Unicorn Overlord, il videogame strategico-tattico che lascia a bocca aperta

Unicorn Overlord è un gioco di ruolo strategico dalle qualità a dir poco sensazionali, è un videogioco da giocare tutto d’un fiato che regala un approccio estetico splendido e una giocabilità a dir poco pazzesca. Andiamo a scoprire tutte le qualità di questa perla sviluppata da Vanillaware per pc, Xbox, PlayStation e Switch. La storia è ambientata in un universo medioevale soggiogato da un tiranno arrivato al potere a spese della legittima regina a cui aveva prestato giuramento. Spinto da ragioni oscure per buona parte della campagna, il generale Valmore, un tempo uno dei più prodi difensori della corona di Cornia, si rivolta contro il vessillo che ha portato fieramente in centinaia di battaglie, conducendo decine di ribelli alle porte del castello della famiglia reale in una notte buia e tempestosa. Sorpresa dal tradimento di uno dei suoi comandanti più fedeli e messa alle strette dalla schiacciante inferiorità numerica, la regina guerriera Ilenia non ha altra scelta se non quella di scendere in battaglia ella stessa, sorretta solamente da un manipolo di uomini, i più fedeli della sua guardia personale. Nonostante il tragico esito dello scontro sia fin da subito chiaro, la coraggiosa regina si lancia contro Valmore e la sua manica di congiurati, nella speranza di guadagnare il tempo sufficiente per permettere al fido Josef, cavaliere e prima lancia del regno, di portare il salvo il giovane principe Alain. I due riescono a fuggire con l’aiuto delle tenebre e del rapido destriero di ser Josef e, dopo una dissolvenza a nero sulla notte del tradimento, la storia riprende proprio da uno scorcio di vita quotidiana di un maturato Alain, che si addestra con la spada ed un compagno d’armi su una ridente spiaggia dell’isola di Palevia. Quest’ultima è tra le poche ad essere sfuggita alla morsa di Valmore, autoproclamatosi Imperatore e adesso a capo di tutti e cinque i regni del continente di Fevrith. In Unicorn Overlord i temi trattati sono maturi, la caratterizzazione dei personaggi di buonissima fattura e la guerra viene dipinta in maniera credibile. Ben presto, sulle spalle del giovane Alain graverà il pesante fardello di compiere scelte estremamente difficili, tra nemici a cui mostrare clemenza o mano ferma, villaggi che chiedono aiuto e antichi alleati da affrontare sul campo di battaglia. La cosa bella di Unicorn Overlord è la possibilità di reclutare oltre 60 personaggi unici che vestono i panni di comandanti alleati sul campo di battaglia, ma la cosa più interessante è che ognuno di essi ha una storia e delle motivazioni che li spingono a scendere in battaglia al fianco del protagonista. Proprio per tale ragione il gioco tende a premiare i giocatori più curiosi in quanto interessarsi alla vita e ai retroscena personali dei propri commilitoni, e stringendo un buon rapporto con essi, può portare ad avere alcuni vantaggi durante le fasi di battaglia. Unicorn Overlord gestisce i dialoghi opzionali dei legami tra commilitoni in maniera più snella rispetto ad altri titoli del genere, con una quantità minore di dialoghi e una diminuita frequenza delle occasioni di interazione, con una scelta che piacerà ai fan degli strategici vecchio stile. Insomma, dal punto di vista dell’idea di base Unicorn Overlord è veramente un titolo interessantissimo.

A livello di gameplay Unicorn Overlord è qualcosa di estremamente esaltante e soddisfacente. La struttura di gioco, illustrata con alcuni tutorial nelle fasi iniziali dell’avventura, è sulla carta abbastanza snella, salvo poi nascondere una profondità incredibile ed ampliarsi pian piano lungo la corposa campagna, aggiungendo nuovi elementi senza però sovraccaricare il giocatore con troppe nozioni tutte insieme. Ovviamente, vista la natura del titolo, per dominare sul campo di battaglia è richiesta pazienza, una sapiente e continua gestione delle truppe ed un livello di pianificazione elevato. Il giocatore può schierare per ogni livello un massimo di una decina di gruppi di combattenti, composti a loro volta da un numero variabile da uno a sei soldati, a seconda di quante risorse sono state investire per ampliarne i ranghi. Ogni squadra viene disposta su due file da tre, e sono in genere solamente i combattenti in prima linea quelli che assorbono l’urto degli attacchi nemici, con le debite eccezioni, costituite, ad esempio, dalle frecce avversarie e dagli attacchi magici. Se durante le primissime ore di gioco i soldati agiscono di loro iniziativa, con il giocatore che può iniziare lo scontro per poi fare da semplice spettatore, ben presto il titolo darà la possibilità di personalizzare nel dettaglio il comportamento di ogni singola unità alleata, con un sistema a condizioni profondo e funzionale. Da qui in poi, in Unicorn Overlord entrano in gioco un numero incredibile di varianti di cui tener conto, che mettono a dura prova anche il più abile tra gli appassionati di strategia militare. Fortunatamente tramite la pausa tattica è possibile, cambiare approccio sul campo e adattarsi alle sfide proposte dai numerosi scenari di battaglia, bisogna comunque tenere a mente un numero elevato di fattori che influiscono sugli scontri. Il posizionamento e la velocità delle truppe una volta scese in campo, la composizione il più bilanciata possibile delle squadre di combattenti, la scelta del leader (che dona abilità uniche a tutto il gruppo), la presenza di abilità speciali da attivare al di fuori degli scontri, la cura dell’equipaggiamento di ogni singola unità e tanto altro ancora. Complici un gran numero di classi disponibili (opliti, ladri, combattenti, cavalieri, arcieri, guaritori, maghi, cavalcatori di pegaso e tanti altri ancora), che a loro volta elevano esponenzialmente le possibili combinazioni, il canovaccio tattico risulta estremamente ampio e soddisfacente, consentendo un livello di personalizzazione dell’esperienza di gioco paradossalmente più alto di tanti congeneri in cui il controllo del party è direttamente delegato al giocatore. A limitare la potenza e l’utilità in battaglia dei team più forti c’è un valore di resistenza, che impedisce ad una singola unità di sobbarcarsi tutto il lavoro di conquista e schermaglia, costringendo il giocatore a scegliere bene spostamenti e scontri e a bilanciare al meglio le forze a sua disposizione. Importante aggiungere poi che negli scontri apparentemente senza vincitori né vinti, in cui nessuna delle due truppe riesce ad annientare l’altra, a determinare quale delle due è considerata vincente è il numero di danni inflitti, con le meccaniche che premiano quindi un atteggiamento sempre offensivo, punendo i giocatori troppo difensivi. La scelta degli sviluppatori di impostare un tempo massimo per ogni livello si è dimostrata essere una scelta vincente. Limitare il tempo a disposizione del giocatore lo costringe infatti ad operare scelte in poco tempo contribuendo a tenere alta la tensione e il livello di difficoltà. In Unicorn Overlord non si combatte solo però, infatti quando non è impegnato in battaglia il giocatore è libero di esplorare una mappa in tre dimensioni così vasta da richiedere l’impiego di un sistema di viaggio rapido. La cartina del mondo di gioco è costellata di borghi da liberare dal giogo nemico, di punti di raccolta di materie prime e di missioni secondarie di vario tipo, utili ad aumentare il livello del proprio esercito e l’immersione nel mondo di gioco. La possibilità di riconquistare un continente intero, di dover ampliare i fondi, bilanciando buone azioni e missioni di incursione, di personalizzare il proprio stendardo e di costruire pian piano un vero e proprio esercito è tangibile, e garantisce un livello di coinvolgimento notevole, uno dei migliori mai visti in un titolo del genere.

A livello grafico ed estetico Unicorn Overlord è un titolo davvero di grande pregio. Il connubio tra i modelli bidimensionali dei protagonisti e i magnifici scenari che fanno da sfondo al gioco, disegnati a mano ma comunque in tre dimensioni, risulta incredibilmente piacevole all’occhio, complice la consueta, strepitosa direzione artistica che ha sempre caratterizzato i titoli firmati da Vanillaware. Il risultato finale è veramente straordinario. Gli sviluppatori sono riusciti a dare vita a un reame fantasy che guadagna in dovizia di particolari quello che perde in originalità e che, nonostante un’estetica vivace che non lesina colori, si sposa benissimo con il tono più che serioso della storyline e dell’ambientazione guerresca. Ottima anche la fluidità generale, con il frame rate che durante i nostri test su Xbox Series X non si è mai scostato dai 60 fps anche durante le battaglie più affollate. E’ obbligatorio spendere due parole anche sulla colonna sonora di Mitsuhiro Kaneda che rende l’esperienza di gioco ancora più coinvolgente e che è destinata a rimanere impressa nella memoria di chi affronterà il videogame. L’audio dei personaggi è in lingua giapponese o inglese, mentre i sottotitoli sono disponibili anche in lingua italiana. Tirando le somme Unicorn Overlord rappresenta senz’ombra di dubbio uno fra i titoli più importanti mai sviluppati del genere. Si potranno passare ore ed ore a pianificare e combattere senza mai annoiarsi e, vista la moltitudine di variabili in game la rigiocabilità è assicurata. A nostro giudizio chiunque sia un vero appassionato di strategia e tattica non può e non deve farsi sfuggire un prodotto del genere.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 9

Gameplay: 9,5

Longevità: 9

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




Contra Operation Galuga, il grande classico ritorna su pc e console

Contra Operation Galuga è l’ultimo titolo del brand che ha fatto la storia dei videogames negli anni ‘80 disponibile per Pc, Xbox, PlayStation e Switch. Il titolo originale per chi non lo sapesse è un famoso videogame di azione e sparatutto a scorrimento laterale, sviluppato da Konami e pubblicato per la prima volta nel 1987 per le sale giochi. Il gioco segue le avventure di due soldati, Bill Rizer e Lance Bean, che devono affrontare le forze di un’organizzazione terroristica chiamata Red Falcon, che minaccia di invadere la Terra con una legione di alieni e robot. Il gioco è noto agli appassionati per la sua difficoltà elevata, il suo gameplay frenetico e la possibilità di giocare in cooperativa con un altro giocatore. Contra: Operation Galuga è stato ideato un reboot moderno della serie. Prende l’originale arcade e introduce tutte le modifiche che ritiene opportune, a partire dalla veste grafica rinnovata e dalle armi, ma ritorna all’azione secondaria Run & Gun 2.5D e al combattimento “soli contro tutti” tipico degli anni 80 e 90. I vecchi Bill Rizer e Lance Bean devono ricominciare la loro battaglia contro le migliaia di terroristi Red Falcon e gli alieni che stanno dietro a tutto questa misteriosa organizzazione. La storia inizia e finisce allo stesso modo, proprio come è stata scritta 37 anni fa, perché apre la strada a un futuro capitolo che racconta le cosiddette guerre aliene. Nel frattempo, le motivazioni che spingono le forze nemiche ad agire sono cresciute attorno a una tecnologia che mescola campi gravitazionali e wormhole. Gli sviluppatori hanno reso il contesto di gioco volutamente il più esagerato possibile, in linea con le performance istrioniche dei doppiatori e dei personaggi che interpretano. L’ingrassamento della sceneggiatura serve a dare più peso ai nativi di Galuga e, ciò che conta, a far crescere la lista dei personaggi giocabili. Perché, onestamente, nessuno gioca a un Contra per scoprire cosa sta succedendo, ma lo fa solo per sparare indipendentemente dal chi o dal perché. La trama è solo un semplice contorno.

