CANALE MONTERANO: SINDACO, TECNICI E CONSIGLIERI INDAGATI PER REATI IN MATERIA DI URBANISTICA E LAVORI PUBBLICI

 

Ad ottobre del 2012 il nostro giornale L'osservatore d'Italia si è fatto promotore di una petizione volta a tutelare la salvaguardia della Riserva: "Viva la Riserva di Canale Monterano"

di Chiara Rai

Canale Monterano (RM) – Bufera sul sindaco di Canale Monterano Angelo Stefani e otto tra tecnici e consiglieri del Comune del territorio braccianese, indagati con l’accusa di presunti reati contro la pubblica amministrazione in tema di Urbanistica e Lavori pubblici. Sembrerebbe che tra i reati contestati ci sia omissione, abuso e falso nell'esercizio di Pubblici Uffici. Intorno alle 4 del mattino di lunedì è stato sequestrato l'intero archivio delle pratiche urbanistiche del Comune, oltre ai permessi di costruire e sanatorie dall’anno 2012 ad oggi. In sostanza ci sarebbero svariati procedimenti relativi a permessi di costruire e sanatorie approvati sulla base di atti amministrativi ritenuti illegittimi, deliberati dall'attuale amministrazione comunale.

Ci sarebbero stati anche atti volti a consentire l’urbanizzazione in zone vincolate e protette quali la Riserva di Canale Monterano. Le indagini, coordinate dalla Procura di Civitavecchia, sono condotte dalla Guardia Forestale, Comando Provinciale di Roma coadiuvato dai Comandi Provinciali di Viterbo e Rieti.

Numerose le sedute di Consiglio Comunale “calde” sul tema della Riserva in cui sostanzialmente la maggioranza ha tentato di limitare il più possibile i vincoli che ricadono nell’area protetta. Ciononostante la Regione Lazio abbia invitato l’amministrazione di Canale Monterano a recedere dalle delibere prese in tema di urbanistica e territorio a causa di vari profili di illegittimità rilevati. Sia la Regione che la Provincia di Roma e persino il Ministero dell’Ambiente hanno indicato procedure in materia di urbanistica e pianificazione diverse rispetto la linea intrapresa dall’amministrazione di Canale Monterano, censurandone atti deliberativi e chiedendone la revoca perché illegittimi e privi di valore giuridico. E adesso il Comune potrebbe essere addirittura commissariato data la gravità dell’inchiesta giudiziaria che si sarebbe estesa anche al Comune di Ladispoli oggetto, anche quest’ultima sede, di sequestro di atti relativi ad una edificazione.

Ad ottobre del 2012 il nostro giornale L'osservatore d'Italia si è fatto promotore di una petizione volta a tutelare la salvaguardia della Riserva: "Viva la Riserva di Canale Monterano"

 

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CANALE MONTERANO, RISERVA: SE IL COMUNE NON OTTEMPERA POTREBBE ESSERE COMMISSARIATA L’AREA PROTETTA

Alberto De Marchis

Canale Monterano (RM) – La riserva di Canale Monterano potrebbe essere commissariata?  Una ipotesi non lontana dalla realtà dei fatti.

Quando la Regione dice che bisogna revocare una delibera e lo fa con insistenza e un’amministrazione fa conto come se non esistesse l’Ente sovracomunale, allora il rischio è di perdere tutto.

Di perdere cioè controllo e gestione del proprio territorio. Questo è il rischio che corre il sindaco di Canale Monterano se non revoca la delibera 37 che non è altro che una delibera che permetterebbe di costruire in parte dell’area protetta.

Oggi 31 luglio si terrà un importante Consiglio comunale e puntuale giunge un’altra nota della Regione Lazio.  [ CLICCARE QUI PER LEGGERE LA NOTA DELLA REGIONE LAZIO ]

Con nota n. 282174 del 22.07.13 la Direzione Ambiente della Regione scrive al Sindaco di Canale Monterano ribadendo con fermezza i precedenti pareri emessi. 

Quello di dicembre del 2012 in cui si dichiarava illegittima e priva di valore giuridico la variante urbanistica introdotta con la delibera n. 37/2012 e quello di marzo 2013 in cui la Regione ribadiva che la perimetrazione della Riserva Monterano è solo quella allegata alla sua delibera istitutiva.

La Regione quindi "rinnova l'invito al Comune di Canale Monterano a provvedere" a revocare la delibera n. 37 al fine così di evitare l'adozione di atti conseguenti ed evitare inoltre l'attivazione dei poteri sostitutivi della Regione secondo l'art. 4 comma 8 della legge istitutiva dell’area protetta, che recita: “in caso di persistente […] violazione della presente legge o delle direttive regionali, la gestione della riserva parziale naturale sarà curata, in via provvisoria, dalla Giunta regionale tramite un commissario  "ad acta ".

Un’importante nota questa della Regione Lazio che viene prodotta a ridosso di un Consiglio comunale che si svolgerà oggi a Canale alle ore 17.00, che segna un'altra tappa della ormai lunga vicenda che coinvolge diversi uffici regionale e l’amministrazione comunale.

A rischio ora è la gestione della Riserva Monterano di cui il presidente è il Sindaco Angelo Stefani, che per effetto della sua politica urbanistica che ne altera i regimi di salvaguardia, può passare alla Regione.

 

Intanto arriva la nota della CGIL che non resta in silenzio e  commenta così l'operato dell'amministrazione Stefani:

NEBBIA A CANALE MONTERANO

Si faccia chiarezza su ruoli e competenze nel rispetto della legalità e della buona amministrazione

Ancorché le stagioni non seguano più l’alternarsi naturale al quale eravamo abituati, vero è che a Canale Monterano la stagione delle nebbie, iniziata nel maggio 2011 con l’insediamento dell’attuale Amministrazione guidata dal Sindaco Stefani , ad oggi non sembra terminare.

Una nebbia che ha avvolto anche l’importante Riserva Naturale Monterano ed in particolare i suoi terreni, oggetto di un notevole interesse del Sindaco che è arrivato ad avocare a sé il ruolo di Responsabile del servizio Urbanistica, firmando addirittura autorizzazioni a costruire, permessi di costruzione in sanatoria e autorizzazioni per vincoli idrogeologici.

Suscita perplessità come il Sindaco abbia revocato dall’incarico nell’Area Urbanistica prima il tecnico presente già nell’organico e, successivamente, anche quello incaricato direttamente da lui (tra l’altro con aggravio di spese per la comunità) che non è stato ritenuto in grado (prova ne sono gli atti revocati direttamente dal Sindaco) di poter adempiere alle procedure riguardanti la materia Urbanistica. Evidentemente anche quest’ultimo è colpevole di aver considerato degne di attenzione le note inviate dalla Regione Lazio nella quali si rilevano forti dubbi, anche in ordine alla liceità, sugli atti prodotti dell’Amministrazione Stefani in tema di Piano Regolatore e sui territori della Riserva.

