Crispiano, l’addio a Vittorio Caroli: l’ultimo testimone di un’epoca storica

Fu reduce della deportazione nei campi nazisti. Una delle poche testimonianze dirette che erano rimaste in vita

 

CRISPIANO (TA) – Vittorio Caroli si è spento all’età di 95 anni nel letto della sua abitazione di Crispiano, con la riservatezza, la discrezione, l’onestà e l’umiltà che lo hanno sempre contraddistinto nella sua lunga esistenza. Il rito si è tenuto nella Parrocchia San Francesco d’Assisi officiato da Don Alessandro Fontò. Recentemente era stato colpito da un lieve ictus e per questo costretto a vivere su una sedia a rotelle. Era amorevolmente assistito in famiglia secondo i canoni della cultura familiare meridionale dal figlio Francesco e dalla nuore Angela Chirulli e Anna Idrontino vedova del secondo figlio Angelo. Il lieve danno cerebrale non lo aveva però privato delle totali facoltà della parola dell’udito, della vista e della memoria. La malattia che lo aveva colpito non aveva cancellato dalla sua mente le terribili esperienze di degradazione della persona umana. Era rimasto l’ultimo testimone di un’epoca storica. Era l’ultimo reduce tra coloro che nel 1944 vennero presi dalle truppe tedesche. Per decenni ha raccontato ai familiari e ai giovani concittadini cosa erano stati i campi di concentramento.

La Medaglia d’onore a Vittorio Caroli, concessa dal Presidente della Repubblica

Tre anni fa gli era stata consegnata la Medaglia d’onore, concessa dal Presidente della Repubblica, ai cittadini, sia militari sia civili, che sono stati deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra nell’ultimo conflitto mondiale. La cerimonia di consegna si svolse in forma solenne presso il Salone di Rappresentanza della Prefettura di Taranto il 27 gennaio in concomitanza con la celebrazione del “Giorno della Memoria” Nel corso della cerimonia Vittorio Caroli stringeva tra le mani la sua matricola da prigioniero e raccontava quegli anni difficili, non senza emozionarsi. Raccontava di quando, a 22 anni, arruolato nell’8° reggimento, partì per la guerra.

“Arrivai a Verona tra il 1943 e il 1944. Poco dopo fui trasferito nel 30° reggimento e partii per la Russia. In Francia, insieme ad alcuni miei compagni italiani fui fatto prigioniero dai tedeschi e deportato in Germania. Scelsi di non combattere al loro fianco ma di rimanere prigioniero anche se fui minacciato di morte. Venni liberato il 24 aprile 1945”.

Le sue parole toccanti furono pronunziate alla presenza del prefetto Umberto Guidato, che gli consegnò la medaglia, e delle massime autorità militari, civili e religiose e delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma della provincia jonica intervenute alla cerimonia. Alla manifestazione parteciparono anche alcuni studenti dell’Istituto Statale “Archita” e del Polo Commerciale “Pitagora” di Taranto. Alcuni di loro lessero brani tratti dal Diario 1941. Per dare l’addio all’l’ultimo testimone di un’epoca e di tanti luoghi dell’orrore nazista oltre ai parenti e agli amici, erano presenti le principali istituzioni cittadine, Le Associazioni combattentistiche e d’arma con i relativi Gonfaloni e Labari e la comunità crispianese. Alla cerimonia, molto toccante, erano presenti il Vice Prefetto Mario Volpe, Commissario Prefettizio del Comune; il Comandante della Stazione Carabinieri di Crispiano, Lgt. Cosimo Vinciguerra; il Comandante Il Corpo di Polizia Municipale, Donato Greco; il presidente dell’Associazione Nazionale del Fante- Sezione di Crispiano, Arcangelo Tagliente; il presidente della locale sezione dell’Associazione Nazionale Bersaglieri, Pasquale Palmisano; il presidente dell’Associazione Nazionale sottufficiali d’Italia, Giovanni Greco che ha rivolto un commovente ultimo saluto. Il vice prefetto Mario Volpe, a rivolto famiglia di Vittorio Caroli, un bellissimo messaggio di cordoglio accompagnato da quello di riconoscenza dei concittadini.

