Milano, arrestato 42enne armato con fucile d’assalto e cartucce: “Hanno minacciato mia madre”

MILANO – Arrestato ieri alle 18 in via Giambellino al civico 141 in cortile un 42enne italiano con numerosi precedenti, sul posto è intervenuta la Polzia allertata da una residente per una lite in atto. L’uomo è stato trovato in possesso di un fucile d’assalto Zastava modello M70 modificato, proveniente dall’Ex Jugoslavia con una 50ina di cartucce 7.62 ed è accusato di ricettazione, resistenza a pubblico ufficiale e detenzione di armi illecita.

Giunti sul posto, gli agenti hanno visto 4 persone litigare e aggredirsi, oltre all’arrestato c’erano la vittima, che ha tentato la fuga, e altre due persone apparentemente estranee ai fatti, fuggite. Bloccato, il 42enne residente in via dei Cinquecento, é emerso essere in possesso del fucile, in una tasca aveva un caricatore con 28 cartucce e in un’altra tasca altre 20 cartucce, oltre ad un mazzo di chiavi di una moto Kawasaki risultata rubata il 28 aprile, la denuncia era stata fatta presso il commissariato Lorenteggio. Perquisita l’abitazione dell’uomo e quella della sua ex compagna, gli agenti non hanno trovato altro. Lo stesso arrestato ha spiegato la sua versione dei fatti. La madre residente in via Giambellino 141 lo ha chiamato riferendo di essere stata minacciata da due albanesi che il 42enne conosceva solo di viso. L’uomo si è quindi recato sul posto rintracciando un residente italiano, la vittima dell’aggressione, poi fuggito, per avere da lui il nome dei due albanesi. Quando l’uomo si è rifiutato di aiutarlo lui lo ha preso a calci e schiaffi tenendo il fucile con l’altra mano per intimorirlo.
Con precedenti per stupefacenti e un arresto per tentato omicidio risalente al 1993, l’uomo arrestato è stato protagonista di numerosi interventi di Polizia, in uno di essi gli era stata trovata anche una mazza da baseball in auto. Ora è stato condotto a San Vittore.




Rimini, stupri: preso il terzo componente del branco

RIMINI – La squadra mobile della Questura di Rimini ha preso un terzo componente del gruppo di quattro persone ricercate per il doppio stupro della scorsa settimana a Rimini Miramare. Dopo che due fratelli marocchini minorenni si sono costituiti nel pomeriggio a Pesaro, è confermata la nazionalità degli altri due: uno è congolese, anche lui minorenne, mentre il capobanda è un nigeriano con più di 18 anni. Non si sa ancora quale di questi due sia quello fermato dalla Polizia. Nessuno di loro avrebbe precedenti penali.

“Siamo stati noi”, avrebbero detto i due ragazzi che si sono costituiti, trasferiti a Rimini per l’interrogatorio in Procura alla presenza del pm che coordina le indagini e di un magistrato del tribunale dei minori di Bologna. La seconda vittima del branco, la prostituta transessuale peruviana, è stata portata in Questura per il riconoscimento.

I due giovani avrebbero deciso di presentarsi dopo la diffusione delle immagini e a causa della pressione esercitata in questi giorni dalla polizia di Rimini.

Una telecamera di sorveglianza avrebbe infatti ripreso i quattro uomini che avrebbero partecipato allo stupro sulla spiaggia del Bagno 130 di Miramare a Rimini. Ieri, un nuovo sopralluogo era stato fatto dalla polizia scientifica, a richiesta della Procura, nel punto dell’aggressione alla prostituta transessuale. L’obiettivo era ritrovare un frammento della bottiglia usata dai quattro stranieri per minacciare la peruviana. Un frammento di quella bottiglia è stato repertato dalla polizia e ora si attendono i risultati scientifici per l’esame delle impronte digitali.

“Se colpevoli, minorenni o no, castrazione chimica e poi a casa loro!”, commenta Matteo Salvini, segretario della Lega sulle prime ammissioni dei presunti stupratori di Rimini.




Biella, vittime del terrorismo: la polizia commemora il vice questore aggiunto Francesco Cusano

BIELLA – Si è svolta ieri mattina a Biella la cerimonia commemorativa del vice questore aggiunto della Polizia di Stato Francesco Cusano, alla quale ha partecipato il capo della Polizia Franco Gabrielli.

Il primo settembre 1976 il funzionario di polizia, in servizio antidroga a Biella, stava effettuando un controllo su un’auto insieme all’appuntato Primo Anceschi. A causa di un’irregolarità sulla patente del conducente, Cusano lo invitò a scendere dal veicolo per svolgere ulteriori accertamenti presso il vicino commissariato, ma appena fuori l’uomo estrasse un’arma e fece fuoco colpendolo al petto, mentre Anceschi ebbe il tempo di ripararsi dietro l’auto e rispondere al fuoco, senza purtroppo riuscire ad impedire la fuga dei terroristi. Cusano morì sull’ambulanza che lo stava trasportando in ospedale.

Le successive indagini portarono ad accertare la responsabilità di due brigatisti rossi. La cerimonia si è svolta in largo Cusano, luogo nei pressi della Questura dedicato proprio alla memoria del poliziotto ucciso, e dove si trova il cippo commemorativo. Il capo della Polizia, accompagnato dal prefetto di Biella Annunziata Gallo, dal questore Nicola Alfredo Parisi e dal sindaco Marco Cavicchioli, ha deposto una corona d’alloro in memora del funzionario caduto nell’adempimento del proprio dovere e che, per questo, fu insignito della Medaglia d’oro al valore civile. Alla cerimonia hanno partecipato anche la signora Giuseppina Porcaro, vedova del dottor Cusano, e il figlio, Maurizio Cusano, che ha seguito le orme del padre ed è attualmente vice questore aggiunto in servizio alla Polizia ferroviaria di Torino.