Così, con l’aiuto di altri tecnici che svolgono il loro incarico a titolo gratuito- ci chiediamo quanto sia lecito farlo- l’Amministrazione va avanti in completa solitudine ignorando le importanti comunicazioni della Regione ribadite in modo forte e categorico anche in queste ultime ore. Ciò malgrado il 31 luglio è stato convocato il Consiglio Comunale con all’ordine del giorno oltre le questioni dei terreni della Riserva anche il personale impiegato nella stessa.

Non è un caso se si registra un clima pessimo tra i dipendenti del Comune di Canale Monterano, dovuto alla forte ingerenza politica nella gestione Amministrativa dell’Ente. Ad oggi si assiste al tentativo di ridimensionare le lavorartici e i lavoratori della Riserva Naturale Monterano con la possibile conseguenza di un minore controllo del territorio

Evidentemente sfugge all’energico Amministratore che i lavoratori della Riserva non sono dipendenti del Comune bensì della Regione Lazio e che lui non è deputato alla definizione della dotazione organica degli altri Enti pubblici del territorio.

Sarebbe opportuno che gli sforzi fossero proiettati a mettere un po’ più di attenzione alla questioni interne al Comune e che rischiano di provocare gravi danni all’utenza.

La F.P. CGIL non starà a guardare e farà tutto ciò che è nelle sue facoltà per tutelare le lavoratrici e i lavoratori coinvolti e le esigenze dell’utenza che merita una migliore gestione della macchina amministrativa.

Ci auguriamo un’inversione di rotta del Sindaco Stefani e della sua Amministrazione e che trasparenza, correttezza nei diversi ruoli e competenze caratterizzino il futuro di Canale Monterano e della sua riserva.

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CANALE MONTERANO COME TERRITORIO DA VALORIZZARE E COME OSSERVATORIO SPERIMENTALE.

Daniele Natili

Canale Monterano (RM) – La scorsa domenica 10 marzo 2013 vi è stata una visita al territorio di Canale Monterano da parte del Gruppo Operativo dell’Associazione A.PRO.D.U.C. (Associazione per la Tutela delle Proprietà Collettive e dei Diritti di Uso Civico. Notizie nel sito web della stessa: http://www.demaniocivico.it/).

L’A.PRO.D.U.C. ha sede in Roma e fu costituita nel 1989 – sull’onda emotiva provocata dalla scomparsa del grande avvocato demanialista Giudo Cervati – da un gruppo di studiosi, giuristi ed avvocati appassionati delle questioni ambientali e della materia relativa agli usi ed ai demani civici.
Il Gruppo Operativo A.PRO.D.U.C., di cui io stesso faccio parte, sta lavorando alla mappatura dei demani civici italiani, vuole cioè contribuire ad un censimento delle proprietà collettive ancora esistenti nel nostro paese. In questo ambito, tale gruppo di giovani studiosi, cultori e docenti universitari di diverse discipline (storia medievale, economia, architettura ed urbanistica, diritto agrario, diritto degli usi civici) vuole promuovere un progetto pilota, che possa fare cioè da modello per altre simili iniziative, di valorizzazione economica (in modo sostenibile) di una proprietà collettiva. Ciò è di particolare interesse, se si considera l’attuale momento storico di crisi globale delle economie e l’aggressione sempre maggiore che subisce il suolo italiano a causa, soprattutto, della cementificazione.
Il progetto pilota vorrebbe proporre un modello di sviluppo economico che guardi al futuro e, allo stesso tempo, alla nostra tradizione: ossia l’Italia come antica terra di usi civici, dove il feudalesimo ha lasciato in eredità non soltanto scomodi relitti di un passato da superare, come i particolarismi ed i privilegi, ma anche un modello di sfruttamento collettivo della terra. Le popolazioni della Penisola vivevano, infatti, lavorando collettivamente la terra del feudo e soddisfacevano alle esigenze dei singoli nuclei familiari valorizzando le utilità che la natura circostante offriva loro: semina, legnatico, pascolo, pesca, caccia, raccolta dei funghi, il cipollatico, ecc., senza qui completare il lungo elenco dei singoli usi civici, che altro non sono se non forme tipiche di utilizzazione dei beni offerti dalla terra ad una collettività di abitanti. Un modello che si è rivelato un nostro patrimonio storico-culturale, una realtà nascosta nella società rurale, un mondo imbarazzante per la cultura politica e giuridica ufficiale, una consuetudine strisciante e radicata nelle comunità locali e, soprattutto, l’unica esperienza millenaria che abbia dimostrato, nelle società umane, effettiva capacità di economia sostenibile e conservazione dell’ambiente.
Gli usi civici delle popolazioni italiane sono la prova, ancora viva, di “un altro modo di possedere”, come ebbe a dire Carlo Cattaneo e come ha ribadito Paolo Grossi, insigne storico del diritto e giudice della Corte Costituzionle, in un libro celeberrimo del 1977 che dalle parole del Cattaneo ha tratto il titolo.

La visita a Canale Monterano del 10 marzo si è svolta nell’ambito dell’attività che il Gruppo A.PRO.D.U.C. sta portando avanti per realizzare tale progetto pilota. La visita ha avuto ad oggetto la tenuta ‘Pergugliano’, proprietà collettiva gestita dall’Università Agraria, e la Riserva Naturale regionale “Monterano”, con le suggestive rovine dell’omonimo borgo di origine etrusca. Alla giornata erano presenti, fra gli altri, l’Avv. Maria Athena Lorizio, Segretario generale A.PRO.D.U.C. e specialista di diritto degli usi civici, e Gaia Pallottino, ex Segretario generale di “Italia Nostra” e socio fondatore di A.PRO.D.U.C.; a ricevere il gruppo erano presenti il Sindaco di Canale Monterano, Angelo Stefani, e la locale Università Agraria, nella persona del suo Presidente, Belisario Gentili, e dei Consiglieri Giovanni D’Aiuto e Fulvio Magagnini.

La Riserva Naturale “Monterano” ha messo a disposizione il suo personale per le informazioni relative all’istituzione, alle finalità e alle specie animali e vegetali dell’area protetta; l’Archeologa Flavia Marani in rappresentanza della Cooperativa Sociale Lympha – una cooperativa che ha sede a Canale Monterano e che si occupa di visite guidate nei luoghi di interesse storico e naturistico del Lazio – ha guidato il gruppo in un percorso esplicativo degli aspetti archeologici e storico-artistici dell’antico abitato di Monterano. La visita si è conclusa con un piccolo rinfresco, finanziato esclusivamente con donazioni spontanee di alcuni cittadini di Canale Monterano che qui ringrazio; il rinfresco si è tenuto nei locali (c.d. “Granaroni”) messi a disposizione dall’Università Agraria.
Mi auguro vivamente che questa bella giornata possa portare dei frutti concreti, magari una collaborazione fra le autorità di Canale Monterano e A.PRO.D.U.C. in vista dell’interessante progetto pilota da me ricordato. Ciò è importante sotto diversi profili, che trascendono l’ambito del comune di Canale Monterano.

