Pietro Maso: quell’intervista che fa tanto discutere

Ha fatto molto discutere l’intervista rilasciata da Pietro Maso a Maurizio Costanzo, anche se l’opinione pubblica si era già espressa sui social ancor prima della messa in onda del servizio, manifestando piena disapprovazione e perentorio diniego, chiedendo inoltre a gran voce il boicottaggio della trasmissione. Un’indignazione che poneva alla base leciti dubbi che, in un’ottica razionale d’informazione pubblica, fa risultare tale l’intervista in netto contrasto con tutto ciò che quotidianamente viene propinata sulle grandi reti e che mira all’accertamento della verità attraverso le testimoniante delle vittime. I palinsesti televisivi dedicano ogni giorno intere trasmissioni alla cronaca nera, alle violenze di ogni genere e ai soprusi; puntualmente si affidano alle testimonianze delle vittime con il fine ultimo di informare e contrastare le forme di violenza. Ma dinnanzi ad un’intervista che va in netto contrasto con una tv pubblica che da spazio alle vittime piuttosto che al carnefice, la domanda sorge spontanea: un uomo che ha premeditato e ucciso i propri genitori per fini prettamente economici e con la complicità di due amici, quali insegnamenti può lasciare alle nuove generazioni e che messaggio può dare? Certo, nella vita tutti fanno errori e tutti meritano una seconda possibilità, anche dopo il carcere. Pietro Maso ha scontato 22 anni di prigione, osservando ogni giorno dal suo letto lo stesso soffitto bianco, la stessa porta di metallo quasi sempre chiusa. Avrà sicuramente pensato a quel cielo blu così lontano ma dal sapore di libertà. Chissà se in questi lunghi anni gli è tornata in mente la carneficina compiuta da lui e dai suoi compari la notte del 17 aprile 1991, quando papà Antonio e mamma Rosa erano appena rientrati a casa dal consueto incontro di preghiera. Quella sera ad accoglierli però, non ci fu l’amore e l’affetto di un figlio, ma la furia cieca di una persona che voleva mettere mano all’eredità dei propri cari, ai beni mobili e immobili per poi dividere il tutto con gli amici e fare la bella vita. Papà Antonio Maso è stato assalito e colpito alla testa a sprangate da Pietro, l’amico Damiano è intervenuto colpendolo con una pentola. Nel frattempo era arrivata mamma Rosa, che fu tramortita con forti colpi alla testa da Paolo e Giorgio. Giorgio soffocò Rosa con una coperta, mentre gli altri la colpivano sulla testa e ripetutamente su tutto il corpo. Antonio Maso è stato ucciso con un piede sulla gola, soffocato. Venti minuti di incontrollata furia omicida che ha sconvolto l’Italia degli anni 90 e che ancora oggi rimane impressa nella memoria di chi ha vissuto quel periodo e non. Nell’intervista rilasciata a Costanzo ha dichiarato: “Mi sono già pentito. Mi sono già pentito di quello che ho fatto e cerco di ricostruire una vita”, il giornalista incalza con le domande e sottolinea di non aver ai visto in lui un vero e proprio pentimento. Maso risponde: “Non l’ha mai letto o non l’ha mai visto perché il pentimento per me è una cosa seria e oggi, magari, ho l’opportunità di dirlo”. Ha inoltre parlato del periodo antecedente l’omicidio: “Era un momento prima dell’episodio che mi segna per tutta la vita, e io lì avevo alzato tutte le barriere per affrontare il momento. Dunque io in quel momento mi ero staccato completamente dai miei genitori. Lei aveva percepito questo e mi chiese, appunto, questa frase che riascoltandola oggi mi fa male”.