“Credo che il modo migliore per ricordare i morti sia quello di prendersi cura dei vivi – ha detto il prefetto Gabrielli durante il suo intervento – Troppo spesso chi perde la vita diventa momento di celebrazione, data da ricordare, liturgia da celebrare. Chi muore donando la vita per la sicurezza del proprio Paese non compie solo un gesto estremo di generosità, ma lascia anche un enorme vuoto, ed è importante avere memoria. Noi siamo primariamente al servizio della gente, la nostra prima ragion d’essere è una ragione di servizio. E nel momento in cui siamo al servizio della collettività acquisiamo la nostra credibilità e la nostra stessa ragion d’essere”.

Al termine della cerimonia il Capo della Polizia ha visitato la questura di Biella dove ha incontrato il personale in servizio.




Cerignola: arrestati i componenti della banda del kalashnikov

L’Operazione è stata condotta dai poliziotti delle Squadre Mobili di Firenze, Pisa, Ancona e Foggia, con il coordinamento e la partecipazione diretta del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato.

 

CERIGNOLA (FG) – Eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 8 pregiudicati cerignolani, ritenuti responsabili dell’assalto ad un furgone portavalori sulla A12 perpetrato il 30 settembre 2016. Un anno fa un “commando”, armato di kalashnikov e fucili a pompa, ha assaltato con tecniche paramilitari due portavalori sull’A12: la Polizia di Stato ha catturato i presunti autori dell’episodio criminale, ritenuti responsabili dei reati di tentata rapina, porto abusivo di arma da fuoco, ricettazione e riciclaggio.

 

Nelle prime ore della giornata odierna, infatti, a Cerignola (FG), Firenze, e Stornara (FG), gli investigatori delle Squadre Mobili di Firenze, Pisa, Ancona e Foggia, con il coordinamento e la partecipazione diretta del Servizio Centrale Operativo, hanno eseguito una ordinanza, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Pisa su richiesta di quella Procura della Repubblica, che dispone la custodia cautelare in carcere nei confronti di 8 soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di tentata rapina, porto abusivo di arma da fuoco, ricettazione e riciclaggio.

Le indagini, supportate da attività tecniche, hanno consentito di raccogliere gravi elementi indiziari nei confronti di un gruppo criminale, composto da pregiudicati cerignolani, di età compresa tra i 26 ed i 46 anni, che, lo scorso 30 settembre, a Fauglia (PI), ha compiuto un assalto armato in danno di 2 blindati della ditta BTV Mondialpol adibiti a trasporto valori, uno dei quali contenente circa 6 milioni di euro. In particolare, gli indagati, simulando l’appartenenza alle Forze di Polizia con falsi lampeggianti e dispositivi di segnalazione manuale, hanno iniziato a chiudere la arteria autostradale A12 tra Rosignano (LI) e Collesalvetti (LI). Successivamente, il “commando” ha bloccato oltre 10 chilometri di autostrada, in entrambi i sensi di marcia, costringendo a scendere dalle proprie autovetture gli automobilisti in transito, e posizionando le vetture in maniera da chiudere di fatto la A12, creando peraltro conseguentemente code chilometriche. Il gruppo criminale, a tal fine, ha altresì disseminato lungo la strada una serie di chiodi a quattro punte, per forare gli pneumatici dei mezzi di passaggio ed interrompere definitivamente la viabilità, esplodendo altresì dei colpi d’arma da fuoco sulle autovetture i cui conducenti si sono mostrati reticenti nell’abbandonare immediatamente il mezzo. Nel frattempo, i complici che hanno seguito i blindati hanno posto in essere un assalto armato in danno dei furgoni, bloccati all’interno di una galleria e crivellati con decine colpi di arma automatica; nell’occasione, il commando non è riuscito ad asportare la somma di denaro custodita all’interno del mezzo solo grazie ai sofisticati sistemi di difesa passiva dei mezzi blindati. Nello specifico, gli indagati hanno esploso numerosi colpi di AK 47 (khalashikov) e di fucile a pompa all’indirizzo del blindato, avviando un vero e proprio conflitto a fuoco con le guardie particolari giurate a bordo dei furgoni, nel corso del quale sono stati esplosi circa 170 colpi d’arma da fuoco.

Le indagini inizialmente avviate dalla Sezione Criminalità Organizzata della Squadra Mobile di Firenze e dalla Squadra Mobile di Pisa hanno successivamente coinvolto gli omologhi uffici di Ancona (alla luce di evidenti convergenze investigative con un analogo episodio delittuoso perpetrato nel settembre del 2015 sull’autostrada A14 nei pressi di Ancona) e di Foggia, nel cui territorio insiste la “base logistica” dei criminali, nonché il Servizio Centrale Operativo della Direzione Anticrimine Centrale della Polizia di Stato, che ha coordinato le attività e partecipato direttamente alle investigazioni. L’inchiesta, coordinata dalla Procura della Repubblica di Pisa, ha immediatamente evidenziato come la rapina fosse stata progettata ed eseguita con grande cura da un gruppo di persone, ben strutturato ed altamente specializzato, che ha utilizzato per i lunghi spostamenti anche un veicolo pesante, ovvero un autoarticolato in grado di trasportare l’intero commando, insieme alle armi ed alle attrezzature impiegate. Le preliminari risultanze investigative – suffragate da intercettazioni, sofisticate analisi del traffico telefonico, accertamenti balistici e servizi di osservazione, nonché mirate analisi sulle tracce di pneumatici, sulle impronte rilevate nell’ambito dell’inchiesta e sui veicoli rubati utilizzati per il colpo – hanno portato gli investigatori ad individuare il possibile luogo di partenza dei rapinatori nella zona del foggiano; è stato successivamente ricostruito, difatti, come alcuni degli indagati abbiano soggiornato sul litorale tirrenico, durante i mesi precedenti alla rapina, per svolgere accurati sopralluoghi e monitorare gli spostamenti dei “portavalori”. In esito alla menzionata, complessa attività di indagine, il Giudice per le Indagini Preliminari di Pisa ha difatti accolto le richieste di quella Procura ed ha disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti degli 8 indagati, ritenuti gli esecutori materiali del assalto, permettendo, tra le altre cose, di disarticolare un pericoloso gruppo criminale radicato nel foggiano. Nel medesimo contesto investigativo sono in corso di esecuzione 9 decreti di perquisizione personale e domiciliare, nei confronti di altrettanti, ulteriori soggetti, indagati in stato di libertà per i menzionati reati.