CHE COSA SONO GLI USI CIVICI E LE PROPRIETÀ COLLETTIVE

Dobbiamo innanzi tutto ricordare che per “usi civici” si intendono fenomeni molto diversi fra loro. In senso lato, vi sono usi civici ovunque ciascun membro di una collettività determinata abbia diritto di raccogliere legna o funghi o altro, di esercitare il pascolo, di pescare, ecc. (gli usi civici sono tipici); se la popolazione, attraverso i singoli individui, ha tali diritti su terra di proprietà privata (come se questa fosse gravata da servitù a favore della popolazione), ci troviamo di fronte agli usi civici in senso stretto. Se, invece, una comunità di abitanti esercita tali diritti (funzionali alle esigenze dei nuclei familiari che la compongono) in un comprensorio terriero che appartiene alla comunità stessa, allora siamo di fronte ad una proprietà collettiva o demanio civico in senso stretto.

Come si sono formati i diritti di uso civico e le proprietà collettive? Le origini sono molto discusse fra gli studiosi, ma possiamo tenere per certo che in epoca medievale erano consolidate presso le popolazioni forme di godimento comune della terra del feudo del tutto lontane dal moderno modello della proprietà privata. Nascevano regole e si sviluppavano consuetudini concernenti l’utilizzazione collettiva dei fondi, in un mondo nel quale ciascuna comunità di abitanti era parte integrante di un territorio affidato per investitura ad un feudatario. L’investitura feudale implicava, cioè, il riconoscimento in capo agli abitanti del feudo della possibilità di soddisfare alle esigenze della loro sopravvivenza nel territorio dove vivevano.  E questa possibilità si poteva esplicare in due modi: o esercitandola in generale nel feudo (e da questa situazione hanno origine gli usi civici in senso stretto), oppure sfruttando collettivamente una parte soltanto del territorio, che era stata appositamente concessa dal signore alla popolazione e che in tal modo acquisiva un vincolo di esclusiva destinazione ai bisogni essenziali degli abitanti o cives (e così nascevano le prime proprietà collettive). Ad esempio, nonostante si tratti di un episodio successivo all’età medievale, la prima proprietà collettiva di Canale Monterano nacque nel novembre del 1578, quando il duca di Bracciano Paolo Giordano I Orsini concesse ai Monteranesi la tenuta Bandita affinché costoro la usassero per raccogliervi la legna.
Ad ogni modo, il nostro paese, l’Italia, da Nord a Sud ha visto svilupparsi nel corso della sua storia una congerie infinita di queste situazioni possessorie collettive, estranee al modello napoleonico di ‘proprietà privata’. Tali situazioni possessorie devono intendersi non semplicemente come esperienze di economia comunitaria, ma soprattutto come l’espressione più immediata delle diverse tradizioni, culture e autonomie locali. Il vincolo di destinazione alle esigenze della popolazione che caratterizza le proprietà collettive; le regole e gli statuti con i quali l’uso collettivo della terra viene variamente disciplinato; e le diverse forme organizzative che nel corso dei secoli le popolazioni si sono date per gestire i loro patrimoni territoriali (si ha, così, un elenco ricchissimo di comunità organizzate per lo sfruttamento collettivo della terra: pensiamo alle Regole del Cadore e delle altre comunità dell’arco alpino, alle Partecipanze emiliane, alle Società di antichi originari della Lombardia ed alle Associazioni agrarie del Centro-Italia, per fare solo degli esempi) sono i principali aspetti di un fenomeno tanto importante quanto poco conosciuto del localismo italiano: la presenza secolare dei demani civici nel tessuto delle territorio nazionale.
Questo immenso patrimonio fondiario e culturale ha resistito agli attacchi della Rivoluzione Francese e, più in generale, della modernità. Con la Rivoluzione Francese gli usi civici furono visti come un relitto storico, un residuato del feudalesimo che si voleva abbattere. Non si comprese che, in realtà, quel modo di possedere era ben più che un’antiquata sopravvivenza di esperienze medievali; era, infatti, un modo di rapportarsi alla terra connaturato da sempre alla vocazione dell’uomo a vivere in società. In Italia, agli inizi dell’Ottocento, cominciò un percorso legislativo travagliato che ancor oggi non può dirsi conluso.
Nei diversi stati preunitari comparvero le c.d. leggi eversive della feudalità, vale a dire – con estrema semplificazione – normative che tendevano, con procedimenti di liquidazione, ad abolire gli usi civici ed a trasformare in proprietà privata (che l’ideologia borghese riteneva più funzionale ad un’economia moderna) i demani civici. Negli anni successivi all’Unità d’Italia, tuttavia, di fronte ai gravi problemi che il nuovo stato doveva affrontare, vi furono alcune coscienze illuminate nella classe dirigente e nelle forze politiche parlamentari. Vi fu chi, finalmente, si rese conto che tutto l’universo dei modi comunitari di possedere la terra rappresentava non un relitto feudale, ma un fenomeno millenario attraverso il quale le popolazioni avevano dimostrato capacità di svilupparsi e di far vivere la terra con un uso naturale e sostenibile, cioè conservandola e senza alterarne i caratteri morfologici e ambientali.
Insomma, per la prima volta ci si rendeva conto che i diritti di uso civico e le proprietà collettive erano ‘beni comuni’, essenziali alle esigenze delle comunità ivi abitanti. Ne risultarono due leggi specificamente dedicate agli usi civici delle ex Province dello Stato Pontificio: la L. 24 giugno 1888 n. 5489, che seppur trattando della Abolizione delle servitù di pascolo, di seminare […] nelle ex Province Pontificie e quindi apparentemente finalizzata ad abolire gli usi civici nei territori da ultimo acquisiti dallo stato unitario, in realtà conteneva norme che consentivano alle popolazioni di comprare i possedimenti privati gravati di usi civici, ove questi fossero di estensione tale da risultare essenziali per la sopravvivenza delle stesse (c.d. liquidazione invertita di latifondi e feudi). Ad esempio, gli agricoltori ed allevatori di Canale Monterano, nel 1919-1920, grazie a questa legge acquistarono in forma associata l’intero feudo Altieri, cioè la maggior parte dell’attuale territorio comunale; e la L. 4 agosto 1894 n. 397 (Ordinamento dei domini collettivi nelle Province dell’ex Stato Pontificio), che costituiva in Associazioni Agrarie con personalità giuridica (dando origine formale alle attuali Università Agrarie del Lazio) le comunità di agricoltori titolari di porprietà collettive, al fine di permettere che avessero una organizzazione per la gestione dei beni comuni. In sostanza, il parlamento di fine Ottocento riconosceva la realtà ed il valore di queste forme alternative di proprietà. Il Legislatore fascista non vide di buon occhio un fenomeno come quello delle proprietà collettive, in quanto espressioni di libertà, pluralismo ed autonomia e, pertanto, intervenne con la L. 1766/1927 di riordino di tutta la materia. Questa legge è ancor oggi la legge generale sugli usi civici. Essa prevedeva, in primo luogo, le completa liquidazione dei diritti di uso civico gravanti sui terreni privati (ai proprietari si dava il diritto potestativo di affrancare il proprio terreno dalle servitù civiche, pagando un canone agli enti – Comune, Frazione, Associazione agraria – rappresentativi delle comunità di abitanti beneficiarie dei suddetti diritti). Istituiva, poi, procedure di accertamento e verifica degli usi civici e delle proprietà collettive, istituendo i Commissari regionali agli usi civici quali organi responsabili delle relative funzioni amministrative e della soluzione delle eventuali controversie giurisdizionali. Tutte le proprietà collettive italiane, espressioni di gruppi sociali e assetti fondiari fra loro a volte profondamenti diversi, venivano assimilate all’unico modello dei demani comunali del Meridione (attraverso la previsione dell’art. 26 della legge stessa, dove è fissato il principio della necessaria apertura dei beni di usi civico di una Associazione agraria a tutti i cittadini del Comune). Per tali proprietà si prevedeva un procedimento amministrativo di assegazione delle terre a categoria. Le terre comuni assegnate a categoria A (boschi e pascoli permanenti) ottenevano un vincolo di assoluta inalienabilità, imprescrittibilità e indivisibilità (in quanto destinate ad una finalità economica non modificabile) ed erano affidate alle organizzazioni che già le gestivano (Comuni, Università ed Associazioni Agrarie, Regole, Partecipanze, ecc.) in nome e per conto delle popolazioni; quelle assegnate a categoria B (terre di prevalente vocazione agricola) erano destinate alla c.d. quotizzazione, cioè ad essere ripartite fra i coltivatori del luogo, con preferenza per quelli meno abbienti, per essere da questi utilizzati per la coltura agraria. In pratica, con la quotizzazione delle terre di categoria B accadeva che una parte rilevante dei domini collettivi veniva ad essere sottratta alle popolazioni che le possedevano (a volte anche da secoli) per essere assegnata in proprietà privata. La legge generale del 1927 è una legge rigorosa ma compie una scelta consapevole di preferenza per lo sfruttamento individuale della terra piuttosto che per il modello collettivo. E le popolazioni reagirono immediatamente. Infatti, già nel 1928, con il regolamento di attuazione (R.D. 332/1928) della legge generale sugli usi civici, si riconosceva alle Associazioni agrarie composte di determinate famiglie (cioè le collettività chiuse, unite da vincoli di sangue o ‘vincoli agnatizi’, non identificabili con l’intera popolazione di un comune; si trattò, in concreto, delle Partecipanze emiliane), che avessero apportato “sostanziali e permanenti miglioramenti” (art. 65 R.D. 332/1928) alle loro proprietà collettive, di non veder applicate a queste ultime le norme della legge generale del 1927 relative alla quotizzazione delle terre di categoria B. Ciò significava che i demani civici delle Partecipanze emiliane venivano sottratti alla ‘privatizzazione’ consentita dalla legge generale per le terre a vocazione agricola. A partire da allora, si cominciò a distinguere fra proprietà collettive ‘aperte’ a tutta la popolazione di un comune, per le quali la L. 1766/1927 aveva piena applicazione, e proprietà collettive ‘chiuse’, ossie appartenenti a gruppi ristretti di famiglie, che del godimento collettivo della terra facevano la loro ragione di vita e pertanto non dovevano vedersi sottratta tale terra con quotizzazioni a vantaggio di singoli individui.