Come accennato poco sopra, il gameplay di Contra: Operation Galuga è basato sullo stile corri e spara tipico della serie, in cui il giocatore deve correre, saltare e sparare ai nemici che appaiono da ogni direzione. Il giocatore può usare diverse armi, come il mitragliatore, lo spara-proiettili, il lanciafiamme, il missile a ricerca, il raggio laser e le bombe a frantumazione. Ogni arma ha una versione alternativa che può essere ottenuta raccogliendo dei power-up. Inoltre, il giocatore può sacrificare le armi in eccesso per attivare delle abilità speciali chiamate Overload, che hanno effetti vari come scatenare dei droni, creare una barriera o lanciare una pioggia di missili. Il gioco offre tre modalità di gioco: Storia, Arcade e Sfida. Nella modalità Storia, il giocatore può vivere la trama completa del gioco, con scene animate e dialoghi tra i personaggi. Questa modalità supporta il gioco cooperativo per due giocatori. Nella modalità Arcade, il giocatore può saltare direttamente nell’azione senza interruzioni narrative. Questa modalità supporta il gioco cooperativo per quattro giocatori. Nella modalità Sfida, invece, il giocatore può mettere alla prova le sue abilità con 30 missioni difficili, che richiedono di completare i livelli in un tempo limite, con munizioni limitate, con nemici più aggressivi e altro che serve a rendere l’esperienza di gioco un vero e proprio inferno di proiettili e distruzione. Una volta avviato il gioco dal menù si inizia ancora una volta dal famosissimo livello della giungla, per poi passare alla fase di scalata della cascata e arrivare all’interno della enorme base aliena. A differenza di Contra Evolve questo non è un remake, infatti anche quei livelli che raffigurano ambienti già visti in passato sono stati modificati. Ad esempio sono state eliminate le sezioni 2D verticali all’interno della base. In cambio però, sono presento più livelli dove si utilizzano i veicoli, anche se essi non rappresentano il massimo del divertimento. Una menzione speciale va fatta per i nuovi boss e per alcune versioni rifatte di quelli vecchi, perché sono veramente divertenti da uccidere e hanno meccaniche che piaceranno sia ai vecchi fan che a chi non si è mai avvicinato a un titolo del brand.

Per venire incontro ai neofiti, perché anche Contra Operation Galuga, come da tradizione della saga, presenta una difficoltà non certo trascurabile, Konami e Wayforward però hanno inserito poi delle novità volto a renderlo più accessibile. Oltre al selettore della difficoltà, che va a modificare precisione e potenza degli avversari, è infatti possibile adottare per i Contra anche una barra della salute, permettendogli così di resistere a un numero maggiore di colpi prima di venire sconfitti. Il tutto, sia ben chiaro, è assolutamente opzionale e i puristi potranno quindi godersi questa nuova avventura nel modo classico, senza risentire di questa facilitazione. In missione poi è possibile portare con se due potenziamenti passivi. Tra di essi spiccano un ancora maggior numero di colpi sopportabili, la possibilità di entrare in gioco con un’arma speciale già in dotazione e così via. Tutti questi upgrade, a dir la verità neanche troppo numerosi, sono acquistabili in un menu dedicato tramite valuta ottenibile in game, rendendo quindi necessario giocare per diverse ore prima di sbloccarli tutti. Così come la barra della salute, pure questi upgrade sono assolutamente opzionali ed è possibile godersi Contra Operation Galuga senza nessuno di essi. La difficoltà sarà ovviamente maggiore, così come però la gratificazione di aver portato a termine un run and gun dalla difficoltà non certo indifferente. Volendoci infine soffermare sull’aspetto grafico, è tutto sommato evidente come sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di più. Però trattandosi del remake di un titolo del 1987 il risultato è tutto sommato interessante. Contra Operation Galuga è una vera e propria lettera d’amore ai fan che lo amavano in passato, agli appassionati di retrogaming e per tutti quei giocatori in cerca di una sfida dall’alto tasso di difficoltà.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 6,5

Sonoro: 7,5

Gameplay: 7,5

Longevità: 7

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise




MW3 season 2 reloaded, ancora più contenuti per lo shooter Activision

La Stagione 2 Reloaded di Modern Warfare 3 e Warzone è arrivata con una pioggia di nuovi contenuti il 6 marzo su tutte le piattaforme. Tra le principali novità di questa mid-season troviamo due nuove armi da aggiungere al già nutritissimo elenco disponibile. Le nuove compagne di avventura si chiamano Soulrender e SOA Subverter. La prima è un’arma da mischia, mentre il SOA Subverter è un’arma mid range. Presenti anche nuovi bundle nello store (tra cui nuovi crossover con Warhammer 40.000, Godzilla x Kong e Dune) e nuove sfide settimanale per accumulare ricompense extra.

Stagione 2 Reloaded: tutte le novità per Call of Duty Warzone

– Vascello di ricerca, POI mobile. Arriva un nuovo punto di interesse mobile: il vascello di ricerca su Fortune’s Keep. Questo sarà presente presso le cose dell’isola.

– Nuova serie di uccisioni. Liberare gli edifici e i nemici trincerati non è mai stato così divertente (e devastante) grazie a un nuovo attacco aereo

– Nuovo potenziamento da campo. La Stazione di decontaminazione da campo permette ai giocatori di creare una zona sicura nel gas. Il potenziamento protegge gli operatori all’interno della sua area di effetto.

Call of Duty: Modern Warfare III, le novità del multiplayer

– Nuova mappa multigiocatore 6v6 (rimasterizzata). Dal freddo nome di Das Haus, la nuova mappa presenta un’ambientazione inedita, comprensiva di una struttura di allenamento sulla cima di un grattacielo.

– Bounty, Juggermosh. Per ottenere punti extra bisognerà eliminare l’HVT in Bounty. Il tutto nei panni di un Juggernaut (peraltro palesemente ispirato agli Space Marine) nella modalità a tempo limitato Juggermosh.

– Vortex: Decay’s Realm. Sarà possibile schierarsi nel Vortex con un pool di mappe ampliato con le nuove varianti Skidgrow e Airborne.

Novità anche per la modalità Zombi

– Nuova missione. Continua il viaggio al fianco di Sergei Ravenov con una nuova missione nell’Etere Oscuro.

– Spaccatura dell’Etere Oscuro. Una nuova frattura spazio-temporale permetterà ai giocatori di fare squadra per conquistare (ancora una volta) l’Etere Oscuro

– Nuovo boss. Arriva Keres, un nuovo Signore della Guerra che entra ufficialmente nella Zona di Esclusione. Keres è uno specialista della guerra chimica, ed è disposto a usare qualsiasi mezzo necessario per soffocare gli Operatori avversari.

– Nuovi schemi. Sarà possibile sparare con Mags of Holding, evocare una due ruote ultraterrena con la Blood Burner Key ed espandere la propria squadra con la V-R11 Wonder Weapon.

Insomma, anche questa volta Activision ha pensato ai suoi fan lanciando tutta una serie di contenuti gratuiti e a pagamento per far si che il suo shooter risulti sempre fresco e innovativo.

Francesco Pellegrino Lise




Skull and Bones, la pirateria secondo Ubisoft

Skull and Bones è l’ultimo gioco di Ubisoft a tema piratesco che è giunto sulle piattaforme di nuova generazione e Pc a 7 anni dal suo annuncio. Nonostante il titolo sia giocabile da soli, seguendo le tappe di una campagna costituita da quest di vario genere, Skull and Bones è un prodotto che richiede necessariamente una connessione a internet e un account Ubisoft: chiavi di un mondo che per forza di cose bisogna condividere con altri corsari in carne e ossa. Alcuni gradiranno questa scelta, altri meno, perché se da un lato è un modo efficace per rendere più vivo un titolo open world altrimenti abbastanza spoglio, dall’altro espone gli esploratori più arditi a situazioni potenzialmente sgradevoli. Ci riferiamo ovviamente alla possibilità di essere affondati da altri giocatori che, complice l’assenza di un sistema di matchmaking diviso per livelli, potrebbero risultare sostanzialmente imbattibili, poiché alla guida di un vero e proprio vascello inarrestabile. Sebbene le attività offerte dall’avventura “in singolo”, tra quest principali e diversioni secondarie, siano tendenzialmente meno traumatiche, anche la rotta stabilita da Ubisoft porta con sé un pericolo da non sottovalutare: la noia. Il racconto messo in piedi dallo studio si muove infatti fra sviluppi blandi e personaggi del tutto poco caratterizzati, e pertanto fatica a mantenere vivo l’interesse dell’utente nei confronti del mondo in cui si trova, malgrado l’indiscutibile fascino di una cornice narrativa ispirata all’età d’oro della pirateria. Ma veniamo alla trama: il gioco ha inizio quando il protagonista, che può essere creato da chi gioca attraverso un editor che non brilla per varietà, sopravvive al naufragio di una nave che faceva parte della flotta del temibile bucaniere Scurlock. Chi gioca inizia la sua avventura con un preciso obiettivo: riconquistare la fiducia del suo signore e scalare i ranghi della fazione di Sainte Anne. Alla guida di una piccola imbarcazione e di una ciurma assai modesta, bisogna far crescere la propria leggenda a suon di scorribande, nel tentativo di aggiungere il proprio nome all’elenco dei più temibili filibustieri che solcano e terrorizzano le acque dell’Oceano Indiano.

Scopo principale in Skull and Bones è accumulare “infamia”, cioè esperienza, per far si che l’ascesa da topi di sentina a grassatori, fino ai gradi più alti della gerarchia piratesca avvenga nel modo più veloce possibile. Più si aumenta di livello, maggiore è la quantità di missioni a propria disposizione, e allo stesso modo aumenterà anche il grado di sfida delle attività proposte. Sfortunatamente, però, la varietà complessiva dell’offerta non segue lo stesso percorso incrementale, e nel giro di una manciata d’ore tutti le tipologie d’incarico vengono svelate. Dagli assalti agli avamposti, all’annientamento di navi di questo o quello schieramento, passando per missioni di raccolta e consegna di risorse di vario genere, purtroppo la rosa di attività disponibile non fa gridare al miracolo. Molti obiettivi sono in effetti simili tra loro, e sia che si debba dare la caccia ad un corsaro, o che sia necessario rubare scorte da avamposti o navi francesi, le dinamiche sono perlopiù sempre le medesime. Anche l’iter per attivarle non cambia mai di una virgola: si accetta la quest parlando con un personaggio non giocabile o interagendo con apposite bacheche, si salpa alla volta dell’obiettivo, e infine si spara qualche cannonata per poi fuggire col bottino nella stiva, pronti a fare rapporto e chiudere il contratto. Questa ripetitività di fondo finisce con l’appesantire il gameplay di Skull and Bones in tempi relativamente brevi, fino alla soglia di un endgame non proprio esaltante, che consiste nel fare incetta costante di denaro e materiali per accrescere il proprio prestigio piratesco. In alternativa è possibile lanciarsi in alcune attività cooperative, le cosiddette “missioni globali”, che richiedono di riunirsi in piccole flotte da tre giocatori al massimo sia per abbattere un mostro marino, che per espugnare una fortificazione resistendo alle bordate di vascelli e postazioni di difesa. Insomma, come avrete capito all’inizio le cose sono molto divertenti, ma purtroppo la varietà non è il cuore pulsante di questo Skull and Bones. Tornando agli imprevisti che possono presentarsi nella proposta multigiocatore del titolo di Ubisoft, si può sottolineare che questi possono offrire ai giocatori una gradita deviazione dalle routine ludiche proposte dal titolo in campagna: sebbene il rischio di venir depredati lungo la rotta non vada sottovalutato, capita anche di ritrovarsi a stringere qualche insperata alleanza per far fronte comune contro giocatori ostili per ribaltare le sorti di una battaglia data per persa. A tal proposito, sarebbe stato davvero bello se il team di sviluppo avesse reso più semplice la comunicazione tra gli utenti: in assenza di un sistema di chat, gli unici strumenti per comunicare con gli altri player al di fuori della propria cerchia di amici sono i fuochi di segnalazione che possono essere sparati durante la navigazione, o le emote eseguibili dal proprio alter ego virtuale. Tutto questo è un po povero e rende le comunicazioni fra players davvero ostiche e macchinose.

