Catturato dopo 40 anni il mostro della California: è un ex poliziotto

Preso, dopo quasi mezzo secolo, il serial killer soprannominato il “Golden State Killer” che tra gli anni ’70 e ’80 ha seminato il terrore in California. Si tratta dell’ex agente, oggi 72 enne, Joseph James DeAngelo responsabile di 12 omicidi, 45 stupri e 120 rapine. La caccia al mostro ha rappresentato un vero e proprio cold case risolto dopo 40 anni grazie alla tenacia di un investigatore privato e ad un libro.

Un libro e le tracce di DNA la chiave di volta

Le ricerche erano ripartite all’inizio di quest’anno, dopo l’uscita di un libro dal titolo “I’ll Be Gone in the Dark”, scritto da Michelle McNamara, autrice che da anni si è appassionata al caso del serial killer. Caso sul quale l’investigatore della contea di Contra Costa, Paul Holes, ha lavorato per decenni, affermando il mese scorso che il killer continuava a seguire le notizie riguardanti i suoi crimini cambiando il modo in cui attaccava le sue vittime. “Ha coperto le sue tracce molto bene”, ha detto Holes: “Ciò di cui non ha tenuto conto è stata l’uso della tecnologia per rinvenire tracce di Dna”, che avrebbe preso il sopravvento nel futuro. L’investigatore ha spiegato che il killer ha lasciato molte tracce del suo Dna, e la polizia le ha usate per identificarlo.
La prima vittima, una donna stuprata in casa – Il primo stupro del “Golden State Killer” risale al 18 giugno 1976: la vittima, Jane, stava dormendo con il figlio di 3 anni mentre il marito era già andato al lavoro. A un certo punto un uomo mascherato entrò nella camera da letto con in mano un coltello da macellaio, legò madre e figlio, li bendò, e poi violentò la donna.

Da quel momento il mostro è diventato uno degli uomini più ricercati d’America

Ma lui nel frattempo continuava a compiere omicidi, stupri e rapine in diverse comunità, sempre in California. All’inizio prese di mira donne sole con figli, diventando conosciuto come “Original Night Stalker”, poi – sino al 1986 – colpì anche diverse coppie all’interno delle loro case. Nessuno era mai stato catturato o identificato. Nel 2001 l’Fbi offrì una ricompensa di 50mila dollari a chi avesse fornito informazioni per arrivare al suo arresto. Il caso è chiuso, dopo 40 anni.

Enrico Pellegrini




Serial Killer: il seminario di criminologia da non perdere

A.B.