LE TRE LEGGI SULLA MONTAGNA E L’ART. 3 DELLA L. 97/1994 (3A LEGGE SULLA MONTAGNA)

Iniziò un lungo percorso di legislazione e giurisprudenza, attraverso il quale molte comunità – specialmente quelle dell’arco alpino – si sono viste riconoscere il loro statuto giuridico di collettività chiuse, gelose delle proprie tradizioni, della propria autonomia e delle proprie consuetudini; per le quali è oggi inammissibile la privatizzazione del territorio ove si svolge la loro vita e la loro economia comunitaria; un territorio da considerare ‘bene comune’ indivisibile ed inalienabile, portatore, fra l’altro, di valori costituzionali di primissimo rango, come i diritti della persona di cui all’art. 2 Cost., la libertà di associazione, la tutela dell’ambiente e del paesaggio, il rispetto delle autonomie locali, la protezione dei beni culturali.
Tale percorso può essere sinteticamente descritto come un processo di progressiva estensione dello speciale regime delle proprietà collettive chiuse a un numero sempre maggiore di comunità locali, che così hanno visto protetta l’integrità del loro patrimonio fondiario collettivo. Vi sono state tre tappe fondamentali con le tre successive leggi sulla montagna: L. 991/1952, L. 1102/1971 e L. 97/1994.
In particolare, l’art. 34 della legge del 1952 stabilisce che le comunioni familiari nei territori montani – quindi le collettività chiuse di tali aree – “continuano a godere e ad amministrare il loro beni in conformità dei rispettivi statuti e consuetudini riconosciuti dal diritto anteriore”, riconoscendosi pertanto la loro autonomia ed il loro diritto a continuare a vivere conformemente alla loro tradizione storica di comunità locali che godono e amministrano il proprio territorio in forma collettiva. Per queste comunità, la legge generale del 1927 non può trovare applicazione.
L’art. 10 della 2a legge del 1971 ha sottratto alla privatizzazione delle terre collettive molte realtà del Settentrione; esso ha rinnovato la citata disciplina del 1952, escludendo espressamente dall’applicazione della legge del 1927 “le regole ampezzane di Cortina d’Ampezzo, quelle del Comelico, le società di antichi originari della Lombardia, le servitù della Val Canale”.
Infine, l’art. 3 della L. 97/1994 (Nuove disposizioni sulle zone montane; c.d. 3a legge sulla Montagna) è quello più importante. Esso attribuisce alle Regioni il compito di riordinare la disciplina delle comunioni familiari montane secondo il principio della personalità giuridica di diritto privato. Quel che più interessa, è che nella nozione di ‘comunioni familiari montane’ vengono espressamente fatte rientrare le Associazioni agrarie delle ex Province Pontificie. Ciò significa che con la terza legge sulla montagna anche le Università Agrarie del Lazio, come enti esponenziali delle collettività titolari dei demani civici della regione, si verrebbero a trasformare da enti assimilabili agli enti pubblici non economici (come stabilito dalla prevalente giurisprudenza) in semplici associazioni di diritto privato, sebbene dotate di personalità giuridica. La terza legge sulla montagna ha voluto con ciò riconoscere nelle Associazioni agrarie del Lazio la struttura di comunità chiuse, valorizzandole come istituzioni che incarnano le “formazioni sociali” nelle quali l’uomo esercita i propri diritti inviolabili secondo il dettato dell’art. 2 della Costituzione.
L’art. 3 L. 97/1994 prevede una sorta di ‘delega’ legislativa alle Regioni per il riordino della disciplina delle comunità agrarie titolari di proprietà collettive di tipo chiuso e detta i principi fondamentali ai quali le Regioni stesse dovranno attenersi. Oltre al principio della personalità di diritto privato prescritta per tali enti (come modello organizzativo più consono alla natura di collettività chiuse, composte da gruppi di famiglie legate da vincoli di sangue e dal godimento in comune di una terra) e ferma restando la loro autonomia statutaria, la norma statale incarica le Regioni, in particolare: 1) a disciplinare meccanismi per conservare l’originaria consistenza delle proprietà collettive, nel caso in cui una parte di queste terre venisse destinata ad usi diversi da quello agro-silvo-pastorale. Se, per esempio, la Regione autorizza l’ente locale a destinare una porzione della terra collettiva ad uso edificatorio, ciò deve accadere a condizione che la terra sottratta alla proprietà collettiva venga sostituita con l’acquisto di altra terra; 2) a predisporre le garanzie di partecipazione dei membri dell’originaria comunione familiare alla gestione comune della proprietà collettiva. Si vuole, pertanto, che alla gestione dei beni comuni siano coinvolte le collettività proprietarie; 3) a prevedere forme specifiche di pubblicità dei patrimoni collettivi, cioè a far in modo che si abbia una sorta di censimento-registro delle proprietà collettive regionali; 4) a disciplnare meccanismi di gestione sostitutiva in caso di inerzia delle organizzazioni che amministrano le terre collettive.
In sostanza, la legge del 1994 ha voluto individuare nelle proprietà collettive la categoria di beni chiamata a conservare il patrimonio agro-silvo-pastorale italiano. Essa detta i principi fondamentali della materia anche dopo la riforma dell’art. 117 della Costituzione sulla distribuzione delle competenze legislative fra Stato e Regioni. Poiché le comunioni familiari montane hanno gestito e conservato per secoli i loro territori – è un dato storico, cioè, che l’esercizio di usi civici e la gestione in proprietà collettive delle zone agricole e boschive non compromette la loro conservazione – lo Stato difende il territorio nazionale nel momento in cui tutela i diritti inviolabili di autonomia di queste comunità.