 

Le ferite richiedono tempo per cicatrizzarsi e in taluni casi sarebbe opportuno rispettare il dolore delle persone coinvolte in determinate vicende giudiziarie mediante il silenzio, l’oblio. Questo brutale omicidio, così efferato nonchè premeditato, non ha turbato soltanto un’Italia intera, ma ha distrutto la vita di Nadia e Laura, sorelle di Pietro Maso e figlie di Antonio e Rosa che sono vive perché in quel momento non si trovavano in casa. Costanzo dice che Maso meriterebbe una seconda possibilità; la seconda possibilità l’ha certamente avuta, infatti nel marzo scorso si è tornato a parlare di lui in merito ad alcune vicende legate ai soldi e vecchi incubi e turbe del passato che lo hanno coinvolto in prima persona. Gli inquirenti hanno infatti intercettato una sua conversazione dai toni preoccupanti: “Le mie sorelle? Su di loro devo finire il lavoro di 25 anni fa”. Una minaccia rivolta alle sorelle Nadia e Laura, successivamente la questura di Milano gli ha notificato un foglio di via obbligatorio e ha dovuto lasciare la città. Gli incubi del passato son tornati e hanno accesso i campanelli d’allarme quando Pietro Maso invia per sbaglio a una delle due sorelle un sms che era destinato all’amico Fabio in cui c’era scritto: “Ora Fabio pensaci bene. Domani mattina ti chiamo e se rispondi bene, e fai quello che dico, ok. Altrimenti vengo lì e ti stacco quella testa di cazzo che hai”. La sorella, preoccupata, presenta un esposto alla magistratura per tentata estorsione e Maso risponde: “Mi avete messo nei casini, adesso ve la vedrete con i miei avvocati”. A seguito delle minacce ricevute, i militari dell’Arma hanno intensificato i controlli nei loro riguardi. Sempre a Maurizio Costanzo, nel corso dell’intervista, ha dichiarato: “Penso che i miei genitori mi accompagneranno a essere veramente la persona di oggi”. La famiglia Maso ha vissuto questi anni di dolore in silenzio, lontana dai riflettori poiché non ha voluto portare nei salotti quanto compiuto dal fratello ai danni dei genitori, vittime innocenti di una crudeltà premeditata e con fini prettamente economici. Un sincero pentimento non ha bisogno di essere ostentato nei salotti buoni della tv o sulle pagine dei rotocalchi da barbiere di periferia, ma alla luce di quanto accaduto e nel rispetto delle persone coinvolte, il mesto e proverbiale silenzio rappresenta la più alta forma di pentimento che ci possa essere nonché di rispetto nei confronti delle persone coinvolte e costrette a convivere con un mal d’animo latente.

 

Noi de L’Osservatore D’Italia abbiamo parlato la Dott.ssa Mary Petrillo, Psicologa, criminologa, Coordinatrice del Crime Analysts Team, Docente Master Univ. Niccolò Cusano e ci ha dato il suo punto di vista in merito alla vicenda.
Alla luce della intervista rilasciata al giornalista e conduttore Maurizio Costanzo, si torna a parlare di Pietro Maso, sul soggetto in questione posso anche esprimere un mio parere professionale, ma gli omicidi da lui commessi si commentano da soli, tra l’altro, riferivano alcuni giornali, qualche tempo fa, che, quando Maso venne rimesso in libertà, pare tentò una estorsione, accompagnata da minacce, ai danni delle sorelle. Questo comportamento certamente non depone a favore di un suo eventuale “recupero”, anzi ha, forse, evidenziato una probabile situazione di disagio psicologico che questa persona ancora vive e che non ha elaborato abbastanza! Soggetti che hanno commesso reati simili, infatti, ad un accurato esame psicodiagnostico si sono rivelati non trattabili e quindi la loro situazione potrebbe anche risultare non risolvibile a livello psicopatologico. Molti soggetti che commettono reati così efferati dovrebbero essere in strutture adeguate, ma messi nelle condizioni di non nuocere a nessuno. Personalmente prima di rimettere in libertà soggetti che commettono reati molto violenti, credo dovrebbero ripetersi le perizie che vennero loro fatte, per riconoscere una eventuale pericolosità sociale di questi individui. Nei delitti come quelli commessi da Pietro Maso, si evidenzia una alta conflittualità nei rapporti parentali e questa difficile gestione delle relazioni tra genitori e figli, infatti, può sfociare in un potenziamento della rabbia, della disperazione e frustrazione, che se non adeguatamente affrontata e risolta, con un aiuto professionale e se non elaborata, può sfociare in atti di violenza estremi ed esecrabili.

