Meridionali poveri al pari dei romeni

La povertà assoluta nel 2017 è alta nel Mezzogiorno quasi come in Romania, il paese europeo che detiene questo triste primato.

Lo ha detto il direttore della SVIMEZ Luca Bianchi, intervenendo alla Stampa estera in un incontro con i corrispondenti dei media esteri dall’Italia presso la loro Associazione.

Nel Mezzogiorno, il livello è ormai al 12%, contro il 12,1% del Paese ex comunista, con una differenza di fondo, però: che in Romania nel 2008, era attorno all’11%, nel Sud dieci anni fa era al 10%.

Di qui la preoccupante accelerazione dalla crisi recessiva fino all’attuale fase di ripresina.
“Nel Mezzogiorno – ha spiegato Bianchi – si delinea una netta cesura tra dinamica economica che, seppur in rallentamento, ha ripreso a muoversi dopo la crisi, e dinamica sociale che tende ad escludere una quota crescente di cittadini dal mercato del lavoro, ampliando le sacche di povertà e di disagio a nuove fasce della popolazione”. Secondo il Direttore SVIMEZ, “particolarmente preoccupante è la crescita del fenomeno dei ‘lavoratori poveri’, conseguente all’aumento di lavori a bassa retribuzione, dovuto a complessiva dequalificazione delle occupazioni e all’esplosione del part time involontario”.

I poveri assoluti sono saliti nel 2017 in Italia sopra i 5 milioni, di cui quasi 2,4 milioni nel solo Mezzogiorno. Le famiglie in povertà assoluta sono cresciute al Sud dalle 700 mila del 2016 alle 845 mila del 2017. Nell’area meridionale più di un quarto delle famiglie, coppie e mono-genitori, con figli adulti, si collocano nella più bassa fascia di reddito, per giungere addirittura a circa la metà della popolazione se si parla di famiglie con figli minori. L’incidenza della povertà assoluta aumenta nel Mezzogiorno soprattutto per il peggioramento nelle grandi aree metropolitane (da 5,8% a 10,1% nel 2017), nelle quali incidono massicciamente le spese abitative, che rappresentano la voce di uscita più consistente nei bilanci familiari, colpendo soprattutto i soggetti più vulnerabili: giovani, disoccupati, lavoratori con bassi salari, immigrati, genitori single, persone con disabilità fisica e intellettiva, anziani.

Per di più, nelle regioni meridionali, l’incidenza della povertà relativa risulta più che tripla rispetto al resto del Paese (28,2% a fronte dell’8,9%del Centro-Nord), a seguito del basso tasso di occupazione e di un reddito pro capite pari a circa il 56% di quello del Centro-Nord.

Nell’incontro con i corrispondenti, il primo del suo genere da tempo, il direttore Bianchi ha affrontato, in una sequenza serrata di domande, le problematiche più contingenti: dall’emigrazione qualificata dal Sud, al tasso di utilizzo dei fondi europei, all’impatto della manovra economica sulle prospettive dell’area, ed, in generale, ai temi più di attualità che coinvolgono un terzo del paese.

Gianfranco Nitti




Quasi 5 milioni di italiani in povertà assoluta

 

La povertà assoluta in Italia nel 2016 è rimasta stabile rispetto al 2015 e ha coinvolto 4 milioni e 742mila persone, pari a 1,619 milioni di famiglie residenti. Lo comunica l'Istat. L'incidenza di povertà assoluta per le famiglie è pari al 6,3%, in linea con i valori stimati negli ultimi quattro anni. Per gli individui, l’incidenza di povertà assoluta si porta al 7,9% con una variazione statisticamente non significativa rispetto al 2015 (quando era 7,6%). Più nel dettaglio, prosegue l'Istat, l'incidenza della povertà assoluta aumenta al Centro in termini sia di famiglie (5,9% da 4,2% del 2015) sia di individui (7,3% da 5,6%), a causa soprattutto del peggioramento registrato nei comuni fino a 50mila abitanti al di fuori delle aree metropolitane (6,4% da 3,3% dell’anno precedente). Persiste, a partire dal 2012, la relazione inversa tra incidenza di povertà assoluta e età della persona di riferimento (aumenta la prima al diminuire della seconda).

 
Il valore minimo, pari a 3,9%, si registra infatti tra le famiglie con persona di riferimento ultra sessantaquattrenne, quello massimo tra le famiglie con persona di riferimento sotto i 35 anni (10,4%). Come negli anni precedenti l’incidenza di povertà assoluta diminuisce al crescere del titolo di studio della persona di riferimento: 8,2% se ha al massimo la licenza elementare; 4,0% se è almeno diplomata. La posizione professionale della persona di riferimento incide molto sulla diffusione della povertà assoluta. Per le famiglie la cui persona di riferimento è un operaio, l’incidenza della povertà assoluta è doppia (12,6%) rispetto a quella delle famiglie nel complesso (6,3%), confermando quanto registrato negli anni precedenti. Rimane, invece, piuttosto contenuta tra le famiglie con persona di riferimento dirigente, quadro e impiegato (1,5%) e ritirata dal lavoro (3,7%). POVERTA' RELATIVA – Anche la povertà relativa risulta stabile rispetto al 2015.
 
