di strumenti inizialmente semplici e successivamente più complessi e utili. La prima ora si passa accumulando rami, rocce, fibre vegetali e via dicendo. Grazie a questi oggetti si potrà assemblare una rudimentale arma, ma anche un giaciglio di fortuna da cui ripartire in caso di morte. All’inizio il personaggio creato è un essere umano con muscoli ben sviluppati ma flosci, ha una resistenza alla fatica molto limitata, che gli consente di correre o nuotare solo per brevi tratti e di arrampicarsi su dirupi di modesta altezza. Proprio in virtù di questo, nelle prime ore, è sconsigliato andare a zonzo per la mappa, in quanto è molto facile imbattersi in animali selvaggi che con un paio di colpi si riveleranno letali. Stesso discorso va fatto per gli altri esuli, più organizzati e numerosi. Attaccarne uno per procurarsi del cibo significa attirare l’attenzione di almeno altri due, il che si traduce con morte certa. Stesso iter se si proverà a fare qualche uccisione stealth. Inoltre, anche una caduta da altezze medie farà calare drasticamente la barra dell’energia, che non potrà essere ripristinata se non mangiando cibo abbastanza nutriente. Insomma, nella fase iniziale di Conan Exiles bisognerà accontentarsi di larve ed insetti, ma soprattutto bisognerà procedere un passo alla volta per non finire miseramente sotto terra. Parlando di gameplay, appena preso il controllo del personaggio, completamente nudo, bisognerà sbrigarsi a fuggire dal deserto dove ci si trova, raggiungendo un territorio più amichevole, per così dire. Prima però sarà possibile fare la conoscenza del sistema di crafting, che occuperà per la maggior parte del tempo di gioco chi si trova dinanzi lo schermo. Raccolte alcune fibre vegetali, dei sassi e dei bastoni, sarà possibile costruire dei vestiti e avere i primi strumenti di lavoro: un piccone e un’accetta, entrambi di pietra, molto rozzi e poco resistenti.

Per fortuna nel frattempo si sarà guadagnato qualche livello e si potrà decidere di assegnare dei punti non solo alle sei caratteristiche del personaggio, ma anche a delle nuove ricette per il crafting, così da avere più opzioni, tra le quali delle armi vere e proprie e i primi materiali da costruzione per gli edifici. Nonostante i miglioramenti apportati nel corso del periodo di sviluppo, la parte del crafting è quella rimasta più costante nel tempo e non è cambiata molto rispetto all’inizio. Per raccogliere materiale basterà trovare le risorse e colpirle con lo strumento giusto. Ovviamente più sarà forte il proprio alter ego virtuale, e più risorse si potranno trasportare. In generale, la difficoltà di gioco che offre Conan Exiles è calibrata bene, ma varia moltissimo a seconda di come si decide di affrontare l’avventura, giocabile da soli, in cooperativa o in PvP. Prima di andare avanti con la descrizione del gameplay, è giusto specificare che, come praticamente tutti i survival che lo prevedono, Conan Exiles dà il meglio di sé quando giocato in cooperativa con degli amici. Il sistema migliore per capire bene questo titolo è iniziare per gradi, studiare il sistema di gioco in single player o con qualche amico, per poi tentare la fortuna online, magari su server in cui i rifugi sono indistruttibili. Tornando al gameplay, sbloccate alcune ricette e raccolte le necessarie materie prime, sarà possibile finalmente innalzare un piccolo rifugio, arredandolo magari con un letto di foglie, una cassa per togliersi dall’inventario il materiale in eccesso e un falò per cucinare il cibo. Proseguendo nell’avventura si avrà a disposizione molta più mobilia da fabbricare, oltre alla possibilità d’installare alcuni banchi da lavoro, indispensabili per realizzare l’equipaggiamento migliore. Da principio sarà bene posizionare la propria casa vicino a uno specchio d’acqua, così da non aver problemi per placare la sete. Per la fame invece bisognerà, come già accennato, accontentarsi di qualche insetto, almeno finché non si sarà appresa l’arte della caccia. Il posto dove ci si trova all’inizio ha solo a disposizione le materie basilari, appena si cresce di qualche livello, però, ha inizio la vera avventura con l’esplorazione dell’interno della mappa. Conan Exiles gestisce la crescita del personaggio e della difficoltà di gioco in modo graduale e impeccabile: i materiali migliori si trovano nelle aree più remote, raggiungibili solo quando si dispone di un personaggio abbastanza forte da sopravvivere ai nemici che si fanno gradualmente più forti. I primi sono degli altri esiliati, dei coccodrilli giganti e delle tartarughe, tutti pericolosi ma lenti e alla lunga facilmente gestibili. Più avanti invece si incontreranno alcune tribù molto forti e numerose, dei giganti di ghiaccio, degli scheletri viventi, dei mammut, dei puma e tanti altri avversari ancora, che renderanno problematica, ma allo stesso tempo gratificante l’esplorazione dei diversi luoghi che la mappa offre.

