OMICIDIO LUCA VARANI, ASPETTI PSICOLOGICI E CAUSE SCATENANTI: IL QUADRO DELLA CRIMINOLOGA URSULA FRANCO

di Domenico Leccese
Sul complesso caso dell'omicidio di Luca Varani la criminologa Ursula Franco fa una analisi approfondita su quelli che sono gli aspetti psicologici e le cause scatenanti la furia criminale dei due giovani  assassini


Ritiene che Marco Prato e Manuel Foffo abbiano ucciso Luca Varani in preda ad un disturbo psichico causato dalla cocaina?
E’ difficile esprimersi con i pochi dati a disposizione ma non credo si possa ritenere che dietro l’omicidio ci sia un disturbo paranoide che avrebbe colpito i due ragazzi a causa dell’uso prolungato di cocaina, penso piuttosto che Marco Prato fosse prigioniero ormai da mesi di un vortice distruttivo a causa dei suoi problemi personali, legati probabilmente all’identità sessuale e all’uso prolungato di droghe e psicofarmaci che assumeva per una sindrome depressiva e che abbia purtroppo trascinato un fragile Manuel Foffo in quel turbine. Marco Prato tra l’altro aveva già mostrato di non disdegnare l’uso della violenza ed era stato denunciato per aver picchiato un amico durante un festino.

Perché esclude il disturbo paranoide?
Al momento non sono emersi segnali che facciano pensare che uno o entrambi i ragazzi fossero preda di un delirio persecutorio e che abbiano riconosciuto in Luca Varani un pericolo. Non sembra un omicidio d’impeto ma piuttosto un omicidio premeditato. Anche il comportamento post omicidiario, il fatto che i due ragazzi abbiano tentato di ripulire la scena del crimine, che abbiano gettato gli abiti ed il telefonino della vittima in un cassonetto e che a detta di Manuel abbiano pensato di disfarsi del corpo porta ad escludere un disturbo psicotico acuto. 

Come sono andati i fatti secondo lei?
Manuel Foffo, anch’egli segnato dalle dipendenze da droga ed alcool, con ogni probabilità è stato attratto da Marco Prato, descritto da chi lo ha conosciuto come un manipolatore e nonostante gli ‘interessi’ comuni ed un certo grado di complementarietà tra i due credo che se il Foffo non avesse incontrato il Prato difficilmente avrebbe commesso un omicidio. Ritengo piuttosto che Manuel Foffo a causa della sua fragilità e delle ridotte capacità critiche dovute all’uso della cocaina si sia lasciato trascinare.

Perché hanno ucciso?
Penso che la rabbia e il "mal de vivre" di Marco Prato siano il vero movente dell’omicidio, mentre Manuel Foffo ha ucciso per noia, perché sperava di provare un’emozione piacevole, ritengo infine che la cocaina abbia avuto un ruolo secondario, abbia facilitato ai due ragazzi il crudele acting out.

Come fa a dire che Manuel Foffo ha ucciso per noia e nella speranza di provare piacere?

Questi dati emergono dai verbali degli interrogatori, Manuel ha riferito agli inquirenti: ‘È iniziato tutto da un gioco, volevamo uccidere qualcuno solo per vedere che effetto faceva..’, e poi: ‘Mentre lo colpivamo non provavo piacere..’. Foffo ha riferito a chi lo interrogava di non aver provato piacere durante l’omicidio, il ragazzo lo ha riferito come se ne fosse rimasto deluso, tale affermazione fa supporre che prima di uccidere credesse che quell’azione gli avrebbe procurato piacere, non un’emozione qualsiasi ma il piacere.

Il verbale
Omicidio Varani la mattanza e l’sms al fratello: «Vieni c’è anche un trans»
Lo sguardo d’intesa tra i due killer:
«Quando è entrato Luca è scattato un clic, era lui la persona giusta».
Foffo: in passato ho avuto voglia di fare male, ora sono morto dentro.
Come predatori girano nella notte in cerca della vittima perfetta (i tracciati gps riveleranno dove). Ma Manuel Foffo e Marc Prato non trovano chi fa al caso loro. Finché contattano il malcapitato Luca Varani.
«Quando è entrato in casa ci siamo guardati negli occhi ed è scattato un clic: era lui la persona giusta». È questo uno dei passaggi chiave dell’interrogatorio di Foffo davanti all’incredulo pm Francesco Scavo. Con Prato mette a suo agio la vittima, la fa bere, scioglie un farmaco nel suo bicchiere, gli indica il bagno:
«Ti vogliamo pulito, fatti una doccia». Una conferma della premeditazione.
E quando Luca finisce di lavarsi, mezzo nudo, in preda ai conati di vomito per quello che ha bevuto, con Marc gli annuncia che per lui è finita:
«Abbiamo deciso di ucciderti».
È l’inizio delle torture: «Durante le fasi della nostra aggressione Luca non è mai riuscito a resistere alle violenze. L’aggressione è avvenuta sia in bagno sia in camera da letto, precisamente sul pavimento», racconta Foffo.
Il suo cadavere resta infatti a terra, vicino al letto dove gli assassini passano la notte di venerdì, anche se poi sabato pomeriggio i carabinieri lo troveranno sul materasso, avvolto in un lenzuolo. Forse pronto per essere portato via.
Prima di arrivare al Collatino, i killer mandano a Luca una raffica di messaggi.
Uno anche al fratello di Manuel, Roberto, scritto da Marc che si era impossessato del telefono dell’amico. «Vieni, c’è anche un trans», digita alle 7.30 di venerdì.
Roberto richiama Manuel per rimproverarlo: «Ma che c… dici?», e riattacca.
Non si rende forse conto che il PR italo-francese è in preda al delirio. Manuel sostiene di aver detto a Marc di non inviare più sms, «ma lui ha continuato a prendere il mio telefono e a utilizzarlo».
«Non sapevo che Marc aveva chiamato Luca, ma (lui) lo stesso è entrato in casa anche se non ricordo il momento esatto — ricorda Foffo —.
La sua presenza era normale data la precedente presenza in casa di altre persone». Di due di queste ci sono già i nomi, «Alex Tiburtina» e «Giacomo», un milanese, come sono memorizzati sullo smartphone di Manuel.
Il primo «che avevo conosciuto mesi fa in pizzeria sulla Tiburtina, quando gli pagai un pezzo di pizza e ci scambiammo i numeri di telefono. Quando è venuto a casa eravamo sì sotto l’effetto della cocaina ma mantenevamo la lucidità, mentre quando è venuto Luca sia io che Marc eravamo molto provati dall’uso prolungato di cocaina». Il secondo ospite partecipa alla festa mettendo a disposizione il suo bancomat con il quale Prato preleva parte dei 1.500 euro usati per comprare la droga.
«Marc è gay. Io sono eterosessuale — continua Foffo —. Questa è la seconda volta che incontravo Marc. Lui ha un interesse per me, cosa che mi ha manifestato».
I due si conoscono durante una festa a Capodanno. Si drogano: «C’è stato del sesso orale. La cosa mi ha dato fastidio e non volevo sentirlo più». Ma Marc ha girato un video e con quello tiene sotto ricatto Manuel. «Non ricordo se la prima volta che siamo usciti di casa eravamo armati — rivela ancora —. La vera intenzione di fare del male a qualcuno è stata però con Luca. Anche in passato avevo avuto un momento in cui avevo l’intenzione di fare del male a qualcuno e altre volte ho fatto uso di droga, ma non mi ha mai dato quel tipo di atteggiamento». E all’avvocato confida: «Ho fatto una cosa terribile. Mi sento morto dentro».

 




DELITTO DI PORDENONE, GIOSUÈ RUOTOLO: L'ANALISI DELLA CRIMINOLOGA URSULA FRANCO

di Domenico Leccese

Giosuè Ruotolo è stato arrestato il 7 marzo 2016, quasi un anno dopo il duplice efferato omicidio di una coppia di fidanzati avvenuto a Pordenone. Trifone Ragone e Teresa Costanza sono stati uccisi da 6 colpi di pistola nel parcheggio della palestra di pesistica dove Trifone si allenava, l’arma utilizzata, una Beretta del 1922 è stata ritrovata nel lago di un parco poco distante dalla scena del crimine. Analizziamo il caso servendoci della consulenza della criminologa Ursula Franco che ha accettato di rispondere ad alcune domande:

Lei crede nella responsabilità del Ruotolo riguardo al duplice omicidio di Pordenone?
Sì, ci sono validi motivi per pensare che Giosuè Ruotolo sia il responsabile della morte dei due ragazzi.

Lei ha analizzato le brevi interviste rilasciata da Ruotolo, che cosa ne ha tratto?

Nelle due interviste Ruotolo non ha mai negato in modo credibile un suo coinvolgimento nell’omicidio di Trifone e Teresa, anzi ha mostrato piuttosto di vivere le accuse in modo passivo. Non solo non lo ha mai fatto spontaneamente ma non ha neanche provato a ripetere a pappagallo la frase della giornalista che lo imboccava cercando di fargli dire che non era stato lui a commettere il duplice omicidio. Egli inoltre ha tentato di collocarsi continuamente in un gruppo cercando di far passare il messaggio che anche quella sera non fosse solo, un tentativo di crearsi un alibi, aggrappandosi a quello degli altri. Ha inoltre affermato che andava d’accordo con Trifone mentre le indagini hanno appurato che Giosuè e Trifone ebbero una pesante discussione culminata in una scazzottata, il fatto che non sia stato lui a riferirlo, ma i suoi coinquilini, è quantomeno strano.