REGGIO CALABRIA – Il Serial Killer è un pluriomicida che uccide diversi soggetti spesso senza seguire una linea ben precisa, ignorando logiche determinate da fattori come il tempo tra un’azione e l’altra e senza seguire una particolare  regolarità dell’azione delittuosa stessa. Ogni  delitto si caratterizza per un modus operandi che rende unico il killer per caratteristiche e azioni sui soggetti passivi. Una figura cupa, misteriosa, che si nasconde all’ombra di una società sotto shock che attende risposte dinnanzi ad uno o più cadaveri martoriati che tacciono in silenzio. Un gruppo di esperti ha deciso di studiare il fenomeno dei Serial Killer, indagando sulle motivazioni che li spingono ad agire, sfatando il mito e luoghi comuni, raccontando storie e aneddoti, mettendo in luce aspetti della loro vita simili alle nostre. I migliori esperti italiani del settore hanno deciso di raccontare in un seminario denominato “Serial Killer” la storia di un mondo a molti ignoto. Un seminario che si terrà il 21 e 22 ottobre 2016 presso l’Università eCampus in Via Cavour 12, Reggio Calabria, all’interno di un’aula in cui saranno svolte delle proiezioni multimediali. Un incontro aperto ad Avvocati, Forze dell’Ordine, Giornalisti, Psicologi, Criminologi, Studenti, Appassionati. Un team di docenti altamente qualificati e conosciuti a livello internazionale terrà delle lezioni in materia: Dr.ssa Roberta Bruzzone. Laureata in Psicologia Clinica, iscritta all’Albo degli Psicologi della Liguria. Perfezionamento in Psicologia e Psicopatologia Forense presso l’Universita' degli Studi di Genova ed in Scienze Forensi presso l’Universita' degli Studi di Milano. Tra le varie specializzazioni: titolo di Bloodstain Pattern Analyst (Prima Certification rilasciata dal Miami Dade Police Department, Trainer Toby Wolson – Seconda Certification per il Bloodstain Pattern Analysis Crime Scene Documentation – Advanced Training – rilasciata dalla Bevel, Gardner and Associates e dal Criminal Investigation Training Center di Youngsville – Trainer Ross Gardner). Docente di Psicologia Investigativa, Criminologia e Scienze Forensi presso l'Universita' LUM di Bari; Coordinatore e docente del Master di I Livello in Criminologia Investigativa, Scienze Forensi, analisi della scena del crimine ed investigazioni private presso l'Università degli Studi Niccolò Cusano; Fabio Sanvitale; è nato nel 1966 a Pescara. È giornalista investigativo, esperto di casi storici della cronaca nera italiana ed internazionale. Ha studiato criminologia con Franco Ferracuti e Francesco Bruno. Ha scritto per “Il Tempo”, “Il Messaggero”, “Detective”. È vicecapo redattore del sito cronaca-nera.it. Ha scritto, con Vincenzo Mastronardi, Leonarda Cianciulli:  La Saponificatrice, Armando Editore. Ha pubblicato con la casa editrice Sovera ed in collaborazione con A. Palmegiani: Un mostro chiamato Girolimoni (2011), Morte a Via Veneto (2012), Omicidio a piazza Bologna (2013), Sangue sul Tevere (2014), Sacro Sangue (2015); Marina Baldi. Biologa e specialista in Genetica Medica, consulente tecnico in materia di genetica forense, la sua attività professionale è svolta presso il Laboratorio Genoma; Cristina Marra: Giornalista pubblicista, vive e lavora tra Reggio Calabria, si occupa di critica letteraria da diversi anni, con particolare riferimento alla narrativa giallo-poliziesca. Cura le rubriche: “StrillLibri” sul quotidiano  “Strill.it”, “Animali in noir” sul web press “MilanoNera”, “Segnalibro” e “Interviste con l’autore” sul trimestrale “Helios Magazine”. È corrispondente di “Global Press”. È redattrice di tutte le citate testate. Ha curato diverse antologie ed è direttore artistico ed organizzatrice di diversi festival e rassegne  letterarie. È direttore della collana di romanzi noir "Emozioni d'inchiostro noir" di Laruffa editore; Paolo Cochi. Reporter e documentarista. E’ riconosciuto come uno dei maggiori esperti nazionali dei delitti legati al Mostro di Firenze. È autore, regista ed autore di trasmissioni televisive riguardanti la cronaca nera ed i serial killer nazionali. Il corso durerà 18 ore e inizierà venerdì 21 ottobre con la registrazione che sarà dalle 9.00 alle 9.30, dalle 9.30 alle 11.45 si parlerà di “indagini sui serial killer”, dalle 11.45 alle 14.00 la Dott.ssa Bruzzone parlerà del delle parafilie nella genesi dei predatori sessuali, vi sarà poi una pausa dalle 14.00 alle 15.00. Il programma riprende dalle 15.00 alle 17.00 con la Dott.ssa Marina Baldi “Gioventù romana: i mostri del Circeo”, dalle 17.00 alle 19.00 ci sarà il giornalista Fabio Sanvitale che parlerà del Mostro di Firenze. Sabato 22 ottobre ricomincia il seminario dalle 9.30 alle 11.30 con Fabio Sanvitale “Girolimoni ed altri mostri”, dalle 11.30 alle 13.30 ci sarà Cristina Marra con “I serial Killer nella letteratura”, vi sarà una pausa dalle 13.30 alle 14.30 per ricominciare poi dalle 14.30 alle 17.00 con Paolo Cochi “Il Mostro di Firenze, segue dalle 17.00 alle 19.30 “Il Serial Killer Mighella”. Il contributo di partecipazione è di 129 euro per studenti, Forze dell’Ordine. Per coloro che hanno partecipato ai seminari precedenti è di 100 euro. E’ a numero chiuso per un massimo di 40 posti. 