Roma, Santa Maria Maggiore: arrestato ladro di vestiti

Gli agenti della Polizia di Stato del commissariato Esquilino sono intervenuti ieri pomermiggio in Piazza Santa Maria Maggiore, dove era stato segnalato un furto presso un esercizio commerciale.
I poliziotti, giunti sul posto, hanno arrestato il responsabile, M.M., 21 del Bangladesh.
L’uomo, poco prima, era uscito dal negozio indossando dei capi d’abbigliamento in vendita e, superando le barriere antitaccheggio, si era dato alla fuga.
Tratto in arresto, dovrà rispondere del reato di furto aggravato.



Un museo per le auto della Polizia

Auto celebri, mitiche “volanti” e moto: dagli anni Trenta a oggi. Un percorso che passa in rassegna i momenti più significativi della società italiana attraverso le auto e le moto della Polizia di Stato esposte in un padiglione dell’ex Fiera di Roma, in Via dell’Arcadia 20.

 

Il Museo delle auto della Polizia di Stato, ospita circa settanta esemplari tra auto, moto, scooter, bici e persino un “gatto delle nevi” che hanno fatto la storia e il costume della Polizia e dell’Italia.

 

Veicoli diventati famosi, come le jeep del dopoguerra o le Moto Guzzi della Stradale. E chi non ricorda le Alfa Romeo della Squadra mobile? Moltissimi i modelli restaurati tutti con pezzi originali, pronti finalmente per la “vetrina” che meritano. Spicca tra queste la mitica “Pantera” del maresciallo Armando Spatafora, una Ferrari 250 GTE nera del ’62, unico esemplare tra i corpi di Polizia al mondo. Addestrato a Maranello dai collaudatori Ferrari, Spatafora negli anni ’60 sfrecciava per le strade della Capitale all’inseguimento dei banditi, dotati di auto più veloci di quelle d’ordinanza della Squadra mobile. I poliziotti pensarono allora di lanciarsi all’inseguimento dei malviventi con un bolide da 240 cavalli che poteva raggiungere i 240 chilometri orari! Era la Ferrari targata Polizia 29444, che la leggenda racconta abbia percorso con il suo maresciallo-pilota anche la scalinata di piazza di Spagna.

In tutto una settantina di “gioielli” – di cui i visitatori possono osservare da vicino le caratteristiche tecniche – e che sono in un certo senso anche il simbolo della nostra storia dagli anni Trenta a oggi.

Un’area del museo è dedicata all’esposizione di alcuni cimeli storici, caschi, stivali, berretti, palette, ricetrasmittenti e altre apparecchiature che i poliziotti usavano dagli anni ’60 in poi.

Il museo è aperto a tutti e ha un costo contenuto: 3 euro la tariffa intera, 1,50 quella ridotta (ingresso gratuito per il personale di Polizia in servizio o in quiescenza). Gli incassi sono destinati al Fondo di Assistenza per il personale della Polizia di Stato in favore del “Piano Marco Valerio” istituito a favore dei figli degli operatori di Polizia affetti da gravi patologie.

Orari di apertura al pubblico:

Dal lunedì al Sabato ore 9:00 – 13:00
MESE DI AGOSTO: CHIUSO




Universiadi Taipei 2017: oro per Paltrinieri e Folorunso, bronzo per Rotolo

Aumenta il bottino di medaglie vinte dai rappresentanti delle Fiamme oro impegnati fino al 30 agosto a Taipei (Taiwan) nella 29esima edizione delle Universiadi.

Si tratta di due medaglie d’oro, la prima conquistata dall’inesauribile Gregorio Paltrinieri che fa il bis aggiudicandosi anche la finale degli 800 metri stile libero, e la seconda vinta da Ayomide Folorunso nei 400 metri ostacoli. Daniela Rotolo si è invece messa al collo un bellissimo bronzo nella categoria 62 chilogrammi di taekwondo.

Non si stanca di vincere il campionissimo del nuoto azzurro che, dopo l’oro nei 1.500, mette nella sua personale bacheca anche la vittoria negli 800. L’avversario più pericoloso è stato il “solito” Mykhailo Romanchuck, capace questa volta di insidiare seriamente Re Gregorio. Ad un certo punto l’ucraino ha probabilmente pensato di essere finalmente riuscito a battere Paltrinieri, che invece ha tirato fuori dal cilindro uno sprint degno di un velocista. Nella penultima vasca l’azzurro ha accelerato riconquistando la testa e chiudendo al primo posto con il tempo di 7’45”76, nuovo record della manifestazione. Bronzo per l’altro ucranino Sergii Frolov.

Le fatiche di Gregorio non sono ancora finite, deve ricaricare le batterie per affrontare la 10 chilometri di fondo.

Grande prestazione di Ayomide Folorunso che diventa la prima italiana a vincere l’oro alle Universiadi nei 400 metri ostacoli. La rappresentante del Gruppo sportivo della Polizia di Stato ha vinto con il crono di 55”63, davanti alla polacca Joanna Linkiewicz (55”90) e all’ucraina Olena Kolesnychenko (56”14).

Per la velocista delle Fiamme oro si tratta del primato stagionale e della terza prestazione di sempre, ad appena 13 centesimi dal suo record personale.

“Sicuramente l’Universiade non era un contesto impossibile – ha commentato Ayomide dopo la gara – ma non per questo doveva essere un’occasione da buttare via. Penso che ogni gara ti insegni qualcosa ed anche qui è stato così. Mi sono ritrovata in mezzo alle due atlete più forti, una situazione che mi ha fatto esaltare in pista. A Taipei ho corso due centesimi meglio della batteria dei Mondiali”.

Il prestigioso bronzo di Daniela Rotolo è arrivato al termine di una bella gara, nonostante le sue condizioni fisiche non fossero perfette. La corsa verso la finalissima della categoria 62 chilogrammi è stata interrotta dalla sudcoreana Jisoo Moon, che ha avuto la meglio sull’atleta cremisi per 6-3.

In precedenza la giovane azzurra, campionessa europea juniores in carica, aveva sconfitto prima la statunitense Makayla Christi Gorka con un perentorio 25-5, e poi l’ungherese Evelyn Marta Gonda per 5-4, al termine di un match molto combattuto, vinto al golden point.