Che cos’altro ha insospettito gli inquirenti?
Ruotolo inizialmente ha raccontato agli inquirenti che nel momento in cui venivano uccisi Trifone e Teresa lui stava giocando ad un videogioco per poi cambiare versione, in seguito ad alcune contestazioni ha riferito di essersi diretto in palestra, di non aver trovato parcheggio e di essersi quindi fermato al parco di San Valentino per pochi minuti. In quel parco, più precisamente nel lago, è stata ritrovato prima il caricatore e poi una vecchia pistola semiautomatica Beretta modello 1922, brevetto 1915-1919, calibro 7.65 Browning, lo stesso dell'arma usata per il duplice omicidio. Le indagini hanno accertato che il padre di Ruotolo possiede una collezione di armi vecchie e nuove.

Secondo lei è vero che Giosuè, mostrandosi privo di sensibilità, chiese 25 euro alla madre di Trifone proprio il giorno del funerale del figlio?
Non ci sono ragioni per cui la madre avrebbe dovuto mentire su questo accadimento, tra l’altro ci fu un testimone del fatto, un collega del Ragone e di Ruotolo, che accortosi della richiesta fuori luogo allontanò Giosuè dalla donna. In ogni caso in una email ad una trasmissione televisiva scritta dal Ruotolo nell’intento di smentire il fatto egli non fa che confermarlo. Quando Ruotolo scrive: “.. Soprattutto sono dispiaciuto per una mia presunta richiesta di 25€ alla famiglia Ragone che mi sarebbero stati dovuti per il saldo di un pregresso debito del mio commilitone Trifone", non solo ci conferma la richiesta ma ne spiega pure il motivo.

Come è possibile che un soggetto coinvolto in un duplice omicidio così efferato si preoccupi di riavere 25 euro?
Dalle indagini è emerso un rapporto “malato”’ tra Giosuè e la fidanzata Rosaria Patrone, credo che entrambi siano affetti da un disturbo psicopatologico, lo si evince dai racconti degli amici che hanno riferito di lunghi pianti notturni del Ruotolo e di poco credibili patologie che avrebbero colpito la Patrone, a detta di Giosuè, quali un ematoma cerebrale ed un infarto, il quale però sembrò risolversi in tempi molto brevi, e di un presunto stupro per vendetta ai danni di Rosaria messo in atto da due colleghe del Ruotolo. Probabilmente il rapporto di Giosuè con i soldi è anch’esso anormale e la sua necessità di riprendersi i pochi euro che aveva prestato al Ragone l'ha indotto a sottovalutare il fatto che con quella richiesta poteva esporsi a critiche e destare sospetti, il Ruotolo non ha valutato i rischi/benefici a causa dei suoi problemi psichici.

Possibile che il movente sia solo un rancore nei confronti di Trifone?
Gli omicidi vengono frequentemente commessi per futili motivi e sono spesso il risultato di anni di tensioni che “finalmente” esondano per una causa ultima che può essere anche estremamente banale. Il movente ha due componenti, un trigger che innesca la reazione e lo stato d'animo o la psicopatologia del soggetto agente che regola l'entità della stessa. Gli omicidi vengono commessi per futili motivi perché il movente lo fanno in massima parte gli stati d'animo dei soggetti coinvolti, a volte quelli di entrambi i protagonisti, autore e vittima, altre volte solo quello dell'autore.
 




OMICIDIO GLORIA ROSBOCH: LA CRIMINOLOGA FRANCO TRACCIA UN PROFILO PSICHICO DI GABRIELE DEFILIPPI

di Domenico Leccese

Gabriele Defilippi, 22 anni, è stato arrestato per l’omicidio della sua ex professoressa di francese di 49 anni, Gloria Rosboch, omicidio che avrebbe commesso in concorso con il suo amante, Roberto Obert di 54 anni.

Ne abbiamo parlato con la criminologa Ursula Franco.

Chi è Gabriele Defilippi da un punto di vista psichico?

Gabriele Defilippi è un soggetto affetto da un grave disturbo antisociale di personalità, un disturbo che ha iniziato a manifestarsi in lui sin dall’adolescenza. Le caratteristiche di questo disturbo possono essere molteplici e variano da soggetto a soggetto. Per quanto riguarda Defilippi, egli è un disonesto, un truffatore, un megalomane, un soggetto con identità multiple, un mentitore abituale, un opportunista, un ragazzo irritabile ed aggressivo che ha dimostrato di essere capace di uccidere. Defilippi prima di truffare ed uccidere la Rosboch ha ricattato altre donne, le ha adescate su internet e dopo averle sedotte le ha obbligate a pagarlo per non pubblicare le foto scattate durante i loro rapporti sessuali. Il Defilippi non soddisfatto delle somme irrisorie derivanti da questi ricatti, circa due anni fa ha puntato ad una somma più importante, i 187 mila euro di risparmi della sua ex professoressa di francese, Gloria Rosboch.

Quali tecniche mette in atto un truffatore come il Defilippi?

I truffatori come lui non sono in grado di instaurare legami d’attaccamento di tipo emotivo con i loro simili, ma sono invece abili nel costruire relazioni fasulle e superficiali. Questi soggetti, attraverso lusinghe e promesse irrealistiche, vantandosi delle proprie capacità e mostrando a volte anche false credenziali, si impossessano della fiducia delle loro vittime solo per un proprio tornaconto personale, spesso di stampo economico.

Defilippi è un opportunista, incapace di empatia, egocentrico, che prova profondo disprezzo per le sue vittime e che usa come fossero oggetti per raggiungere i propri obiettivi, è un manipolatore di soggetti psicolabili che ammalia con il suo aspetto, con il suo fascino superficiale, con le sue attenzioni ed un linguaggio forbito. Linguaggio forbito che non abbandona neanche dopo l’arresto quando, parlando di sé in terza persona, si rivolge, chiamandolo per cognome, al procuratore capo Giuseppe Ferrando in questi termini: Ferrando, io sono uno che ha cercato di allargare i suoi orizzonti, guardando in maniera diversa il contesto sociale che mi circondava.

Che caratteristiche hanno le vittime prescelte?

Le vittime di personaggi come il Defilippi sono soggetti vulnerabili con le quali questi ‘mostri’ creano una falsa relazione, un falso rapporto di intimità e di fiducia, mostrandosi affidabili, facendo credere alle vittime di avere una morale e desideri comuni, prospettando un rapporto sentimentale con loro a lungo termine e mostrandosi protettivi ed interessati al loro benessere, mentre in realtà sono solo interessati ai loro soldi. Non appena le vittime comprendono di essere state manipolate e truffate e chiedono indietro i loro averi, soggetti come il Defilippi le accusano di creare problemi nella relazione, facendole sentire in colpa rinviando così nel tempo le loro richieste e poi se invitati ancora a restituire i soldi, prendono tempo, accampano mille scuse per non riconsegnare il maltolto arrivando a minacciare, a diffamare pubblicamente le loro vittime e perfino a denunciarne le molestie alle autorità.

Che cosa lo ha indotto ad uccidere?

La frustrazione, uno dei sentimenti che i soggetti come lui provano più di frequente. Coloro che sono affetti da un disturbo antisociale di personalità uccidono perché non tollerano la frustrazione e si liberano di chi gliela provoca. La professoressa Gloria Rosboch aveva denunciato il Defilippi per truffa e lui non sopportava questa situazione tanto che l’ha uccisa. Il suo è stato un gesto da irresponsabile, ha mostrato di sottovalutare i rischi e le conseguenze delle sue azioni, infatti la scomparsa della professoressa non poteva che portare a colui che l’aveva truffata e che la donna aveva denunciato.

È possibile che si sia pentito dell’omicidio?
Lo escludo, il dato psicodinamico fondamentale di un soggetto con un disturbo antisociale di personalità è la mancanza di senso di colpa.

Defilippi è, non solo privo di rispetto per i sentimenti altrui, ma anche incapace di provare rimorso e per questi motivi è un soggetto estremamente pericoloso. Defilippi non ha mai smesso di recitare, neanche durante l’arresto: Come vi permettete? Non capisco il motivo per cui mi state trattenendo, e neanche di fronte al magistrato quando ha affermato tra le lacrime: Quando ho visto Gloria morire, sono rimasto impietrito, avevo anch’io paura dell’assassino, non sono riuscita a difenderla… voglio farla finita… No, non posso più vivere. Defilippi ha recitato di fronte al magistrato sentimenti che non prova ma che ha imparato a mettere in scena copiando coloro che li hanno.

Il suo complice, Roberto Obert, è anch'egli una sua vittima?

Credo proprio di sì, Obert era, come si definisce lui, verosimilmente un suo servo, un uomo completamente soggiogato dal Defilippi.

Si può recuperare un ragazzo di 22 anni affetto da un disturbo antisociale di personalità di questo grado?
La casistica ci dice di no. Defilippi è un soggetto socialmente pericoloso, capace di reiterare, e durante la propria permanenza in carcere si servirà ancora una volta di tutte le sue doti manipolatorie nel tentativo di apparire un uomo nuovo, un ennesimo tentativo di  truffa, questa volta al sistema, truffa riuscita ad uno dei mostri del Circeo, Angelo Izzo, un pluriomicida affetto dallo stesso disturbo di personalità di Defilippi.
 




