ROMA, IL GIALLO SUI BENI CONFISCATI ALLA MAFIA: CHE FINE FANNO I SOLDI DEL NUOVO CINEMA AQUILA? L'INCHIESTA DE L'OSSERVATORE D'ITALIA

di Maurizio Costa

Roma – Continua la nostra inchiesta sul "Nuovo Cinema Aquila", immobile espropriato alla mafia, ristrutturato dal Comune di Roma e affidato al "Consorzio Sol.Co. Solidarietà e Cooperazione". Perchè ci soffermiamo su questo caso? Perché c'è un puzzle con dei pezzi che proprio non si incastrano. Per legge (n°109/1996), tutti i beni sottratti alla criminalità organizzata vengono "trasferiti al patrimonio del Comune […] per finalità istituzionali o sociali" quindi per crearci uffici comunali, caserme dei vigili o strutture per i cittadini; nel nostro caso, però, il bene non sembrerebbe avere nessuna finalità sociale. Inoltre, la legge stabilisce che: "Il Comune può amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione a titolo gratuito a comunità, ad enti, ad organizzazioni di volontariato, […] a cooperative sociali." Nel nostro caso il Comune ha espropriato il bene, lo ha ristrutturato, spendendo 2 milioni di euro, e, secondo la legge, lo ha affidato, dopo un bando pubblico del 2004, ad un Consorzio di Cooperative. Questo Consorzio, rappresentato in prima persona dal signor Mario Monge, lo ha concesso alla "Cooperativa Sociale Sol. Co. Roma". Vediamo quanto "sociale" è questa cooperativa. Il cinema è a tutti gli effetti un meccanismo che macina introiti: trasmette film di ultima uscita e prime visioni e non attività consone ad una cooperativa che aiuta le persone disagiate, i tossicodipendenti o gli ex carcerati, come avviene in altri contesti. Dunque, che cooperativa sociale è?

Eppure, il bando che ha assegnato l'impresa del "Nuovo Cinema Aquila" al Consorzio Sol. Co., stabilisce una sorta di finalità sociale, che, però, sembra non calzare e stride rispetto al contesto di fatto. Leggiamo dal bando: "L'immobile dovrà essere gestito per l'attuazione di un programma culturale finalizzato alle attività per la Cinematografia". Inoltre si dovrà "tenere conto della composizione multietnica del quartiere, favorire l'aggregazione sociale e stabilire opportunità di lavoro per persone svantaggiate." Sappiamo bene che qualsiasi cinema del mondo potrebbe soddisfare queste richieste e ci sembra molto strano che una cooperativa sociale gestisca un cinema che, detta senza preamboli, frutta tantissimi soldi. I beni espropriati alla mafia dovrebbero essere usati per case popolari, affidati a cooperative sociali che, invece di proiettare film, aiutano i malati, i bambini bisognosi, i tossicodipendenti o le persone anziane.

Abbiamo provato ad incontrarci con il Presidente del Consorzio, Mario Monge, che però non si è presentato all'appuntamento, scaricando le responsabilità al Presidente della Cooperativa sociale che gestisce il cinema, non ricordandosi forse che quest'ultima è un sottoinsieme dello stesso Consorzio di Monge. Siamo riusciti comunque ad intercettare telefonicamente Monge che non è stato molto chiaro.

Dove vanno a finire i soldi che incassate con il cinema?
"Sa, il cinema ha molti costi di gestione: personale, struttura e produzioni…"

Non le sembra strano che una cooperativa sociale gestisca un cinema?
"Il Comune di Roma ha redatto un bando per affidare la struttura e noi lo abbiamo vinto. Il bando era aperto a tutti, anche ai privati, ed è stato un caso che lo abbia vinto un Consorzio di cooperative."

A questo punto Monge non ha più voluto rilasciare dichiarazioni, ma il Presidente sembra fornire informazioni piuttosto confusionali. Il bando, infatti, era destinato solamente ed esclusivamente a Cooperative sociali.

Abbiamo anche intervistato una cassiera del cinema che ha detto che: "Il Consorzio Sol. Co. partecipa ai vari bandi che il Comune stabilisce e, una volta vinto, piazza nella struttura una cooperativa sociale che lo gestisce." Una dinamica infallibile per tirare su bei spiccioli, verrebbe da dire; anche perché questo immobile è stato dato alla Sol. Co. a titolo gratuito dal Comune di Roma.

Continueremo la nostra inchiesta sperando di fare luce su questa situazione.