In Conan Exiles ci sono anche dei boss, ossia degli avversari particolarmente potenti posti normalmente in fondo a qualche pericoloso dungeon, che possono essere affrontati solo con l’equipaggiamento giusto e con l’adeguata esperienza individuale. E qui entra in gioco il sistema di combattimento. Sebbene nelle prime versioni di gioco questo fosse assolutamente complesso e difficile da padroneggiare, adesso affrontare i nemici risulta veramente divertente e appagante. Grazie all’introduzione del sistema di combo e mosse speciali, diverse per ogni arma, e la maggiore e più precisa risposta dei corpi ai colpi inferti, adesso entrare in un villaggio pieno di nemici non è più uno strazio, così come affrontarne di più contemporaneamente. Certo, non è una passeggiata e si muore lo stesso molto di frequente, ma almeno si riesce a comprendere da dove arrivano i colpi e si vede chiaramente quando si va a segno, senza che le armi scivolino sui corpi degli avversari. Gli sviluppatori hanno aggiunto anche una barra della vita sui nemici per darci subito un’idea della loro resistenza, così magari da non perdere tempo con quelli troppo forti. Grazie a questi miglioramenti assume molto più senso la costruzione di nuovo equipaggiamento, che non si limita a essere una compensazione dei difetti del sistema di combattimento, ma un premio per l’abilità dimostrata sul campo di battaglia. Certo, ci vuole qualche ora di gioco per avere almeno delle armi e delle corazze di ferro, e molto di più per arrivare a quelle fatte di materiali pregiati, ma i bonus che danno sono finalmente percettibili e fanno la differenza. Dal punto di vista tecnico, Conan Exiles non stupisce particolarmente, al di là del framerate ballerino e di una qualità complessiva non eclatante, a dare particolarmente fastidio sono soprattutto una gestione non ottimale della telecamera che inficia l’esperienza di gioco in generale. Il modello poligonale principale non è male, ma buona parte delle ambientazioni iniziali sono a dir poco scarne. Con il procedere dell’avventura le location migliorano e la grafica si assesta su livelli medio alti, ma nel complesso il lavoro svolto non fa gridare al miracolo. L’interfaccia, poi, è un elemento che i giocatori console troveranno scomodo da utilizzare. Fin dai primi minuti risulta chiaro che gli sviluppatori non si sono spremuti per rendere la fruizione del gioco comoda agli utenti PS4 e Xbox One. Le schermate dell’inventario sono chiaramente disegnate per essere esplorate con un mouse, farlo con un controller è scomodo sia per la lentezza di movimento del cursore, sia per la difficoltà nel capire quale elemento venga evidenziato. Detto ciò, tirando le somme, Conan Exiles non è un videogame adatto a tutti. E’ un survival game che procede lentamente, a cui bisogna dedicare molte e molte ore prima di ottenere i risultati desiderati, ma allo stesso tempo per chi ha pazienza, i frutti di tutto il tempo speso per far crescere il proprio alter ego virtuale garantirà diverse soddisfazioni. Un titolo del genere farà la gioia degli amanti del crafting, invece per chi preferisce un po’ di azione allo stato puro, meccaniche intuitive e risultati più veloci consigliamo di navigare verso altri lidi.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 7
Sonoro: 8
Gameplay: 7,5
Longevità: 8,5
VOTO FINALE: 8