LA REGIONE LAZIO E L’ART. 3 L. 97/1994. UNA DOMANDA AL NUOVO PRESIDENTE DELLA NOSTRA REGIONE.

Fino ad oggi, la Regione Lazio ha attuato solo parzialmente l’art. 3 L. 97/1994. Infatti, la L. Reg. Lazio 1/1986 ha, in effetti, previsto un complesso procedimento amministrativo per autorizzare il cambio di destinazione delle terre collettive di uso civico regionale, con contemporaneo recupero della consistenza originaria attraverso l’acquisto di nuove terre in sostituzione di quelle destinate ad eventuale uso edificatorio.
Manca l’attuazione delle restanti disposizioni dell’art. 3 della 3a legge sulla montagna. Per salvaguardare il patrimonio agro-silvo-pastorale e le proprietà collettive del Lazio, la Regione deve provvedere ad una riforma delle Università Agrarie secondo il modello civilistico delle associazioni riconosciute di diritto privato, e dando il maggiore spazio possibile alla loro autonomia statutaria e di gestione.
Ma ciò fino ad oggi non è successo; anzi, un recente progetto di legge di riordino (Proposta di legge n. 259 del 13 ottobre 2011), curato dalla Giunta Regionale del Lazio sotto la presidenza Polverini, andava nella direzione opposta a quella indicata dal Legislatore nazionale del 1994, poiché accentuava l’attuale configurazione pubblicistica delle Università Agrarie.
Le proprietà collettive gestite dalle Università Agrarie sono beni comuni. La 3a legge sulla montagna vuole riavvicinare i singoli cittadini al bene comune. La materia dei beni comuni, in una fase storica come quella attuale, è di primaria importanza. La competenza legislativa regionale, dopo la riforma dell’art. 117 della Costituzione, è anche essa di primaria importanza. La corretta gestione del territorio regionale è raggiungibile solo attraverso il necessario passaggio dell’attuazione dell’art. 3 L. 97/1994.
Per questo, è mio dovere porre pubblicamente una domanda al nuovo Presidente della Regione Lazio: chiedo pubblicamente all’On. Zingaretti, se l’attuazione dei principi posti dalla legge nazionale del 1994 sulle Università Agrarie e sui territori da esse gestiti faccia parte del programma della nuova Giunta Regionale; se l’urgenza di tale attuazione sia stata dovutamente valutata; quali siano, infine, i provvedimenti che la nuova Giunta Regionale intende adottare e gli uffici e le competenze che intenda predisporre per raggiungere un obbiettivo pubblico tanto nobile quanto difficile come quello del rispetto e dell’attuazione dei principi fondamentali sulle proprietà collettive di uso civico.

 




CANALE MONTERANO, LA REGIONE SCRIVE AL COMUNE: VERIFICHERA' SE L'ENTE LOCALE POTRA' MANTENERE LA FUNZIONE DI AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA

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Riceviamo e pubblichiamo

Riceviamo una nota dal cittadino di Canale Monterano Daniele Natili a proposito di una lettera della Regione Lazio al Comune di Canale Monterano del 3 gennaio scorso.

In questi giorni una lettera della Regione Lazio (prot. 1952 del 3 gennaio 2013) è pervenuta al Comune di Canale Monterano ed è stata pubblicata ieri dalle forze politiche locali (per la precisione, dai due Gruppi Consiliari “Esperienza e Rinnovamento” e “Voci di Strada”), anche sulla mia pagina Facebook. Invio alcune brevi note al solo scopo di spiegarne il contenuto ai miei Concittadini ed ai Lettori de L' osservatore laziale.

Mi permetto ciò solo perché il contenuto della lettera interessa anche l’attività da me svolta, nell’ambito del gruppo di cittadini c.d. “9 agosto”, in relazione alle deliberazioni consiliari riguardanti il territorio della Riserva Monterano, che sono state ampiamente trattate da Osservatore Laziale.

La lettera è stata sottoscritta congiuntamente da due diversi organi regionali: l’Area Legislativa e l’Area Pianificazione Paesistica e Territoriale. In essa si chiede al Comune di Canale se sia vero che quest’ultimo abbia sostituito il soggetto responsabile del procedimento di autorizzazione paesaggistica senza darne comunicazione ai competenti uffici regionali. Secondo la Regione, se ciò fosse vero, sarebbe stata violata la determinazione (B4373 del 2010) con cui il Dipartimento Regionale Territorio aveva a suo tempo delegato il Comune a svolgere la funzione di autorizzazione paesaggistica, in base all’art. 146, 6o comma, del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. 42/2004).