 




Roma, sgomberata piazza indipendenza: bombole a gas contro i poliziotti

ROMA – Sono stati sgomberati alle prime ore del mattino di oggi giovedì 24 agosto 2017 i giardini di piazza indipendenza, abusivamente occupati da circa 100 cittadini stranieri già occupanti di via Curtatone.  L’ intervento si è reso urgente e necessario dopo il rifiuto di ieri ad accettare una sistemazione alloggiativa offerta dal comune di Roma, ma soprattutto per le informazioni di alto rischio pervenute, inerenti il possesso da parte degli occupanti di bombole di gas e bottiglie incendiarie.

All’atto dell’ intervento, infatti, le forze dell’ordine sono state aggredite con lancio di sassi e bottiglie. Utilizzate bombole di gas aperte messe in sicurezza grazie al repentino intervento dei poliziotti. Usato contro gli agenti anche peperoncino. L’ uso dell’idrante ha evitato che venissero accesi fuochi e liquidi infiammabili. Due fermati al momento.




Primo bilancio sul call center 112 NUE, si allungano i tempi di risposta: sicurezza a rischio

di Chiara Rai

Con questa puntata del nostro servizio giornalistico sulla storia del glorioso “numero unico di soccorso pubblico 113” facciamo un cenno sull’indice di gradimento del Call Center 112 NUE, che sta sostituendo 113, 112 carabinieri e 115 e 118, nelle province in cui è stato attivato.
I pesanti riflessi sulla sicurezza dei cittadini e delle città collegati al funzionamento del Servizio di soccorso pubblico e di pronto intervento ci induce a fare qualche riflessione di carattere generale sul funzionamento del nuovo numero unico europeo 112 NUE.

 

Denunce e lagnanze, sicurezza a rischio Abbiamo deciso di anticipare la trattazione di questo argomento alla luce del trasversale coro di proteste per gli interventi in ritardo e il doppio filtro causati dalla organizzazione del call center laico 112 Nue. La denuncia viene da tantissimi cittadini e dai sindacati SAP, SIAP e SIULP per le forze dell’ordine, NurSind per gli infermieri, CONAPO e FNS Cisl per i Vigili del Fuoco. Segnalano che l’introduzione di un passaggio in più ha allungato i tempi di risposta mettendo a rischio la sicurezza dei cittadini. I cittadini chiedono di essere garantiti nel diritto alla vivibilità in sicurezza e le istituzioni hanno il dovere di promuovere tutte le iniziative possibili, sul piano legislativo, amministrativo ed operativo, per garantire il diritto ad essere e sentirsi sicuri. La difficile situazione di molte città è sotto gli occhi di tutti. Roma in particolare sta attraversando un periodo problematico sotto il profilo della vivibilità, della sicurezza e del decoro: criminalità diffusa, abusivismo, contraffazione, incendi, roghi tossici, emergenza idrica, rifiuti con sporcizia per strada e fetore dalla spazzatura abbandonata fuori dai cassonetti stracolmi, erba incolta e marciapiedi divelti, buche, problemi di trasporti e di parcheggi, invasione di gabbiani, topi, cinghiali anche in città. Tutto questo rappresenta una grave ferita per la vivibilità cittadina, per il turismo e per l’economia.

 

L’intervento del Prefetto Tagliente, già Questore di Roma Per rispondere al diffuso senso d’insicurezza un Funzionario con un grande senso dello Stato e con decenni di esperienza nel settore del soccorso pubblico e del pronto intervento, il prefetto Francesco Tagliente già questore di Roma, va ripetendo da anni che è importante garantire ai cittadini, turisti ed operatori economici la più celere accessibilità al servizio di soccorso pubblico, la massima disponibilità e professionalità degli operatori addetti alla gestione delle segnalazioni e richieste di pronto intervento e una risposta il più rispondente possibile alle aspettative dell’utente che si dovesse trovare in una condizione di disagio o di pericolo. Il Numero Unico per le richieste di soccorso pubblico e di pronto intervento Tagliente lo considera uno dei pilastri fondamentali per la sicurezza delle città oltre che termometro dei rapporti d’integrazione sociale. Per far capire meglio l’importanza di questo “Servizio” l’ex Questore di Roma piace paragonarlo, con una immagine figurata, ad un dispositivo di regolazione del flusso, come un rubinetto che ha la funzione di alimentare o scoraggiare (con l’apertura o chiusura della valvola) le segnalazioni di reato da parte dei cittadini e, di conseguenza, permettere di attivare gli operatori di polizia deputati al pronto intervento (volanti o gazzelle) ed a seguire l’attività degli organi investigativi (Squadra mobile, Digos ed omologhi Uffici dei Carabinieri) e della stessa Magistratura.
Risulta di tutta evidenza – sostiene Tagliente – che ad una pronta accessibilità al Servizio e disponibilità degli operatori corrisponde una maggiore conoscenza dei reati e conseguente azione di contrasto. Se il cittadino sa che chiamando il numero di emergenza lo trova libero, gli operatori rispondono subito e sono professionali, al momento in cui avverte una situazione di disagio o di pericolo, non esiterà a chiamare mettendo in condizione le forze di polizia di sapere e di intervenire. Viceversa se ha avuto precedenti esperienze negative – dirette o anche per sentito dire – sarà orientato a non chiamare, alimentando così il numero oscuro dei reati e la speranza di impunità dei potenziali autori dei reati. Peraltro, tempi e qualità delle risposte al numero di soccorso pubblico e pronto intervento possono falsare o consentire una lettura distorta dell’andamento dei reati e dello stato di sicurezza delle città. Rispondendo in ritardo si ricevono meno telefonate e si conoscono meno i reati realmente accaduti con una forbice sempre più ampia tra sicurezza reale è percepita”.