DUPLICE OMICIDIO DI PORDENONE: TRIFONE, TERESA E L'IPOTESI DEL SERIAL KILLER

di Angelo Barraco

Pordenone –  Il 17 marzo scorso nel parcheggio del palasport di Pordenone si è consumato l’atroce delitto di Trifone Ragone e Teresa Costanza. Un omicidio efferato compiuto in un luogo che avrebbe potuto portare ben presto alla risoluzione del caso ed invece non è stato così.  I due fidanzati sono stati rinvenuti cadaveri all’interno di un automobile parcheggiata nel piazzale antistante il palazzotto dello sport di Pordenone. Ricordiamo che Trifone Ragone era un Sottoufficiale dell’Esercito e prestava servizio al 132/o Reggimento Carri di Cordenons. L’allarme è stato lanciato da un istruttore di judo che ha notato la macabra scena dopo essere uscito dal palazzetto dello sport dopo aver fatto allenamento. I fidanzati presentavano colpi di arma da fuoco alla testa. Poco prima che vi fosse il ritrovamento da parte dell’istruttore di Judo, un uomo aveva sentito delle urla. Inizialmente si ipotizzava l’omicidio-suicido, poi lo scenario è cambiato, e il Procuratore della Repubblica di Pordenone Marco Martani afferma che  non si tratta di omicidio-suicidio bensì di duplice omicidio. I dubbi sull’accaduto sono stati chiariti dopo aver analizzato bene la scena. All’interno dell’automobile della coppia non è stata trovata l’arma, ciò dimostra che non si sia trattato di un gesto estremo dei ragazzi. La donna è stata raggiunta da tre proiettili alla testa, l’uomo invece da un proiettile. Tutti i colpi sono stati sparati dalla stessa arma, una calibro 7,65. L’autopsia ha confermato quanto emerso dalla tac cranica eseguita all’indomani dell’omicidio; sei colpi sparati di cui tre hanno colpito lui; uno alla tempia e due alla mandibola. Si ipotizza che Trifone sia stato colpito mentre passava dal lato guida al lato passeggero e non si sia accorto di essere stato colpito, la ragazza invece, si ipotizza, che abbia visto il killer e abbia cercato di mettere in moto la macchina ma invano; ciò sarebbe dimostrato dal fatto che un colpo che è stato schivato, ma gli altri due, non hanno dato scampo alla vittima. L’autopsia ha escluso che la donna fosse incinta.
Dopo l’esame autoptico si è passati ad una scoperta importante, gli uomini del Reparto di Investigazioni Scientifiche dell’Arma effettuarono sopralluoghi presso la casa della coppia pochi giorni dopo l’omicidio ed effettuarono anche esami scientifici all’interno dell’auto della coppia uccisa, i Carabinieri del Ris di Parma hanno trovato delle tracce biologiche diverse rispetto a quelle delle due vittime, si tratta di capelli che potrebbero appartenere al killer. Gli investigatori non sottovalutano il ritrovamento avvalorando la tesi che l’assassino, per sparare, sia stato costretto ad introdursi all’interno dell’auto della coppia. Ciò sarebbe confermato dalla circostanza del ritrovamento dei proiettili; soltanto uno è stato rinvenuto all’esterno dell’auto. Ma la prima delusione investigativa arriva proprio dallo strumento che poteva e doveva dare risposta in merito al tragico delitto, le telecamere. Il sistema di videosorveglianza non funzionava. i contenitori per le videocamere erano vuoti e non vi è stata alcuna ripresa, gli obiettivi non ci sono e i cavi sono scollegati. Le quattro telecamere indispensabili davano sul parcheggio, ma non riprendevano nulla, non ha mai funzionato.
Ma pian piano saltano delle novità, quarto nuovo testimone che, secondo indiscrezioni, era a pochi metri dal luogo del duplice delitto perché stava posando il suo borsone in auto poiché anch’esso frequenta la palestra di arti marziali. Il testimone avrebbe sentito lo sparo ma in quel momento sarebbe rimasto sorpreso ed incredulo all’idea che nella tranquilla Pordenone potesse avvenire un omicidio e qualcuno potesse impugnare un’arma e sparare tant’è che gli spari gli sono sembrati petardi. L’uomo è stato ascoltato dagli inquirenti e la sua versione coincide con le dichiarazione rilasciate dall’amico della coppia che si trovava nel parcheggio e che li ha visti per ultimo, coincide con la testimonianza del runner che anch’esso ha dichiarato di aver scambiato gli spari per petardi e coincide con la dichiarazione del pesista che ritiene di aver sentito la stessa cosa. Vi era un buco di due ore di Teresa che,  quando è uscita dall’ufficio e ha finito di lavorare ha disdetto il pranzo di lavoro. Questo gap è stato accertato dalle telecamere del Comune di Pordenone che, dopo essere state analizzate dalla Polizia, hanno fatto emergere, senza ombra di dubbio, che Teresa, nel momento in cui è uscita dall’ufficio al termine della mattinata lavorativa e nel momento in cui ha disdetto il pranzo è andata a casa. Dalle telecamere infatti la sua Suzuky Alto Bianca viene vista alle 14.43 ferma all’incrocio tra Via Grigoletti e Via Montereale, quindi minuti dopo la sua macchina viene inquadrata in Via Cavallotti. Quest’ultima strada viene percorsa dalla donna anche la mattina per recarsi in ufficio e tale circostanza è confermata dall’immagine che immortala la presenza dell’auto della donna alle 9.15 che percorre la strada.
Altra novità sul caso è la diffusione dell’identikit sul presunto killer della coppia. L’identikit è stato fatto grazie alla segnalazione dei cittadini che hanno visto persone sospette aggirarsi nei pressi della palestra nel periodo successivo all’omicidio. Il procuratore Marco Martani aveva lanciato il seguente appello ai cittadini di Pordenone: “Se avete visto qualcosa di strano parlate” e il risultato è stato l’identikit venuto fuori, sono emersi anche dettagli sui tratti somatici dell’uomo; l’uomo avrebbe un neo sulla guancia. Gli inquirenti hanno ricostruito anche l’abbigliamento e la fisionomia, il giovane avrebbe occhi chiari e – come visibile nell’identikit – aveva un cappello di lana fino alla fronte. 
 