Migliaia di persone hanno manifestato la vicinanza alla famiglia con messaggi di cordoglio condivisioni della pagina Facebook del prefetto Francesco Tagliente che ha postato la notizia della scomparsa.

Eliana Tagliente




Giorno della Memoria, l’intervista al Prefetto Francesco Tagliente figlio di un deportato

In occasione del “Giorno della Memoria” istituita con legge 20 luglio 2000, vengono promosse una serie di iniziative di alto valore etico e di contenuto simbolico ed evocativo per riflettere in modo approfondito sugli accadimenti del secondo conflitto mondiale. E’ oramai consuetudine che, il 27 gennaio di ogni anno, nelle sedi istituzionali si svolgano cerimonie commemorative alle quali partecipano rappresentanti delle Istituzioni, personalità del mondo della cultura, rappresentanti delle Associazioni di ex internati e deportati, della Comunità ebraica, nonché numerose autorità politiche, civili e militari e, soprattutto, studenti. Vengono organizzate cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.

In vista della importante ricorrenza del 27 gennaio abbiamo voluto sentire alcune riflessioni sul “Giorno della Memoria” da parte di una figura istituzionale, il Prefetto Francesco Tagliente figlio di Donato Tagliente, militare che dopo l’8 settembre per essersi rifiutato di collaborare con i tedeschi, fu deportato nei campi nazisti in Germania.
Dopo la proclamazione dell’Armistizio, l’8 settembre del 1943, i nostri soldati vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file dell’esercito tedesco o, in caso contrario, essere deportati nei campi di lavoro in Germania. Donato Tagliente di fronte a quella difficile scelta, decise di non venire meno ai suoi doveri, nella consapevolezza che solo così la sua Patria un giorno avrebbe riacquistato la propria dignità di Nazione libera. Rifiutando l’arruolamento nelle file dell’esercito tedesco, Donato Tagliente venne fatto “prigioniero” e internato in un campo di concentramento in condizioni di vita disumane e sottoposto a privazioni di ogni sorta.

IL VIDEO SERVIZIO DEDICATO A DONATO TAGLIENTE [Officina Stampa del 26/01/2017]

Il prefetto Francesco Tagliente si mostrato disponibile a rispondere alle nostre domande chiarendo però che avrebbe preferito parlare del significato della celebrazione

Dottor Tagliente la Giornata della Memoria si celebra per non dimenticare e per far riflettere le giovani generazioni sulla immane tragedia che sconvolse il popolo ebraico e migliaia cittadini italiani, militari e civili, che internati e deportati in Germania, molti dei quali, peraltro, non fecero più ritorno in Patria. Cosa rappresenta per un Funzionario dello Stato figlio di un deportato questa ricorrenza?
La ricorrenza si colloca in un quadro storico complesso e sofferto, che ha comportato profondi turbamenti, grandi sofferenze e lutti. E’ il momento della riflessione su quello che il nostro paese ha vissuto negli anni più angosciosi della sua storia e che non vuole mai più rivivere. E’ una ricorrenza che celebriamo per non dimenticare, rivolta soprattutto a quelle generazioni di giovani lontane dagli anni dell’orrore dell’Olocausto. Questa ricorrenza deve essere l’occasione per ricordarci che dobbiamo fare tutto ciò che possiamo e dobbiamo perché il passato non si riproponga, né ora né per le generazioni future. Le motivazioni che stanno alla base dell’istituzione di questa ricorrenza devono essere tenute sempre ben presenti, nella consapevolezza della responsabilità che abbiamo, come comunità civile, di non dimenticare, neanche per un momento, la lezione che proviene dal passato e di doverla trasmettere ai giovani.

Cosa direbbe ai giovani in occasione di questa ricorrenza?
Ai giovani direi siete il futuro, dovete costruirlo nella memoria di quanti sono morti e hanno sofferto a causa del sonno della ragione, che ha generato le malvagità del XX secolo; nella memoria di quanti hanno vissuto e si sono impegnati affinché la ragione vigile facesse nascere forme di convivenza in cui l’uomo è un fine in sé stesso; nella memoria, quindi, dei nostri padri costituenti e di quel meraviglioso baluardo di civiltà che è la nostra Costituzione repubblicana, frutto dell’incontro di molteplici visioni del mondo, a volte inconciliabili, ma tese a fare in modo che ogni essere umano possa vedere riconosciuti la dignità e i diritti che, in quanto tale, gli spettano.