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di Maurizio Costa

Roma – I beni immobili espropriati alla mafia sono un patrimonio importante per la collettività. Sembra un paradosso ma questi averi, una volta sottratti alle mani delle organizzazioni mafiose, vengono riutilizzati per la società, affidandoli a delle associazioni che, a titolo gratuito, fanno partire le loro attività di volontariato all’interno di queste strutture. Di solito si cerca di dare una continuità “al contrario” al bene espropriato: per esempio si costituiscono delle comunità per tossicodipendenti in strutture che precedentemente venivano usate per spacciare la droga. Confiscare questi immobili vuol dire dare uno schiaffo alle mafie, facendogli capire che non solo le istituzioni, in questo caso il Comune di Roma, riutilizza il bene ma lo fa anche per aiutare la collettività.

La nostra inchiesta sui beni espropriati alla mafia prosegue con il caso del “Nuovo Cinema Aquila” di Roma. [ Articolo precedente 08/01/2014 ROMA, BENI, MAFIA E BUSINESS: DOVE VANNO A FINIRE I BENI CONFISCATI ALLA MAFIA? ]

Costruita nel dopoguerra, questa struttura è entrata a far parte del giro della Banda della Magliana intorno agli anni ’70. La banda lo fa diventare un cinema a luci rosse e ben presto tutta la comunità del Pigneto si lamenta di questa situazione di degrado. Successivamente, il cinema viene abbandonato dall’organizzazione mafiosa e finalmente, nel 2004, il Comune di Roma espropria il bene.

La legge che permette ai Comuni di espropriare beni alla mafia è la numero 109 del 1996. Questo testo stabilisce che: “I beni immobili [confiscati] sono trasferiti al patrimonio del Comune ove l’immobile è sito, per finalità istituzionali o sociali. Il Comune può amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione a titolo gratuito a comunità, ad enti, ad organizzazioni di volontariato […], a cooperative sociali […] o a comunità terapeutiche […].” In poche parole, il Comune può utilizzare il bene per farci degli uffici comunali, delle caserme di polizia, degli archivi o degli alloggiamenti popolari, oppure affidare il bene a titolo gratuito a cooperative che perseguono fini sociali.

Adesso che conosciamo la legge, torniamo al nostro cinema. Il Comune di Roma, dal 2004 al 2008, investe 2 milioni di euro per ristrutturare il cinema: le sale passano da una a tre, vengono costruite vetrate, ascensori e lamiere d’acciaio per abbellire il nuovo cinema. L’opera diventa bellissima e si prospetta un successone.

A questo punto, come stabilisce la legge, il Comune emana un bando per affidare il “Nuovo Cinema Aquila” per finalità sociali. Fino ad ora le cosiddette “finalità sociali” non si vedono e il cinema sembra solo una macchina per fare soldi.

Tornando al bando, il Comune formula questo avviso pubblico, destinato solamente alle cooperative sociali, per affidare la gestione dell’attività; qualsiasi cooperativa vincitrice del bando avrebbe dovuto svolgere un “programma culturale ed educativo al cinema con finalità sociali, favorire l’aggregazione sociale del quartiere anche attraverso progetti di educazione alla legalità, favorendo l’integrazione sociale del quartiere e offrendo opportunità di lavoro a persone svantaggiate.”

Il bando viene vinto dal “Consorzio SOL.CO. Solidarietà e Cooperazione”, che affida la gestione alla cooperativa sociale “Sol.Co. Roma”.

Attualmente il “Nuovo Cinema Aquila” è un normalissimo cinema che proietta tutti i generi di film. La domanda sorge spontanea: quale scopo sociale persegue questa attività?

Quella di aggregatore sociale? Sappiamo benissimo che basterebbe un bar per riunire i giovani di un quartiere. Il programma educativo che dovrebbe svolgere il cinema non sembra esserci, dato che i programmi sociali sono ben pochi e quei pochi che ci sono non sono per niente gratis. Non stiamo accusando nessuno, è tutto a norma di legge, ma ci sembra assurdo che una cooperativa sociale guadagni tantissimi soldi dalla vendita dei biglietti mentre ci sono famiglie che non hanno una casa in cui stare o associazioni che aiutano bambini e tossicodipendenti che non hanno strutture adeguate per svolgere il loro lavoro.

Nei prossimi giorni sentiremo i Presidenti delle cooperative, sperando in risposte concrete e precise. La situazione è a norma di legge, lo ripetiamo, ma utilizzare un bene espropriato per fatturare tantissimi soldi fa storcere un po’ il naso.

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