 

Francesco Pellegrino Lise




Burnout Paradise Remastered, tornano le corse sfrenate e gli incidenti spettacolari

Dopo anni di assenza, Burnout, la serie che ha reso celebre il team Criterion, ritorna su console grazie alla versione rimasterizzata di Burnout Paradise. Se, come molti degli amanti della serie che hanno già solpato a dovere questo titolo ben 10 anni fa, vi state chiedendo vale la pena acquistarlo ancora una volta? La risposta è: assolutamente sì. Anche a distanza di così tanto tempo, infatti, il gioco targato EA si conferma come uno dei migliori racing arcade di sempre e su PS4 come anche su Xbox One gira ad una velocità e garantisce una fluidità in grado di far letteralmente schizzare gli occhi fuori dalle orbite. Il lavoro svolto su questa “nuova” versione del gioco è veramente degno di nota. Ovviamente è bene sottolineare che stiamo parlando di una rimasterizzazione, non di un remake, quindi significa che la base rimane comunque quella del gioco originale comprensivo di tutte le sue espansioni. Burnout Paradise è stato ripulito e tirato a lucido con nuovi effetti di luce, colori più vivi e texture in alta risoluzione, inoltre il passaggio su hardware più potenti ha però permesso agli sviluppatori di alzare i dettagli al massimo, inserire un po’ di macchine in più su schermo e far girare il tutto senza alcun affanno. Per chi non lo sapesse o non ha avuto il piacere di giocare il titolo 10 anni fa, Burnout Paradise è un racing game ambientato a Paradise City, città di fantasia che ricorda alla lontana Los Angeles. In questo scenario migliaia di chilometri di strade liberamente esplorabili sono il luogo in cui bisognerà affrontare decine di rivali a cui far assaggiare un po’ di metallo rovente a suoni di corse folli, incidenti spettacolari, salti e acrobazie folli.

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A differenza dei capitoli precedenti in Burnout Paradise non ci sono gare isolate, ma a ogni incrocio della città sarà possibile fermarsi per dare il via a uno dei tanti tipi di sfide. Le gare classiche sfruttano al meglio la natura open-world del gioco. In questa tipologia di sfida c’è un punto di partenza e un traguardo da raggiungere, ma tutto quello che accadrà nel mezzo dipenderà dal giocatore, quindi si potrà scegliere il percorso migliore da utilizzare, le scorciatoie da prendere e il momento adatto per eliminare i rivali provocando spettacolari incidenti a colpi di sportellate a tutto gas. Gli incidenti, chiamati Takedown, sono da sempre il marchio di fabbrica di Burnout e anche in questo capitolo rivestono un ruolo importante. Oltre a consentire di rallentare notevolmente un rivale, caricheranno la barra del Nitro consentendo di andare ancora più veloce. Il turbo potrà essere riempito anche correndo contromano, effettuando acrobazie e commettendo ogni tipo d’infrazione, l’importante è che sia sempre attivo in quanto senza di esso gli avversari avranno una chance in più di arrivare prima al traguardo. Se si è amanti delle gare a eliminazione si potrà partecipare alle Furie Stradali, modalità di gioco in cui sarà richiesto di mandare fuori strada più avversari possibile, invece se si vuole provare il brivido del pericolo si potrà partecipare alle sfide Stunt che richiedono il raggiungimento di un certo punteggio attraverso salti, derapate e sorpassi pericolosi. Molto intense sono poi le gare “Uomo nel Mirino”, nelle quali si verrà presi di mira da “sicari” alla guida di potenti mezzi neri che avranno il preciso scopo di mandare il giocatore fuori strada prima che esso arrivi al traguardo. Esistono poi delle gare chiamate Strada Rovente, che possono essere affrontate solo con determinati tipi di vettura. Inizialmente molte di queste saranno precluse, ma sarà possibile tornarci per affrontarle quando si avrà a disposizione il bolide adatto. Le macchine del gioco non sono su licenza ufficiale ma non sarà difficile vedere in loro parecchie somiglianze con modelli realmente esistenti. Paradise City è divisa in quartieri e in un’apposita schermata si potrà tenere sotto controllo la percentuale di completamento del gioco e delle singole sfide in ogni zona. Nella mappa si possono vedere anche gli eventi e i luoghi già scoperti, che potrete raggiungere facilmente in poco tempo. I parecchi i chilometri di strada a disposizione e gli infiniti bivi sono il modo migliore per scoprire scorciatoie e luoghi segreti che nascondono sfide e collezionabili. Alla luce di tutto questo, la cosa migliore da fare per vivere al meglio l’esperienza di Burnout Paradise è girare per la città senza un obiettivo preciso e affrontare le gare quando lo si ritiene più opportuno, andare in giro e fare quello che si vuole e imparare la mappa al meglio in modo tale da avere una chance in più durante le gare. Ciò che più importa è che in quest’edizione rimasterizzata del titolo EA è che lo spirito del gioco è rimasto intatto, alla pari del divertimento. Una volta avviato il gioco ed essere partiti con il mezzo in giro per le strade di Paradise City oltre alle gare si potranno incontrare gli sfasciacarrozze, nei quali cambiare vettura scegliendo tra quelle sbloccate, le stazioni di servizio, utili per ricaricare la barra del turbo una gara e le carrozzerie, nelle quali entrare se si vuole dare una nuova livrea al proprio bolide. Ultime, ma non per importanza ci sono le Officine, utili da raggiungere assolutamente nel caso in cui il mezzo abbia subito gravi danni.