Vorrei concludere la nostra conversazione che lei in vista della ricorrenza del Giorno della Memoria ha voluto salutare e rendere omaggio a uno dei pochi reduci della deportazione ancora in vita, il suo concittadino di Crispiano, Vittorio Caroli. Lo ha fatto per spirito di campanilismo o cosa?
Vittorio Caroli è una delle poche testimonianze dirette ancora in vita. A 95 anni compiuti è stato colpito da un lieve ictus ma il danno cerebrale non lo ha però privato delle totali facoltà della parola dell’udito, della vista e della memoria. La malattia che lo ha colpito non ha cancellato dalla sua mente le terribili esperienze. Quelle terribili esperienze raccontate e trasmesse ai ragazzi di oggi possono avere un valore assoluto.




TARANTO: MEDAGLIA D'ONORE DEL CAPO DELLO STATO AI FAMILIARI DI DONATO TAGLIENTE

di Chiara Rai

Crispiano (TA) – Il prefetto di Taranto Umberto Guidato consegnerà la speciale benemerenza del Presidente della Repubblica ai familiari di Donato Tagliente, militare che dopo l'8 settembre rifiutò di collaborare con i tedeschi e fu deportato in Germania fino al settembre 1945.
La cerimonia di consegna avrà luogo nel corso di una riunione straordinaria a seduta aperta del Consiglio Comunale di Crispiano (TA), dove l'insignito ha vissuto, convocata il 9 settembre alle 17 dal Sindaco Egidio Ippolito.
Lo stesso Comune di Crispiano ha deciso di rendere onore al concittadino Benemerito della Patria, intitolandogli una strada cittadina. 

Francesco Tagliente, già Questore di Firenze, Questore di Roma e Prefetto di Pisa 

Sono onorato di questo importantissimo tributo dedicato dalla più alta carica dello Stato e dall’Amministrazione Comunale di Crispiano alla memoria di mio padre.

Ne sono fiero sia come familiare, insieme alla nostra famiglia tutta, ma soprattutto come uomo dello Stato cresciuto con un insegnamento che mi auguro possa essere trasmissibile di generazione in generazione: l’amore per la nostra Patria, la più completa dedizione ad essa senza compromessi e a costo di rimetterci la propria vita. Questi alti valori morali mi sono stati trasmessi dalla figura di mio padre Donato Tagliente, un uomo che ha sacrificato la sua famiglia per difendere la Patria.

L’auspicio è che la storia non venga mai dimenticata perché il sacrificio degli “eroi” della Patria che hanno scritto la storia d’Italia continui a servire d’insegnamento per i giovani di domani affinché imparino a coltivare il rispetto, la dignità e la consapevolezza di cosa significhi servire, amare, difendere il proprio Paese.

Il Sindaco di Crispiano Egidio Ippolito
Sono fiero di annoverare tra i cittadini crispianesi il benemerito della Patria Donato Tagliente, reduce dalla deportazione nei campi nazisti.
La Sua Commemorazione ha un duplice alto significato: il ricordo dell’uomo, della sua dedizione e sacrificio per la Patria, anche a scapito del bene più grande di cui godeva, la famiglia. Ma Donato Tagliente è soprattutto il simbolo di una memoria da tenere viva , i noi e nelle generazioni future, della tragedia e dolore che ha rappresentato il nazismo per la nostra terra.
Negli ultimi anni le istituzioni e le amministrazioni hanno maturato una sempre maggiore attenzione per gli accadimenti del secondo conflitto mondiale e soprattutto per la figura dei “deportati”, tanto che diverse disposizioni normative in materia sono entrate in vigore.
Leggendo la biografia di Donato Tagliente si rimane toccati dall’osservare il computo degli anni dedicati al servizio della Patria e sottratti ai propri affetti. Quasi 11 anni trascorsi tra campagne di guerra e deportazione nazista. Due frasi poi, apposte sul foglio matricolare, sintetizzano il periodo forse più duro e terribile di quegli anni:
9 settembre 1943: “catturato dalle truppe tedesche e condotto in Germania”
6 settembre 1945 “Rientrato in Italia”
Infatti, dopo la proclamazione dell’Armistizio, l’8 settembre del 1943, i nostri soldati vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file dell’esercito tedesco o, in caso contrario, essere deportati nei campi di lavoro in Germania.
Donato Tagliente di fronte a quella difficile scelta, decise di non venire meno ai suoi doveri nella consapevolezza che solo così la sua Patria un giorno avrebbe riacquistato la propria dignità di Nazione libera.
Rifiutando l’arruolamento nelle file dell’esercito tedesco, venne fatto “prigioniero” e internato in un campo di concentramento in condizioni di vita disumane e sottoposto a privazioni di ogni sorta.
Per rimanere fedele all’onore militare e di uomo, scelse eroicamente la deportazione e la conseguente, terribile e lunga, sofferenza della fame, di stenti e di inenarrabili sofferenze fisiche e soprattutto morali.
La decisione presa lo scorso 8 luglio, insieme con la giunta comunale, di concerto con i capigruppo consiliari di intitolare una strada del Comune di Crispiano alla memoria di Donato Tagliente, ci è sembrata il giusto riconoscimento civico, soprattutto dopo aver appreso che nel mese di ottobre dello scorso anno, il Presidente della Repubblica, con proprio decreto, lo ha insignito della prestigiosa Medaglia d’Onore” per le speciali benemerenze verso la Nazione.