Angelo Barraco




PIETRO MASO RICOVERATO IN UNA CLINICA PSICHIATRICA, DON MAZZI: "NON BISOGNA LASCIARLO SOLO"

di Angelo Barraco
 
Verona – Pietro Maso è ricoverato da due giorni in una clinica psichiatrica di Verona. Un uomo con alle spalle 22 anni di carcere per il duplice omicidio dei genitori avvenuto il 17 aprile del 1991 quando era appena maggiorenne. Oggi Maso ha 44 anni e le vicende che lo coinvolgono e di cui si parla tanto sembra continuino a girare attorno ai soldi e ad incubi del passato che, sembra, non siano mai andati via. A confermare il ricovero è Don Antonio Mazzi che avrebbe riferito le condizioni critiche di Maso e che si sarebbero ulteriormente aggravate a causa dei problemi economici. Don Mazzi ha inoltre riferito: “Non bisogna lasciarlo solo”. Ma cosa era successo negli ultimi tempi?
 
Nei giorni scorsi gli inquirenti hanno intercettato delle conversazioni di Pietro Maso in cui i toni hanno destato non poca preoccupazione: “Le mie sorelle? Su di loro devo finire il lavoro di 25 anni fa”. Gli inquirenti reputano questa  frase una minaccia diretta nei confronti di Nadia e Laura Maso. Nella giornata di martedì, la questura di Milano gli ha notificato un foglio in cui gli ha imposto il “via obbligatorio”, Pietro Maso deve lasciare la città. Ricordiamo che l’uomo si è macchiato del duplice omicidio dei genitori, Antonio e Marirosa, nel 91 e da gennaio è indagato per tentata estorsione. Nelle intercettazioni in mano agli inquirenti, Maso parla con due persone e in entrambe le circostanze ci sono stati i presupposti di minacce, ritenute “gravi e fondate”. Nella giornata di martedì 1 è stata data un’ulteriore protezione alle sorelle, malgrado già lo fossero da febbraio. 
 
“Stanno parlando tutti, state parlando tutti di me. Fate pure, continuate così.C’è libertà e ciascuno è libero di dire ciò che vuole, anche chi mi accusa. Dite pure, fate pure. Non ho bisogno di difendermi”, sono queste le parole di Pietro Maso in un’intervista al Corriere del Veneto. Qui si parla dell’ultima vicenda giudiziaria che lo vede coinvolto, dell’sms con relative intimidazioni che doveva pervenire all’amico Fabio ma che invece, per errore, giunge a una delle due sorelle che preoccupata e allarmata presenta un esposto alla magistratura per tentata estorsione. Pietro Maso nell’intervista sottolinea: “Stavolta non ho fatto nulla, questa è la verità e io la conosco” aggiungendo inoltre “Non ho bisogno di difendermi da nulla perché non ho fatto nulla. Stavolta non ho commesso niente di grave”. Ha sottolineato inoltre: “Stanno cercando di rimettermi in carcere. Possono anche farlo, la galera non mi fa più paura. Ci sono già passato e so cosa vuole dire. La differenza è che stavolta non ho fatto nulla e so di essere nel giusto”. Ma cosa c’era scritto in quell’sms? Parole forti, parole dure che sono giunte per errore sul cellulare della sorella Nadia e che hanno fatto suonare dei campanelli d’allarme riconducibili al passato.
 