Nonostante il generale senso di povertà contenutistica però Skull and Bones offre un sistema di gameplay appagante e che sicuramente punta a divertire gli amanti dei titoli arcade. Il sistema di navigazione, ad esempio, a nostro avviso rappresenta una delle features meglio riuscite della produzione: raggiungere il luogo dove si svolgerà una contesa valutando la rotta più efficace, ma anche evitando le fazioni che, a causa dei ripetuti assalti, inizieranno a sparare a vista è davvero molto appagante. In parte è proprio così, e per le prime ore di gioco sono necessarie per apprendere al meglio le regole del mare: si impara a scegliere chi combattere e chi no, a condurre efficacemente la nave, a navigare sottovento e a gestire la “stamina” della ciurma. La mancanza di vento a favore, poi, può al massimo rallentare un po’ lo svolgimento delle missioni, causando una folata di noia passeggera dovuta alla scarsa velocità dovuta alla lentezza per arrivare all’obbiettivo. Bisogna poi considerare che ogni vascello può dispiegare o ritrarre le vele per aumentare la velocità di navigazione, sfruttando o meno un boost che consuma una barra apposita, il cui riempimento può essere accelerato fornendo cibo e alcolici all’equipaggio, o accendendo i falò nascosti presso alcuni accampamenti. Restando in tema di aspetti positivi, la personalizzazione “funzionale” della nave comprende un numero davvero ampio di opzioni: tra scafi più resistenti, accessori che aumentano le statistiche e bocche da fuoco, è difficile non restare appagati dalla varietà offerta da Skull and Bones, almeno su questo specifico fronte. Una volta scelto l’assetto al porto, la visuale per effettuare le missioni è in terza persona, quindi alle spalle della propria nave, alternata con una sorta di “prima persona sugli armamenti” posti a prua, poppa, babordo e tribordo. In questo modo si può mirare più facilmente ai punti deboli delle navi nemiche sparando come dei dannati cannonate, colpi di mortaio, razzi e siluri. Volendo adottare un approccio più da vicino, è possibile anche speronare o abbordare le imbarcazioni nemiche. Purtroppo il saltare sulla nave avversaria però risulta ben meno appagante di quanto ci si aspetti in quanto non è possibile controllare direttamente l’assalto, e il tutto si esaurisce in pochi secondi e senza interventi pratici da parte del giocatore. Al netto della pregevolezza del sistema di personalizzazione, ben presto ci si rende conto quanto relativo sia il suo peso nel bilancio del gameplay, perché ciò che conta davvero è aver raggiunto il giusto livello per una determinata missione, e avere in stiva tante munizioni, cibo e kit di riparazione. Al pari delle meccaniche di navigazione, quelle di combattimento non sono particolarmente articolate ed esaltanti: si mira e si spara, stando giusto attenti al movimento relativo degli avversari rispetto a noi, al tempo di “arrivo” dei proiettili e alla loro parabola. Non c’è deviazione dei proiettili in base al vento, o simili guizzi di complessità. Persino nel PVP l’abilità al timone, la conoscenza del territorio, la mira e la scelta del mezzo contano solo relativamente: sono i numeri a parlare, prima delle capacità manuali. Le battaglie si fanno un minimo più complesse solo contro i così detti “Pirate Lords” nell’endgame, o se a voler dare battaglia ci sono giocatori reali con navi ottimizzate e tutte le opzioni offensive e difensive sbloccate. Anche la scelta del percorso più veloce verso gli obiettivi si fa via via meno rilevante, non a causa della presenza del viaggio rapido, che si paga in valuta di gioco, fra avamposti, ma anche perché ci si rende conto che la rotta migliore da percorrere è praticamente sempre in linea retta. Infatti per raggiungere ogni luogo basta semplicemente girare intorno alle isole minori, e attraversare le più grandi viaggiando sui corsi d’acqua interni. In teoria ci sarebbero navi più agili preposte per questo tipo di navigazione, ma non servono quasi mai e ce la si fa pure con quelle di medie dimensioni. La scelta del veliero è rilevante per davvero, ma solo in minima parte, solo se si vuole combattere, perché un Blaster e un Bombardiere hanno capacità, tipi di bocche da fuoco e manovrabilità diverse da una velocissima Sentinella o dal più semplice Bedar, che si sblocca subito dopo il tutorial e che si guida per la maggior parte delle ore iniziali. Per ottenere tutti e 9 i tipi di navi presenti in Skull And Bones basta avanzare nella trama o comprare dai mercanti in giro per la mappa il progetto per ciascuna nave, che andrà poi costruita nell’hub centrale, il porto di Sainte Anne, con i materiali raccolti durante i viaggi.

Per quanto riguarda l’aspetto grafico: il livello di dettaglio delle navi, dei loro arredi e degli armamenti è di buon livello, così come anche l’estetica del mondo di giochi. Capita spesso infatti di restare incantati di fronte a scorci di particolare bellezza navigando tra i flutti dell’Oceano Indiano. Anche le tempeste che talvolta scuotono le acque con onde alte quanto l’albero maestro sono bellissime da vedere e spaventose, in un tripudio di fulmini che riempiono l’aria di sinistri bagliori e temibili rombi. La mappa del mondo poi è ben realizzata e illustrata, anche se ben presto è destinata a riempirsi di segnalini e indicatori che ne migliorano la leggibilità, intaccandone però la piacevolezza estetica. Il menù delle missioni è ben organizzato e consente di tracciare con precisione ogni obiettivo, nonché di scovare punti di raccolta utili a rimpolpare le scorte di materiali. La maggior parte delle risorse, vista la natura arcade di Skull and Bones, si può ottenere senza lasciare l’imbarcazione, semplicemente avvicinandosi alla costa e risolvendo un rapido mini gioco. In alternativa si può decidere di acquistarle da falegnami, mercanti e personaggi vari, scendendo a terra ed esplorando aree e accampamenti “a piedi”. Nessuna delle attività previste in questa modalità offre però soddisfazioni degne di nota: le mappe degli avamposti sono strutturate come corridoi più o meno lunghi e ben poco stimolanti, con solo qualche oggetto da raccogliere e una manciata di negozianti con i quali interagire. Al massimo, può capitare di incappare in un tesoro sepolto, che si tira fuori dalla sabbia a mani nude in appena un secondo con la pressione di un pulsante. In coppia con le scene d’intermezzo, fin troppo legnose e poco realistiche, le visite sulla terraferma sono anche le sezioni meno riuscite dal punto di vista grafico: la qualità di texture, animazioni e modelli appare infatti notevolmente inferiore rispetto alla media degli elementi che concorrono alla resa delle scene in mare aperto. Allo stesso modo la personalizzazione del protagonista e del suo vestiario cede vistosamente rispetto a quella della nave, tanto da apparire come un inserto appena abbozzato. Meno debole è invece il comparto sonoro, ricco di elementi che contribuiscono efficacemente al coinvolgimento dei giocatori. I canti intonati dalla ciurma mentre si solcano le onde sono davvero fantastici e tutti effetti sonori ci sono sembrati ben realizzati: gli scricchiolii del ponte, le corde che si tendono, l’acqua che si infrange sulla carena e le esplosioni dei cannoni vi faranno sentire sempre come se si stia viaggiando veramente su una nave pirata. La mancanza del doppiaggio in italiano pesa ulteriormente sul generale gradimento da parte di chi non mastica bene l’inglese in quanto gli accenti utilizzati dai vari comprimari sono diversi, e tutto ciò rende arduo comprendere ogni singola parola che viene pronunciata sullo schermo senza dover attivare i sottotitoli. Tirando le somme, questo Skull and Bones è un titolo che sicuramente è destinato a divertire il pubblico, ma la domanda è: per quanto tempo? La mancanza fin troppo evidente di attività e contenuti unita alla natura arcade fanno si che il titolo appaia fin troppo debole se paragonato ad altri esponenti del genere piratesco.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 7,5

Gameplay: 7

Longevità: 6,5

VOTO FINALE: 7

Francesco Pellegrino Lise




Persona 3 Reload, il remake che ci voleva

Persona 3 Reload è l’attesissimo remake di uno dei capitoli più iconici della serie di Atlus. Il titolo è disponibile su Pc e sulle console Microsoft e Sony dal 2 febbraio. Il fatto che ad oggi Persona 3 sia uno tra i capitoli più apprezzati dall’utenza, al punto da essersi guadagnato questo scintillante remake, è un segno tangibile della sua capacità di uscire dagli schemi e di mostrare fino a che punto i GDR giapponesi possano essere coinvolgenti. Per tantissimi appassionati questo capitolo è stato il vero inizio della popolarità della serie Persona e la base fondamentale su cui tutti i giochi successivi sono stati costruiti. Un potenziale del genere modernizzato per l’utenza attuale rende quindi Persona 3 Reload più interessante che mai: l’originale, per quanto affascinante, aveva varie pecche strutturali derivanti un po’ dall’anno di sviluppo e un po’ da ciò che era la visione generale dei JRPG dei primi anni 2000; superare queste mancanze poteva in teoria portare un semplice remake a raggiungere, se non addirittura superare l’eccellente Persona 5. Oggi dunque, dopo aver riaffrontato per decine di ore questa incredibile avventura, siamo qui per dirvi se gli sviluppatori di Atlus sono effettivamente riusciti nell’impresa di trasformare un remake in un’opera degna del capitolo più attuale. La costruzione della trama di Persona 3 è senza ombra di dubbio il suo centro nevralgico e proprio da questo aspetto che infatti tutto si dipana. L’intera storia gira attorno a tematiche estremamente cupe e di difficile discussione come la depressione e il suicidio, e l’immaginario generale non è altro che un palco su cui si muovono personaggi di rara profondità, che ancora oggi molti considerano tra i più “umani” e riusciti dell’intera saga. Certo, il titolo ha diversi anni sulle sue spalle e non mancano gli inciampi tra i suoi testi, ma nonostante ciò riesce ancora una volta ad avere un forte ascendente su chiunque lo giochi, specialmente verso le fasi finali. In Persona 3 Reload il team di sviluppo aveva vari approcci a disposizione per rendere il gioco più attuale: limitarsi ad ampliare la campagna originale per delinearla meglio senza grandi mutamenti, o stravolgere le parti di trama meno riuscite per perfezionarle. La scelta è stata quella conservativa, tanto che la stragrande maggioranza degli eventi sono pressoché immutati. Questa cosa vale anche per i Social Link meno riusciti. Per chi non conoscesse la serie Persona, i Social Link sono legami stretti dal protagonista con vari personaggi che incontra durante l’avventura, rapporti che è necessario coltivare in modo strategico per ottenere più vantaggi possibile, cadenzando a dovere le proprie attività durante le giornate di un calendario che avanza senza sosta. Queste sono tutte sottotrame curiose sviluppate man mano e sanno a volte essere anche molto piacevoli, eppure non tutte sono allo stesso livello… difatti in Persona 3 ne sono rimaste un paio tristemente note per dare spazio a personaggi tutt’altro che apprezzabili. A rigiocare oggi questo remake, si nota come alcune delle scelte dei dialoghi dei Link siano ancora piuttosto ottuse e immotivate, e questi si sviluppino in modo a dir poco irritante per poi regolarsi solo nelle fasi finali del Link. Proprio a riguardo possiamo dire che a nostro avviso sarebbe stato necessario un intervento un po’ più deciso su determinati avvenimenti, ma possiamo capire anche i motivi che hanno portato il team a non correre eccessivi rischi con i fan. Come abbiamo già scritto in Persona 3 Reload si è cercato di restare molto fedeli al titolo originale, senza sconvolgere la trama e gli aspetti che hanno reso noto il brand. Il gioco in pratica è stato farcito di Link Episodes extra ed eventi in più che approfondiscono motivazioni e caratteri dei personaggi primari e aggiungono un pizzico di chiarezza ad alcune delle loro azioni. Non si tratta di contenuti aggiuntivi titanici, ma in ogni caso restano apprezzabilissimi e donano ancor più forza a certi momenti del gioco.