Il proclama di armistizio di Badoglio dell'8 settembre 1943, costituisce l'annuncio dell'entrata in vigore dell'armistizio con gli Alleati. Il messaggio, letto dal maresciallo Pietro Badoglio alle 19:42 al microfono dell' EIAR, annunciò alla popolazione italiana l'entrata in vigore dell' Armistizio di Cassabile firmato con gli anglo-americani il giorno 3 dello stesso mese.

Cenni storici sul campo di sterminio a Taranto
Il campo 'S' di Taranto o campo sant’Andrea raccolse prigionieri di guerra italiani e di altre nazionalità al termine del secondo conflitto mondiale. Il Campo, sebbene demolito nel maggio del 1946, è ancora visibile ed è ubicato fra le masserie Caselle (nord-ovest), Torre Bianca (Sud-Est), Sant'Andrea (Sud) e Torre Rossa (sud-ovest). Attualmente sono riconoscibili i basamenti delle baracche, parte dell'impianto fognario e stradale, nonché i percorsi delle recinzioni. In particolare, dalle foto da satellite o da aerofoto, si può distinguere in maniera netta l'impianto del campo.
Terminata la guerra, anche coloro ai quali era stato concesso l'onore delle armi nella resa, come i battaglioni della Xª Flottiglia MAS di Valerio Borghese, furono deportati, passando per la maggior parte dal campo di Afragola: dapprima fecero sosta per il riconoscimento al campo S di Taranto e poi furono deportati nel POW Camp di Algeri, da dove gli italiani tornarono al campo 'S', dove nel frattempo, erano stati imprigionati uomini di altre nazionalità, il 23 febbraio 1946, cioè un anno dopo la fine del conflitto mondiale.
I prigionieri di guerra italiani restarono rinchiusi in recinti detti Pen, senza servizi igienici, senza cibo sufficiente, senza letti. Molti morirono. I più tornarono però a casa, quando gli inglesi decisero di abbandonare la custodia del campo e i comandi italiani non accettarono di mantenere i connazionali rinchiusi in quel campo, definito, dai giornali del tempo, "Il campo della fame".
L’8 Settembre 1943 è una data importante nella storia d’Italia.
Diversi sono i significati dell’Armistizio per una nazione duramente provata dalla guerra, guerra a cui ha voluto partecipare senza capire bene a cosa stava andando incontro.
Il prof. Vittorio De Marco ha scritto un saggio molto interessante “Filo spinato alle porte di Taranto”. Egli fa sapere che tra Taranto e Grottaglie c’erano diversi campi di prigionia. Nelle vicinanze della città esistevano il grande Campo di S. Andrea, un campo reduci si trovava presso la masseria di Santa Teresa; nei pressi di Grottaglie era sistemato un campo di tedeschi; altri campi a Rondinella e a S. Giorgio; il così detto Campo «T» che raccoglieva reduci dall’Oriente e dalla Gran Bretagna; il Campo «R», ormai vuoto nei primi mesi del 1946.
In genere tutti istituiti e controllati dalle autorità militari inglesi. Si trattava di ex prigionieri italiani che già dal 1945 cominciarono ad arrivare dai vari campi di prigionia inglesi sparsi nelle sue colonie o da campi dell’Algeria e Tunisia.