CASO ISABELLA NOVENTA: UNA PRIMA ANALISI DELLA CRIMINOLOGA URSULA FRANCO

di Domenico Leccese

Freddy Sorgato, 45 anni, è stato arrestato ed accusato dell’omicidio ed occultamento della sua ex fidanzata Isabella Noventa, con lui sono state poste in stato di fermo la sorella Debora Sorgato e l’amica Manuela Cacco, tabaccaia in un locale di proprietà dell’uomo.

Ne abbiamo parlato con la criminologa Ursula Franco.

Che cosa nel racconto di Sorgato fatto ai giornalisti di Chi l’ha visto non quadra?
In primis il fatto che Sorgato si dilunghi nel raccontare gli avvenimenti della prima parte della serata, ripetendo più volte il termine pizza e pizzeria è sospetto in quanto le ore iniziali di quella serata sono quelle meno interessanti per chi indaga rispetto ai momenti più vicini alla scomparsa.
Sorgato finisce perfino per esprimersi sulla qualità della pizza, buona, egli mostra di avere la necessità di parlare della pizzeria e della pizza, fornendo informazioni superflue, per ridurre lo stress dovuto all'intervista. Inoltre egli è dettagliato e preciso riguardo alla prima parte della serata ma invece molto più vago quando interrogato sul ‘dopo pizza’.

Quali altri segnali di presunta menzogna ha rilevato?
Sono presenti nelle risposte di Sorgato moltissimi tentativi di prendere tempo per costruire una risposta credibile, tale escamotage è chiamato dagli americani ‘stalling for time’ ed è un indice di menzogna. A volte le sue risposte sono contorte perché Sorgato tenta di correggersi mentre parla. Vi è inoltre nelle sue dichiarazioni non solo un tentativo di prendere le distanze dalla donna e quindi dai fatti chiamandola ‘la signora Isabella’, ma anche un tentativo di giustificare un atto imprevedibile da parte sua attraverso descrizione ad hoc della donna: ‘E’ sempre stata un personaggio umorale quindi poteva essere solare piacevole e simpatica come anche ad un certo momento intirizzirsi e diventare dura e cupa, quindi per me era normale questi stati.. di stati di umore, di cambio d’animo anche minuto dopo minuto’.

Che altro?

E’ estremamente importante quando si analizzano delle dichiarazioni, focalizzare su  che cosa manca nelle risposte, non solo su che cosa il soggetto dice. In queste interviste sono assenti i segnali di un coinvolgimento affettivo, Sorgato appare sereno, neanche dispiaciuto, e questo dato è in netto contrasto con i racconti dei conoscenti di Isabella che hanno descritto Sorgato come innamorato e geloso della donna, o comunque come un amico stretto, inoltre mancano le manifestazioni di un eventuale rimorso per non aver capito il disagio della Noventa, per non aver saputo prevenirne l’allontanamento, mancano le imprecazioni o altri segnali di rabbia per le possibili conseguenze di questa scomparsa, Sorgato riferisce soltanto un ‘inconveniente’ che riguarda lui personalmente, ovvero l’essere sospettato essendo stato l’ultimo sfortunato a vedere la donna, una stonatura difficilmente giustificabile.

Lei crede nella premeditazione?

No, nelle interviste della Cacco, la donna ha tenuto a spiegare che lei e Freddy quella sera si erano sentiti telefonicamente 3 o 4 volte per accordarsi per andare a ballare, in realtà Sorgato chiamò la Cacco per farsi aiutare a coprire l’omicidio, tanto che la Cacco indossò il piumino bianco della defunta e si fece accompagnare a Padova da Freddy in modo da farsi riprendere dalle telecamere, il fatto che la donna ripresa dalle telecamere indossasse il cappuccio della giacca è apparso subito sospetto. Le telefonate alla Cacco e questo tentativo abborracciato di collocare la Noventa a Padova, in specie a quell’ora della notte, a mio avviso escludono la premeditazione.

Perché Freddy tornò a casa prima di andare a ballare?

Lui ha affermato di non essersi sentito bene e se davvero Sorgato ha avuto un disturbo gastro intestinale, non c’è da stupirsi, è semplicemente uno dei sintomi somatici di una sindrome di adattamento ad uno stress acuto (general adaptation syndrome) che si manifestano non solo nelle vittime sopravvissute ad un grave reato ma anche negli autori. Tale sindrome non è altro che una fisiologica reazione che segue un’esperienza critica, il sistema nervoso autonomo reagisce ad uno stress acuto rilasciando una cascata ormonale che produce l’aumento della frequenza cardiaca, ansia, l’aumento della peristalsi gastrointestinale che può portare ad episodi di vomito o diarrea, l’inibizione della salivazione, la midriasi, l’aumento della sudorazione e della frequenza urinaria, etc.

 




GIUSTIZIA, PROCESSI E MEDIA: LA PAROLA ALLA CRIMINOLOGA URSULA FRANCO

di Domenico Leccese
La criminologa Ursula Franco perito della difesa nel processo a Michele Buoninconti parla di menzogne e del peso che queste assumono per la società, in termini economici e non solo. Ursula Franco affronta anche la tematica riguardante gli operatori della Giustizia e della mentalità di questi ultimi che si forgia nelle nostre università. A tale riguardo Ursula Franco ci ha concesso un'intervista.

C’è stato bisogno di ben cinque gradi di giudizio per arrivare alla sentenza per l’omicidio di Chiara Poggi, a cosa attribuisce le lungaggini del nostro sistema giudiziario?

Non esiste una sola causa, ma credo che nelle fasi iniziali delle indagini siano un problema sia l’inesperienza di chi indaga in provincia in specie l’assenza di una adeguata preparazione necessaria per affrontare un primo interrogatorio di un sospettato, che è cruciale, e quindi per muovere i primi passi verso la verità, purtroppo ci sono ancora molti pregiudizi nei confronti dell’analisi del linguaggio che invece se applicata come si deve, come è di norma in America, indica la strategia d’indagine. Queste odiose lungaggini sono dovute anche al fatto che i consulenti spesso non dicono il vero o dissimulano, come sostiene Jacques Vergès nel suo libro 'Gli errori giudiziari’: ‘Gli esperti sanno compiacere coloro che li fanno lavorare…’, ciò vizia la soluzione di un caso ed allunga inevitabilmente i tempi della giustizia.
Purtroppo tutto nasce dall’idea errata di chi si occupa di un certo procedimento sia da una parte che dall’altra che una consulenza possa essere la chiave di volta di un caso e gli permetta di chiuderlo rapidamente, mentre invece accade raramente che una consulenza sia probatoria.
In quest’ottica i consulenti finiscono per manipolare i risultati delle proprie analisi in modo da avvallare il convincimento di chi gli ha commissionato la consulenza, ciò obbliga il giudice a chiedere ulteriori analisi da parte di periti da lui nominati e ritarda il raggiungimento della verità.
Non è una novità ciò che le sto dicendo, esistono testi americani sull’errore giudiziario dove si parla di consulenti ‘partigiani’, è un noto gioco delle parti che nessuno è interessato ad interrompere.
Un altro problema degli inquirenti è poi molto spesso la mancanza di una formazione scientifica, oggi fondamentale, in quanto ormai il risultato di un’indagine è una sorta di diagnosi, i dati peritali ritenuti più rilevanti si analizzano con il metodo logico scientifico, sconosciuto a chi non ha una specifica preparazione.
Chi indaga dovrebbe farsi affiancare da un criminologo con una laurea scientifica che sia in grado di processare, criticare e valutare i dati delle consulenze in modo elastico perché i risultati delle perizie non sono assoluti, né spesso risolutivi.

In che modo i media influenzano i processi?
Sono in molti ad affidarsi a ciò che sentono dire in televisione, anche coloro che hanno delle responsabilità nei procedimenti di cui si ‘chiacchiera’ sul piccolo schermo, in Italia si legge poco, è troppo impegnativo, la tradizione orale non è mai stata abbandonata e purtroppo le notizie che vengono diffuse dai media sono manipolate o frammentarie e vengono interpretate spesso in modo erroneo dai pseudo esperti stipendiati dai vari programmi televisivi in cui nessuno è realmente interessato alla verità ed i conduttori appoggiano una tesi piuttosto che un’altra a seconda del loro ritorno in termini di share, ne è la riprova l’assenza di contraddittorio.
Inoltre ormai parlare di criminologia senza conoscerla va molto di moda, mentre per parlare delle responsabilità di qualcuno in merito ad un reato così grave come l’omicidio, è necessario avere adeguate competenze ed aver approfondito il caso, le competenze di cui parlo non sono quelle giornalistiche, disconoscendo la criminologia si rischia di prendere lucciole per lanterne, non senza fare danni irreparabili come nel caso di Buoninconti.
I media purtroppo non soltanto intrattengono la massa ma influenzano i testimoni dei vari procedimenti e condizionano inevitabilmente le loro testimonianze in udienza e spesso forgiano purtroppo anche il pensiero di inquirenti e giudici. Le parrà incredibile ma ho la certezza che come questi pseudo esperti televisivi molti avvocati di parte civile non abbiano mai letto con cura gli atti dei processi di cui si occupano, non è la regola appoggiare una procura, la regola dovrebbe essere collaborare nella ricerca della verità.
La superficialità condiziona i risultati dei processi e favorisce l’errore giudiziario, ma evidentemente la storia non insegna.