Per quanto riguarda il gameplay, l’intervento svolto è ben evidente agli occhi di chi già conosce la serie, al punto da trasformare la formula di Persona 3 Reload in una sorta di copia carbone di quella vista in Persona 5. Mantenere le risorse rappresenta uno degli aspetti più importanti della produzione, infatti la classica necessità di tenere d’occhio gli SP, ovvero i punti necessari a usare le abilità di ogni combattente veste un ruolo principe. Anche qui, come nell’ultimo gioco della saga, questi sono preziosi e rigenerabili per lo più attraverso l’uso di consumabili, tanto che l’esplorazione senza problemi del dungeon principale non dipende tanto dalla difficoltà dei nemici, quanto dalla capacità del giocatore di eliminarli spendendo il meno possibile della risorsa. Dal canto suo, l’affaticamento è del tutto scomparso e non influenza più in alcun modo i combattimenti, così come le meccaniche principali sono state modificate per supportare maggiormente il nuovo sistema. Il combat system adesso gira prevalentemente di più attorno alle debolezze nemiche e alla gestione risorse. Con un po’ di esperienza, comunque, è possibile imparare a diventare pressoché inarrestabili. I compagni ad esempio, seppur possano venir fatti combattere in automatico con varie routine comportamentali, ora sono utilizzabili da subito manualmente senza problemi, per favorire il controllo del cosiddetto “One More System” alla base del combattimento dei Persona. Detto in soldoni, si tratta di un insieme di meccaniche concettualmente vicino al Press Turn System dei Megami Tensei, ma generalmente più accessibile e diretto, che permette di stordire i nemici se li si colpisce con un elemento o un tipo di attacco fisico a cui sono deboli, ottenendo così un turno aggiuntivo, e di far partire delle potenti esecuzioni ad area quando li si stordisce tutti in serie. Le debolezze sono così centrali nel sistema che le battaglie base vengono rese una passeggiata di salute nel momento in cui le si svela (solitamente vengono scoperte dopo un paio di tentativi), e la lotta dopo un po’ di pratica inizia a diventare più quella contro i dungeon esplorati che contro gli avversari veri e propri. Questo rappresenta un netto miglioramento rispetto all’idea base e rende molto più variegate le battaglie in Persona 3 Reload, ma anche in questo caso il cambiamento è stato implementato con qualche fastidioso errore di calcolo. Se infatti la gestione delle risorse risulta abbastanza complessa nella prima metà del gioco, le cose iniziano a farsi incredibilmente più semplici da regolare non appena si ottengono Persona dotate di attacchi fisici sufficientemente potenti, i poteri di scansione di Fuuka Yamagishi, o si iniziano a recuperare oggetti che rigenerano SP a rotazione. A facilitare ulteriormente l’esperienza, poi, ci pensano due nuove meccaniche: lo Shift e la Teurgia, con quest’ultima che a nostro parere arriva a rendere letteralmente sbilanciate vero il giocatore alcune battaglie. La sfida reale in questo Persona 3 Reload, insomma, resta principalmente solo quando si affrontano le battaglie principali alle difficoltà più alte, quelle legate direttamente a certi momenti della campagna che mettono il gruppo contro boss estremamente resistenti, da affrontare di solito con tattiche precise per non perire. Anche tra gli avversari della Monade ci sono scontri capaci di far sudare, ma tutto il resto risulterà una passeggiata di salute per chiunque abbia un minimo di esperienza con il genere. È un peccato secondo noi: una difficoltà più cattivella avrebbe reso le fasi più avanzate del Tartaro più godibili e meno ripetitive. L’intento invece qui sembra esser stato quello di dare al giocatore più strumenti possibili per affrontare gli scontri in libertà, senza preoccuparsi troppo dei veterani della serie.

Persona 3 Reload è, come già detto sopra, un’opera molto rispettosa del materiale originale. Il team di sviluppo è riuscito incredibilmente a preservare le atmosfere e il tono del racconto in maniera perfetta, aggiungendo nuove scene che andranno ad arricchire la narrazione e la caratterizzazione dei vari personaggi. La sensazione che abbiamo avuto durante l’intera prova è stata quella di giocare ad un titolo dei primi anni 2000, ma in veste moderna. Emozione che poche produzioni, al giorno d’oggi, riescono a restituire. Il comparto grafico e la direzione artistica sono di assoluta eccellenza: la prevalenza del colore blu, nei bellissimi menu a comparsa e nelle transizioni di battaglia, accompagnano gli sforzi di un engine che in modo fluido ed elegante dà forma alle scorribande dei SEES all’interno del Tartaro. Nei titoli della saga ATLUS la colonna sonora riveste un ruolo di particolare importanza, al pari con l’art design. Il lavoro fatto in tal senso da parte del team di sviluppo è assolutamente di grande pregio, seppur con qualche piccola criticità: tornano infatti alcuni dei pezzi più iconici del terzo capitolo, come l’eccezionale “When the moon’s reaching out stars” e il galvanizzante “Mass Destruction”, affiancati da nuove tracce per le imboscate e l’esplorazione notturna, rispettivamente “Its going down now” e “Color your night”. I nuovi brani sono sicuramente di impatto e gradevoli all’ascolto, con qualche piccola contaminazione jazz che fa ripensare alle atmosfere di Persona 5. Apprezzabilissimo è il coinvolgimento, sia per il rifacimento dei brani originali che per i nuovi, del rapper Lotus Juice, che contribuirà a far sentire a casa i fan più accaniti del titolo. Meno convincente, tuttavia, la performance della vocalist Azumi Takahashi, che sostituisce in Reload la cantante originale Yumi Kawamura. La sua voce, estremamente limpida e intonata, manca certe volte del mordente rock tipico dell’originale, specialmente nel riaffrontare gli iconici brani del passato. La musicista giapponese risulta molto più a suo agio, invece, nelle nuove tracce inedite, sicuramente più adatte al suo timbro vocale e al suo modo di interpretare i testi. Detto questo, il comparto audiovisivo del gioco è tra i più appaganti e meglio congegnati del moderno panorama JRPG, e non mancherà di stupire sia il nuovo appassionato che il giocatore di vecchia data. Tirando le somme questo Persona 3 Reload è senz’ombra di dubbio un titolo interessante, che amplia le possibilità offerte dal gioco originale e le eleva verso un generale sintomo di completezza. La direzione artistica sopraffina, un comparto sonoro d’eccellenza e un maggiore approfondimento dei protagonisti della vicenda pongono questo remake tra i migliori esponenti della saga. Le sequenze di gameplay ambientate nel Tartaro avrebbero beneficiato di qualche guizzo creativo in più in grado di spezzarne la ripetitività, ma ad ogni modo ci troviamo di fronte a un acquisto obbligato per ogni amante della saga. A nostro avviso questo remake di Persona 3 è un titolo in grado di accontentare tutti, sia che siate nuovi della serie, sia che abbiate giocato al capitolo originale, infatti, vi troverete dinanzi a un’opera incredibile.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 9

Gameplay:8,5

Longevità:8

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise




MW3 ancora più ricco con l’arrivo della season 2

MW3 si arricchisce di contenuti con l’arrivo della season 2. Personaggi, mappe, modalità di gioco e season pass sono solo alcune delle cose che attualmente sono state introdotte nel popolarissimo shooter di Activision. Dopo che il Gruppo Konni si è infiltrato in un’isola del Mediterraneo, conducendo esperimenti nefasti che hanno cambiato per sempre la Fortezza di Fortune, spetta ai giocatori e alla loro squadra sopravvivere al decadimento combattendo e dando la caccia ai non morti che si infiltreranno in ogni parte dei contenuti offerti dalla Stagione 2 di Modern Warfare 3 e Warzone. Si hanno a disposizione anche un aiutante esperto in materia: il vice sceriffo Rick Grimes di The Walking Dead e il capo della stazione della CIA Kate Laswell sono infatti i protagonisti del Battle Pass della seconda stagione.

Per quanto riguarda il multigiocatore c’è davvero tanto in arrivo con la Stagione 2. Si comincia con quattro nuove mappe 6v6, tre completamente nuove e una remaster. La prima è Partenze ed è disponibile al lancio aggiungendo al catalogo un campo di battaglia di dimensioni medio-grandi. Qui si può esplorare l’area Partenze dell’Aeroporto Internazionale Zakhaev, una zona pulita e competitiva con zone per tutti i tipi di combattimento. La mappa è più grande dei Terminal, quindi c’è da aspettarsi un’azione rapida e tattica. La seconda mappa è Stash House ed è un inferno di corridoi e angoli stretti. Anch’essa è disponibile al lancio. Appena colpita da un raid, questa location è il posto ideale per “farmare” esperienza con le armi a pallettoni e le mitragliette viste le sue linee di tiro cortissime. Anche Vista è disponibile già dal lancio, questa mappa è ambientata una località di montagna brasiliana con negozi di articoli da regalo, ristoranti e tram. A parte le viste impressionanti, c’è un’atmosfera più classica in questa mappa a tre corsie delle dimensioni simili a Shoot House con interni stretti ed esterni a lungo raggio. Das Haus, invece, arriverà a metà stagione e sarà una remaster di una mappa di CoD Vanguard. Due ulteriori varianti verranno aggiunte al pool di mappe a tema ultraterreno, unendosi a Tetanus, Sporeyard e Satan’s Quarry della Stagione 1. Queste sono Airborne e Skidrow, ora con un nuovo look purulento. Infine, la modalità Guerra riceverà una nuova operazione su larga scala ambientata nel centro dell’Urzikstan. Aspettatevi un lancio con paracadute in volo con la vostra squadra per atterrare sul tetto di un grattacielo, esplorando la costruzione multi-livello che ricorda la mappa Overwatch di Call of Duty: Modern Warfare 3 del 2011. Una squadra dovrà difendere e proteggere questa struttura mentre l’altra piazzerà degli esplosivi per aprirsi una strada verso il basso. Oltre alle mappe arrivano anche diversi nuovi modi di giocare su Call of Duty Modern Warfare 3 nella Stagione 2. Le partite di Gioco delle Armi a squadre avranno le regole di Team Deathmatch in vigore, anche se con alcune importanti differenze: ogni giocatore inizia con la stessa arma e dovrà eliminare gli avversari per progredire attraverso un set di otto armi predeterminate. Se otterrete abbastanza punti, poi, tutti i compagni di squadra verranno generati con l’arma successiva contemporaneamente, vince la prima squadra che totalizza 75 punti. La modalità Solo Cecchini sarà anche lei disponibile al lancio, userà le regole di Deathmatch a Squadre o Dominio e, sorprendentemente, sarà tutta a base di quickscoping. Tutte le armi oltre ai fucili di precisione sono limitate, incluso l’equipaggiamento letale e tattico. Hordepoint sarà una modalità a tempo limitato nel periodo di lancio e avrà come base Hardpoint con l’aggiunta di un nemico aggiuntivo che non fa discriminazioni tra SpecGru e KorTac: una massa disordinata di zombi, con occasionali zombi Elite che arrivano per farvi la pelle. A metà stagione, poi, arriverà Juggermosh, un’altra modalità a tempo limitato con prospettiva in terza persona. Su Kill confirmed, Domination e Hardpoint preparatevi a una guerra Juggernaut contro Juggernaut con qualche regola diversa per mischiare le carte in tavola. A metà stagione arriverà Bounty, un modalità in cui ogni giocatore ha vite illimitate e le partite si svolgono in modo simile a Team Deathmatch. Il giocatore con il maggior numero di uccisioni per ciascuna squadra verrà contrassegnato come HVT (bersaglio di alto valore). L’HVT si alterna tra le squadre in un intervallo di tempo e vengono assegnati punti extra quando l’HVT viene ucciso. L’equipaggiamento nuovo di questa stagione, infine, sarà il nuovo Gilet dei Ninja che fornisce una corsa silenziosa, un coltello da lancio in più e uno shuriken aggiuntivo.