 

L’Italia, modello da imitare con l’amato 113 Dal 1969 i cittadini italiani hanno avuto la possibilità di potersi avvalere di un numero unico nazionale per le richieste di soccorso pubblico e di pronto intervento gestito da persone dotate da un spiccato senso dello Stato, fortemente motivate, con una spiccata sensibilità e professionalità.
L’Italia è stato il primo paese al mondo ad aver attivato il numero di telefono unico 113. Prima dell’Italia solo l’Inghilterra aveva attivato il numero unico 999 ma non a livello nazionale, perché era operativo solo a Londra.
Per anni il 113 è stato ritenuto il modello di riferimento mondiale per la gestione del soccorso pubblico. Centinaia di delegazioni estere hanno fatto visita alla Sala Operativa della Questura di Roma per conoscere la funzionalità del servizio (vedi foto allegata all’articolo)
Mentre il mondo si ispirava al modello italiano, i Governi protempore consentivano la proliferazione dei numeri per le richieste di pronto intervento 112, 114, 115, 117, 118, 1515, 1518, 1522, 1530, ,1525, 1544 arrivando a farsi sanzionare dai giudici dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea per le inadempienze sul corretto funzionamento del numero unico di emergenza europeo 112.
Nel 1976 dopo 8 anni dalla operatività a livello nazionale del 113, anche l’Europa raccomanda l’uso del numero unico decidendo di istituirlo per tutta l’Unione Europea poi nel 1991. La scelta cade sul 112.

 

Dove è operativo il 112 NUE Dopo 49 anni dalla sua istituzione il Governo e Parlamento hanno mandato in pensione lo storico 113 e con lui hanno mandato in pensione anche il 112 nazionale gestito dai carabinieri, 115 per le richieste di pronto intervento dei Vigili del Fuoco e il 118 utilizzato per la chiamata delle autoambulanze
Sperimentato a Varese, il 112 NUE è già operativo in Lombardia, a Roma città, in Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Catania, Ragusa e Siracusa ed è in fase di realizzazione nel corso dell’anno nelle altre province della Sicilia e delle altre diverse da Roma-06 nel Lazio. Entro il prossimo anno sarà attivato in Emilia Romagna, Marche e Umbria e Toscana
In alcune città Italiane (Brindisi, Biella, Modena, Rimini, Salerno, Prato, etc.) è temporaneamente attivo un sistema che suddivide le chiamate a 112 e 113 al 50% tra Polizia di Stato e Carabinieri, lasciando inalterate le chiamate dirette a 115 e 118. Questo modello è in fase di superamento per concentrare tutte le chiamate verso il solo 112.

 

Le proteste per la gestione del nuovo numero Negli ultimi tempi stanno assumendo toni preoccupanti le proteste per la gestione del nuovo numero unico di emergenza 112 Europeo anche da parte di sindacati di polizia dei vigili del fuoco e degli infermieri che da mesi denunciano forti criticità del numero unico organizzato come un normale call center senza nessun appartenente ai corpi e alle amministrazioni coinvolte nelle emergenze. L’obiettivo di tale unione di forze delle varie sigle sindacali di categoria, è attuare una soluzione che permette di avere un unico filtro alla richiesta di aiuto, in un contesto di risposta multidisciplinare.
Solo per citare alcuni casi, a Torino lo scorso 30 giugno sei sigle sindacali che il 30 giugno si sono uniti in una conferenza stampa per contestare l’istituzione del numero unico 112 in tutta Italia. Si tratta dei sindacati SAP, SIAP e SIULP per le forze dell’ordine, NurSind per gli infermieri, CONAPO e FNS Cisl per i Vigili del Fuoco. Secondo quanto ricostruito dall’annuncio, la CUR (centrale unica di risposta) è “Un moltiplicatore di inefficienze e sprechi che con l’introduzione di un passaggio in più ha allungato i tempi di risposta, secondo una strategia scellerata che ha di fatto moltiplicato le criticità e i rischi”.
Secondo i sindacati l’introduzione di un passaggio in più ha allungato i tempi di risposta mettendo a rischio la sicurezza dei cittadini. Il sindacato dei vigili del fuoco (Conapo) facendo riferimento alla morte di un bambino di 10 anni annegato a Bosio denuncia che la richiesta di intervento ai vigili del fuoco per salvare Leonardo Pecetto è arrivata con 15 minuti di ritardo. “Dai dati in nostro possesso – scrive il Conapo – i vigili del fuoco sono stati allertati ben 15 minuti dopo che la richiesta di soccorso è pervenuta al numero unico di soccorso 112”.

 

L’esempio di Roma A Roma Il messaggio di una signora, con il quale, la stessa, lamenta su Facebook di aver atteso 13 minuti per segnalare un incendio al numero di emergenza 112, ha alimentato centinaia di condivisioni con migliaia di like e commenti polemici molto pesanti sul funzionamento del nuovo 112 NUE.
Ludovico Poletto in un articolo pubblicato il 4 agosto su La Stampa scrive che il coro adesso è trasversale: «Il numero unico dell’emergenza, il 112, non funziona». Antonio Mazzitelli, del Fncisl dei Vigili del fuoco punta il dito contro l’intervento di qualche giorno fa in montagna: «Ci hanno allertati con 15 minuti di ritardo. C’era un bambino caduto in un dirupo, ma loro hanno avvisato solo la parte sanitaria. E a noi hanno mandato una comunicazione per conoscenza, e per di più classificata come “priorità bassa”. Quando hanno compreso che servivamo anche noi era già passato un tot di tempo. E solo a quel punto abbiamo potuto organizzare i soccorsi e far decollare l’elicottero». È furibondo Mazzitelli: «Queste cose vanno gestite da chi sa come si fa, non in modo così improvvisato».

 

Il flop di Torino È una rivolta che si allarga ogni giorno un po’ di più quella contro il Nue di Torino. Pietro Di Lorenzo, segretario del Siap della polizia ha preparato un elenco in 10 punti con gli esempi di tutti i guai che ci sono in una zona come quella di Rivoli, per colpa del 112. Per dire: «Gli incidenti in tangenziale vengono girati al commissariato. Che poi deve chiamare la stradale. Il risultato è che un intervento passa attraverso tre centralini». Un tema che Eugenio Bravo, responsabile del Siulp, di Torino, il più grande sindacato di polizia, affronta da tempo. E a nome di tutte le sigle sindacali dice: «Altro che snellire e stare vicino ai cittadini in modo più rapido. I tempi si sono allungati e il servizio non è preciso, anzi». Vedi il caso dei Vigili del fuoco e dell’elicottero fatto intervenire in ritardo. «Ma abbiamo altri esempi» dicono i Vigili del fuoco. Che stanno mettendo insieme tutti i casi documentati con registrazioni. Antonio Perna del sap della polizia rincara la dose: «Pensi che non hanno ancora capito che la stradale deve intervenire prima di tutti in tangenziale».