Ecco il testo del messaggio: “Ora Fabio pensaci bene. Domani mattina ti chiamo e se rispondi bene, e fai quello che dico, ok. Altrimenti vengo lì e ti stacco quella testa di cazzo che hai”. L’sms doveva pervenire ad un amico che gli ha negato un prestito di 25mila euro. Maso risponde all’esposto delle sorelle: “Mi avete messo nei casini, adesso ve la vedrete con i miei avvocati”, inoltre Maso ha preannunciato alle sorelle una denuncia per diffamazione. L’ultimo incontro tra l’uomo e le sorelle avviene il 21 dicembre nella sede di Telepace a Cerna (Verona). La sorella descrive il fratello così: “L’ho visto in uno stato confusionale e di onnipotenza, nei suoi occhi ho colto deliri euforici che mi hanno lasciato sorpresa e spaventata, ricordandomi lo stato in cui versava nel 1991, prima di commettere degli omicidi”. La Procura di Verona sta esaminando anche i bonifici dell’uomo e deciderà se nel caso specifico, l’ipotesi di reato è minacce o estorsione. L’amico ha riferito agli inquirenti che in questi due anni –nel periodo in cui Maso lavorava per Telepace- ha prestato a Maso 25mila euro. Maso sarebbe stato “Fortemente attratto dalla sua personalità”  ed è per questa ragione che chiedeva i soldi. Ricordiamo inoltre che è stato condannato a 30 anni di carcere e gli è stata riconosciuta la seminfermità mentale, ha scontato 22 anni di carcere. 
 
La storia di Pietro Maso gira ancora attorno ai soldi, dentro e fuori il carcere, da giovane e da uomo maturo si torna ad associare la sua figura a quella del denaro. Ciò che dovranno accertare adesso gli inquirenti è se oltre alla richiesta di denaro vi sia stata anche la minaccia anche ai danni delle sorelle. Lui però in un’interchista a Chi ha dichiarato: “Adesso che ho scontato la mia pena lo posso dire: non ho ucciso i genitori per soldi, perché i soldi li avrei avuti lo stesso”. Venticinque dopo il terribile massacro di Antonio Maso (56 anni) e Rosa Tessari (48 anni) avvenuto  il 17 aprile del 1991 a Montecchia di Crosara, con la complicità di tre amici. Gli fu inflitta una condanna a 30 anni e due mesi e la Corte d’Assise sentenziò: “Li ha massacrati per mettere le mani sull’eredità”. 
 
Il delitto: E’ la sera del 17 aprile del 1991, i coniugi maso sono ad un incontro di catechesi e di preghiera  a cui partecipano regolarmente. Antonio e Rosa accompagnano in Piazza il figlio, dove lo aspettano 3 amici. Il progetto di Pietro Maso era quello di uccidere la sua famiglia per mettere mano all’eredità, a beni mobili e immobili e voleva dividerlo con i suoi amici. Alle 23.10 i signori Maso rientrano a casa, il primo a varcare la porta è Antonio Maso che viene assalito dal figlio e colpito a sprangate alla testa, l’amico Damiano è intervenuto colpendo l’uomo con una pentola. Nel frattempo era arrivata la madre di Pietro Maso che fu aggredita brutalmente da Paolo e Giorgio e fu tramortita con forti colpi alla testa. Giorgio soffocò Rosa con una coperta, mentre gli altri la colpivano sulla testa e ripetutamente su tutto il corpo. Antonio Maso è stato ucciso con un piede sulla gola, soffocato. I genitori di Pietro Maso sono stati massacrati dal figlio e da tre suoi amici dopo venti minuti di agonia. Inizialmente simula una rapina, e in un primo momento ci credono, ma quando la scena viene analizzata per bene e non viene rinvenuto nessun segno oggettivo di rapina, il quadro che si prospetta è chiaro ed inquietante. Anche le sorelle si insospettiscono e si accorgono di una mancanza di 25 milioni dal conto della madre e la firma falsa di Rosa e la scritta della cifra scritta sulla rubrica telefonica di casa. Pietro le rivela dell'assegno intestato a Giorgio Carbognin, aggiunge che era stata la loro madre a firmarlo, ma non sa spiegare il perché di quelle scritte di prova sulla rubrica. Pian piano il quadro si fa sempre più nebuloso e pressato dagli inquirenti confessa il delitto. Tutti vengono arrestati per omicidio volontario, accusa che a chiusura d'istruttoria diventerà duplice omicidio volontario premeditato pluriaggravato. Le aggravanti sono infatti la crudeltà, i futili motivi e, per Pietro, anche il vincolo di parentela. Il 29 febbraio del 1992 viene emessa la sentenza, Pietro Maso viene condannato a 30 anni e 2 mesi di reclusione, Cavazza e Carbognin a 26 anni ciascuno, Burato, non essendo ancora diciottenne, verrà giudicato dal tribunale dei minori che lo condannerà a 13 anni.