Per quanto riguarda la modalità zombi meglio conosciuta come MWZ, la storia dell’etere oscuro continua: le squadre di giocatori dovranno affrontare una nuova anomalia nella zona di esclusione. In più è in arrivo il secondo Rift, la più grande roccaforte infestata mai resa disposnibile negli zombie di CoD. Ci sono tre nuovi progetti da raccogliere e una nuova signora della guerra da affrontare. Si chiama Keres ed è una sfuggente specialista in guerra chimica che ha allestito delle difese impressionanti alla Killhouse nella base militare di Orlov. Portatevi delle maschere antigas perché violare la sua fortezza è solo la prima sfida. Una volta all’interno, aspettatevi problemi di visibilità, poiché il nuovo composto di gas di Keres resta sospeso nell’aria in tutta la struttura, interrompendo quasi tutti i sensori, compresi i mirini delle armi termiche. Aspettatevi anche che Keres utilizzi armamenti convenzionali e una cortina di fumo velenosa, contando sulle sue numerose armi biologiche per soffocarvi. Ci vorrà lavoro di squadra certosino per intrappolarla ed eliminarla.

Novità anche per tutti gli appassionati del battle royale: Warzone. La principale è il ritorno di Fortune’s Keep, una mappa piccola con 11 punti di interesse tutti rinnovati e una modalità classificata dedicata. All’interno di ciascuna partita preparatevi all’apparizione dell’evento pubblico competitivo Rogue Signal, che vi metterà contro altri operatori e squadre in una missione basata su obiettivi di 90 secondi. Ci sono contanti, XP e una speciale riserva di ricompense unica da conquistare. Dopo che viene visualizzata una notifica, aspettatevi un nuovo elemento nell’HUD con un obiettivo, un tabellone segnapunti e il posizionamento proprio (o della squadra) rispetto ai rivali. Per mescolare le carte in tavola e restare in tema con la narrativa stagionale, poi, una selezione di potenziamenti direttamente dagli Zombi arriveranno su Call of Duty: Warzone per un periodo limitato. Sette potenziamenti Zombi (quattro familiari e tre nuovi di zecca) saranno disponibili sulla mappa e potranno essere trovati aprendo determinate casse o eliminando gli operatori rivali. Non mancheranno anche alcune aggiunte degne di nota. La Nave da Ricerca è un nuovo punto di interesse mobile: si dice che una grande imbarcazione su pontoni possa apparire nelle acque al largo della costa di Fortune’s Keep, più avanti nella stagione. La nave è dotata di un proprio eliporto, ascender e una varietà di contromisure tutte da scoprire. La killstreak Bunker Buster, poi, sarà l’incubo dei camper perché potrete lanciare un missile che decima verticalmente un edificio su più piani, eliminando i nemici nascosti all’interno. L’impatto crea una lunga colonna di gas progettata per costringere i nemici sopravvissuti a uscire dalla copertura. La Stazione di Decontaminazione Portatile, infine è una versione migliorata dell’aggiornamento sul campo della Stazione di decontaminazione portatile (PDS, nota anche come Stazione di decontaminazione personale) e si aggiungerà al bottino a metà stagione. Emettendo una nuvola di sostanze chimiche che contrastano le proprietà corrosive del gas del circolo, creerà una preziosa zona sicura temporanea.

Anche il parco armi di MW3 si arricchisce con la seconda stagione di MW3. La prima arma ad arrivare nelle mani dei giocatori sarà il BP50, un fucile d’assalto che troverete al lancio nel settore B7 del Battle Pass. Questo AR bullpup modulare camerato in 5.56 annienterà i nemici grazie alla sua elevata cadenza di fuoco e una precisione eccezionale per dominare a medio e lungo raggio. Nel settore B6 del Battle Pass, invece, si trova il mitragliatore, più manovrabile e agile del suo omologo fucile d’assalto, questo mitragliatore bullpup calibro 9 mm sarà letale a distanza ravvicinata. Come ricompensa per una sfida stagionale settimanale, poi, si può ottenere il SOA Subverter, un fucile da battaglia con cameratura in 7.62 per dominare a distanze medio-lunghe grazie a una cadenza di fuoco bassa e un rinculo prevedibile”. Nel compartimento delle armi da mischia, a metà stagione arriverà il “Soulrender” una spada a una mano con una posizione di guardia da cui sferrare dei potenti attacchi e contrattacchi. Al lancio della seconda stagione, poi, arriveranno sette nuovi componenti aftermarket. Il primo è il JAK Burnout per la Holger 26 ottenibile nel Battle Pass. Questa modifica da all’arma una modalità di fuoco nuova chiamata JAK Burnout che fornisce una velocità di fuoco notevolmente aumentata ma che può surriscaldare la canna aumentando lo spray. Il Kit JAK Tyrant 762 si sbloccherà tramite una sfida settimanale e sostituirà il ricevitore del fucile da cecchino Longbow per ospitare munizioni 7,62 BLK creando un’arma subsonica più potente. Il JAK Limb Ripper ottenibile tramite una sfida settimanale, vi trasporterà direttamente su Gears of War perché consiste in vera e propria motosega sottocanna. A chi manca l’iconico Striker di Modern Warfare 2 farà piacere sapere che l’Haymaker, grazie al Kit JAK Maglift ottenibile tramite sfida settimanale, potrà ospitare un caricatore a tamburo extra-large. il BAS-B, poi, potrà trasformarsi in un vero e proprio Winchester grazie al Kit JAK Outlaw-277 che rallenterà la cadenza di fuoco ma migliorerà di molto la precisione. L’ultimo componente aftermarket della Stagione 2 di Moder Warfare 3 è l’Ottica senza vetro JAK ottenibile tramite una sfida settimanale. Questa piccola ottica reflex senza vetro offre un’immagine nitida e chiara per un’acquisizione rapida del bersaglio. Insomma questa Season 2 di Call of Duty Modern Warfare 3 porta talmente tanti contenuti da poter soddisfare qualsiasi tipo di giocatore, dal più esigente al casual gamer di turno.

Francesco pellegrino Lise




Jujutsu Kaisen Cursed Clash, dal manga al videogioco su Pc e console

Jujutsu Kaisen è uno dei manga/anime di maggior successo degli ultimi anni. La sua prima pubblicazione è apparsa sulla rivista Shonen Jump nel Marzo del 2018 ed è attualmente in prosecuzione. Come sempre da un grande successo nasce sempre la necessità di avere delle opere commerciali parallele, ed ecco arrivare sugli scaffali degli amanti di videogames Jujutsu Kaisen: Cursed Clash, picchiaduro a incontri 2vs2 sviluppato da Byking Inc. per conto di Bandai Namco. Il titolo è disponibile Su Pc, Xbox Series X/S/One, PlayStation 5, Ps 4 e Nintendo Switch. A livello di trama il nuovo videogame dedicato all’opera di Gege Akutami segue la trama del fumetto: i fatti narrati dal titolo si svolgono a partire dal 2018 a Sendai, per poi spostarsi a Tokyo. Yuji Itadori, un liceale appassionato di Occulto, ritrovandosi al cospetto di una Maledizione erroneamente risvegliata dal suo club scolastico decide di ingurgitare un feticcio magico, una delle 20 Dita della Maledizione nota come Ryomen Sukuna. Tale gesto gli fa ottenere grandi poteri magici ma deve convivere con la terribile entità malvagia che si è ora insediata nel suo corpo. Condannato a morte dall’ordine degli Stregoni per essere ormai maledetto, grazie alla sua abilità di governare Sukuna Yuji viene invece risparmiato e incaricato di recuperare e assimilare le altre 19 parti della Maledizione, con l’intento di distruggere l’entità quando il ragazzo sarà infine giustiziato, destino che lui accetta per obbedire alle ultime volontà del nonno morente di “aiutare sempre gli altri”. Inzierà così il suo addestramento da Stregone sotto la guida del maestro Satoru Gojo in compagnia dei coetanei Megumi Fujikuro, Nobara Kugisaki e gli altri studenti dell’accademia delle Arti Occulte di Tokyo. Il suo cammino verrà spesso ostacolato da altri stregoni animati da intenti non propriamente pacifici e dalle varie altre Maledizioni che si formano quando l’Energia Malefica incontrollata fuoriesce dalle persone comuni. Ovviamente, inoltre, dovrà fare spesso i conti con Sukuna che diventa più forte ogni volta che Yuji ingoia un altro dito.

Jujutsu Kaisen Cursed Clash è un picchiaduro con un focus sui combattimenti 2vs2, un modo per incentivare la cooperazione anche online. Tuttavia, è uno di quei lavori in cui si fa veramente fatica a trovare qualcosa di davvero valido e i problemi si susseguono purtroppo in maniera piuttosto evidente. La cosa meno grave è da attribuire ai personaggi presenti (15 in tutto). Essi hanno una serie di mosse differenziate l’uno dagli altri e caratteristiche peculiari. Se Yuji Itadori fa incetta di pugni e calci, colpendo gli avversari direttamente, Nobara, invece, colpisce anche dalla distanza e può aiutare a regalare un pizzico di strategia a questo titolo. Dunque, da questo punto di vista, se si ha voglia di scendere in campo e utilizzare il proprio eroe preferito è possibile farlo, ma le brutte sorprese sono dietro l’angolo. Purtroppo, volendo tralasciare una modalità storia troppo veloce e riassuntiva per come racconta gli eventi del manga, il fulcro di Jujutsu Kaisen: Cursed Clash non soddisfa nemmeno i palati meno esigenti. Individuare un problema principale su cui ruotano attorno tutti gli altri è abbastanza difficile perché in ogni caso, si finisce per discutere di qualcosa di serio, a cominciare dall’input dei comandi. Sembra di giocare online con un ping altissimo, in cui si assiste a un lag talmente grande che tra la pressione del tasto e l’esecuzione del comando c’è un ritardo a dir poco imbarazzante. Non bisogna andare molto lontano poi per capire quali problemi comporta tutto ciò in un picchiaduro ma, se si aggiunge a questo anche un feedback dei colpi alquanto grossolano, in cui spesso si fa fatica a capire chi abbia colpito cosa, il danno è fatto. Altra idea a nostro avviso poco funzionale è quella del “minimo infinito”, ovvero: l’unico modo per recare danno all’avversario è colpire con energia maledetta derivante dai colpi speciali. Per cui, colpire gli avversari ripetutamente con calci e pugni è pressoché inutile o quasi. Approcciare il nemico in questa maniera infatti serve soltanto a ricaricare la barra apposita con cui eseguire i colpi speciali che ovviamente, verranno utilizzati a raffica per poter battere l’avversario. Si esegue così una noiosa danza di “colpo-ricarica-colpo speciale”, fino alla fine dello scontro. Il peccato più grande di questo Jujutsu Kaisen Cursed Clash però è quello di non far mai esaltare il giocatore. Infatti durante le fasi di combattimento non si assiste mai a grandi scene, esplosioni o distruzioni ambientali. La sensazione è quella di sentirsi molto, anzi davvero troppo normali e poco speciali. Persino l’utilizzo delle tecniche di Satoru Gojo non regalno alcun momento di epicità. Il tutto sembra privo di momenti esaltanti.