 

“Gestione folle” Ludovico Poletto scrive che “La questione sta diventando scottante, anche perché l’alzata di scudi coinvolge anche l’ex 118. E Stefano Agostini, il delegato sindacale non ci pensa due volte a dire che: «Una gestione di questo tipo è folle. Sono aumentati i tempi di attesa dei pazienti e di conseguenza nel torinese è aumentata anche la piaga delle aggressioni agli operatori che arrivano sugli interventi. La gente non accetta di dover spiegare anche due o tre volte il problema prima di avere una risposta». Si spieghi meglio. «Se chiamano per un soffocamento da un oggetto ingoiato, l’operatore interroga chi telefona, poi gira la chiamata al 118. Perdendo tempo. In casi come questo ci sono 4 minuti per salvare al vita al paziente. Con il 118 l’operatore dava in diretta le istruzioni, oggi tra attenda, mi dica, chi è, dove si trova, aspetti le passo un altro, che tempi ci sono? Un minuto se va bene».
«Pretesti» replica Danilo Bono uno degli organizzatori delle sale 112. «Gestiamo 4 mila chiamate al giorno, eliminiamo quelle inutili e se qualcosa non va, al posto di polemizzare, ci dicano come migliorare». La risposta è corale: «Creare una sala interforze, con gente competente».
In pratica da modello mondiale per la gestione delle chiamate di emergenza al 113 l’Italia si sta dimostrando un Paese incapace di assicurare una risposta in tempi accettabili per salvare vite umane.

 

“Per la gestione del numero unico emergenza europeo 112 si poteva fare di più e meglio” Il prefetto Francesco Tagliente ha affermato senza mezzi termini che prima di completare l’attivazione del 112 NUE nelle altre province è urgente capire cosa sta accadendo in quelle dove è già operativo. Tagliente da circa 40 anni impegnato a potenziare le installazioni per la sicurezza dei cittadini, era riuscito a garantire una risposta, mediamente, entro 6 secondi a chi chiamava il 113 per fare una segnalazione o una richiesta di soccorso pubblico. Nel 2011, da Questore della Capitale decise di assegnare alla Sala Operativa per le esigenze del 113 anche Funzionari del ruolo dei psicologi perché considerava i 6 secondi in media come tempi di risposta, solo una tappa e guardava oltre. La notte dell’emergenza neve del 5 febbraio 2012 grazie al potenziamento del Servizio gli operatori del 113 della Questura di Roma erano riusciti a gestire circa 24.000 segnalazioni e richieste di soccorso. Agli psicologi chiese di studiare ogni ulteriore possibile intervento migliorativo e una strategia per far sentire i cittadini, che notano un reato o una situazione di pericolo, protagonisti della sicurezza. Di lì a poco livello di efficienza raggiunto portò i primi risultati. Molti cittadini con le loro segnalazioni tempestive riuscirono a salvare vite umane. Tagliente per premiarli li invitava nel suo Ufficio, gli stringeva la mano davanti alla bandiera della Repubblica e annotava i loro nomi in un registro chiamato “albo dei cittadini virtuosi”. L’allora questore Tagliente per testimoniare pubblicamente la sua gratitudine ai cittadini che grazie al loro intervento e a una telefonata al 113 erano riusciti a risolvere situazioni difficili, la sera del 14 marzo 2012 organizzò un Concerto con la Banda musicale della Polizia di Stato, all’Auditorium della Conciliazione dedicato agli oltre 500 cittadini denominati “virtuosi” e rispettive famiglie  I pesanti riflessi sulla sicurezza delle città, che la gestione di questo servizio comporta, ci induce a fare qualche riflessione di carattere generale insieme con il dott. Tagliente. Per la gestione del numero unico emergenza europeo 112 si poteva fare di più e meglio afferma Tagliente. Il funzionamento è determinante per la sicurezza delle nostre città. Sarebbe stato meglio far gestire questo Servizio da operatori delle Forze di Polizia sotto la responsabilità dell’Autorità di pubblica sicurezza anziché da personale dipendente delle Aziende/Enti del Sistema Regionale.

 

Un servizio condizionato dai conti di ciascuna Regione Il tema è stato affrontato 3 mesi fa con la legge sulla sicurezza urbana. Con le nuove disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città contenute nella legge 18 aprile 2017, n. 48, Governo e Parlamento si sono posti il problema della gestione del Numero Unico Europeo 112 in maniera molto poco convincente. All’art 14, la nuova legge in vigore da appena 3 mesi, dispone che: “Per le attività connesse al numero unico europeo 112 e alle relative centrali operative realizzate in ambito regionale( omissis), le Regioni che hanno rispettato gli obiettivi del pareggio di bilancio (omissis) possono bandire, nell’anno successivo, procedure concorsuali finalizzate all’assunzione, con contratti di lavoro a tempo indeterminato, di un contingente massimo di personale determinato in proporzione alla popolazione residente in ciascuna Regione, sulla base di un rapporto pari ad un’unità di personale ogni trentamila residenti. (omissis) Le procedure concorsuali finalizzate alle nuove assunzioni di cui al comma 1 sono subordinate alla verifica del personale in mobilita o in esubero nell’ambito della medesima amministrazione con caratteristiche professionali adeguate alle mansioni richieste“. Non è stata una felice trovata far sapere ai cittadini che il funzionamento di un Servizio cosi “vitale” come il 122 NUE è condizionato dalla capacità delle Regioni di rispettare gli obiettivi del pareggio di bilancio.