Come si risolve un caso?
Un caso, lo ripeto non si risolve magicamente con una o più consulenze di parte, si risolve raccogliendo la maggior quantità di dati possibili con le indagini tradizionali, analizzandoli, affiancando a questi dati consulenze mirate e traendo solo dopo uno studio approfondito di tutte le risultanze le conclusioni, si risolve semplicemente lavorando, escludendo ogni possibile ipotesi alternativa, analizzando senza pregiudizio le dichiarazioni di un indagato, quelle dei familiari, quelle dei testimoni, valutando nel giudizio finale a quanti mesi di distanza dai fatti sono state raccolte ed in che clima mediatico.

Il suo sogno nel cassetto?
Ne ho due, sogno un paese con una giustizia morale, dove gli avvocati difendano solo innocenti e colpevoli rei confessi, dove nelle aule universitarie si educhino gli studenti non solo all’etica ma anche all’estetica della verità, dove il diritto alla miglior difesa come vuole la legge si associ al rispetto delle vittime e dei loro familiari, dove si faccia il possibile per limitare una giustizia beffa, dove la confessione sia la regola e chi ha commesso un grave reato sia sottoposto ad un percorso psichico riabilitativo attraverso un sostegno psichiatrico, dove scompaia per sempre il ridicolo balletto tra una sentenza di assoluzione ed una condanna all'ergastolo, dove le famiglie sia delle vittime, già provate da lutti intollerabili, che quelle dei carnefici non vengano sottoposte ad una indecente esposizione mediatica, dove non si dia più spazio alle odiose e diseducative tarantelle di giornalisti, pseudo-esperti e sensitivi che speculano sulla morte violenta, dove gli avvocati non si trovino esposti al ridicolo nel tentativo di giustificare un: ‘Mi avvalgo della facoltà di non rispondere’, come se avesse ragione di servirsene un innocente e poi sogno di poter collaborare alla revisione del processo per l’omicidio di Meredith Kerchner.
Infine vorrei ricordare che le menzogne hanno un costo enorme per la società in termini economici e non solo e che le mentalità di coloro che si occupano di giustizia si forgiano nelle università.

 




CASO CESTE, CONDANNA BUONINCONTI: TRA COMPETENZE SPECIFICHE E LAVAGGI DEL CERVELLO TELEVISIVI

di Domenico Leccese

L'Osservatore Italia ha seguito da sempre il caso Ceste ed il processo all'unico indagato Michele Buoninconti, continuiamo a farlo dando voce ancora una volta alla dottoressa Ursula Franco (Medico – Criminologa e Consulente della difesa).

Quanto è difficile ancora fare il criminologo nel nostro paese?

Non lo immagina nemmeno. In Italia ancora si stenta a credere che le scienze criminologiche siano scienze esatte, purtroppo sia gli addetti ai lavori che il pubblico dei talk show televisivi sono ormai abituati ad una specie di criminologo che è una banderuola al vento perché parla spesso di casi che non conosce così semplicemente pour parler e per riempire uno spazio.

Perché in molti fanno fatica a credere alla sua ricostruzione nel caso Ceste – Buoninconti?

Per quanto riguarda la massa la mia ricostruzione non è stata pubblicizzata abbastanza ed il pubblico televisivo ha subito un lavaggio del cervello senza precedenti, per quanto riguarda gli addetti ai lavori non mi credono coloro che non hanno letto gli atti o che non hanno approfondito il caso partendo dal presupposto che la procura non possa essersi sbagliata e poi non mi credono coloro che non hanno dimestichezza con la psichiatria ed inspiegabilmente non accettano il parere di un esperto per presunzione o per un loro limite mentale.

Come ha fatto ad arrivare alla conclusione che non si tratti di omicidio?

Per risolvere questo caso ci volevano alcune competenze specifiche che di certo i carabinieri di Costigliole non avevano e che neanche i laureati in Legge hanno. Sono molti  i campanelli d’allarme che mi hanno fatto propendere per l’allontanamento volontario, il denudamento, segno chiarissimo di una psicosi letto invece erroneamente dalla procura come prova dell’omicidio, il ritrovamento degli abiti in cortile, prova del denudamento volontario che invece gli inquirenti hanno sostenuto fossero una messinscena, mostrando di disconoscere che cosa sia uno staging di una scena del crimine, se Buoninconti avesse disposti gli abiti in cortile non li avrebbe rimossi, ancora l’immediatezza con cui Buoninconti dette l’allarme, il ritrovamento del corpo a pochi centinaia di metri da casa e molto altro.

Lei ha analizzato anche il linguaggio di Buoninconti durante le interviste rilasciate a Chi l’ha visto?

Certo, non solo io ho analizzato il linguaggio di Buoninconti ma anche lo psichiatra dell’accusa dottor Pirfo, inviterei tutti coloro che ritengono Buoninconti colpevole a rivedersi quei video ed a ricredersi. Buoninconti non ha mai mentito, il suo racconto è credibile.
In tutte le interviste fornisce le risposte dopo un regolare tempo di latenza; non si serve di pause per costruirle; non perde mai il filo del discorso; non cambia mai il soggetto e se è il giornalista a farlo, egli ritorna sulla domanda per rispondere con precisione; non si cimenta mai in circonlocuzioni o discorsi evasivi. Il racconto è sempre fluente ed egli non si avvale mai di un linguaggio indiretto; non ripete mai le domande che gli vengono poste; né le evade; le sue risposte sono ben costruite e logiche ed egli non appare mai equivoco. Il racconto fatto da Michele nelle interviste è dettagliato, caratteristica del linguaggio di coloro che sono sinceramente decisi a fornire tutte le informazioni in loro possesso nell'intento di farsi aiutare a ritrovare il proprio caro. La sua esposizione, non è solo dettagliata, ma anche carica di emotività, non piatta e sterile come quelle degli uomini che uccidono le proprie compagne. Buoninconti ha fornito volontariamente agli inquirenti nuove informazioni mostrando una evidente ‘volontà di accuratezza’ e lo ha fatto su sua personale iniziativa, si è infatti recato al comando dei Carabinieri nei giorni seguenti alla scomparsa della moglie, per invitarli ad analizzare gli abiti di Elena. Fornire informazioni supplementari od invitare gli inquirenti ad indagare fanno parte delle iniziative messe in atto dai soggetti che desiderano essere di supporto alle indagini e sono realmente intenzionati a trovare il proprio familiare scomparso. Chi commette un omicidio generalmente fornisce una minima quantità di informazioni a ridosso dei fatti e soltanto se invitato a farlo e difficilmente si presenta sponta
neamente in caserma.

Per quale motivo allora Buoninconti è stato accusato di essersi contraddetto?

La sua narrazione è sempre stata la stessa e vi sono alcune imprecisioni, le imprecisioni nel racconto sono però ascrivibili ad un disturbo della memoria chiamato ‘amnesia psicogena’. La condizione di stress di Buoninconti dovuta agli accadimenti di quella mattina produsse nello stesso un disturbo del processo di memorizzazione di comune osservazione, ovvero il blocco della memorizzazione a lungo termine per cui i suoi ricordi di quei momenti, fissati inizialmente nella memoria a breve termine, a causa del suo stato d'animo, non si impressero in quella a lungo termine. Per tale ragione egli ha fornito versioni diverse riguardo al ritrovamento degli abiti e degli occhiali di Elena in cortile, non si è ricordato l’esatta sequenza di alcuni fatti e delle telefonate, né se Marilena Ceste fosse stata a casa sua quella mattina e solo con l'aiuto dei testimoni Buoninconti è riuscito a ricollocare la maggior parte degli accadimenti di quella mattina nell'esatto ordine cronologico.

Lei crede che in America si sarebbe potuto condannare Buoninconti sulla base degli indizi consegnati ai giudici dalla procura di Asti?

Diciamo che non solo non lo avrebbero mai condannato ma neanche sarebbero stati presi in considerazione per un eventuale processo, comunque, senza scomodare gli Stati Uniti basta spostarsi a Pisa, pensi al caso di Roberta Ragusa, nonostante ci siano importanti indizi contro Antonio Logli quali una relazione extraconiugale, un probabile tentato omicidio da parte sua nei confronti della moglie che precedette di poco la scomparsa, un testimone che lo vide in strada durante la notte mentre lui ha sostenuto di essere stato a dormire, testimone che con tutta ptrobabilità assistette ad una colluttazione tra il Logli e sua moglie, nonostante tutto non si è ritenuto che il materiale raccolto dalla procura potesse essere sufficiente per trarre in arresto né tantomeno per rinviare a giudizio Antonio Logli.

Che cosa secondo la Procura di Asti prova l’omicidio?

Non ce l’hanno detto, l’autopsia non è stata in grado di stabilire la causa della morte di Elena quindi già non c’è certezza che sia stato commesso un omicidio, lo ripeterò in eterno non è dall’autopsia ma dalle indagini che si risale alle cause della morte della Ceste. Le risultanze escludono l’omicidio ed avvalorano una morte per assideramento, quella mattina non sono stati udite grida da parte dei vicini prova di una lite che poteva sfociare in un omicidio, non sono stati rilevati segni su Buoninconti prova di una colluttazione che per le modalità omcidiarie sostenute dalla procura ci sarebbero dovute essere, nessuno ha visto Buoninconti mettere il cadavere in auto ma soprattutto le risultanze degli esami effettuati da RIS sulle auto sono negative. Credere che Buoninconti abbia avvolto il cadavere in un lenzuolo del letto matrimoniale, come sostenuto dalla Deodato in requisitoria, e pensare che il lenzuolo abbia impedito al cadavere di lasciare tracce in auto è assurdo, antiscientifico.