PIETRO MASO: "STAVOLTA NON HO FATTO NULLA"

di Angelo Barraco
 
Verona  – “Stanno parlando tutti, state parlando tutti di me. Fate pure, continuate così.C’è libertà e ciascuno è libero di dire ciò che vuole, anche chi mi accusa. Dite pure, fate pure. Non ho bisogno di difendermi”, sono queste le parole di Pietro Maso in un’intervista al Corriere del Veneto. Qui si parla dell’ultima vicenda giudiziaria che lo vede coinvolto, dell’sms con relative intimidazioni che doveva pervenire all’amico Fabio ma che invece, per errore, giunge a una delle due sorelle che preoccupata e allarmata presenta un esposto alla magistratura per tentata estorsione. Pietro Maso nell’intervista sottolinea: “Stavolta non ho fatto nulla, questa è la verità e io la conosco” aggiungendo inoltre “Non ho bisogno di difendermi da nulla perché non ho fatto nulla. Stavolta non ho commesso niente di grave”. Ha sottolineato inoltre: “Stanno cercando di rimettermi in carcere. Possono anche farlo, la galera non mi fa più paura. Ci sono già passato e so cosa vuole dire. La differenza è che stavolta non ho fatto nulla e so di essere nel giusto”. Ma cosa c’era scritto in quell’sms? Parole forti, parole dure che sono giunte per errore sul cellulare della sorella Nadia e che hanno fatto suonare dei campanelli d’allarme riconducibili al passato.
 
Ecco il testo del messaggio: “Ora Fabio pensaci bene. Domani mattina ti chiamo e se rispondi bene, e fai quello che dico, ok. Altrimenti vengo lì e ti stacco quella testa di cazzo che hai”. L’sms doveva pervenire ad un amico che gli ha negato un prestito di 25mila euro. Maso risponde all’esposto delle sorelle: “Mi avete messo nei casini, adesso ve la vedrete con i miei avvocati”, inoltre Maso ha preannunciato alle sorelle una denuncia per diffamazione. L’ultimo incontro tra l’uomo e le sorelle avviene il 21 dicembre nella sede di Telepace a Cerna (Verona). La sorella descrive il fratello così: “L’ho visto in uno stato confusionale e di onnipotenza, nei suoi occhi ho colto deliri euforici che mi hanno lasciato sorpresa e spaventata, ricordandomi lo stato in cui versava nel 1991, prima di commettere degli omicidi”. La Procura di Verona sta esaminando anche i bonifici dell’uomo e deciderà se nel caso specifico, l’ipotesi di reato è minacce o estorsione. L’amico ha riferito agli inquirenti che in questi due anni –nel periodo in cui Maso lavorava per Telepace- ha prestato a Maso 25mila euro. Maso sarebbe stato “Fortemente attratto dalla sua personalità”  ed è per questa ragione che chiedeva i soldi. Ricordiamo inoltre che è stato condannato a 30 anni di carcere e gli è stata riconosciuta la seminfermità mentale, ha scontato 22 anni di carcere. 
 
La storia di Pietro Maso gira ancora attorno ai soldi, dentro e fuori il carcere, da giovane e da uomo maturo si torna ad associare la sua figura a quella del denaro. Ciò che dovranno accertare adesso gli inquirenti è se oltre alla richiesta di denaro vi sia stata anche la minaccia anche ai danni delle sorelle. Lui però in un’interchista a Chi ha dichiarato: “Adesso che ho scontato la mia pena lo posso dire: non ho ucciso i genitori per soldi, perché i soldi li avrei avuti lo stesso”. Venticinque dopo il terribile massacro di Antonio Maso (56 anni) e Rosa Tessari (48 anni) avvenuto  il 17 aprile del 1991 a Montecchia di Crosara, con la complicità di tre amici. Gli fu inflitta una condanna a 30 anni e due mesi e la Corte d’Assise sentenziò: “Li ha massacrati per mettere le mani sull’eredità”. 
 