PISTE INVESTIGATIVE: Al vaglio degli inquirenti le trasferte della coppia in Svizzera, l’ipotesi è che i viaggi potessero essere legati al mondo degli anabolizzanti o ad interessi economici. Sul profilo facebook della donna è apparsa una minaccia scritta da un 20enne kosovaro che ha scritto: “Ti sta bene, così non vai più in discoteca”. Un aspetto che stanno vagliando però, è quello che il giovane possa aver visto o sentito qualcosa che  ha compromesso definitivamente la sua vita e quella della sua compagna. Tale ipotesi potrebbe risultare attendibile poiché la ragazza poco prima si era recata in quel luogo e aveva parcheggiato lì. Ciò dimostra che se l’assassino aveva come obiettivo la donna, avrebbe potuto agire nel momento in cui lei era più vulnerabile. La pista passionale è sotto la lente d’ingrandimento, si sta analizzando anche il passato delle vittime, dove è emerso che Teresa faceva la cubista e/o ragazza immagine con lo pseudonimo di “Greta”. I due ragazzi erano frequentatori di locali notturni, da quanto emerso. Al setaccio vi sono le email e gli sms dei ragazzi per constatare la presenza o meno di qualcosa di anomalo. La pista mafiosa è stata ipotizata perché lo zio di Teresa Costanza, Antonio Costanza (zio del padre), nel 1995 era sparito, vittima di lupara bianca. I pentiti, in merito alla scomparsa dell’uomo hanno detto che fu ucciso e sepolto in un terreno di Campofranco. La sua morte sarebbe stata decisa da Cosa Nostra perché il soggetto fu indicato come spia che indicava agli investigatori il nascondiglio del boss.
 