Quindi che cosa prova per la Procura di Asti l’occultamento del cadavere?

Non ce l’hanno detto, Buoninconti secondo le due analisi delle celle telefoniche alle 9.00 non si trovava al Rio Mersa, quindi è escluso che stesse occultando un corpo, in più nonostante egli venga accusato di aver occultato un corpo tra i rovi nessun graffio è stato rilevato né sulle sue mani né sul suo volto, né peraltro egli era sporco del fango del Rio Mersa, né alcun testimone lo vide occultare il cadavere di Elena. Anzi il giudice ha completamento ignorato la testimonianza di Marilena Ceste, una vicina che disse di aver visto Buoninconti sotto casa
5 minuti dopo le 8.55, quindi alle 9.00.

Quindi la Procura avrà trovato un movente molto solido?

Assolutamente no, anche i giudici del riesame non solo hanno escluso la premeditazione ma hanno anche asserito per ben due volte che la procura non era riuscita a fornire un movente. Nessuna crisi matrimoniale precedette l’allontanamento di Elena che fu la conseguenza soltanto del disturbo psichico che la affliggeva e che aveva iniziato a manifestarsi qualche mese prima.

Che cosa si augura?

Mi auguro che non succeda mai più che un cittadino italiano subisca ciò che sta subendo Buoninconti. Credo che sussistano gli estremi per presentare una petizione al Parlamento europeo in quanto Buoninconti è anche cittadino dell’Unione europea che è tenuta a garantire i suoi diritti.
 




30 A BUONINCONTI, IL PERITO DELLA DIFESA: "GRAVE ERRORE GIUDIZIARIO"

di Domenico Leccese

Sulla condanna a 30 anni per Michele Buoninconti la criminologa Ursula Franco, consulente della difesa,  ritiene che il giudice Amerio sia incappato in un grave errore giudiziario.
 
Cosa non è stato capito della vostra linea difensiva?

Mi piacerebbe che la nostra linea difensiva venisse chiamata con il suo vero nome, ovvero verità. La ricostruzione di come andarono i fatti non è stata compresa perché anche il giudice è stato infettato dal virus maligno della ‘tunnel vision’ che si è manifestato in primis nella stazione dei carabinieri di Costigliole d’Asti e poi in procura. L’assurda ricostruzione del’accusa fa acqua da tutte le parti perché come ha ribadito Buoninconti non c’è mai stato un omicidio.

Ci chiarisce la storia della presunta ricostruzione dell’omicidio fatta da Buoninconti nelle dichiarazioni spontanee?

Nessuna ricostruzione, egli ha semplicemente ripreso ciò che la Deodato aveva detto nella sua requisitoria del 23 settembre, ovvero: ‘Quando un delitto è premeditato, non serve una pistola, un coltello, un’arma, basta mettere una mano sulla bocca’, per questo motivo ha parlato di una mano sulla bocca, per dimostrare al giudice quanto fosse assurda la ricostruzione del magistrato. La mossa di Michele Buoninconti di leggere le dichiarazioni spontanee ha spiazzato tutti ma non il giudice, come ha detto qualcuno legge la Bibbia e si prende 30 anni? Le dichiarazioni spontanee di Buoninconti resteranno un documento, un manifesto di questo errore giudiziario che mi auguro verrà letto da tutti nell’ottica giusta quando un giudice finalmente comprenderà che l’appello di Michele è stato sincero, che è lui la vera vittima di questo caso giudiziario, lui ed i suoi figli.

Le convinzioni errate, più delle bugie sono le peggiori nemiche della verità?

Sono molti i fattori che conducono chi indaga all’errore: l’ignorare, il pregiudizio, la superficialità, la noble cause corruption, la pressione dell’opinione pubblica e l’incapacità di riconoscere un proprio errore a scapito di un innocente. Per quanto riguarda il giudice Amerio egli ha consolidato l’errore della procura e non si sbaglia Buoninconti quando afferma che è il peggior errore giudiziario del terzo millennio, un errore condito dal peggior strazio mediatico mai visto, una vergogna per il nostro paese, del quale un giorno in molti dovranno rispondere.




CASO ELENA CESTE, PROFILO PSICOLOGICO: COSA È SUCCESSO ALLA DONNA IL GIORNO DELLA SPARIZIONE?

di Domenico Leccese

“Se i quattro studi di questo volume si rivolgono a una vasta schiera di persone colte, non possono tuttavia essere compresi e giudicati che dai pochi che non sono completamente estranei alla natura propria della psicoanalisi”. (Sigmund Freud, Totem e tabù, 1913).

… per chi giudica il lavoro di un professionista senza averne le competenze. Questa citazione, pubblicata dalla Dott.ssa Ursula Franco, mi ha suscitato, ulteriore curiosità, e mi ha spinto, a contattarla, nuovamente anche sul Caso Elena Ceste.

La Dott.ssa Ursula Franco, ci chiarisce una volta per tutte, che cosa sono le psicosi, l’autopsia psicologica e le dinamiche dell’allontanamento di Elena Ceste da casa la mattina del 24 gennaio 2014.

Che cos’è la psicosi?

La psicosi è un disturbo psichico molto comune, ad eziologia multifattoriale, a modalità di esordio variabile, che si differenzia da soggetto a soggetto per sintomatologia, gravità e prognosi e che viene spesso definito volgarmente ‘esaurimento nervoso’. Un soggetto affetto da psicosi necessita di una terapia specialistica, nel caso una crisi si risolva spontaneamente, facilmente recidiva se il soggetto non viene sottoposto a terapia farmacologica.
Soggetti diversi sviluppano crisi psicotiche caratterizzate da un diverso ‘set’ di sintomi. Le modalità d’esordio della psicosi sono variabili da soggetto a soggetto e prima della vera e propria crisi psicotica possono manifestarsi i cosiddetti prodromi o precursori, come: cambiamenti di umore, ritiro sociale, pensieri ossessivi e ritualità comportamentali, segnali difficilmente riconoscibili come clinicamente rilevanti all’occhio inesperto di un familiare e spesso perfino a quello più esperto di un medico di base, ma indici comunque di un esordio subacuto della crisi. La classica crisi psicotica è più spesso caratterizzata da un delirio, in genere di tipo persecutorio e da allucinazioni, spesso di tipo uditivo.

Che cos’è un’autopsia psicologica?
L'autopsia psicologica è una perizia post-scomparsa o post-mortem che permette di dire se un soggetto possa essersi allontanato volontariamente o nel caso ne venga ritrovato il corpo, in caso di dubbio, sia morto per cause accidentali in seguito all’allontanamento o in seguito ad un atto suicidiario o sia vittima di un omicidio. Per ricostruire il profilo psicologico di un soggetto scomparso o deceduto è necessario raccogliere alcuni elementi, quali le testimonianze di parenti, amici, colleghi e di coloro che lo hanno incontrato nelle ultime ore prima della scomparsa o della morte. Tali dati, insieme alle cartelle cliniche del soggetto esaminato permettono di ricostruirne lo stato mentale prima dei fatti e di formulare un’ipotesi sulle cause della sua scomparsa o della sua morte.

Lei ha sottoposto Elena Ceste a questo tipo di autopsia, ci sintetizza le sue conclusioni?

L’analisi delle testimonianze di parenti ed amici mi ha permesso di concludere con certezza che già dai mesi di ottobre e novembre la Ceste aveva manifestato segnali di un disturbo psicotico. In quei mesi Elena mostrò di essere tormentata da pensieri ossessivi persecutori, riconoscibili a posteriori quali i prodromi della crisi psicotica che la colpì a fine gennaio. I pensieri ossessivi che tormentavano la Ceste nei mesi di ottobre e novembre sono ben descritti dai suoi confidenti, purtroppo nessuno li riconobbe come segnali di un disturbo psichico e quindi la Ceste non fu sottoposta a terapia farmacologica. Una severa alterazione dell'equilibrio psichico di Elena, una vera e propria crisi psicotica, caratterizzata da un delirio persecutorio e da allucinazioni uditive si manifestò dal pomeriggio del 23 gennaio fino al momento della sua scomparsa, cui seguì a breve la morte. Probabilmente, ancora prima del pomeriggio del giorno precedente la sua scomparsa erano tornati a manifestarsi con forza nella mente della Ceste quei pensieri ossessivi che l’avevano afflitta nel mese di ottobre, già il 22 gennaio, infatti, l’amica Fiorenza si era accorta che qualcosa turbava Elena. A quella manifestazione pomeridiana psicotica del 23 gennaio, cui Michele assistette, seguì un periodo di apparente tranquillità, finché il quadro sintomatologico si arricchì durante la notte delle allucinazioni uditive, voci che dicevano ad Elena che non era una buona madre e che lei tentava di scacciare picchiandosi sulla fronte, inoltre il delirio persecutorio si fece più importante, non solo non la lasciavano stare, ma i suoi persecutori erano, a suo dire, decisi a portarla via da casa, ad allontanarla dai suoi figli, il motivo ce lo spiegano le sue allucinazioni uditive che le ripetevano che non era una buona madre. La Ceste allo scopo di allontanare le allucinazioni uditive si era picchiata ripetutamente sulla testa, tanto da arrossarsi la fronte, anche questa reazione alle allucinazioni uditive è di comune osservazione nei soggetti affetti da questo tipo di sintomi ed avvalora il racconto del marito. Durante la notte tra il 23 ed il 24 gennaio si compose quindi un quadro classico di psicosi con totale disgregamento della personalità. Dopo quella notte ‘difficile’ la Ceste, nonostante apparisse serena, non accompagnò i figli a scuola perché non se la sentiva, anche se era compito suo, questo fatto inusuale ed improvviso, come confermato dai bambini, è la riprova che qualcosa non andava. Quella mattina, i figli non notarono nulla di anomalo nel comportamento della madre, ella infatti non aveva manifestato evidenti segnali di ‘squilibrio’ ma pochi minuti prima che il resto dei familiari lasciassero l’abitazione, Elena, mentre i bambini si trovavano in auto, invitò il marito a non portare i figli a scuola, tornando a manifestare un delirio persecutorio, questa volta arricchitosi da idee di controllo sui figli da parte di soggetti estranei alla famiglia.