Il delitto: E’ la sera del 17 aprile del 1991, i coniugi maso sono ad un incontro di catechesi e di preghiera  a cui partecipano regolarmente. Antonio e Rosa accompagnano in Piazza il figlio, dove lo aspettano 3 amici. Il progetto di Pietro Maso era quello di uccidere la sua famiglia per mettere mano all’eredità, a beni mobili e immobili e voleva dividerlo con i suoi amici. Alle 23.10 i signori Maso rientrano a casa, il primo a varcare la porta è Antonio Maso che viene assalito dal figlio e colpito a sprangate alla testa, l’amico Damiano è intervenuto colpendo l’uomo con una pentola. Nel frattempo era arrivata la madre di Pietro Maso che fu aggredita brutalmente da Paolo e Giorgio e fu tramortita con forti colpi alla testa. Giorgio soffocò Rosa con una coperta, mentre gli altri la colpivano sulla testa e ripetutamente su tutto il corpo. Antonio Maso è stato ucciso con un piede sulla gola, soffocato. I genitori di Pietro Maso sono stati massacrati dal figlio e da tre suoi amici dopo venti minuti di agonia. Inizialmente simula una rapina, e in un primo momento ci credono, ma quando la scena viene analizzata per bene e non viene rinvenuto nessun segno oggettivo di rapina, il quadro che si prospetta è chiaro ed inquietante. Anche le sorelle si insospettiscono e si accorgono di una mancanza di 25 milioni dal conto della madre e la firma falsa di Rosa e la scritta della cifra scritta sulla rubrica telefonica di casa. Pietro le rivela dell'assegno intestato a Giorgio Carbognin, aggiunge che era stata la loro madre a firmarlo, ma non sa spiegare il perché di quelle scritte di prova sulla rubrica. Pian piano il quadro si fa sempre più nebuloso e pressato dagli inquirenti confessa il delitto. Tutti vengono arrestati per omicidio volontario, accusa che a chiusura d'istruttoria diventerà duplice omicidio volontario premeditato pluriaggravato. Le aggravanti sono infatti la crudeltà, i futili motivi e, per Pietro, anche il vincolo di parentela. Il 29 febbraio del 1992 viene emessa la sentenza, Pietro Maso viene condannato a 30 anni e 2 mesi di reclusione, Cavazza e Carbognin a 26 anni ciascuno, Burato, non essendo ancora diciottenne, verrà giudicato dal tribunale dei minori che lo condannerà a 13 anni.



PIETRO MASO: ECCO IL TESTO DELL'SMS CHE DOVEVA INVIARE ALL'AMICO

di Angelo Barraco
 
Verona – Nuovi risvolti sulla vicenda di Pietro Maso e sull’esposto presentato dalle due sorelle, Laura e Nadia, che avrebbe portato la Procura di Verona ad iscrivere l’uomo nel registro degli indagati per tentata estorsione. “Ora F.  pensaci bene. Domani mattina ti chiamo e se rispondi bene, e fai quello che dico, ok. Altrimenti vengo li' e ti stacco quella testa di c… che hai” è il testo dell’sms che Maso doveva inviare ad un amico a cui ha prestato una somma di denaro pari a 25mila euro ma che non gli voleva più dargli. L’sms è giunto per errore anche sul telefonino di una delle due sorelle che spaventata, ha presentato un esposto alla magistratura per tentata estorsione.