Nel 2016 riguarda il 10,6% delle famiglie residenti (10,4% nel 2015), per un totale di 2 milioni 734mila, e 8 milioni 465mila individui, il 14,0% dei residenti (13,7% l’anno precedente). Analogamente a quanto registrato per la povertà assoluta, nel 2016 la povertà relativa è più diffusa tra le famiglie con 4 componenti (17,1%) o 5 componenti e più (30,9%) La povertà relativa colpisce di più le famiglie giovani: raggiunge il 14,6% se la persona di riferimento è un under 35 mentre scende al 7,9% nel caso di un ultra sessantaquattrenne. L’incidenza di povertà relativa si mantiene elevata per gli operai e assimilati (18,7%) e per le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione (31,0%) FAMIGLIE CON 3 FIGLI – Netto balzo in avanti nel 2016 dell'incidenza della povertà assoluta nelle famiglie con tre o più figli minori. Il dato è infatti salito al 26,8% dal 18,3% dell'anno precedente, rende noto l'Istat, precisando che il valore coinvolge 137mila 771 famiglie e 814mila 402 individui e che aumenta anche fra i minori, da 10,9% a 12,5% (1 milione e 292mila nel 2016).



POVERTA', ITALIANI E QUEI GRAN FIGLI DI… CASTA

di Angelo Barraco

Il benessere delle famiglie non è certamente avviato verso una fase di "rose e fiori" come qualcuno ci vorrebbe far credere. E molti italiani devono ormai “strizzare la cinghia” per cercare di andare avanti, per far fronte alla crisi, al continuo aumento del costo della vita, alla disoccupazione che si estende a macchia d’olio e ad una mancanza occupazionale disarmante anche per coloro che hanno lavorato per tanti anni e che si ritrovano senza lavoro a causa dei meccanismi innescasti dal sistema e ciò che ne consegue.

Dando uno sguardo agli ultimi dati Istat sulla povertà delle famiglie italiane, constatiamo che il dato resta stabile nel 2014, risultano oltre 4 milioni, per la precisione 4 milioni e 102 mila individui pari al 6,8% dell'intera popolazione, gli italiani costretti a spendere meno del necessario per uno standard di vita minimo. Si tratta di 1 milione 470 mila famiglie, il 5,7% del totale. Nei piccoli comuni il miglioramento è del 7,2% e nel mezzogiorno va dal 12,1% al 9,2%, invece nelle famiglie composte da soli italiani va dal 5,1% al 4,3%. Per le famiglie numerose invece vi sono livelli di povertà che possono raggiungere il 16,4% e si può arrivare persino al 18,6%. Nelle aree metropolitane si rivela un’incidenza elevata di povertà che arriva al 7,4%, quando in passato si parlava di un 3,9%.

Gli italiani fanno fatica a finire il mese, spesso si indebitano e devono rinunciare all’istruzione dei propri figli, molto spesso propensi allo studio e magari con un brillante futuro da avvocato o dottore, per mandarli su binari diversi ai fini di aiutare la famiglia poiché, in assenza di risorse economiche, non c’è altra scelta. Ma il nostro governo cosa fa? Aiuta queste famiglie? Eppure l’articolo 31 della Costituzione Italiana dice chiaramente che “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternita`, l’infanzia e la gioventu`, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Che valore ha questo articolo della costituzione italiana per i nostri politicanti?

I “fortunelli” o "gran figli di… casta", l’altra faccia dell’Italia senza lavoro: Chi è meritevole spesso è costretto a non poter fare un determinato percorso per mancanza di risorse economiche, ma chi è figlio di professori universitari, rettori, banchieri, politici, ministri, parlamentari hanno il lavoro bello e pronto.

Ecco qualche esempio: Maria Maddalena Gnudi, figlia dell’ex ministro Gnudi (ex presidente Enel, quota Udc), che è diventata socia dello studio del padre su proposta dello stesso. L’avvocato Eleonora Di Benedetto lavora per uno degli studi legali più importanti della capitale, lo studio Severino, che è lo studio della madre Paola, ex ministro della Giustizia. Poi c’è Costanza Profumo, architetto che si è laureata presso il Politecnico di Torino, figlia dell'ex rettore del Politecnico di Torino Francesco Profumo ex ministro dell’istruzione. Luigi Passera, figlio del’ex ministro Passera, si è laureato alla Bocconi come il padre e si è occupato di marketing alla Piaggio. Adesso lavora presso la multinazionale Procter & Gamble. Il figlio di Mario Monti ha lavorato a Londra per Citigroup e Morgan Stanley  ed è stato chiamato da Enrico Bondi alla Parmalat e chiamato dal padre come commissario straordinario per la spendine review. Ma in seguito alle polemiche sul posto fisso, il suo curriculum non è più reperibile sul web. La figlia di Mario Monti, Federica, ha lavorato per il prestigiosissimo studio Ambrosetti. Giorgio Peluso, figlio del ministro Cancellieri, è stato assunto come direttore di Unicredit, successivamente direttore di Fondiaria Sai, adesso lavora come Chief Financial Officer presso Telecom Italia. La figlia della Foriero, Silvia, ha una cattedra presso l’Università di Torino –madre e padre sono professori ordinari- e lavora anche in una fondazione finanziata da Intesa. L’altro figlio fa il registra di film impegnati.