La Dottoressa Rossana Putignano, Psicologa- Psicoterapeuta Psicoanalitica, ha tracciato un ipotetico profilo psicologico del killer di Pordenone. Ecco quanto scrive:
 
Nessuna delle piste seguite dagli inquirenti sono per me accattivanti. L’idea che si trattasse di una esecuzione da parte di un killer assoldato per conto di qualcuno, la pista passionale, quella dei locali notturni, quella del razzismo e delle scritte minatorie sull’ascensore: niente  di tutto ciò sembra acquisire più valore rispetto alle altre piste indagate. Ritengo si debba “pensare facile “quando la storia è complessa, un pò come quando pazienti, visti da tanti colleghi, tendono ad abbandonare lo specialista finché non si fermano a te che pensi facile e al di fuori dei canoni attesi. Ora, l’esempio testè fatto, non ha nulla a che vedere con l’omicidio dei due giovani di Pordenone e probabilmente ha il sapore della speculazione teorica ma, non essendo criminologa, necessito di pensare con i miei strumenti. Mi chiedo: necessariamente il killer (scartando l’idea del mandante) deve aver conosciuto in vita Trifone e Teresa? Non potrebbe trattarsi di un serial killer?E se il killer non avesse avuto il tempo di firmare il suo assassinio? Suggestione per suggestione, non sono l’unica, nel mio ambiente, ad aver avuto il ricordo del Mostro di Firenze, il quale massacrò 8 coppie di giovani che si accingevano a consumare un atto d’amore nelle campagne fiorentine, tra il 1968 e 1984. Le escissioni del pube, la mutilazione del seno sinistro di alcune delle vittime e lo spostamento dei corpi femminili costituiscono nella fattispecie del Mostro di Firenze la firma dell’assassino. Nel caso di Trifone e Teresa non possiamo parlare di serial killer maniacale ma nemmeno di serial killer, perché il linkage non sembra aver  portato nessun risultato. E se fosse il primo della serie?ovviamente questa è una provocazione ma non la escluderei del tutto. Pensare facile non vuol dire avere una mente semplice ma trovare il gap dell’intera vicenda. Ritornando al Mostro di Firenze: 40 anni di indagini e suggestioni e  il serial killer non è stato mai trovato. Una persona insospettabile? La suggestione che fosse un poliziotto appare un pò scontata anche se molto suggestiva.
Ricordo ai lettori che la vicenda si concluse con l’assoluzione e la morte di Pacciani (strana morte) che però è rimasto nell’immaginario pubblico l’unico mostro di Firenze. In realtà furono arrestati e processati ingiustamente almeno una ventina di persone che gravitavano intorno, per dirla alla Spezi, intorno le “dolci colline” fiorentine, una vera sconfitta per la Procura Fiorentina che a quanto pare, non intende riaprire il caso, un pò per vergogna, un pò per interesse e coerenza con quelli che furono gli STOP dell’epoca. Inoltre, il secondo livello non fu mai toccato non necessariamente perché collegato al mostro ma perchè si sa, quando si indaga si aprono altri procedimenti.
Per quanto concerne i giovani di Pordenone , credo si debba partire da zero con una mente nuova e fresca; credo che, anche qui, gli inquirenti sconfineranno nella paranoia che potrebbe essere uno dei tratti del killer. La paranoia è tipica del serial Killer che proietta sulle potenziali vittime quegli aspetti che non vuole riconoscere come facenti parte della sua personalità (in sostanza uccidendo le vittime è come se uccidesse parti di sé). Invece, l’identificazione proiettiva è quel meccanismo per cui parti di sé, inaccettabili, vengono proiettate e depositate nell’altro e attraverso l’altro il soggetto recupera una versione modificata di quanto è stato proiettato. Questo meccanismo, dice Mastronardi (2005), è considerato di estrema importanza nel normale sviluppo infantile perché il bambino deposita aspetti di sé che non accetta su un’altra persona prendendo in cambio qualcosa di positivo; nella fattispecie del SK, continua Mastronardi, questo meccanismo è molto usato dal soggetto che subisce abusi da un padre violento e che, per non restare vittima tutta la vita, si identifica con l’aggressore diventando lui stesso carnefice. Alla luce di queste considerazioni, io sono della convinzione che anche chi indaga sui SK, può esserne investito di identificazione proiettiva: chi non è schermato potrebbe riproporre egli stesso meccanismi paranoici, un po’ come è successo negli ultimi 20 anni di indagine sul Mostro di Firenze; gli inquirenti e i giornalisti, infatti, iniziarono ad accusarsi vicendevolmente. Detto ciò, cosa potrebbe accadere tra una ventina di anni se gli inquirenti si accanissero per la risoluzione del caso di Trifone e Teresa? Anche questa come le altre è una provocazione, in ogni caso la loro triste vicenda resta di difficile risoluzione. Lascio al lettore trarre le sue conclusioni, e perché no, aiutarlo a “pensare facile”.  