Pietro Maso risponde alle sorelle: “Mi avete messo nei casini, adesso ve la vedrete con i miei avvocati”. Anche l’uomo a cui era indirizzato l’sms si è presentato dai Carabinieri per presentare denuncia. Emerge inoltre che in data 8 gennaio le sorelle vanno in caserma ed esprimono al Maresciallo le loro preoccupazioni  sul fratello poiché giorni prima, 21 dicembre, una delle due sorelle incontra Pietro a Telepace, dove esso lavora e trova in lui cambiamenti che le ricordano situazioni e circostanze risalenti all’epoca del terribile omicidio. L’uomo, una volta tornato in libertà, avrebbe chiesto soldi  ma non lo avrebbe fatto una sola volta ma diverse volte tanto da indurre le sorelle a segnalare quanto stava accadendo alla Magistratura. La Procura ha subito aperto un fascicolo. La storia di Pietro Maso gira ancora attorno ai soldi, dentro e fuori il carcere, da giovane e da uomo maturo si torna ad associare la sua figura a quella del denaro. Ciò che dovranno accertare adesso gli inquirenti è se oltre alla richiesta di denaro vi sia stata anche la minaccia anche ai danni delle sorelle. Lui però in un’interchista a Chi ha dichiarato: “Adesso che ho scontato la mia pena lo posso dire: non ho ucciso i genitori per soldi, perché i soldi li avrei avuti lo stesso”. Venticinque dopo il terribile massacro di Antonio Maso (56 anni) e Rosa Tessari (48 anni) avvenuto  il 17 aprile del 1991 a Montecchia di Crosara, con la complicità di tre amici. Gli fu inflitta una condanna a 30 anni e due mesi e la Corte d’Assise sentenziò: “Li ha massacrati per mettere le mani sull’eredità”. 
 
Il delitto: E’ la sera del 17 aprile del 1991, i coniugi maso sono ad un incontro di catechesi e di preghiera  a cui partecipano regolarmente. Antonio e Rosa accompagnano in Piazza il figlio, dove lo aspettano 3 amici. Il progetto di Pietro Maso era quello di uccidere la sua famiglia per mettere mano all’eredità, a beni mobili e immobili e voleva dividerlo con i suoi amici. Alle 23.10 i signori Maso rientrano a casa, il primo a varcare la porta è Antonio Maso che viene assalito dal figlio e colpito a sprangate alla testa, l’amico Damiano è intervenuto colpendo l’uomo con una pentola. Nel frattempo era arrivata la madre di Pietro Maso che fu aggredita brutalmente da Paolo e Giorgio e fu tramortita con forti colpi alla testa. Giorgio soffocò Rosa con una coperta, mentre gli altri la colpivano sulla testa e ripetutamente su tutto il corpo. Antonio Maso è stato ucciso con un piede sulla gola, soffocato. I genitori di Pietro Maso sono stati massacrati dal figlio e da tre suoi amici dopo venti minuti di agonia. Inizialmente simula una rapina, e in un primo momento ci credono, ma quando la scena viene analizzata per bene e non viene rinvenuto nessun segno oggettivo di rapina, il quadro che si prospetta è chiaro ed inquietante. Anche le sorelle si insospettiscono e si accorgono di una mancanza di 25 milioni dal conto della madre e la firma falsa di Rosa e la scritta della cifra scritta sulla rubrica telefonica di casa. Pietro le rivela dell'assegno intestato a Giorgio Carbognin, aggiunge che era stata la loro madre a firmarlo, ma non sa spiegare il perché di quelle scritte di prova sulla rubrica. Pian piano il quadro si fa sempre più nebuloso e pressato dagli inquirenti confessa il delitto. Tutti vengono arrestati per omicidio volontario, accusa che a chiusura d'istruttoria diventerà duplice omicidio volontario premeditato pluriaggravato. Le aggravanti sono infatti la crudeltà, i futili motivi e, per Pietro, anche il vincolo di parentela. Il 29 febbraio del 1992 viene emessa la sentenza, Pietro Maso viene condannato a 30 anni e 2 mesi di reclusione, Cavazza e Carbognin a 26 anni ciascuno, Burato, non essendo ancora diciottenne, verrà giudicato dal tribunale dei minori che lo condannerà a 13 anni.