Venendo al 2vs2, vero cuore pulsante della produzione, tale scelta dovrebbe essere un modo per combinare le diverse capacità dei personaggi, interagendo tra loro in modo strategico. Tuttavia, il tutto si riduce a un caos senza eguali anche perché giocando in PvE, l’IA separata dei nemici non lascia spazio di manovra, non avendo la minima parvenza di quello che accade nello spazio di gioco. Non vi è ad esempio un piccolo cooldown tra un colpo speciale e un altro e questo, regala grande frustrazione. Detto questo se ci si dovesse chiedere almeno a livello estetico questo Jujutsu Kaisen Cursed Clash è una gioia per gli occhi? Beh la risposta è assolutamente No. Arrivati alla nona generazione di console, quello che ci si aspetta è un lavoro quanto meno dignitoso, il titolo però presenta scenari sì distruttibili ma davvero poveri di dettagli e con texture e shader davvero poco al passo con i tempi. Un po’ troppo aliasing sporca la modellazione dei personaggi ma quello che rende l’esperienza davvero frustrante è un tearing davvero vistoso, in grado di rovinare ulteriormente l’esperienza. Jujutsu Kaisen Cursed Clash non è nemmeno ottimizzato a dovere, presentando vistosi cali di frame, contornati da qualche crash di troppo. La sensazione che si ha giocando a questo titolo è che manchi una cura generale di base, un minimo di controllo qualità che avrebbe evitato, per esempio, di aggiungere schermate coi sottotitoli nel bel mezzo del cono visivo del giocatore, utile per leggere, meno se si vuol vedere cosa si sta facendo. Tirando le somme, quello che possiamo dire davanti a questo prodotto è che Jujutsu Kaiesen Cursed Clash: forse per la fretta di fornire rapidamente un gioco su una serie Manga/Anime che sta rapidamente riscuotendo un grande successo, Bandai Namco affida al team Byking la realizzazione di questo software che segue sì pedissequamente la trama ufficiale ma non offre né realizzazione tecnica né soluzioni di gameplay degne di nota, ed anzi ha più di qualcosa da rivedere. Essenzialmente vi consigliamo l’acquisto del prodotto solo se siete dei veri appassionati del manga e dell’anime.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 5

Sonoro: 5,5

Gameplay: 5

Longevità: 5

VOTO FINALE: 5

Francesco Pellegrino Lise




Tekken 8, il gran ritorno di uno fra i “picchiaduro” più amati di sempre

Tekken 8, il re dei “picchiaduro” 3D, è la prima grande perla di questo 2024 che si prospetta essere un anno ricco di novità e di titoli straordinari per gli amanti dei videogiochi. L’ottavo episodio della storia saga di Tekken segna un’evoluzione in linea con gli altri giochi di combattimento di successo, un’impronta che punta verso la creazione di una community globale online e l’introduzione costante e continua di nuovi contenuti nel corso del tempo. Non stupisce quindi che Bandai Namco abbia deciso per questo capitolo di dedicarsi esclusivamente alle nuove generazioni di console e al Pc ovviamente. Tuttavia, il punto di forza di Tekken 8 è la sua assoluta fedeltà alle radici della serie. I fan ritroveranno infatti molti degli elementi fondamentali che hanno imparato ad amare negli anni, da un ricco gameplay arcade a personaggi storici e alcuni nuovi, senza stravolgimenti radicali nei loro moveset. Ma partiamo dall’inizio: una volta avviato il titolo quello che colpisce fin da subito è la ricchezza del menù ma anche l’ottimo organizzazione delle sezioni in cui è diviso. Tra contenuti online, offline, opzioni, personalizzazione e molto altro ancora prima di esplorare tutto come si deve serviranno diversi minuti. Una volta presa confidenza con le sezioni e le sottosezioni però trovare quel che si cerca risulta sempre assolutamente semplice e veloce. Parlando di contenuti offline oltre alla classica modalità storia, fanno ritorno le classiche modalità Arcade con battaglie di difficoltà sempre crescente e gli Episodi Personaggio dove affrontare cinque incontri per ogni lottatore con brevi filmati che approfondiscono un minimo le vicende personali di tutti i personaggi svelando anche simpatici retroscena o intrecci indipendenti dagli eventi narrati nella storia. La vera novità però è rappresentata dalla “Quest Arcade”, dove in una sorta di meta-narrazione si vestono i panni di un giocatore che da principiante dei videogames vuole diventare un campione di Tekken. Per farlo però dopo aver conquistato il titolo di più forte del locale dove si incontrano i ragazzi del luogo per giocare, bisogna visitare le varie sale giochi sparse per la nazione per affrontare gli altri giocatori appassionati del genere “picchiaduro”, sconfiggere i campioni locali e scalare le classifiche fino ad arrivare al Tekken World Tour. Come ogni modalità del genere però, prima di iniziare il viaggio, bisogna creare il proprio avatar, anche se inizialmente le opzioni sono piuttosto basilari. Complice anche lo stile “cartoonesco” dalla testa volutamente sproporzionata rispetto al resto del corpo. La prima volta che si ha a che fare con l’editor, questo appare fin troppo semplice e povero di opzioni di personalizzazione, ma proseguendo nella storia e sfidando determinati giocatori si potranno sbloccare nuove possibilità per esprimere al meglio il proprio stile e quello dei lottatori a cui ci si vuole ispirare. Ogni personaggio di Tekken 8 infatti è completamente personalizzabile esteticamente, con una grande quantità di accessori con cui trasformare del tutto l’aspetto, sia se si vuole qualcosa di estremamente alla moda e serio sia se invece si vuole qualcosa di stravagante e ridicolo.

La modalità Quest Arcade si rivela inoltre essere il perfetto punto d’inizio, infatti man mano che si prosegue Max (l’amico che introduce l’avatar al mondo di Tekken e lo accompagna in giro per il mondo) fornisce utili tutorial pratici dove vengono spiegate nel dettaglio le principali caratteristiche sia del combattimento in generale sia le mosse specifiche dei personaggi che si selezionano così da prendere subito confidenza e migliorare rapidamente. Per quanto riguarda la trama della modalità storia invece è fatta sia per essere apprezzata dai fan storici della saga, sia per far appassionare chi non ha mai messo le mani su alcun capitolo della serie. La storia di Tekken 8 riprende gli eventi esattamente da dove finiva il 7, con Kazuya Mishima che sale al potere dopo aver finalmente sconfitto e ucciso il padre Heihachi grazie al suo gene demoniaco. L’unico in grado di fermarlo è suo figlio Jin Kazama, anch’egli in possesso del gene demoniaco, e dopo un devastante scontro tra i due ad uscirne vincitore è Kazuya. Non avendo più nessuno a contrastarlo, Kazuya annuncia l’ottavo Torneo del Pungo di Ferro, ma con una posta in gioco decisamente più alta: nel suo nuovo mondo l’unica cosa che conta sarà la forza, per cui il vincitore del torneo garantirà ricchezza e prosperità alla sua nazione d’origine, mentre i perdenti vedranno le loro nazioni distrutte o schiavizzate. Jin inizia così un viaggio alla ricerca di sé stesso per trovare il modo di controllare del tutto il potere demoniaco e sconfiggere il padre per porre fine al suo folle piano di dominio del mondo. Ovviamente questo è solo l’inizio, ma possiamo dire che l’intero svolgimento della trama, che si dipana lungo 15 capitoli, offre moltissimi colpi di scena e momenti dall’alto tasso di epicità che rimarranno senza dubbi nel cuore di chi gioca. L’intera storia alterna spettacolari filmati cinematografici in stile Hollywood ai combattimenti passando con fluidità da uno all’altro senza interruzioni, a volte mescolandoli con sequenze che si attivano nel corso della battaglia o eventi quick time dove la pressione dei tasti al momento giusto è la chiave per superare indenni l’azione che si sta svolgendo sullo schermo. Ovviamente l’altra faccia della medaglia di Tekken 8 è rappresentata dagli scontri online. Qui si può scegliere se ospitare una sala incontri o entrare in una già esistente, se crearne una privata per il proprio gruppo di amici, ma ovviamente è possibile disputare match online semplici o classificati. Ovviamente, come sempre accade in questo tipo di giochi, gli scontri online rappresentano il massimo livello per mettersi alla prova e il rischio, soprattutto per i giocatori meno abili, è quello di scoraggiarsi subito dinanzi ad alcuni giocatori all’apparenza imbattibili. La chiave però è sempre la stessa: costanza e allenamento portano ai risultati nel tempo. In ogni caso la chicca che però potrebbe portare anche i giocatori poco propensi alle partite online a non abbandonare il gioco dopo poco è la presenza dei Ghost, un extra non indifferente che offre un livello di sfida ben superiore alla media, pur richiedendo una connessione. Questo elemento è il segno del grande sforzo fatto dal team di sviluppo in quanto l’intelligenza artificiale di Tekken 8 ha raggiunto un nuovo livello, infatti è in generale in grado di gestire in modo molto più elaborato e simile ai giocatori umani il movimento complesso del gioco, ma apprende attivamente le tendenze degli utenti e le riproduce in modo davvero sorprendente attraverso questi “fantasmi”. È possibile allenare un’intelligenza artificiale tarata sui propri connotati con praticamente ogni personaggio, e possiamo assicurare che bastano pochi match perché questa inizi a imitare le abitudini e le capacità del proprio allenatore, arrivando persino a riprodurre errori di esecuzione o comportamenti poco sportivi. Considerando quanto funzioni bene questo sistema, non rappresenterebbe una sorpresa se molti giocatori si connettessero online solo per sfidare i Ghost di alcuni dei migliori giocatori al mondo. Come già detto il lavoro fatto dal team in questo ambito è davvero degno di lode e apre la strada al futuro della serie che può solo migliorare ancora di più nei prossimi anni.

Per quanto riguarda la giocabilità, Tekken 8 ha deciso di rendere l’esperienza di gioco meno traumatica per i neofiti, infatti oltre ad aver integrato in maniera intelligente alcune importanti nozioni che possono fare la differenza, il vero aiuto è rappresentato dallo “Stile Speciale”. Chiunque abbia giocato a Tekken almeno una volta nella propria vita sa perfettamente come il sistema di combattimento sia all’apparenza semplice e rapido, e anche premendo i pulsanti senza una vera e propria logica a caso qualcosa succede, ma in realtà il gameplay è uno dei più tecnici e profondi con combinazioni di tasti e variabili che richiedono una grande dedizione per essere fatti propri e sfruttati nel momento esatto. Lo Stile Speciale elimina in parte questo ostacolo, permettendo di utilizzare automaticamente delle combo normali, aeree o basse premendo semplicemente un tasto a ripetizione. Fin qui nulla di effettivamente nuovo sotto il sole, infatti qualcosa di simile è già presente in altre produzioni, ma Tekken 8 rende il tutto ancora più immediato con la possibilità di passare dai comandi tradizionali a quelli semplificati in tempo reale premendo il pulsante dorsale sinistro del controller. Non si è quindi obbligati a scegliere uno schema di comandi prima della battaglia, ma anche nel bel mezzo di uno scontro si può decidere di passare fluidamente da uno all’altro, una comodità non da poco. Ovviamente lo “Stile Speciale” non è la chiave per scendere in battaglia e battere chiunque, ma è stato concepito per aiutare i players alle prime armi. Per chi volesse invece approfondire lo studio e la pratica per diventare degli avversari temibili, Tekken 8 mette a disposizione un completo set di sfide nella modalità Allenamento dove perfezionare le combo di ogni personaggio e la possibilità di vedere i replay con tanto di suggerimenti su come si sarebbero potute contrastare le mosse dei nemici. La base del sistema di combattimento di questo nuovo capitolo del picchiaduro di Bandai Namco è naturalmente quella di sempre, anche se questa volta il mood è essere più aggressivi degli avversari. Per fare ciò gli sviluppatori hanno introdotto l’Heat System. Alla pressione di un tasto o eseguendo specifiche mosse (Heat Engager) si entra in stato di Heat, e per un breve periodo di tempo gli attacchi saranno più forti, ma soprattutto anche i colpi parati causano comunque un piccolo ammontare di danno. Non solo, ma durante lo stato di Heat si potranno usare mosse uniche e combo che normalmente non possono essere concatenate, fino a concludere con uno Heat Smash in grado di infliggere grandi danni e ribaltare uno scontro. Gestire l’indicatore Heat e tutte le sue meccaniche uniche è fondamentale per vincere, ma senza dimenticare mai le basi e altre meccaniche come Rage Arts, Power Crush e combo aeree. Insomma, di carne al fuoco per chi vuole darci dentro davvero ce ne è davvero moltissima.