Che cosa hanno sostenuto i consulenti della Procura invece?

La Procura ha sostenuto che Elena aveva avuto una crisi psicotica nei mesi di ottobre e novembre e poi era ‘miracolosamente’ guarita senza sottoporsi ad alcuna terapia. Le cito l’ordinanza del Giudice Marson: ”Lo scompenso… qualificato dai consulenti psicologi e psichiatri come di tipo psicotico proiettivo delirante veniva notato da tutti i suoi interlocutorii… si era presentata una crisi psicotica con proiezioni e diffusi spunti deliranti…".

Ci illustra allora le differenze tra le risultanze dell’autopsia psicologica fatta dall’accusa e la sue.
Elena come abbiamo visto in precedenza manifestò, alcuni mesi prima della crisi psicotica vera e propria, i cosiddetti ‘prodromi’, ovvero un profondo disagio emotivo e pensieri ossessivi specifici con neppur troppo sfumate idee di riferimento. Ciò che io ho definito ‘prodromi’ sono stati definiti invece dall’accusa ‘crisi psicotica con proiezioni e diffusi spunti deliranti’, una crisi, a loro avviso, poi superata. La sostanziale differenza tra la mia autopsia e la loro sta nel fatto che per me quella che loro chiamano ‘crisi psicotica’ non erano altro che i ‘prodromi’, ovvero semplicemente le prime manifestazioni di un disturbo psicotico che ha avuto il suo apice tra il 23 ed il 24 gennaio. La condizione psichica descritta dai consulenti della Procura si risolve difficilmente senza l’uso di farmaci, e se appare temporaneamente in remissione, tende invece spesso a recidivare.

Che cosa disse la Ceste ai suoi confidenti e loro che impressioni ebbero?
La Ceste confidò alla madre, alla sorella, all’amica Fiorenza Rava, all’amico Giandomenico Altamura ed al parroco di Motta alcune sue paure, originate da suoi comportamenti ‘sbagliati’. Sempre nel mese di novembre rinfacciò all’amico Silipo alcuni messaggi apparsi su Facebook, lamentandosi con lui di aver perso fiducia e dignità e dicendosi sulla bocca di tutti. Elena era convinta di essere stata ‘tradita da una vecchia conoscenza’ e di ‘essere sulla bocca di tutti’.  I confidenti della Ceste ebbero l’impressione ascoltandola che nei suoi racconti ci fosse qualcosa di anomalo, che non fossero aderenti alla realtà.

Non si confidò col marito prima del 23 gennaio?
No, Buoninconti era all’oscuro sia dei tradimenti che di quelle confidenze che nessuno mai gli riferì, egli dice la verità quando afferma di non essersi accorto del disagio della moglie prima del pomeriggio del 23 gennaio. A Michele, Elena nascose i tradimenti ed anche le angosce che le avevano provocato fino a poche ore prima della scomparsa, solo in quei frangenti raccontò a Buoninconti di essersi rivolta pure al parroco e di aver ricevuto da lui delle rassicurazioni.

Perché Buoninconti non chiese aiuto per la moglie?

Nonostante i sintomi durassero da ore, sebbene con periodi di apparente remissione, Buoninconti sottovalutò le difficoltà della moglie nella speranza che non fosse altro che una crisi passeggera, un momento di stress che la faceva farneticare, ma che sarebbe passato, assumendo un atteggiamento tipico della maggior parte dei familiari che tendono a negare la malattia psichiatrica per la paura e per la difficoltà a riconoscerne i sintomi. Dopo quella notte però era deciso a portarla dal medico e per questo quel mattino, dopo aver accompagnato i bambini a scuola, si recò a controllare gli orari di ricevimento del sostituto.

Ci dica qualcosa di più sul denudamento quale sintomo della psicosi.

Il denudamento di Elena, che precedette la sua fuga da casa, rientra semplicemente tra le anomalie del comportamento che possono manifestarsi nei soggetti psicotici. Il denudamento, letto dagli inquirenti come un indubbio indizio di omicidio è stato il primo campanello d’allarme che mi ha portata a ritenere l’omicidio alquanto improbabile, quel denudamento è cruciale, è la prova della psicosi. Peraltro non avrebbe avuto ragioni Buoninconti di denudare il cadavere della moglie e se l’avesse uccisa nuda l’avrebbe di sicuro rivestita in modo che una volta ritrovato il corpo si sarebbe potuto pensare ad un allontanamento volontario.

Una volta per tutte che cosa è successo quella mattina?

La Ceste la mattina del 24 gennaio 2014 si è allontanata da casa, poco dopo le 8.15, in preda ad una crisi psicotica (psychotic breakdown) caratterizzata da allucinazioni uditive e da un delirio persecutorio. La donna dopo aver accompagnato i bambini ed il marito all’auto è rientrata in casa, si è tolta la giacca che Michele le aveva messo sulle spalle, ha premuto il pulsante di apertura del cancello automatico, è uscita di nuovo, si è tolta gli abiti in due tempi, prima le ciabatte ed il maglione, che ha lasciato sul tombino di fronte alla porta di casa, quindi si è avvicinata al cancello per impedire che si chiudesse, ha finito di denudarsi e si è poi allontanata e ha trovato la morte nel letto del Rio Mersa per assideramento.

Perché e come ha raggiunto il Rio Mersa?

I comportamenti dei soggetti psicotici sono conseguenza delle loro idee deliranti o reazioni alle loro allucinazioni che, influenzandone il pensiero, indirizzano di conseguenza i loro atti, che proprio per questi motivi sono anomali. Il suo allontanamento non fu altro che una risposta comportamentale al suo convincimento delirante. Elena quella mattina si denudò e reagì al suo delirio persecutorio, prese un'iniziativa, nel timore di venir portata via da casa, scappò e si nascose ai suoi ‘fantomatici’ persecutori nel greto di quel fiumiciattolo, inconsapevole, a causa della sua condizione psichica, che le indusse un profondo distacco dalla realtà, che il freddo avrebbe potuto ucciderla. La Ceste non desiderava morire, solo nascondersi, purtroppo, una volta sentitasi al sicuro la donna si addormentò, la notte prima di scomparire Elena non aveva dormito ed il lungo delirio che durava dal pomeriggio del giorno precedente l'aveva affaticata, al sonno subentrò lo stato soporoso indotto dall'ipotermia cui seguì la morte per assideramento. La presenza dell'acqua nel piccolo corso accelerò il processo di assideramento. Infine, è molto probabile che Elena se fosse stata vigile ed avesse sentito la voce del marito o quelle dei soccorritori non le avrebbe percepite come voci "amiche" ma piuttosto come quelle dei suoi fantomatici persecutori che intendevano "portarla via da casa" e naturalmente avrebbe continuato a nascondersi". La sfortuna della Ceste furono le basse temperature, se fosse stata primavera o estate, la donna con tutta probabilità sarebbe stata avvistata dai contadini nei campi nei giorni seguenti alla sua fuga, mentre purtroppo quel giorno ella si assopì a causa della stanchezza che le aveva causato il lungo delirio e poi al sonno si aggiunse il sopore dovuto all’ipotermia e la donna morì per assideramento.

Ci racconta qualcosa la posizione delle ossa al momento del ritrovamento?
La posizione in cui sono state ritrovate le ossa di Elena Ceste è compatibile con un assideramento accidentale, la Ceste, dopo la sua morte, semplicemente cadde a faccia in giù. Elena non si rannicchiò per proteggersi dal freddo in quanto venne colta dall’ipotermia nel sonno. Per quanto riguarda il punto esatto del ritrovamento è difficile dire se Elena sia entrata nel Rio Mersa proprio nel punto del ritrovamento o poco più a monte, la logica e la conformazione dei luoghi mi fa pensare che fosse entrata poco a monte del tubo di cemento che raggiunse per nascondervici e che dopo la sua morte, in seguito alle piogge le acque del Rio Mersa l’abbiano spostata, forse solo di poche decine di centimetri, tanto da far impigliare il suo cadavere nell’incolta vegetazione”.

Ci fornisca altri dati a sostegno dell’allontanamento volontario.