Riordino delle carriere in polizia. Ugl, Silp-Cgil, Coisp: si, ma la legge va migliorata

di Roberto Ragone

 

Grande puntata della trasmissione Officina Stampa, il web talk condotto dalla giornalista Chiara Rai in diretta dal Black Jack di Grottaferrata, quella di giovedì 9 marzo. Presenti i rappresentanti di tre sindacati di Polizia di Stato: Valter Mazzetti, segretario generale UGL, Tommaso Delli Paoli, segretario nazionale SILP-CGIL, Umberto De Angelis, segretario generale provinciale di Roma del COISP. Assente a sorpresa, perché colto da improvviso malessere, il segretario generale del SAP Gianni Tonelli.

Riuniti in un’atmosfera di comunione d’intenti, malgrado le loro sigle denotassero orientamenti politici differenti, i tre intervenuti sono stati d’accordo su parecchi punti, praticamente su tutti: dal riordino delle carriere, agli stanziamenti per una maggior professionalità, dall’esigenza di costruire nuove carceri per evitare che i giudici siano costretti a liberare i delinquenti arrestati a rischio anche della vita degli agenti, all’esigenza di assumere nuovo personale in polizia penitenziaria, dall’imprescindibile e capillare controllo del territorio al fine di garantire sicurezza ai cittadini, al problema dell’assistenza legale ai colleghi coinvolti in conflitti a fuoco, nei quali in meno di un secondo si devono prendere decisioni capitali.

Ma su tutto spicca un consenso unanime, che alla fine è stato il motivo della puntata, e che sarà il punto di partenza per un reale riordino della carriere in polizia, oltre che del rimpiazzo e dello svecchiamento di una forza dell’ordine oggi sotto organico e fatalmente composta da uomini e donne con un’età media attorno ai 45/46 anni.

Nonostante i proclami del ministro Pinotti, – il cui intervento è stato trasmesso nel video servizio di apertura – non è difficile rilevare che l’impegno economico profuso per questa iniziativa, attesa da oltre vent’anni, non è sufficiente. Ora i sindacati, in un quadro generale ancora confuso, hanno 90 giorni di tempo per proporre miglioramenti al testo, e per farli accettare, dato che il testo attuale risulta per le tre sigle intervenute irricevibile.

Per questo motivo è stata prevista una manifestazione di piazza nella giornata di venerdì 10 marzo davanti al Ministero degli Interni, alla Questura di Roma e agli uffici di P.S.

Il delegato della CGIL, Tommaso Delli Paoli, ha voluto spiegare che la protesta non riguarda il lato economico, infatti se ci sono i soldi, perché protestare? In realtà questo disegno di legge non procura maggiore professionalità agli operatori di polizia, e di conseguenza neanche maggior sicurezza per i cittadini, né da’ le giuste risposte per un automatismo che riguardi l’avanzamento nelle carriere.

Il segretario generale UGL, Valter Mazzetti, ha specificato che i soldi ci sono, ma non sono tutti destinati alla Polizia di Stato, ma anche a Carabinieri, Guardia di Finanza, quindi alle forze dell’ordine in generale. Si chiedono avanzamenti più veloci, per rimpiazzare i colleghi che sono andati in pensione, o sono stati promossi ad incarichi più elevati, e quindi una maggior dignità.

Infatti gli agenti impiegati nelle volanti per l’ordine pubblico hanno un’età media di 45/46 anni, quindi inidonei ad intervenire in alcune occasioni di contrasto diretto al crimine. In questi casi l’età anagrafica è importante. Per la carriere è necessario innescare un percorso virtuoso, che oggi non c’è, ha proseguito Mazzetti che ha detto anche che il nuovo riordino non può certamente soddisfare.

Nei quadri superiori c’è troppo personale anziano: circa 55/56.000 operatori, di cui almeno 46.000 assistenti capo, contro non più di 6.000 agenti. L’impressione è che questo riordino sia uno spot politico-elettorale, e non un provvedimento strutturale che agevoli un percorso di ricambio e integrazione dell’organico.

Il riordino si può migliorare, ha detto Umberto De Angelis, rappresentante del COISP. Infatti alcune modifiche proposte sono già state inserite e il ritardo non è imputabile alla Polizia di Stato, ma dell’Amministrazione, che non ha provveduto a bandire concorsi ogni anno, a differenza di ciò che hanno fatto le altre forze dell’ordine.
De Angelis ha anche evidenziato il fatto che queste risorse non sono sufficienti per un riordino totale, per il quale occorrerebbero circa 2,5 miliardi di euro. Siamo a 977 milioni, ma si dovrà fare di più: la cosa più importante è svecchiare le Forze dell’Ordine.

Al cittadino interessa che ci sia un maggior controllo del territorio e che l’aiuto arrivi tempestivamente.

La discussione è continuata con i convenuti che alternativamente hanno preso la parola. Temi comuni, sui quali, come già spiegato il consenso era unanime. Per esempio sul problema delle troppe depenalizzazioni, per cui gli arresti anche in flagranza sono vanificati dalla magistratura che denuncia ‘a piede libero’, liberando di fatto l’arrestato, che il giorno appresso torna a delinquere, a volte anche sbeffeggiando la stessa pattuglia che lo ha arrestato. Tutto ciò crea situazioni di pura follia, e incentivo a commettere reati in piena impunità, senza il deterrente di una pena certa. Di contro, a volte capita che l’operatore sia indagato a sua volta per aver fatto il suo dovere, cioè per aver difeso il cittadino. C’è chi ha dovuto vendere la casa acquistata a prezzo di sacrifici con anni di mutuo per pagarsi un avvocato che lo difendesse in sede civile. Troppe volte, infatti, il carabiniere o il poliziotto sono sottoposti a risarcimento danni da parte del giudice su richiesta del bandito arrestato, addirittura, come accaduto di recente, per un arresto ‘troppo violento’; o, aggiungiamo noi, non sufficientemente gentile.

Il riordino proposto tende ad una maggiore professionalità, il tutto a vantaggio della sicurezza del cittadino: dopo i recenti episodi di intrusioni domestiche, diurne e notturne, nessuno vuole armarsi, come è costretto a fare, ma per questo è senz’altro indispensabile un maggior controllo del territorio, come già spiegato.