I personaggi disponibili fin da subito in Tekken 8 sono ben 32. Oltre ai volti storici, noti ai fan più affezionati, sono presenti anche 4 new entry, come ad esempio Azucena, una lottatrice di MMA di origini peruviane che non perde occasione di sponsorizzare il caffè dell’azienda di famiglia, oppure Jack-8, nuova versione dell’androide Jack presente in passato. Il francese Victor Chevalier con la sua lama hitech, pugnali e pistola rappresenta una minaccia sia nel combattimento ravvicinato che a distanza, mentre Reina è la più interessante utilizzando una variante dello stile Mishima, e anche nel corso della storia ha un’importanza particolare in quanto, dopo aver visto il finale segreto della modalità storia, si scopre che essa rappresenterà sicuramente uno dei pilastri fondamentali del futuro della serie. Da segnalare infine il ritorno di Tekken Ball, una modalità di gioco già vista in Tekken 3 dove ci si può sfidare ad una sorta di beach volley, ma utilizzando gli attacchi e combo per respingere la palla. Vince chi segna più punti, una simpatica variante per stemperare le sessioni di gioco più accese o per ritrovare la calma dopo una sconfitta bruciante. Un ultima lode va fatta anche alla personalizzazione dei lottatori. Anche in Tekken 8 è possibile rendere estremamente atipici i propri combattenti preferiti con numerose opzioni estetiche e, seppur il numero sia inferiore a quello del predecessore (comprensibile visto il cambio di motore e i passi avanti tecnici), siamo certi che tale aspetto farà la gioia di molti fra gli appassionati della serie. A livello estetico Tekken 8 è senza dubbio un prodotto all’avanguardia. Grazie al passaggio all’Unreal Engine 5 e all’uscita unicamente sulle piattaforme di attuale generazione gli sviluppatori hanno potuto spingere al massimo l’hardware con un livello di dettaglio dei personaggi impressionante. Ottimo anche il frame-rate granitico a 60 fps durante i combattimenti nonostante gli effetti speciali si sprechino tra effetti di luce e distruzione degli stage ad ogni colpo messo a segno. La colonna sonora è veramente esaltante e si vede che è un aspetto su cui Bandai Namco ha lavorato molto: l’eccesso di una componente estrema che pervade questo prodotto è sostenuta in modo pressoché perfetto dalle sue musiche, e i pezzi capaci di rendere ancor più emozionanti i già eccessivi scontri del gioco non mancano assolutamente. Tutto è assolutamente in linea con quello che si vede sullo schermo ed è difficile negare quanto questa colonna sonora si fonda perfettamente con l’esperienza offerta. Tirando le somme, Tekken 8 rappresenta senza ombra di dubbio l’evoluzione più interessante della saga. La produzione è in grado di offrire ore e ore di divertimento a qualunque tipo di livello di difficoltà ed è un titolo accattivante, esaltante e longevo. Il lavoro svolto è assolutamente di grande pregio e siamo certi che lascerà un segno nell’universo dei “picchiaduro”.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9

Sonoro: 9,5

Gameplay: 9,5

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9,5

Francesco Pellegrino Lise




Apollo Justice: Ace Attorney Trilogy, tutti avvocati con la seconda raccolta di Capcom

Apollo Justice: Ace Attorney Trilogy è la seconda raccolta di novel investigative per PC, PS4 e PS5, Xbox One, Series X/S e Nintendo Switch. Il titolo contiene i tre videogiochi che concludono la serie iniziata nel 2001 da Shu Takumi, facendo seguito alla precedente collezione del 2019 con protagonista l’avvocato Phoenix Wright. Ma andiamo a scoprire di più sul protagonista di questa nuova trilogia. Apollo Justice è un personaggio interessante e ben caratterizzato, che merita l’inserimento nel titolo della trilogia nonostante ricopra un ruolo centrale solo in uno dei tre videogiochi del pacchetto. Il legale è infatti il protagonista indiscusso del “suo” Apollo Justice: Ace Attorney, ma in Phoenix Wright: Ace Attorney – Dual Destinies e Phoenix Wright: Ace Attorney – Spirit of Justice è sempre Phoenix Wright a tenere “banco” in aula. Per poter capire pienamente il filo della storia delle tre remaster, il nostro consiglio è quello di seguire l’ordine cronologico e di pubblicazione dei titoli, e magari anche di recuperare la prima raccolta della saga. In ogni caso, all’avvio è sempre possibile scegliere liberamente con quale gioco iniziare, e addirittura far partire i singoli capitoli di ogni episodio in qualunque ordine si voglia, dato che non ci sono specifici requisiti da rispettare. Questo è sicuramente un bene: il target principale del lancio di questo titolo sono principalmente i fan della serie, che potrebbero voler rigiocare solo un caso specifico senza dover ripercorrere per intero una delle avventure. In Apollo Justice: Ace Attorney, il teatro principale dell’azione è la ben nota aula di tribunale presieduta dall’ormai noto ai più “giudice barbuto”. Tuttavia, sette anni dopo gli eventi del precedente capitolo, Phoenix Wright non è più dal solito lato del banco: ha perso al sua licenza da avvocato, si guadagna da vivere in un bar russo giocando a Poker e per di più è accusato di omicidio. Starà quindi a chi gioca, nel ruolo del neo assunto avvocato Apollo Justice, prendere le sue difese e tirarlo fuori dai guai. Data la natura del gioco e l’importanza cruciale dei colpi di scena per assicurarne la piena godibilità , anche se si tratta di una remastered di una serie con qualche anno sulle spalle, preferiamo rimanere misteriosi sul resto dei casi e degli eventi. A margine, ci preme comunque specificare che Apollo Justice: Ace Attorney è l’ultima storia scritta direttamente da Shu Takumi, l’ideatore di Ace Attorney, prima che il testimone passasse al duo composto da Takeshi Yamazaki e Yasuhiro Seto. È comprensibile che giunti al quinto e sesto episodio manchi un po’ di freschezza e che il gameplay un po’ ripetitivo si faccia sentire, nonostante con il cambio di direzione siano stati operati diversi rinnovamenti. Per esempio, pur rimanendo di base opere leggere con risvolti e personaggi comici, le tematiche di Dual Destiny e Spirit of Justice sono più “critiche” nei confronti del sistema giudiziario giapponese a cui si ispirano. Il sesto gioco, in particolare, è ambientato in un paese dove l’avvocato deve scontare la stessa pena dell’imputato qualora perdesse la causa: una condizione nella quale alcuni hanno rivisto il super carico di responsabilità nei confronti dei legali del paese del Sol Levante.

Le basi di gioco offerte dal titolo sono le stesse fin dal 2001, solide e divertenti. Queste definiscono il genere della saga come un ibrido di puzzle game investigativo e novel pura, ambientando il tutto in aule da tribunale dove si tengono processi alquanto movimentati. Tanto la difesa quanto i pubblici ministeri coinvolti, infatti, agiscono più da detective che da avvocati, esaminando le prove, producendone di nuove, interrogando i sospettati, i testimoni e gli imputati allo scopo di trovare incongruenze rilevanti per una risoluzione in loro favore. I nodi da sciogliere e l’impalcatura su cui si costruiscono i casi variano in termini di complessità, ma l’esperienza è abbastanza guidata dalla progressione narrativa: la soluzione non è sempre ovvia, ma mai troppo difficile da identificare. Insomma, la soluzione c’è, bisogna solo essere attenti ed esaminare ogni cosa a dovere e avere bene in mente l’evoluzione del caso. Come già è successo in occasione della precedente trilogia, la remastered propone nuove, bellissime texture in alta definizione. Il comparto grafico di Apollo Justice: Ace Attorney Trilogy è una gioia per gli occhi: sia le illustrazioni disegnate per i dialoghi di ciascun personaggio in Apollo Justice: Ace Attorney, aderenti allo stile dei primi tre episodi Phoenix Wright, che i modelli tridimensionali adoperati al loro posto nei due giochi successivi sono espressivi e vivi come non mai. Da DS e 3DS a Xbox Series X, dove abbiamo svolto la nostra recensione, il balzo qualitativo è evidente e piacevolissimo, su qualunque dimensione di schermo. Ci sono piaciute molto le aggiunte volte a migliorare la qualità generale del gioco, come gli slider per modificare la trasparenza dei box di dialogo, la velocità di scorrimento dei testi e altri sotto menù raggiungibili in qualunque momento. La cronologia dei testi per esempio, per i più “distratti” è imprescindibile, dato che registra ogni testo passato a schermo fino alla fine del capitolo e permette di consultarlo in ogni momento del gioco, proprio come un taccuino per gli appunti. Ottima anche la modalità “storia”, che elimina il gameplay del tutto e risolve in autonomia puzzle e casi, per consentire a chi lo vuole di godersi solo le ottime trame. Tuttavia, Apollo Justice: Ace Attorney Trilogy è alquanto carente di contenuti Extra interessanti. Sono presenti solo la Sala dell’orchestra, ossia un semplice Jukebox con salvate tutte le colonne sonore dei tre videogame, e lo studio animato dove visualizzare, riprodurre e personalizzare le animazioni di tutti i personaggi, che si possono piazzare su qualunque sfondo e con qualunque effetto disponibile, tra “Obiezione!”, primi piani ad effetto, pose di varia natura per creare mini clip personalizzate. Anche la art gallery con schizzi e bozzetti dei protagonisti non è particolarmente ricca e risulta più che altro essere un riempitivo più che un contenuto ben pensato per aggiungere qualcosa alla produzione. Purtroppo, è d’obbligo sottolineare che ancora una volta è assente la localizzazione nella nostra lingua, e sappiamo come questo ostacolo, specie nel genere delle visual novel possa rappresentare, per chi non parla l’inglese e per i giocatori più giovani di conseguenza, un ostacolo enorme. Tirando le somme, se si è appassionati della serie o del genere, Apollo Justice: Ace Attorney Trilogy rappresenta un vero e proprio “must have”. Per chi invece non è pratico del genere è consigliato prima capire bene che tipo di gioco è e poi procedere all’acquisto.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5