VINCENZO VERZENI, IL VAMPIRO DI BERGAMO, IL PRIMO SERIAL KILLER DELLA STORIA ITALIANA. L’UOMO CHE VISSE DUE VOLTE

di Cinzia Marchegiani

I gialli di storie maledette di delitti efferati, spesso rimangono solo storie incompiute, legate tra loro dall’acollessoluta mancanza di prove, piste e soprattutto il movente capaci di ipotizzare o di tracciare l’identikit degli autori criminali che rimangono cristallizzati nel mistero e nel tempo. L'espressione "serial killer", in italiano tradotto semplicemente in "assassino seriale", venne usata a partire dagli anni settanta del Novecento,decennio in cui giunsero sotto i riflettori della cronaca, negli Stati Uniti, i primi casi eclatanti, di Ted Bundy, David Berkowit, Dean Corll e Juan Vallejo Corono. La definizione, usata la prima volta dal profiler Robert Ressele, viene assegnata a chi compie due o più omicidi distribuiti in un arco relativamente lungo di tempo, intervallati da periodi di inattività, durante i quali il serial killer conduce una vita sostanzialmente normale.

Lo Strangolatore di donne o meglio definito il "Vampiro di Bergamo", Vincenzo Verzeni è il primo serial killer certificato dalla storia Italiana. La sua inquietante figura fu studiata dal dottor Cesare Lombroso, medico antropologo, nonché criminologo e giurista italiano, a cui viene riconosciuto il merito di aver tentato un primo approccio sistematico allo studio della criminalità, infatti ad alcune delle sue ricerche si ispirarono Sigmund Freud e Carl Gustav Jung. Oggi la sua teoria della psicoanalisi è considerata psicoscientifica dalla scienza moderna la quale ha dimostrato che anche se l’ambiente e i geni influiscono sull’aspetto fisico, quest’ultimo non influenza il comportamento, il quale è determinato solo dalle esperienze cognitive dell’individuo.
Verzeni è il primo giallo italiano documentato e risale nell’anno 1870. Il Serial Killer di due donne è nato a Bottanuco, in provincia di Bergamo nel 1849 in una famiglia di contadini. La sua infanzia sarà segnata dalle condizioni economiche disagiate della famiglia, il padre viene ricordato come un alcolizzato e violento, mentre la madre sofferente di epilessia. All’età di 18 anni comincia a manifestare i primi segni di aggressività, nei confronti della cugina Marianna che aggredisce nel sonno tentando di morderla al collo, la vittima fortunatamente riuscì a fuggire spaventata dalle sue urla. Due anni dopo una contadina, nota come Barbara Bravi, viene aggredita da uno sconosciuto che fugge appena la donna oppone resistenza. La Bravi al momento non fu in grado di identificare l'aggressore ma anni dopo, in seguito all'arresto di Verzeni per due omicidi, la stessa Bravi non escluderà che potesse trattarsi di lui. In quello stesso anno, 1969, altre due aggressioni segneranno quel periodo di sospetti e paure. Verzeni, nell’aggressione a Margehrita Esposito, verrà ferito al volto e successivamente identificato dalla polizia, senza però esserci a suo carico provvedimenti penali.