Il Codice Beni Culturali, agli artt. 134 ss., individua i beni paesaggistici e le procedure per la loro tutela. Secondo questa legge, per ‘beni paesaggistici’ si intendono immobili (sono compresi, oltre agli edifici di pregio, anche gli alberi monumentali, i parchi ed i giardini), complessi di immobili (es. centri storici urbani) e aree, che per la loro “bellezza naturale”, “singolarità geologica”, “memoria storica”, “non comune bellezza”, “valore estetico” e “valore tradizionale” lo Stato qualifica di notevole interesse pubblico.

Insomma, lo Stato vuole proteggere cose immobili, private e pubbliche, caratterizzate da particolare bellezza, valore storico o valore geologico; vuole proteggere anche il nostro semplice diritto a godere delle bellezze panoramiche – si veda, infatti, l’art. 136, 1o comma lett. d) Codice Beni Culturali.

A tal fine, la legge citata distingue due categorie di beni paesaggistici: alcuni beni sono tutelati in ogni caso e definiti come ‘aree tutelate per legge’ (artt. 134 e 142 Codice beni Culturali); altri beni vengono sottoposti a tutela solo dopo un complesso procedimento, con il quale siano dichiarati di notevole interesse pubblico (l’art. 146 Codice Beni Culturali parla di ‘beni tutelati in base alla legge’).

Fra i beni direttamente tutelati dalla legge rientrano, per esempio, le coste dei mari e dei laghi, le acque pubbliche, i parchi e le riserve, i ghiacciai, le montagne, le terre assegnate alle Università Agrarie e in generale tutte le terre gravate da usi civici. Questi beni sono tutti immediatamente tutelati.

I beni eventualmente tutelati sono quelli dichiarati di notevole interesse pubblico su proposta di apposite commissioni regionali, altamente qualificate (art. 137 Codice Beni Culturali), delle quali fanno parte, fra l’altro, anche rappresentanti delle soprintendenze.

Se il procedimento avviato dalla proposta di una commissione regionale ha buon esito, il bene è dichiarato di notevole interesse pubblico e gode della medesima protezione dei beni tutelati per legge.

In che cosa consiste questa tutela speciale? Ce lo dice l’art. 146 Codice Beni Culturali, che è la norma fondamentale citata nella lettera inviata dalla Regione al Comune di Canale Monterano. In essa si dispone che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico (sia tali per legge, sia tali perché dichiarati di notevole interesse pubblico) “non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione” (1o comma). Vale a dire, chiunque abbia anche la sola detenzione di un bene paessaggistico non può arrecare pregiudizio ai valori di bellezza, storicità o interesse geologico dei quali la cosa protetta è portatrice.

Inoltre, i soggetti interessati hanno “l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione” (2o comma). Cioè, vi è un procedimento di speciale autorizzazione (autorizzazione paesaggistica, appunto) per gli interventi che comportino modifiche dei beni a tutela paesaggistica.

Ora, secondo il 4o comma art. 146 Codice Beni Culturali, l’autorizzazione paesaggistica “costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio”. Il privato o l’ente pubblico che intende compiere interventi su un bene paesaggistico deve premunirsi di autorizzazione paesaggistica.

Sull’istanza di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la Regione, una volta acquisito il parere vincolante della soprintendenza competente (art. 146 Codice Beni Culturali, 5o comma).

La Regione esercita la propria competenza in due modi, entrambi previsti dall’art. 146, 6o comma, Codice Beni Culturali: o “avvalendosi di propri uffici dotati di adeguate competenze tecnico-scientifiche e idonee risorse strumentali”; oppure delegando questa delicatissima funzione ad enti minori (province, comuni, associazioni di enti locali), in relazione ai rispettivi territori e “purché gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico- edilizia” (così il testo del comma 6 appena citato).

Ciò significa che l’autorizzazione paesaggistica può provenire anche dal Comune, in funzione di delegato dalla Regione, a condizione che: 1) in sede comunale esista una apposita struttura dotata delle necessarie competenze tecnico-scientifiche; 2) che tale struttura sia distinta dall’Ufficio Tecnico Urbanistico addetto alla concessione dei permessi di costruire.

La lettera della Regione al Comune di Canale interviene in questa delicata materia. La lettera dice che il Comune di Canale ha ricevuto la delega per l’esercizio delle funzione di autorizzazione paesaggistica nel 2010, nei limiti e nei modi di cui alla determinazione B4373 sopra citata. La Regione chiede al Comune se è vero, oppure no, che sia stato sostituito il soggetto delegato per l’autorizzazione paesaggistica, senza darne avviso alla Regione. Se una tale sostituzione fosse avvenuta, la Regione ritiene che potrebbero allora essere state superate le prescrizioni contenute nella delega. Per questa ragione, la  Regione chiede al Comune di sapere quali siano gli attuali responsabili del procedimento di autorizzazione paesaggistica e di quello urbanistico-edilizio, dovendo essi essere necessariamente distinti e separati.

Ma vi è di più. Anche se la funzione autorizzatoria venga esercitata in forma delegata, occorre in ogni caso l’acquisizione del parere vincolante del soprintendente ex art. 146, 5o comma, Codice Beni Culturali (come sopra ricordato). Ebbene, la Regione contesta al Comune il seguente fatto. La Delibera Comunale 13/2012 (di semplificazione), di cui la Regione ha chiesto a suo tempo la revoca, avrebbe, in sostanza, un contenuto evasivo dell’obbligo legale di acquisire il parere vincolante della soprintendenza. Per questo aspetto in modo particolare, pertanto, la Regione con la lettera chiede conferma al Comune che la Delibera 13 sia stata revocata.

Infine, corre l’obbligo di sottolineare che la Regione, nella lettera in esame, avverte il Comune che, da almeno sei mesi, quest’ultimo non trasmette alla prima l’elenco delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate in forma delegata (contrariamente a quanto previsto dalla L. Reg. Lazio 8/2012) e, di conseguenza, invita il Comune stesso a far pervenire a Roma la copia di tutte le autorizzazioni rilasciate dal momento della delega fino ad oggi.

In conclusione, la Regione con la lettera in esame ha instaurato un contraddittorio al fine di verificare la persistenza, oppure no, in capo al Comune di Canale Monterano dei requisiti per il mantenimento della funzione di autorizzazione paesaggistica.




CANALE MONTERANO, IL MINISTERO DELL’AMBIENTE SMENTISCE LA DELIBERA 37/2012.

[ NOTA DEL MINISTERO DELL'AMBIENTE AL SINDACO DI CANALE MONTERANO ]

"Il Ministero chiude pesantemente la lettera avvertendo il Sindaco che in caso di mancato rispetto delle direttive comunitarie la questione sarà posta all’attenzione della Commissione europea con il probabile avvio di una specifica procedura di infrazione".