Proprio il ritrovamento del suo corpo nudo ad una distanza ridotta dall’abitazione e la sede stessa, avvalorano l’ipotesi dell’allontanamento volontario. Ci conferma ancora la bontà dell’ipotesi dell’allontanamento volontario un racconto fatto dal figlio Giovanni al padre, egli ha riferito che la madre, mentre lo vestiva la mattina della scomparsa, gli aveva detto: ‘Se mamma scappa voi dovete crescere da soli’, quindi, con tutta probabilità, Elena premeditava già una fuga, la Ceste infatti usò il verbo ‘scappare’. Per il resto, dalle indagini non è emerso nulla che permetta di ipotizzare una ricostruzione alternativa, nulla che confermi l’ipotesi degli inquirenti, ovvero l’omicidio e nulla che provi l’occultamento. Mancano la causa di morte della Ceste, mancano eventuali segni di una colluttazione su Buoninconti che avrebbero dovuto esserci vista la presunta tecnica omicidiaria per soffocazione diretta sostenuta dall’accusa, mancano i segni del trasporto di un cadavere sull’auto di Michele e le macchie di fango sui suoi abiti e sulle sue calzature, mancano eventuali graffi sulle sue mani e sul suo volto prodotti dai rovi del Rio Mersa e manca il movente.
 




ELENA CESTE: LA VERITA' CHE NON PIACE AL POPOLO

di Domenico Leccese

In una nuova intervista Ursula Franco, medico criminologo, consulente di Michele Buoninconti ci spiega che l’errore giudiziario e le odiose lungaggini del nostro sistema hanno cause comuni.


A cosa attribuisce le lungaggini del nostro sistema giudiziario?

Innanzitutto nel nostro paese manca la cultura della verità, il fatto che non interessi agli addetti ai lavori rallenta inesorabilmente il corso della giustizia. E’ molto triste che la cerchino solo i diretti interessati.

Ciò che stupisce la gente comune sono le risultanze delle cosiddette consulenze tecniche di parte, spesso contrastanti tra loro, perché?

I consulenti spesso non dicono il vero o dissimulano, purtroppo tutto nasce dall’idea errata di chi fa le indagini, che una consulenza possa essere la chiave di volta di un caso e gli permetta di chiuderlo rapidamente, mentre invece accade raramente che una consulenza sia probatoria. In quest’ottica i consulenti finiscono per manipolare i risultati delle proprie analisi in modo da avvallare il convincimento di chi gli ha commissionato la consulenza, ciò obbliga il giudice a chiedere ulteriori analisi da parte di periti da lui nominati e ritarda il raggiungimento della verità. Inoltre contro ogni protocollo di tutela di un indagato spesso ai consulenti non criminologi vengono forniti atti che non dovrebbero visionare, un errore madornale, in questo modo la loro consulenza perde il proprio valore scientifico, non è più super partes, l’aver letto documenti non inerenti il loro specifico quesito inficia completamente le loro risultanze e spesso conduce all’errore giudiziario. Un consulente non criminologo non è chiamato per esprimere un suo giudizio generico sui fatti ma ha semplicemente il dovere di redarre una perizia inerente le sue competenze specifiche. Per fare un esempio, se un medico legale fa un autopsia, è sul cadavere che deve lavorare non sulle testimonianze agli atti di un’indagine o sull’autopsia psichiatrica della vittima o sulla perizia psichiatrica di un sospettato, lo stesso vale per uno psichiatra che analizza un sospettato, non può avere un’idea preconcetta del soggetto in esame. Probabilmente ciò che le dico, nonostante sia logico, in Italia è ritenuto ancora fantascienza mentre in America vengono annullati processi per questa ragione.

Quali sono, a suo avviso, oltre a questi, gli errori più comuni fatti dagli inquirenti?

Diciamo che più che di errori credo che il problema di chi indaga sia molto spesso la mancanza di una formazione scientifica, oggi fondamentale, in quanto ormai il risultato di un’indagine è una sorta di diagnosi, i dati peritali ritenuti più rilevanti si analizzano con il metodo logico scientifico, sconosciuto a chi non ha una specifica preparazione. I processi sono ormai dei veri e propri dibattiti scientifici. I risultati delle perizie non sono assoluti, né spesso risolutivi, chi cerca di risolvere un caso deve essere in grado di processare, criticare e valutare i dati consegnateli dai consulenti, prendere per buona un’inferenza come nel caso di Elena Ceste sulla causa di morte può voler dire sbagliare, mentre considerarla semplicemente per quel che è ovvero una semplice ipotesi, ma non l’unica, permette di arrivare alla verità.

Che cosa direbbe ad un giovane avvocato che vuole intraprendere la carriera di pubblico ministero?

Il mio consiglio ai giovani avvocati è di aprire le proprie menti al metodo logico scientifico, di non cercare le vie più facili ma piuttosto quelle certe nella ricerca della verità. Li consiglio di credere nella scienze criminologiche che sono scienze esatte, di non mettere in dubbio la psichiatria come sta succedendo nel caso di Elena Ceste, ciò che gli avvocati non conoscono o non vedono a causa della loro formazione, esiste comunque. La criminologia non è una scienza da salotti, ha invece una indubbia funzione pragmatica e spesso preventiva. Credo che purtroppo la figura del criminologo sia vissuta dalla maggior parte degli avvocati ‘old style’ come competitiva invece che come complementare.

Come si risolve un caso?

L’unico modo in cui si affronta un caso è raccogliendo la maggior quantità di dati possibili con le indagini tradizionali, analizzandoli, affiancando a questi dati consulenze mirate e traendo solo dopo uno studio approfondito di tutte le risultanze le conclusioni. Un caso, lo ripeto non si risolve magicamente con una o più consulenze di parte, si risolve applicandosi, studiando ogni possibile ipotesi alternativa, analizzando senza pregiudizio le dichiarazioni di un indagato, quelle dei familiari, quelle dei testimoni, valutando nel giudizio finale a quanti mesi di distanza dai fatti sono state raccolte ed in che clima mediatico. Come sappiamo la testimonianza è un processo delicato e nel caso Buoninconti Ceste, di cui mi sto occupando, molti testimoni sono stati sentiti tardivamente, le loro testimonianze pur non essendo assolutamente incriminanti, quanto piuttosto il contrario, sono cariche di emotività, un’emotività frutto di mesi e mesi di calunnie da parte dei media nei confronti di Buoninconti. Insomma il mio suggerimento è di cercare tutti i pezzi del puzzle ed aspettare a cantar vittoria se non prima di averli messi tutti, ma proprio tutti, insieme, a volte un cantar vittoria prematuro può trasformarsi in un boomerang.

Ci dice chi è in realtà Buoninconti?

Non è certo l’uomo dipinto dai media, è un buon padre di famiglia, religioso, non affatto rozzo, è un uomo che legge Etty Hillesum che credo sia sconosciuta alla massa dei ‘giornalai’ che lo infanga quotidianamente, ma soprattutto è una vittima del sistema, una vittima di un colossale errore giudiziario.

Mancano poche settimane alla sentenza che cosa può dirci?

Lo ripeto per l’ennesima volta, non esistono prove contro Michele Buoninconti in quanto non ha ucciso sua moglie, il castello accusatorio è un castello di carta velina. Buoniconti è stato indagato semplicemente perché gli inquirenti non sono stati in grado di spiegarsi la morte di Elena ed il ritrovamento dei suoi resti in quel rio se non con un omicidio, tale conclusione è il frutto di una ‘tunnel vision’ che ha colpito in primis i carabinieri della stazione di Costigliole d’Asti che si sono occupati della scomparsa della Ceste e che poi ha inesorabilmente infettato come un virus le conclusioni di tutti, degli inquirenti, dei giudici del riesame e del gup. Pierre Boulle, già nel 1953, nel suo straordinario libro ‘La faccia o Il procuratore di Bergerane’ sosteneva che: “L’inchiesta preliminare è generalmente la fonte di tutti gli errori giudiziari perché è il momento in cui l’emozione è al culmine e i pregiudizi sono fortissimi. Basta che l’accusato faccia prova di un’attitudine percepita come equivoca o sospetta, ed ecco che la macchina s’imballa". Nulla potrebbe essere più esplicativo.
 




ELENA CESTE: LA CRIMINOLOGA URSULA FRANCO NON HA DUBBI "NON E' STATA UCCISA"

di Domenico Leccese

L’accusa sarà in aula il 23 settembre dopo la perizia criminologica della difesa che smonta punto per punto ogni possibile ricostruzione alternativa all’allontanamento volontario.

Ci racconta come ha iniziato ad occuparsi del caso Buoninconti-Ceste?

Vede, io ignara di come sarebbero poi andate le cose, ho pubblicato sul mio blog Malke crime notes il primo articolo con la soluzione del caso all’indomani del ritrovamento dei resti di Elena Ceste, precisamente il 31 ottobre 2014. L’arresto di Buoninconti l’ho appreso con stupore, ma poi mi sono detta che avrei trovato nell’ordinanza indizi di cui non ero a conoscenza ed invece mi sono resa conto leggendo quel documento pubblicato online che mi trovavo di fronte ad un clamoroso errore giudiziario.

Come è arrivata a quella che, anche a mio avviso, è la soluzione del caso?