Lo “Squartatore di donne” così sarà ricordato Verzeni dagli abitanti di Bottanuco. Il suo primo omicidio, compiuto a soli 21 anni, risale all’8 dicembre 1870. La quattordicenne Giovanna Motta, scomparsa nel nulla, mentre si stava recando nel vicino comune di Suisio per visitare alcuni parenti, fu ritrovata morta solo quattro giorni più tardi,il suo cadavere era completamente mutilato: il collo mostrava segni di morsi, le interiora e gli organi genitali sono stati asportati e la carne di un polpaccio è stata strappata. Alcuni spilloni trovati accanto al cadavere fecero ipotizzare che Verzeni (riconosciuto autore del delitto solo tre anni più tardi) praticò il piquerismo,forma di sadomasochismo che ricerca il piacere pugnalando e tagliuzzando un corpo con oggetti affilati, le zone più frequentemente oggetto di questa parafilia sono i genitali, le natiche ed i seni, durante o dopo le sevizie. Il 10 aprile 1871 Maria Galli, una contadina fu importunata dallo stesso Verzeni che lo segnala alla polizia, mentre ad agosto dello stesso anno Angela Previtali sarà la prima vittima a denunciarlo alla polizia, rapita e trattenuta dal Verzeni per alcune ore in una zona disabitata e successivamente liberata dall’uomo per compassione, che aveva cercato di morderla al collo.
Il secondo omicidio viene realizzato nel 1872, Elisabetta Pagnoncelli fu trovata mutilata come la precedente vittima. L’arresto del Vampiro di Bergamo avverrà nel 1873, la sua perizia psichiatrica verrà commissionata al dottor Cesare Lombroso, che lo definirà "un sadico sessuale, vampiro, divoratore di carne umana" e in base alla conformazione del suo cranio e dal suo volto, mandibole e zigomi pronunciati, occhi piccoli, la sua teoria (secondo cui l'origine del comportamento criminale era insita nelle caratteristiche anatomiche del criminale, oggi destituita da ogni fondamento scientifico), diagnosticava gravi forme di cretinismo e necrofilia. In seguito all’arresto avvenuto nel 1873, durante il processo lo stesso Verzeni descrisse i suoi omicidi: «Io ho veramente ucciso quelle donne e ho tentato di strangolare quelle altre, perché provavo in quell'atto un immenso piacere. Le graffiature che si trovarono sulle cosce non erano prodotte con le unghie ma con i denti, perché io, dopo strozzata la morsi e ne succhiai il sangue che era colato, con cui godei moltissimo». Il destino volle che pur essendo giudicato colpevole, scampò dalla condanna a morte grazie al voto contrario di un giurato e gli fu comminato l’ergastolo nel manicomio criminale della Pia Casa della Senavra di Milano oltre ai lavori forzati a vita. Vincenzo Verzeni viene solo da poco ricordato come fu l’uomo che visse due volte. Infatti il mistero del primo killer seriale italiano tinge di giallo la data della sua morte che fu oggetto d’indagine.

Gli infermieri del manicomio criminale di Milano dichiararono che fu trovato morto il 13 aprile 1874, solo dopo un anno della sua detenzione, impiccato nella sua cella, ma i produttori televisivi Mirko Cocco e Michele Pinna, che si occuparono del caso per un servizio televisivo regionale nel 2010, riaprirono il caso. Recandosi a Bottanuco scoprirono che non esisteva più il numero civico presso il quale abitava il Verzeni e all'anagrafe esisteva la copia dell'atto di morte, il nr. 87 che certifica la morte di Vincenzo Verzeni in Bottanuco per cause naturali alle ore 15,35 del 31 dicembre 1918 e non nel 1874. Verzeni sarebbe sopravvissuto al tentativo di suicidio e sarebbe stato trasferito nel carcere di Civitavecchia, lo stesso articolo pubblicato sull'Eco di Bergamo il 3 dicembre 1902 conferma la versione dei due reporter: «La popolazione di Bottanuco è terrorizzata al pensiero che Vincenzo Verzeni, lo squartatore di donne, ha quasi ormai finito l'espiazione della pena, che dall'ergastolo, fu convertita in 30 anni di reclusione. Il lugubre ricordo delle gesta sanguinose del Verzeni è ancora vivo in Bottanuco e nei paesi circostanti.»
L’atto di morte, con il numero 87 del Comune di Bottanuco, certifica che Verzeni morì nel paese natale il 31 dicembre 1918, all’età di 69 anni, per cause naturali.
Il giallo nel giallo, il Vampiro di Bergamo che visse due volte rimane il primo testimone del serial killer italiano, che con la documentazione agli atti segna la nascita della criminologia nel nostro paese.
Al Museo di Arte Criminologica di Roberto Paparella ad Olevano Lomellina nell’esposizione permanente dedicata all’Arte Criminale (raccolta cominciata per gioco più di vent’anni fa divenuta col passare degli anni sempre più seria, varia e numerosa, arricchendosi di pezzi d’arte dello stesso studioso del crimine di Muggiò, che per passione è anche restauratore), vi è anche la mummia di Vincenzo Verzeni, dove in tanti oggetti autentici si mischiano i falsi d’autore. Qui il Vampiro di Bergamo viene ricordato per la sua efferatezza dei delitti e la sua aberrante sete di sangue. 