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Per gli amanti dei collezionabili, Burnout Paradise Remastered mette anche a disposizione 400 cartelli stradali da distruggere, cancelli da sfondare, salti acrobatici e garage nascosti. Trovarli tutti sarà una vera impresa, ma alla fine la soddisfazione sarà davvero tanta. Giocando a Burnout Paradise Remasterd in qualsiasi momento si potrà entrare in modalità multiplayer. Non ci sono schermate separate o menù a cui accedere, infatti basterà premere destra sulla croce direzionale per invitare un amico ad una sfida, entrare in una gara con altri corridori o creare una partita personalizzata. Questa edizione rimasterizzata tra l’altro include gli 8 DLC del gioco originale. Big Surf Island offre nuove sfide e veicoli, Cops and Robbers aggiunge una modalità inseguimento online e le livree della polizia per tutte le macchine di Paradise. Legendary Cars butta nel mucchio dei bolidi dal sapore cinematografico che non faticherete a riconoscere, mentre l’espansione Burnout Bikes include quattro mostri su due ruote: FV1100, FV1100-T1, Firehawk V4 e Firehawk GP Competition. Non mancano neanche una manciata di macchinine giocattolo del pacchetto Toys e le sfide aggiuntive del DLC Cagney. Da sottolineare anche la presenza del Party Pack, introdotto a suo tempo nell’edizione Ultimate Box di Burnout Paradise. Questa modalità multiplayer offline consente ad un massimo di 8 giocatori di intraprendere una serie di sfide veloci scegliendo tra Abilità, Velocità e Stunt. Per quanto riguarda il comparto audio, il gioco offre una colonna sonora assolutamente eccezionale: oltre che l’immortale Paradise City dei Guns n’Roses, la tracklist è infarcita di brani rock assolutamente adrenalinici di artisti famosi e non. Gli effetti sonori, poi, sono esaltanti e sempre ben calibrati. Questo fa si che nonostante le migliaia di situazioni surreali che si affronteranno, il tutto risulti sempre credibile. Graficamente parlando, nonostante si tratti di un’edizione rimasterizzata, il lavoro svolto è davvero eccellente. I modelli sono stati tirati a lucido e la città appare più bella e viva che mai. Il frame rate, poi, inchiodato sui 60 fps al secondo rendono l’esperienza di gioco estremamente fluida e appagante. Tirando le somme, questo Burnout Paradise Remastered è veramente un acquisto imperdibile per tutti coloro che sentivano la mancanza della saga, ma anche per chi vuole un gioco di corse assurdo e scanzonato che sia diverso dai soliti simulatori di guida ultra realistici. Burnout Paradise è divertimento allo stato puro e lasciarselo sfuggire, anche in virtù del golosissimo prezzo, sarebbe un vero errore.