Ho impegnato molte ore di studio, cerco di sintetizzare: Ho analizzato il caso in due tempi, in primis ascoltando i racconti di Michele Buoninconti e quelli di parenti ed amici dopo la scomparsa di Elena Ceste. L’autopsia psichiatrica della Ceste era compatibile con un allontanamento volontario della donna e ne ho avuto ulteriore conferma dallo stato in cui è stata ritrovata la casa, ovvero nelle stesse condizioni in cui Buoninconti ed i figli l’avevano lasciata. Il denudamento, letto dagli inquirenti come indubbio indizio di un omicidio è stato per me il primo campanello d’allarme che mi ha portato a ritenere l’omicidio alquanto improbabile, quel denudamento è cruciale, è la prova della psicosi, una psicosi che si evince dalle testimonianze dei ‘confidenti’ della Ceste. Lo dico sulla base dell’esperienza avendo assistito al denudamento di un detenuto psicotico mentre lavoravo nel carcere di Gorgona. La messinscena degli abiti in cortile sostenuta dagli inquirenti è totalmente illogica, Buoninconti non avrebbe avuto alcuna ragione di inventarsi quella storia e se avesse pensato ad uno ‘staging’ non avrebbe rimosso gli abiti da dove li aveva collocati. E’ una regola della criminologia, lo ’staging’ non si racconta, si mostra. In seconda analisi, il ritrovamento dei resti a poche centinaia di metri da casa, le risultanze autoptiche, l’assenza di segni di trasporto di un cadavere sull’auto mi hanno confermato che non era stato commesso un omicidio. L’autopsia ha concluso che non era possibile definire la causa della morte di Elena, quei resti non ci dicono altro. Sono i risultati delle indagini che ci dicono come è morta. Non è emerso nulla che confermi l’ipotesi degli inquirenti, ovvero l’omicidio e nulla che provi l’occultamento, lo studio degli atti prova invece l’allontanamento volontario ed esclude qualsiasi responsabilità di Buoninconti. Insomma, un caso semplice di morte in seguito ad una tragica fatalità trasformato in un evento mediatico che lascerà pesanti strascichi, non solo su Buoninconti ed i suoi figli.

Buoninconti è stato accusato di aver finto di cercare la moglie, dal suo punto di vista come valuta il suo comportamento?

Per quanto riguarda il comportamento di Buoninconti egli ha avuto, dopo essersi reso conto della scomparsa di Elena, solo atteggiamenti costruttivi e finalizzati a ricerche concrete che non si riscontrano mai nei rei di omicidio, ad esempio l’immediatezza nella richiesta di aiuto è un segnale di attivazione immediata, spiegabile solo con la volontà di ritrovare un proprio caro, che nessun colpevole, in specie se costui può prender tempo prima di denunciare una scomparsa, mette in atto, tantomeno prima di essersi disfatto del cadavere. Buoninconti cercò la moglie prima a casa, poi chiamò i vicini per sapere se fosse a casa loro o se l'avessero vista. E’ alquanto illogico e privo di riscontri nella casistica che un soggetto telefoni prontamente ai vicini dopo aver commesso un omicidio e durante le delicate fasi dell’occultamento, come se si trattasse di compiere un atto automatico giornaliero. Egli coinvolse in modo logico prima i vicini, poi i parenti, poi si rivolse al 118 e su suggerimento dell’operatore del 118 si diresse dai carabinieri per fare una denuncia utile per poter richiedere informazioni ai pronto soccorso, il tutto in circa un'ora e 45 minuti di tempo, mostrandosi consapevole, che, essendo con tutta probabilità Elena nuda, si doveva far presto, e desideroso di ritrovare la madre dei propri figli, prodigandosi nel fornire a tutti più informazioni possibili, indicandola come una donna in stato confusionale, senza vestiti e senza occhiali.

Le risultanze dello studio delle celle collocano davvero Michele Buoninconti nei pressi del Rio Mersa intorno alle 9.00 come sostiene la procura?

Assolutamente no, la perizia sulle celle dell’accusa ci dice soltanto che Buoninconti agganciò la cella del Rio Mersa alle 9.02.50 mentre era in transito, non esistono né testimoni né prove scientifiche in grado di collocare Buoninconti nei pressi del Rio Mersa in un altro orario. Come ho scritto nella mia perizia, Buoninconti con il suo telefono alle 8.55.04, alle 8.57.28 ed alle 9.01.48 agganciò sempre la cella di pertinenza di casa sua e una testimone, Marilena Ceste, lo vide dalla finestra intorno alle 9.00, è quindi escluso che fosse ad occultare il cadavere di sua moglie.

Perché in molti non le credono?

Non mi credono coloro che non hanno approfondito il caso e coloro che non hanno dimestichezza con la psichiatria, partono dal presupposto che la procura non possa essersi sbagliata ed invece si sbagliano anche loro. Lo ripeto, il problema è che per risolvere questo caso ci vogliono alcune competenze che la maggior parte degli inquirenti, dei giornalisti e dei laureati in Legge non hanno, chi le ha invece non si è dato pena di studiare il caso prima di esprimersi. Qualcosa è andato storto dall’inizio, ci troviamo di fronte ad un classico errore giudiziario dove la fanno da padroni, la pressione mediatica, la ‘tunnel vision’, la ‘noble cause corruption’ e molto altro. Nel mio libro sul caso Buoninconti- Ceste descriverò nel dettaglio tutte le fasi di questo errore.

Una volta riconosciuto l’errore, tutto tornerà come prima? Non credo proprio, questo caso rimarrà nella storia della giustizia italiana, un caso così grossolano di mala giustizia da far tremare il sistema, non solo quello della giustizia ma anche quello dei media.

Come vive l’attesa della sentenza?

Naturalmente con ansia, il fatto che la verità sui fatti sia stata rivelata non è una garanzia, è una verità scomoda per molti, non solo per la procura. Infine le confido che sono curiosa di sapere come l’accusa ricostruirà un omicidio che non c’è stato, la procura infatti non ci ha ancora detto nello specifico come secondo loro andarono i fatti.




ELENA CESTE: MICHELE BUONINCONTI, UNA VITTIMA DEL SISTEMA?

 

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di Domenico Leccese

L’Osservatore d’Italia intervista nuovamente la dottoressa Ursula Franco, medico chirurgo e criminologo, consulente della difesa di Michele Buoninconti che non smette di difendere a "spada tratta" il proprio assistito e per questo viene tacciata di incompetenza da illustri colleghi e da parte dei media.

Ritiene che Michele Buoninconti sia vittima di un errore giudiziario?

Senza ombra del dubbio, un caso di errore giudiziario da manuale.

Come sta Michele Buoninconti ?

Michele Buoninconti sta vivendo una situazione paradossale, a dir poco kafkiana, sono mesi che urla a tutti la propria innocenza, ma il rimarcarlo viene scambiato per una sorta di delirio persecutorio, fa comodo a tutti pensare che il vero malato sia lui e non lo sia stata invece sua moglie Elena. La malattia mentale nel caso ne sia affetto Buoninconti è per tutti ben visibile, reale, concreta, facilmente diagnosticabile mentre nel caso di Elena è una mia fantasia. Non le pare bizzarro che nonostante sia stata in primis la Procura ad affermare che Elena fosse psicotica, io venga derisa perché affermo questa verità? Mi aspetterei che si alzasse un coro di psichiatri pronti a confermare che gli psicotici si denudano e proprio perché vivono un delirio che ritengono reale possono reagire allo stesso, in questo caso Elena credeva che la volessero portare via da casa e quindi semplicemente scappò, come aveva prospettato pochi minuti prima al figlio, e si nascose, senza alcuna intenzione di lasciarsi morire. Il distacco completo dalla realtà non le faceva percepire il freddo, né il dolore e neanche si accorse della presenza nell’acqua nel rio. Il disconoscere la psichiatria da parte di chi si trova ad affrontare questo caso è il vero problema, un problema insormontabile.

Quali sono gli indizi contro Michele Buoninconti?

Non ci sono indizi, non esistono perché Michele non ha ucciso sua moglie, la Procura non è stata in grado di ricostruire il presunto omicidio di Elena Ceste perché non c’é stato. La mia ricostruzione di come andarono i fatti è ciò che somiglia di più alla verità e non varierà con le stagioni. Vede, intanto non è stata accertata la causa della morte di Elena Ceste e potrebbe bastare, ma aggiunga pure che la perizia sulle celle non prova assolutamente che Michele Buoninconti fosse nei pressi del Rio Mersa quando la Procura ritiene stesse occultando il cadavere di sua moglie bensì che ci fosse circa 3 minuti dopo e solo in transito, poi non ci sono segni di trasporto di un cadavere sull’auto, né segni di una colluttazione, né graffi prodotti dai rovi sul volto o le mani di Buoninconti, né fango sulle sue calzature che possano provare l’occultamento.

Cosa pensa degli attacchi degli altri criminologi nei suoi confronti?

Non varrebbe neanche la pena di commentarli, comunque trovo assai triste che si parli di me senza conoscermi, senza conoscere il mio lavoro ed in specie deridendo la mia ricostruzione senza aver letto tutti gli atti. Inconsapevolmente chi attacca me danneggia la criminologia che è agli albori, non penso infatti sia stata mai redatta in Italia una perizia come quella da me prodotta per Michele Buoninconti. Tengo a precisare che non tutti i criminologi tentano di diffamarmi, il dottor Ruben De Luca è stato molto professionale quando gli hanno chiesto che cosa pensasse della mia ipotesi, mi sarei aspettata da tutti lo stesso atteggiamento.

E gli attacchi dei media?

Inspiegabili, perché sostenere che io sarei incompetente e quindi inadatta a difendere Buoninconti se lo ritengono colpevole? E’ una contraddizione, se mi attaccano evidentemente mi temono, io invece non temo loro, un giorno dovranno rispondere di tutto ciò che hanno scritto e detto davanti ad un Giudice.

Michele Buoninconti è davvero una persona difficile come dicono i media?

Io e Michele Buoninconti abbiamo una collaborazione professionale straordinaria basata sul rispetto e la fiducia reciproca, egli non è assolutamente una persona difficile, è semplicemente un innocente in carcere e finché le persone si rivolgeranno a lui da colpevole verranno trattate come si meritano.