SERIAL KILLER: LA STORIA DELL'ASSASSINO CHE RIVELAVA IL SUO NOME IN LETTERE MAI DECRIPTATE

di Maurizio Costa

Ci troviamo negli Stati Uniti, nel lontano 1968. Mentre la musica di Elvis fa impazzire le ragazzine e Martin Luther King viene assassinato a Memphis, un serial killer si aggirava nel nord della California. Non era un assassino normale: amava farsi pubblicità. Inviava periodicamente decine di lettere ai giornali della zona per rivelare la sua identità attraverso codici che non sono mai stati decriptati.

Il killer dello Zodiaco: questo era il nome che egli stesso coniò nelle lettere che inviava alle testate giornalistiche. Una delle poche missive tradotte ha rivelato la mente contorta di questo soggetto: "Mi piace uccidere perché è divertente. In Paradiso, le mie vittime diventeranno i miei schiavi." Un pazzo, che però in qualche modo amava la sua notorietà e lo scalpore che fecero i suoi omicidi.

Le vittime accertate per mano di Zodiac sono cinque, ma lui ammette di averne uccise almeno 37. Il suo modo di agire era semplice: fermava le auto in sosta e faceva fuoco. Il suo primo omicidio avvenne il 20 dicembre del 1968; le vittime, David Faraday e Betty Jensen, di 16 e 17 anni, erano al loro primo appuntamento. Zodiac non fece altro che accostarsi alla loro auto e sparare.

L'anno successivo altre due vittime, sempre con lo stesso modo di agire. Il primo agosto del 1969, cominciano a uscire le prime lettere inviate dal serial killer ai giornali locali. Zodiac rivelava il suo nome e i suoi omicidi, ma la parte anagrafica dell'assassino non è mai stata decriptata. "EBEORIETEMETHHPITI", questo era il suo nome in codice.

Il 27 settembre un'altra vittima; questa volta Zodiac si traveste da boia e accoltella due ragazzi che stavano facendo un pic-nic sulle rive di un lago.

La sua pazzia era lampante ma nessuno è mai riuscito a catturare questo assassino californiano. Scriveva poesie sotto le scrivanie delle biblioteche e incideva i particolari dei suoi omicidi sulle fiancate delle automobili delle vittime. Le sue lettere rimangono incomprensibili e la polizia ancora sta cercando l'assassino che amava firmarsi con una celtica.

Anche la fortuna era dalla sua parte. Nel 1969, poco dopo aver ucciso un tassista, il killer dello Zodiaco era spacciato. La polizia era stata avvertita all'istante e lui si trovava a pochi metri dalla scena del crimine. Per puro caso, la polizia si convince che il killer sia nero, mentre Zodiac è un uomo bianco. Questo fa fallire tutte le strategie investigative. Nei momenti concitati dopo l'assassinio, la polizia ferma un uomo bianco, lo stesso Zodiac, ma pensando che l'assassino fosse nero, lo lasciano andare indisturbato. Ancora una volta salvo.

Il mistero è ancora aperto e le lettere sono alla portata di tutti. Chissà se più di quarant'anni dopo si riuscirà a scoprire chi è il Killer dello Zodiaco.