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8
Sonoro: 8,5
Gameplay: 8,5
Longevità: 8,5
VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise




Fifa 18, EA celebra la coppa del mondo con il dlc gratuito “World Cup Russia”

Una grande novità è in arrivo per tutti i fan di Fifa 18. Electronic Arts, infatti, celebra il più grande torneo di calcio dell’anno con 2018 FIFA World Cup Russia, l’aggiornamento scaricabile gratuitamente da tutti i possessori del titolo calcistico di EA. L’update offre l’opportunità unica di vivere il torneo mondiale attraverso gli elementi ufficiali del titolo, come le squadre, gli stadi, le divise, gli stemmi, i palloni ufficiali e l’ambito trofeo in palio. Gli appassionati e possessori di PlayStation 4, Xbox One, Origin per PC e Nintendo Switch potranno scaricare gratuitamente il contenuto a partire dal 29 maggio. Il “World Cup Mode” aggiungerà ulteriore profondità a FIFA 18, permettendo agli appassionati di questo videogioco di cimentarsi nell’inedita modalità dedicata alla Coppa del Mondo e che promette nuove sfide e la riproduzione perfetta di quanto succederà davvero in Russia dal 14 giugno al 15 luglio prossimi. Per permettere una completa “full immersion” nell’atmosfera dei Mondiali la Electronic Arts interverrà radicalmente sul gioco, aggiungendo una miriade di dettagli. Ad esempio saranno inserite le rappresentative nazionali che si sono qualificate per la Coppa del Mondo e che invece erano assenti nel gioco, ben 12 nuove squadre provenienti da tutto il mondo. A queste si aggiungeranno nuovi palloni, nuove divise e naturalmente nuovi giocatori, mentre quelli già presenti nel gioco vedranno le proprie caratteristiche aggiornate sulla scia delle prestazioni offerte nel mondo reale.

L’aggiornamento 2018 FIFA World Cup Russia permette di scegliere una delle 32 nazionali qualificate per vivere il sogno del mondiale e scrivere la propria storia nel torneo, dalla fase a gironi alla finale di Mosca in modalità Amichevole Online e Torneo Online. Inoltre, con il Torneo FIFA World Cup Personalizzato è possibile scegliere una delle nazionali incluse in FIFA 18 per creare un torneo unico, selezionando anche nazionali non qualificate come Italia, Cile e USA. Per immergersi nelle più calde atmosfere degli stadi e cimentarsi in partite offline, da solo o con amici, è stata inclusa anche la modalità Calcio d’Inizio FIFA World Cup. Nel nuovissimo DLC saranno inoltre inclusi, riprodotti con fedeltà assoluta, i 12 stadi che ospiteranno la manifestazione, mentre anche la modalità Ultimate Team sarà aggiornata e in parte rivisitata: le carte di moltissimi calciatori saranno aggiornate per rispecchiarne i valori attuali e rendere ancor più realistico il gioco, ma non mancheranno le icone più famose nella storia dei Mondiali e un nuovissimo sistema di intesa che si baserà sulla nazionalità e sulle confederazioni di appartenenza. Naturalmente saranno presenti, insieme all’Ultimate Team, anche le ormai celebri “Sfide Creazione Rosa”, che avranno temi e premi ispirati alla Coppa del Mondo e che sicuramente allungheranno la longevità di un gioco che è già un successo e che con questo splendido aggiornamento gratuito mira ad avvicinarsi ancora di più ai cuori dei propri fan in vista dell’uscita autunnale di FIFA 19. Non resta altro che scaldare i polpastrelli in attesa di questo succosissimo dlc.

 

Francesco Pellegrino Lise