Sonoro: 7

Gameplay: 7,5

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 7,5

Francesco pellegrino Lise




Prince of Persia The Lost Crown, il magnifico ritorno della serie Ubisoft

Prince of Persia The Lost Crown è un gioco di azione e avventura in stile “Metroidvania” sviluppato e pubblicato da Ubisoft. Il titolo è stato rilasciato per Nintendo Switch, per Pc, Per le console della famiglia Xbox e PlayStation. La storia di questo nuovo avvincente capitolo della serie è molto interessante e ricca di colpi di scena, ma per capire di cosa stiamo parlando è necessario partire dal principio. L’antico regno di Persia è sempre stato minacciato dai paesi confinanti, ma ogni tentativo d’invasione nemica è stato respinto dalla principessa Thomyris grazie all’aiuto di sette valorosi guerrieri dotati di abilità straordinarie capaci di tener testa a qualsiasi minaccia, gli Immortali. Quando un giorno il figlio della principessa, il Principe Ghassan, viene rapito da una delle più fedeli guerriere del regno, nonché mentore del protagonista, è proprio ai sette prodi Immortali che la regnante si rivolge per cercare di salvare l’erede al trono. Questa ricerca li porta ai piedi del monte Qaf, luogo dove sorge una misteriosa città antica. Proprio qui ha inizio l’avventura, nel momento in cui i guerrieri si separano per perlustrare le diverse aree della città e cercare il principe rapito. In Prince of Persia: The Lost Crown si vestono i panni di Sargon, il più giovane degli Immortali ma non per questo meno potente o valoroso. Sargon è infatti dotato di una strabiliante agilità e di una grande abilità nel combattimento a due spade. Sin dai primi passi nella Città Antica, il ragazzo si rende conto però che non tutto è come sembra e che qualcosa non va come dovrebbe andare; strani nemici gli si scagliano contro e sembra che il tempo stesso non scorra come dovrebbe, con anomalie che si manifestano ovunque. D’altronde il monte Qaf era la casa di Simurgh, dio della Conoscenza Temporale e protettore dei Persiani, il quale è ormai scomparso da tempo. Ma non tutto il male vien per nuocere: anche grazie all’aiuto di alcuni degli abitanti della città, Sargon acquisisce durante l’avventura utilissime abilità e dei poteri temporali che gli permettono di compiere azioni altrimenti impossibili, come velocissimi scatti, creare un suo “duplicato temporale”, passare ad una versione alternativa della realtà e molto altro ancora. In Prince of Persia The Lost Crown bisogna affrontare un’avventura densa di sorprese e di colpi di scena in un luogo sconosciuto e misterioso. L’avventura di Sargon è ambientata in un mondo 2.5D, ossia con movimenti bidimensionali ma in ambientazioni 3D, e con una struttura pienamente “Metroidvania”. E’ quindi presente l’immancabile mappa tipica del genere, che verrà fornita molto presto nel corso della storia, nella quale appaiono man mano tutte le aree esplorate ed i punti d’interesse, come ad esempio gli alberi Wak-Wak, che fungono da checkpoint in caso di morte. Esplorando accuratamente il mondo di gioco è possibile anche trovare le mappe complete delle varie aree, vendute da una misteriosa bambina, ma la mappa mostra comunque solo le macro-aree, cioè le enormi “stanze” che compongono la mappa, mentre le aree segrete, le piattaforme, i tunnel ed i meccanismi presenti all’interno non sono visualizzati. Quindi anche acquistando la mappa le sorprese non vengono a mancare. Per quanto riguarda gli indicatori presenti sulla mappa di Prince of Persia The Lost Crown, il gioco offre due diverse tipologie selezionabili in qualsiasi momento dalle opzioni: “Esplorazione”, in cui la mappa presenta pochi indicatori e sta a noi trovare gli obiettivi esplorandone ogni angolo, e “Guidata”, con marcatori che mostrano missioni principali e secondarie (in gran parte compiti di raccolta collezionabili), punti d’interesse ed altre informazioni. Gli sviluppatori hanno inoltre introdotto un’assoluta ed utilissima novità per i titoli “Metroidvania”: i Frammenti di Memoria, ossia la possibilità di scattare un fermo immagine alle aree che si visitano ed appuntarli sulla mappa, così da ricordare zone inaccessibili al momento o segreti specifici in attesa di tornarci in futuro quando si ottengono i poteri appropriati. Tale funzione non può essere utilizzata in maniera illimitata, visto che i Frammenti si consumano e vanno poi acquistati o recuperati, quindi bisogna scegliere bene dove catturare gli screenshot.

Sargon si muove negli ambienti di gioco principalmente correndo e saltando da una parte all’altra, quindi la struttura dei livelli si basa su questo tipo di abilità acrobatiche: scivolare a terra per infilarsi in angusti passaggi, effettuare scatti volanti per superare ampi strapiombi oppure saltare da una parete all’altra per risalire lunghi tunnel verticali sono azioni con cui bisogna subito prendere familiarità. Ovviamente non mancano i pericoli ambientali e le trappole: l’Antica Città è ricca di insidie come lame a pendolo, pozze di veleno, pareti ricoperte di spuntoni e diversi tipi di trabocchetti, che bisogna superare padroneggiando al meglio non solo le nostre abilità di Sargon, ma anche i poteri acquisiti proseguendo nell’avventura. Come già detto, infatti, nel corso della storia si acquisiscono alcuni speciali Poteri Temporali raccogliendo le piume del dio Simurgh, che donano al protagonista nuove abilità. Tali potenziamenti sono in tutto sei, includendo utili poteri come lo scatto in avanti, il doppio salto, la possibilità di marcare una posizione in cui ci si trova con un clone traslucido e successivamente teletrasportarsi lì alla pressione di un tasto, e persino un “artiglio dimensionale” che permette di inglobare un oggetto o un nemico per poi successivamente lanciarlo dove si vuole, utile sia in combattimento che per lanciare oggetti esplosivi contro muri all’apparenza indistruttibili. Inutile dire che, in pieno stile “Metroidvania”, ognuno di questi poteri sblocca la possibilità di accedere ad aree precedentemente bloccate. I poteri sono anche al centro dei tanti enigmi ambientali che si incontrano durante il proseguire di Prince of Persia The Lost Crown. Spesso infatti il gioco pone il giocatore di fronte ad aree che richiedono una certa arguzia nell’uso combinato dei poteri e delle capacità atletiche di Sargon. Riuscire a superare tali aree è una sfida spesso molto difficile, ma superarle non è assolutamente impossibile e quando ci si riesce si ha sempre una sensazione di gran soddisfazione che ripaga gli sforzi fatti. Ovviamente le aree di gioco sono costellate di nemici da abbattere, ognuno con le sue peculiari abilità, punti di forza e debolezze. Proprio per tale ragione il sistema di combattimento di Prince of Persia: The Lost Crown si basa tutto sul giusto tempismo di parate e schivate, fondamentali per evitare di soccombere ai colpi nemici, alternate ad un vortice di colpi delle affilatissime doppie lame del protagonista. I nemici, boss compresi, possono sferrare attacchi standard, per i quali le parate effettuate con il giusto tempismo sono essenziali, o anche attacchi imparabili caratterizzati da un bagliore rosso; in questo caso l’unica via è cercare di sfuggire tramite scivolate a terra o scatti in aria. Altri tipi di assalti invece, caratterizzati da un bagliore giallo, sono colpi che se parati col giusto tempismo possono scatenare una contromossa letale, contro i nemici standard, o un potente colpo che toglie una buona quantità dalla barra di energia dei boss. E’ importante dire che colpire i nemici o parare i loro attacchi consente di riempire una speciale barra che consente l’utilizzo di alcune mosse più potenti (acquisibili durante il gioco sconfiggendo un particolare nemico di cui però non vi diremo l’identità) in grado di causare danni ingenti, rigenerare le ferite, ma anche aumentare forza e velocità. Quelle elencate fino ad ora sono però solo le basi del combattimento in Prince of Persia The Lost Crown, infatti ci pensano poi i Poteri del Tempo ed altre abilità a rendere i combattimenti più vari, oltre ovviamente alla grandissima varietà di nemici che richiedono spesso strategie diverse. Immancabili poi i combattimenti con i boss, che presentano sfide particolarmente lunghe ed impegnative.

I combattimenti sono generalmente tanto impegnativi quanto soddisfacenti: richiedono un ottimo tempismo nell’alternare parate, schivate e attacchi di vario tipo mentre i nemici, spesso più di uno, attaccheranno senza sosta Sargon. Ma nel caso in cui il gioco dovesse risultare troppo ostico o magari troppo semplice, gli sviluppatori hanno introdotto numerose opzioni di personalizzazione della difficoltà, da quelle standard (facile, normale, difficile) a personalizzazioni più approfondite che permettono di decidere la salute dei nemici, la resistenza ai danni del protagonista e altri parametri. Ci sono poi diversi modi per migliorare le prestazioni del protsagonista: da amuleti che si trovano in giro per il mondo o che si possono acquistare per aumentare determinate caratteristiche, alla possibilità di migliorare le armi presso l’armaiola della città, fino ad aumentare la barra della salute massima o il numero di pozioni di guarigione a disposizione. Tutte queste possibilità sono spesso acquistabili utilizzando diversi tipi di valuta reperibili durante il gioco, la più comune delle quali sono i Cristalli del Tempo che vengono rilasciati dai nemici sconfitti. A livello di longevità Prince of Persia The Lost Crown per essere portato a termine servono dalle 25 alle 30 ore, ma per chi volesse scovare tutti i segreti presenti nell’enorme mappa allora vanno aggiunte almeno un’altra decina di ore. Tale tempo sicuramente non è male per un titolo comunque venduto a prezzo economico, soprattutto considerato che si tratta in gran parte di tutto tempo denso d’azione e senza particolari momenti “filler”, tranne che per l’inevitabile backtracking che inevitabilmente il genere metroidvania porta con sé. Per quanto riguarda la resa tecnica, il gioco va a 4K e 120 (60 sugli schermi che non lo supportano) fps su Pc e sulle console di attuale generazione. L’ultima versione dello Unity Engine sostiene un comparto grafico di grande pregio, graziato da una modellazione poligonale eccellente per quel che riguarda protagonisti e avversari, da un comparto animazioni di assoluto valore e dall’utilizzo magistrale dell’effettistica. Ci sono alcuni frangenti dell’avventura in cui gli sfondi regalano scorci di una bellezza mozzafiato e restare incantati dal panorama è davvero molto facile. A livello audio il gioco offre alcune musiche assolutamente in linea con l’ambientazione e ciò che avviene sullo schermo, per quanto riguarda la lingua invece Prince of Persia The Lost Crown è localizzato in italiano nei testi, mentre il parlato rimane in inglese. Tirando le somme, il nuovo capitolo del brand targato Ubisoft è un gioco promosso a tutti gli effetti. L’unico modo per non farselo piacere è non amare i “Metroidvania”, ma siamo certi che anche chi si dovesse avvicinare al genere per la prima volta resterà colpito dalla bellezza e dalla profondità offerta dall’avventura di Sargon. Il nostro consiglio? Prendetelo senza pensarci su due volte.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9

Gameplay: 9,5

Longevità: 9

Sonoro: 9

VOTO FINALE: 9

Francesco pellegrino Lise




Shanks, Koby e Uta arrivano su One Piece Pirate Warriors 4

Bandai Namco e Omega Force hanno annunciato nuovi personaggi per il prossimo DLC di One Piece Pirate Warriors 4 intitolato One Piece Film Red Pack, disponibile a partire dall’11 gennaio 2024. A prendere parte alla battaglia in questo nuovo contenuto scaricabile sono Uta, Shanks e Koby. Shanks, in particolare, sembra essere un personaggio molto veloce, capace di eseguire delle combo di attacchi senza interruzioni: i suoi colpi sembrano essere molto efficaci per disperdere i nemici in tutte le direzioni. Uta è invece la figlia adottiva di Shanks noché un’amica d’infanzia di Rufy. Ora è una cantante famosa che vive sull’isola di Elegia e intende ricominciare la sua vita, libera dalle grinfie dei pirati, che lei tanto disprezza. Armata della sua splendida voce e dei poteri del frutto Canto Canto, può attivare il suo mondo di Uta e attaccare facendo rimbalzare le note musicali e i dolci che crea. Può anche trasformarsi nell’Uta Knight e volare liberamente nel campo di battaglia. Koby invece un tempo era un soldato timido e timoroso, ma ora è diventato un leader rispettato nella Marina. Il suo ruolo attivo nell’unità SWORD lo guiderà a Elegia per indagare sull’influenza di Uta sui suoi abitanti. Koby combatte soprattutto corpo a corpo usando i Sei poteri. Sferrare i suoi attacchi più potenti aumenterà il morale e migliorerà gli attacchi di supporto. Il DLC fa parte del Character Pass 2, ma può essere acquistato anche separatamente.

One Piece Pirate Warriors 4 è uscito nel 2020, il gioco sta continuando a riscuotere un discreto successo e Bandai Namco ha esteso il supporto post lancio che dunque continuerà con nuovi contenuti a distanza di tre anni dalla pubblicazione. L’ultimo DLC di One Piece Pirate Warriors 4 aveva visto l’ingresso di Rufy (Onigashima Battle), Kaido (Onigashima Battle) e Yamato (a seguito anche dell’uscita della serie live action su Netflix). Ad oggi One Piece Pirate Warriors 4 ha venduto più di due milioni di copie su PC, PS4, Xbox One e Nintendo Switch, nonostante il successo commerciale, il gioco di Omega Force non è mai stato aggiornato e ottimizzato per PS5 e Xbox Series X, sebbene sia perfettamente compatibile anche con queste due piattaforme e possa dunque essere utilizzato senza problemi sulle console di attuale generazione garantendo un ottimo livello grafico e una fluidità di alto livello.

Francesco Pellegrino Lise