 

Angelo Parca

Canale Monterano (RM) – Strike. Adesso qualsiasi ulteriore commento sarebbe superfluo. Addirittura il Governo è intervenuto e addirittura se l’Amministrazione di Canale Monterano dovesse ignorare questa clamorosa smentita interverrà l’Europa.

Ricordiamo con piacere quando il sindaco di Canale Monterano, lo scorso 6 novembre, sorridendo disse che appariva singolare che le firme in difesa della Riserva di Canale Monterano raccolte dal nostro giornale, provenissero da tutta Italia e non esclusivamente dai cittadini di Canale. Noi, rispondemmo che il patrimonio naturalistico della cittadina appartiene a tutti, e tutti hanno il dovere- diritto di difenderlo. Dunque, a difenderlo sono in prima linea la maggioranza dei cittadini di Canale Monterano, la Regione, il Governo e se non dovesse bastare anche l’Europa.

"Il Ministero dell’Ambiente Direzione Generale per la Protezione della Natura con nota del 6 dicembre scorso ha chiesto al Sindaco di Canale Monterano di riferire urgentemente in merito alle doglianze sollevate nella nostra lettera del 18 ottobre scorso e per quanto riguarda l’esercizio del potere di autotutela della famigerata delibera 37. – afferma il Presidente dei verdi del Lazio, Nando Bonessio – La delibera contiene delle affermazioni senza senso e anzi, molto pericolose se prese per buone dai cittadini. Nella delibera si dice testualmente che: "è di questi giorni la legge regionale che ha quasi azzerato le ZPS ed afferma che non si capisce per quale motivo i proprietari delle aree site nella zona “B” dovrebbero vedere cancellati i loro diritti basilari”, un’affermazione questa, indecifrabile e falsa. Quando è stata approvata e che numero dovrebbe avere la presunta legge regionale? Si tratta di un'affermazione che può portare i cittadini a comportamenti sanzionabili anche penalmente, in quanto il territorio del Comune di Canale Monterano è ricompreso nella Zona di Protezione Speciale (ZPS) “Comprensorio Tolfetano-Cerite-Manziate” e quindi sottoposto a specifiche misure di tutela individuate a livello comunitario, nazionale e regionale. Tale pericolosa “fandonia” non è sfuggita al Ministero dell’Ambiente».  «Infatti, il Ministero nella nota del 6 dicembre ricorda al Sindaco di Canale, che le Direttive comunitarie non contemplano la possibilità di modifica del grado di salvaguardia delle aree comprese nei siti di Natura 2000 (ZPS Comprensorio Tolfetano-Cerite-Manziate) in senso meno restrittivo, bensì stabiliscono di rafforzare la tutela attraverso l’adozione di specifiche misure regolamentari, amministrative o contrattuali. – conclude Bonessio – Il Ministero chiude pesantemente la lettera avvertendo il Sindaco che in caso di mancato rispetto delle direttive comunitarie la questione sarà posta all’attenzione della Commissione europea con il probabile avvio di una specifica procedura di infrazione».

ARTICOLI PRECEDENTI:

14/12/2012 CANALE MONTERANO, LA DIREZIONE AMBIENTE DELLA REGIONE METTE FINE ALLA QUESTIONE DELLA FAMOSA DELIBERA 37
05/12/2012 CANALE MONTERANO "VIVA LA RISERVA", DANIELE NATILI TENDE LA MANO AL SINDACO: SALVAGUARDIAMO IL NOSTRO TERRITORIO
03/12/2012 CANALE MONTERANO, RISERVA NATURALE: IL SINDACO TORNA SULLA QUESTIONE "VIVA LA RISERVA"
09/11/2012 CANALE MONTERANO, DIMISSIONI "SPONTANEE" O "SPINTANEE" DEL SEGRETARIO COMUNALE?: IL SINDACO INVITO' IL SEGRETARIO AD "ALLINEARSI"
08/11/2012 CANALE MONTERANO, CONSIGLIO COMUNALE STRAORDINARIO: PINOCCHIO E IL PAESE DEI BALOCCHI
02/11/2012 CANALE MONTERANO, IL 6 NOVEMBRE CONSIGLIO COMUNALE STRAORDINARIO SULLE DELIBERE CHE INTERESSANO LA RISERVA

  24/10/2012 CANALE MONTERANO, INVIATA A TUTTI I DESTINATARI LA PETIZIONE "VIVA LA RISERVA NATURALE DI CANALE MONTERANO”

  19/10/2012 CANALE MONTERANO, I VERDI TIRANO DRITTO: CHE IL COMUNE ANNULLI SUBITO LA DELIBERA DEL 9 AGOSTO 2012"

  17/10/2012 CANALE MONTERANO, DELIBERE "FAI DA TE": LA REGIONE POTREBBE CONTESTARE AL COMUNE ANCHE LA DELIBERA DEL 9 AGOSTO

   16/10/2012 CANALE MONTERANO, LA REGIONE FA TREMARE LA GIUNTA STEFANI

  08/10/2012 CANALE MONTERANO, GIU' LE MANI DALLA RISERVA: I VERDI CHIEDONO L'ANNULLAMENTO IN SEDE DI AUTOTUTELA DELLA DELIBERA CHE LASCEREBBE SFOGO AL PIANO CASA

  25/09/2012 CANALE MONTERANO, L'OSSERVATORE LAZIALE INVITA TUTTI I CITTADINI DEL LAZIO A FIRMARE LA PETIZIONE

21/09/2012 CANALE MONTERANO, INTERPRETAZIONI DEL PIANO CASA E POSSIBILI EFFETTI NEFASTI
19/09/2012 CANALE MONTERANO, NATILI: ECCO IL PERCHE’ LA NOSTRA RISERVA VERREBBE GRAVEMENTE COMPROMESSA
19/09/2012 CANALE MONTERANO, RISERVA NATURALE O PARCO DEL MATTONE?
18/09/2012 CANALE MONTERANO, LO SPETTRO DEL "PIANO CASA" SULLA RISERVA NATURALE


 




CANALE MONTERANO, LA DIREZIONE AMBIENTE DELLA REGIONE METTE FINE ALLA QUESTIONE DELLA FAMOSA DELIBERA 37

 

[ NOTA DEL 4 DICEMBRE 2012 DELLA DIREZIONE REGIONALE AMBIENTE ]

La redazione de L'osservatore laziale risponde alla nota del Sindaco dello scorso 3 dicembre 2012 [ LETTERA DEL SINDACO DI CANALE ANGELO STEFANI INDIRIZZATA A L'OSSERVATORE LAZIALE ]

 

Chiara Rai

Canale Monterano (RM) – La sinergia e l’impegno del gruppo consiliare Verdi alla Regione Lazio il quale con attenzione e perizia ha analizzato la delibera 37/2012 del Comune di Canale Monterano e ne ha individuati i punti critici e le illegittimità, dei gruppi di opposizione Voci di Strada ed Esperienza e Rinnovamento, dei consiglieri di minoranza dell'Università Agraria di Canale "Cives", del contributo di Daniele Natili e del Gruppo spontaneo 9 Agosto, e infine de L’osservatore laziale che si è fatto promotore di una raccolta di oltre 600 firme inviate anche al dipartimento Ambiente della Regione e al Ministero dell’Ambiente, stanno portando grandi contributi che sostanzialmente decretano una vittoria che può essere sintetizzata sotto l’ormai celebre slogan “Viva la Riserva di Canale Monterano”.