Quindi si deve essere “fortunelli” o "gran figli di… casta" per avere un buon posto di lavoro? I capaci e meritevoli che non hanno disponibilità economiche non possono puntare in alto tanto quanto i cosiddetti “fortunelli”? Tutti dovrebbero avere le stesse opportunità e le stesse garanzie per un futuro migliore e garantito, tutti dovrebbero avere la possibilità di studiare, di crescere e di affrontare la vita come meglio si crede e senza freni di alcun tipo. Ci auguriamo che presto le cose cambino e che lo Stato dia maggiori possibilità a coloro che fino ad oggi, pur meritevoli, hanno ricevuto avuto poco.
 




POVERTÀ ASSOLUTA PER 4,1 MILIONI DI ITALIANI

Redazione

Nel 2014 1 milione e 470 mila famiglie (5,7% di quelle residenti) è in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8% della popolazione residente). Lo rende noto l'Istat.
Dopo due anni di aumento, l'incidenza della povertà assoluta si mantiene sostanzialmente stabile; considerando l'errore campionario, il calo rispetto al 2013 del numero di famiglie e di individui in condizioni di povertà assoluta (pari al 6,3% e al 7,3% rispettivamente), non è statisticamente significativo (ovvero non può essere considerato diverso da zero).
La povertà assoluta è sostanzialmente stabile anche sul territorio, si attesta al 4,2% al Nord, al 4,8% al Centro e all'8,6% nel Mezzogiorno.
Migliora la situazione delle coppie con figli (tra quelle che ne hanno due l'incidenza di povertà assoluta passa dall'8,6% al 5,9%), e delle famiglie con a capo una persona tra i 45 e i 54 anni (dal 7,4% al 6%); la povertà assoluta diminuisce anche tra le famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione (dal 23,7% al 16,2%), a seguito del fatto che più spesso, rispetto al 2013, queste famiglie hanno al proprio interno occupati o ritirati dal lavoro.
Nonostante il calo (dal 12,1 al 9,2%), la povertà assoluta rimane quasi doppia nei piccoli comuni del Mezzogiorno rispetto a quella rilevata nelle aree metropolitane della stessa ripartizione (5,8%). Il contrario accade al Nord, dove la povertà assoluta è più elevata nelle aree metropolitane (7,4%) rispetto ai restanti comuni (3,2% tra i grandi, 3,9% tra i piccoli).
Tra le famiglie con stranieri la povertà assoluta è più diffusa che nelle famiglie composte solamente da italiani: dal 4,3% di queste ultime (in leggero miglioramento rispetto al 5,1% del 2013) al 12,9% per le famiglie miste fino al 23,4% per quelle composte da soli stranieri. Al Nord e al Centro la povertà tra le famiglie di stranieri è di oltre 6 volte superiore a quella delle famiglie di soli italiani, nel Mezzogiorno è circa tripla.
L'incidenza di povertà assoluta scende all'aumentare del titolo di studio: se la persona di riferimento è almeno diplomata, l'incidenza (3,2%) è quasi un terzo di quella rilevata per chi ha la licenza elementare (8,4%). Inoltre, la povertà assoluta riguarda in misura marginale le famiglie con a capo imprenditori, liberi professionisti o dirigenti (l'incidenza è inferiore al 2%), si mantiene al di sotto della media tra le famiglie di ritirati dal lavoro (4,4%), sale al 9,7% tra le famiglie di operai per raggiungere il valore massimo tra quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (16,2%).
Come quella assoluta, la povertà relativa risulta stabile e coinvolge, nel 2014, il 10,3% delle famiglie e il 12,9% delle persone residenti, per un totale di 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone.
Anche per la povertà relativa si conferma la stabilità, rispetto all'anno precedente, rilevata per la povertà assoluta nelle ripartizioni geografiche e il miglioramento della condizione delle famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione (l'incidenza della povertà relativa passa dal 32,3% al 23,9%) o residenti nei piccoli comuni del Mezzogiorno (dal 25,8% al 23,7%); in quest'ultimo caso il miglioramento si contrappone al leggero peggioramento registrato nei grandi comuni rispetto all'anno precedente (dal 16,3% al 19,8%).