Il Campo “S” o di S. Andrea era già operativo dai primi mesi del 1945, ma subì un incremento numerico nei primi mesi dell’anno successivo. Qui tra il febbraio e il maggio 1946 furono internati circa diecimila prigionieri italiani divisi in 10 grandi recinti o “pens”, come li chiamavano gli inglesi. Cominciarono ad affluire verso i primi giorni di febbraio da varie località. Parte erano prigionieri presi prima del’8 settembre 1943; qualche migliaio era stato catturato dopo l’armistizio nelle isole dell’Egeo. Tra gli internati si trovavano anche ex appartenenti alle forze armate nazifasciste e una speciale categoria denominata “recalcitranti”. Questa comprendeva coloro che erano appartenuti a formazioni di SS e di polizia (per lo più alto-atesini bilingui), componenti delle Brigate Nere, della Legione “Muti”, della X Flottiglia MAS, del reggimento paracadutisti “Folgore”. Altri giovanissimi avevano fatto parte delle formazioni del maresciallo Graziani. Altri prigionieri provenivano dall’isola di Creta. Gli accordi tra inglesi e autorità militari italiane prevedevano un passaggio di competenza dagli uni agli altri, ma sostanzialmente il Campo, alla fine di maggio del 1946 implose senza che questo passaggio formale potesse avere i suoi effetti. Gli accordi prevedevano l’istituzione di una commissione che avrebbe dovuto individuare i prigionieri “normali” da quelli accusati di far parte di corpi speciali macchiatisi di stragi ed altro.
Ancora nei primi mesi del 1946, quando ormai la vita democratica si era nuovamente instaurata nel Paese, quando la guerra era finita già da un anno, vi erano ancora soldati italiani, prigionieri sullo stesso suolo patrio che non potevano ancora riabbracciare le proprie famiglie per meri problemi burocratici e di scarsa collaborazione tra inglesi e autorità militari e politiche italiane.
I tarantini, attraverso le varie organizzazioni umanitarie locali (Ente Comunale di Assistenza, Croce Rossa, Arcivescovado, enti privati) risposero con generosità all’appello di questi prigionieri malnutriti, maltrattati, in condizioni igieniche molto difficili, man mano che notizie sempre più precise sulle loro reali condizioni uscivano da quel campo.
L’arcivescovo del tempo, mons. Ferdinando Bernardi, riuscì ad entrare finalmente nel Campo, dopo ripetute richieste al Comando alleato di Caserta, il 10 marzo 1946, accompagnato da tre sacerdoti tra cui il suo vicario generale mons. Guglielmo Motolese. Non poté naturalmente vedere o incontrare tutte le migliaia di prigionieri. Fu invece accompagnato ad uno steccato sistemato apposta per l’occasione, dove incontrò folte rappresentanze di tutte le sezioni. Qui celebrò la messa e dopo restò a colloquio con il comandante del Campo allo scopo di concretizzare un piano di soccorso per i prigionieri. Da quel giorno tutta la diocesi fu mobilitata per gli aiuti ed arrivavano quotidianamente carri con pacchi destinati a tutti i prigionieri. Anche le famiglie dal centro e nord Italia mandavano i propri pacchi o denaro direttamente all’Arcivescovado per far giungere un aiuto concreto ad un proprio parente e tutto fu fatto con molto scrupolo ed attenzione attraverso la sezione tarantina della Pontificia Commissione di Assistenza.
Nelle carte di questo Campo “S” conservate presso l’Archivio Centrale dello Stato a Roma ci sono alcuni elenchi di prigionieri, soprattutto quelli ritenuti “pericolosi”; anche tra le carte private dell’arcivescovo Bernardi ci sono diverse lettere di prigionieri che richiedevano o ringraziavano. E’ da ricordare che nell’aprile 1997 si sono ritrovati a Taranto alcuni superstiti del Campo per rievocare quei mesi e l’aiuto generoso ricevuto dalla città e dalla Chiesa tarantina.