Ieri, in tarda serata ci è giunta una importante notizia dal consigliere del gruppo Voci di Strada Stefano Ciferri: La Direzione Ambiente della Regione Lazio con la nota prot. n. 528176 del 4 dicembre scorso mette la parola fine sulla questione della ormai famosa Delibera 37/2012 prodotta dalla amministrazione comunale di Canale Monterano.  “Da questa estate – dice Ciferri –  il gruppo di minoranza di cui faccio parte insieme ad altri soggetti politici locali (l'altro gruppo di minoranza Esperienza e Rinnovamento) e i consiglieri di minoranza dell'Università Agraria di Canale "Cives" stiamo denunciando i pericoli connessi alla applicazione della Delibera 37 la quale di fatto altera il regime di salvaguardia della nostra Riserva Naturale.

Oggi arrivano le parole del dott. Giuseppe Tanzi direttore della Direzione Regionale Ambiente, che sulla questione esprimono un giudizio inequivocabile e lapidario” Si legge: "I toni usati dall'Amministrazione Stefani nella nota del 9 ottobre scorso nei riguardi dei dipendenti della Riserva Monterano sono inadeguati".

Sei pagine precise prodotte dalla Regione, specifica ancora Ciferri –  in cui sono chiariti molti aspetti sostanziali. Il parere tecnico del Direttore della Riserva necessario da acquisire nell'atto in questione al fine di una compiuta ottemperanza sia degli obblighi previsti dalle norme statali e regionali sia a quello stabilito dall'art. 49 del TUEL (Testo Unico degli Enti Locali), come il gruppo Voci di Strada aveva richiesto nella seduta di Consiglio dell'agosto scorso.

La delibera 37/2012 nasce perciò con una grave irregolarità procedurale. Tanzi la definisce "un atto di pianificazione comunale assolutamente inidoneo" ovvero il potere di modificare i regimi di salvaguardia di un area protetta esula dalle competenze comunali. E poi la conclusione che parla da sola:  "L'atto in oggetto (delibera di Canale n. 37) appare inficiato da una radicale illegittimità da cui può farsi conseguire agevolmente l'inesistenza dello stesso sotto il profilo giuridico. Sulla base delle considerazioni che precedono si invita il Comune di Canale Monterano a provvedere ai conseguenti adempimenti in sede di autotutela, astenendosi dall'adozione di qualsiasi atto esecutivo al fine di non coinvolgere i cittadini in un azione amministrativa illegale". Ora al Sindaco chiediamo un atto di responsabilità, conclude il consigliere di opposizione Ciferri.

Nota di risposta della redazione de L'osservatore laziale al Sindaco di Canale Monterano Angelo Stefani in merito alla lettera inviata dal primo cittadino a L'osservatore laziale in data 3 dicembre 2012

 [ LETTERA DEL SINDACO DI CANALE ANGELO STEFANI INDIRIZZATA A L'OSSERVATORE LAZIALE ] pubblicata con articolo del 3 dicembre 2012 [ CANALE MONTERANO, RISERVA NATURALE: IL SINDACO TORNA SULLA QUESTIONE "VIVA LA RISERVA" ]
 

Redazione

Ormai manca soltanto che scriva il Governo, ma già le indicazioni perentorie della Regione dovrebbero essere più che sufficienti per portare la Giunta Stefani alla responsabile decisione di fare un passo indietro e revocare la delibera in autotutela.

La deliberazione di Consiglio Comunale del 9 Agosto 2012 n°37 ha un contenuto che incide direttamente sul regime di salvaguardia e quindi sulla gestione della Riserva. Quindi era necessario, egregio Sindaco Stefani, acquisire anche il parere tecnico del direttore della stessa Riserva.

Non siamo noi a dirlo ma la direzione regionale Ambiente. Il parere, però, non è stato richiesto, come evidenziato numerosissime volte dai consiglieri di opposizione del Comune che Lei amministra. E’ bene ricordare che nella seduta di Consiglio Comunale straordinaria dello scorso 6 novembre, lei stesso, Sindaco, non ha ritenuto di mettere al voto la proposta delle minoranze di revoca della delibera 13 e degli atti conseguenti compresa la delibera 37 e nemmeno, quindi, ha ritenuto di procedere alla relativa discussione.

Lei, egregio Primo Cittadino, ha fatto chiaramente presente che sarebbero in corso “trattative con la Regione che sta rivedendo la delibera ai fini dell’approvazione”. Eppure, la Regione ha scritto una nota il 22 agosto 2012 in merito alla delibera di Consiglio n. 13 del marzo 2012 (ed una successiva nota del 10 ottobre scorso). Tale delibera è stata ritenuta dalla Regione priva di valore giuridico e in “grave contrasto con la normativa urbanistica” ignorando vincoli paesaggistici e “le più elementari normative nazionali e regionali”. Il 4 dicembre  torna a scrivere la direzione regionale Ambiente. A questo punto, le numerose note pervenute da quest’estate ad oggi, dovrebbero essere sufficienti per comprendere che sarebbe necessario fare un passo indietro.

Pertanto, visto che era doveroso (ed è stato anche anticipato nell'articolo del 3 dicembre CANALE MONTERANO, RISERVA NATURALE: IL SINDACO TORNA SULLA QUESTIONE "VIVA LA RISERVA" ) che la redazione de L'osservatore laziale rispondesse alla sua cortese nota del 3 dicembre scorso, ci preme evidenziarle che codesta testata giornalistica non intende entrare nei meriti politici della vicenda, bensì interviene nel momento in cui un Ente sovra comunale evidenzia illegittimità e irregolarità.

Non ci permettiamo di dubitare sul fatto che codesta spettabile Amministrazione  Comunale “ritiene valida e prioritaria ogni iniziativa volta a coinvolgere la società civile per salvaguardare ambiti naturali pregevoli qualora se ne ravvedessero concreti motivi di devastazione”, ma al contempo si contesta l’affermazione che le iniziative intraprese finora abbiano “solo esclusive finalità politiche”. Tanto le dovevamo, per il resto parlano le note e le memorie che finora si sono accumulate al riguardo.

ARTICOLI PRECEDENTI:

05/12/2012 CANALE MONTERANO "VIVA LA RISERVA", DANIELE NATILI TENDE LA MANO AL SINDACO: SALVAGUARDIAMO IL NOSTRO TERRITORIO
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