Nel corso degli ultimi anni, invece, gli organici di polizia sono stati depotenziati, giungendo ad annoverare 99.000 agenti contro i 117.000 del periodo precedente. Capita a volte che si debba scegliere a quale chiamata rispondere prima, e che se ne debba valutare la gravità. Per ciò che riguarda il sovraffollamento delle carceri, tutti e tre i rappresentanti sono stati d’accordo nel proporre la costruzione di nuove carceri e il ripristino di quelle già esistenti e magari inutilizzate, parallelamente ad una massiccia assunzione di personale di polizia penitenziaria. Ma questo è un problema politico, e implica dei costi che la politica non è disposta a sopportare. Anche la polizia penitenziaria ha subito il blocco del turn-over al 50%, ciò che provoca un progressivo invecchiamento dell’organico, e un suo depauperamento.

Umberto De Angelis ha posto l’accento sul fatto che la sicurezza non è un costo, ma un investimento, e come tale dev’essere valutata. E la sicurezza è maggiormente prevenzione del crimine, più che contrasto. Quindi, ha aggiunto Delli Paoli, è maggiormente presente quando la situazione è tranquilla, di normalità. Un paese civile, aggiunge De Angelis, adegua le vecchie carceri e ne crea di nuove: non dice ‘non arrestiamo più. Un paese civile assume polizia penitenziaria, e nelle carceri nuove chi delinque può scontare la sua pena.

Secondo Walter mazzetti, poi, si fa sempre troppo poco per l’assistenza legale ai colleghi, perché i fondi a disposizione sono sempre insufficienti e non vengono ripristinati a sufficienza, oltre ad essere erogati secondo la presunta gravità del fatto, e non secondo un calcolo reale di necessità.
Bisogna che il fondo sia sempre al massimo della disponibilità, per tutelare al meglio il poliziotto che ne avesse bisogno. Un’altra esigenza è quella di un protocollo operativo, che manca, e che costringe l’operatore di polizia ad assumersi, in un tempo infinitesimale, rischi che nessun burocrate seduto in poltrona si assumerebbe mai. Salvo poi, a bocce ferme, venire giudicato da chi non si è mai trovato in una situazione del genere. La questione del protocollo operativo è stata più volte sollevata dai sindacati, ma senza alcun esito. Tanto che attualmente, valutandone i rischi, si ha quasi paura di intervenire. Se i poliziotti sono armati, è per svolgere un compito preciso, che implica anche l’uso delle armi, e non è corretto che ogni volta l’operatore debba decidere per sé, senza alcun supporto protocollare, a proprio esclusivo rischio; che può comportare la perdita della vita, o anche mettere sé e la propria famiglia in gravi situazioni di disagio. Un commento da cronista: l’impressione generale è che il provvedimento di riordino delle carriere sia stato affrontato da chi di questo tema capisce poco e niente. Sono molti, infatti, e troppo astrusi i tecnicismi che questo provvedimento contiene, e che in pratica limitano l’accesso a chi voglia entrare in polizia con la prospettiva di una carriera. Gli stanziamenti palesemente insufficienti, poi, completano il quadro.

Poco c’entra il ministro Pinotti: sappiamo che le nomine ministeriali vengono fatte per politica e non per competenza. Certamente queste riforme sono studiate e redatte a tavolino da chi non è mai stato in polizia, e non ha mai affrontato un delinquente armato, né ha mai avuto problemi economici, nonostante la professione dichiaratamente rischiosa. Ritengo che queste riforme vadano fatte con la partecipazione degli organismi preposti alla tutela degli iscritti, e cioè dei sindacati: chi infatti meglio di chi il poliziotto ha fatto ed è tuttora può capire le esigenze di un servizio fondamentale, non solo per la tutela in piazza dei politici – quando i poliziotti prendono le botte – ma anche e soprattutto del cittadino comune, quello della strada: quello che vota e paga le tasse,e che alla politica interessa solo per queste due cose.

L’impressione – e si specifica impressione – è che ‘ci stiano provando’, salvo poi a mercanteggiare su alcuni argomenti, il tutto per spendere il meno possibile. Tutto questo, se fosse vero, sarebbe non solo sulla pelle dei poliziotti e di tutte le forze dell’ordine coinvolte, ma soprattutto sulla pelle dei cittadini, sulla nostra pelle: il che, per l’ennesima volta, ci ridurrebbe, da cittadini, a sudditi. Come in effetti siamo.




ROMA, ALLARME TERRORISMO: ARRESTATO MAROCCHINO DOPO ROCAMBOLESCO INSEGUIMENTO CONTROMANO SULLA TANGENZIALE

di Angelo Barraco
 
Roma – La mattina del 16 giugno una pattuglia che si trovava all’altezza del cimitero monumentale capitolino del Verano ha individuato un’autovettura che, grazie al sistema Mercurio collegato alla centrale operativa, è risultata essere stata rubata.

Gli inquirenti inseguono la Peugeot 306 e fermano l’uomo. Viene identificato un marocchino di 35 anni che sul sedile posteriore aveva una mappa con Colosseo e San Pietro cerchiati. Il sospetto immediato da parte degli operatori di Polizia è quello di una minaccia terroristica, che trova riscontro nella rocambolesca fuga a piedi dell’uomo sulla tangenziale e contromano. L’uomo è stato denunciato a piede libero per ricettazione, la sua abitazione è stata sottoposta ad attenta perquisizione da parte degli inquirenti.  
 
Il terrorismo è una minaccia imprevedibile a cui tutte le nazione devono far fronte con l’ausilio di forze speciali distribuite su tutto il territorio per garantire ai cittadini la sicurezza di cui necessitano. Il terribile attentato avvenuto ad Orlando, in Florida, ha scosso l’America, che da sempre combatte il terrorismo e piange ancora le vittime degli attentati al World Trade Center. Un episodio che ha colpito la comunità gay per motivazioni alquanto banali all’apparenza e che per tali ragioni vi sono dubbi in merito alla matrice. Anche l’Italia ha più volte subito l’allerta terrorismo, in passato vi erano state minacce da parte dell'Isis contro lo stivale,  messaggi e fotografie dei monumenti che rappresentano il nostro bel paese. Vi sono stati diversi allarmismi in merito a bombe o presunte tali e diversi soggetti sono stati trattenuti dalle forze dell’ordine come sospetti terroristi poiché svolgevano attività con il fine di cagionare un danno al nostro territorio.