Embargo al petrolio russo: ennesima fumata nera

“Sfortunatamente non siamo riusciti a raggiungere un accordo sull’embargo al petrolio russo”. A darne notizia nella serata di ieri l’Alto rappresentante per la politica estera Ue Josep Borrell.

L’ennesima fumata nera ormai conclama l’impasse europeo su una questione che, a parole, tutti dicono vada risolta al più presto ma che, nei fatti, si trascina di vertice in vertice. Anche perché secondo le stime della Commissione Europea la crescita economica sta rallentando sensibilmente e le sanzioni diventano un tema sempre più esplosivo. Senz’altro sul gas ma anche, evidentemente, sul petrolio.

La questione è nota: l’opposizione dell’Ungheria. Perché totalmente dipendente dal greggio di Mosca e priva di accesso al mare, circostanza che le impedisce di compensare con le navi le forniture via tubo. Ecco perché la Commissione, in una limatura delle bozze, aveva proposto un regime particolare per Budapest, concedendole un’esenzione all’embargo fino al 2024. Lo stallo, però, non è stato superato né al livello del Coreper, ovvero i rappresentanti permanenti dei 27 presso l’Ue, né al passaggio successivo, quello dei ministri degli Esteri. Ora, con ogni probabilità, si dovrà salire ancora di più, portando il dossier al tavolo dei leader: la prima data disponibile appare quella del consiglio straordinario sull’Energia, previsto per il 30-31 maggio. Budapest non si è fatta intimidire: per compensare le sue perdite l’Ue dovrebbe mettere sul piatto tra “i 15 e i 18 miliardi di euro”. “Se vuole far passare l’embargo – ha chiarito il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó – si deve esentare il greggio via oleodotto”.

La trattativa mina l’immagine di unità europea sino a qui mantenuta. I malumori serpeggiano. Kiev, per bocca del ministro degli Esteri Dmytro Kuleba, presente al consiglio di oggi, si è detta “delusa”. “L’intera Unione Europea è ostaggio purtroppo di un Paese che non ci aiuta a trovare il consenso”, ha dichiarato il collega lituano Gabrielius Landsbergis, tra i più attivi nel perorare la causa dell’embargo. Anche Luigi Di Maio si è detto contrariato per la china ormai imboccata. “L’Italia – ha notato – non pone veti al sesto pacchetto di sanzioni, che va approvato il prima possibile; è evidente che l’Ue deve imboccare un percorso di riforme per superare il principio dell’unanimità, che le vieta di prendere rapidamente alcune decisioni”.

“L’Ungheria – ha ribadito nel mentre Viktor Orbàn – non bloccherà le sanzioni dell’Ue purché non rappresentino un rischio per la nostra sicurezza energetica”. Come accennato in apertura, il tema dell’energia sempre più s’intreccia a quello della crescita e dunque, stringi stringi, alla sostenibilità dei conti Ue. Le previsioni economiche della Commissione per la primavera registrano il persistere di “un’elevata incertezza” dovuta alla guerra in Ucraina e certificano uno scenario da incubo nel caso in cui si dovesse bandire il gas russo: addio al 2,5% di crescita e più 3% del tasso d’inflazione. Date le condizioni attuali, l’impatto – non ultimo a livello sociale – sarebbe difficilmente tollerabile. Non a caso Di Maio ha ribadito la “necessità del tetto ai prezzi del gas”, prima che sia “troppo tardi”. Una misura fortemente voluta dall’Italia (lo stesso Mario Draghi l’ha chiesta più volte) ma non ancora matura a Bruxelles – ragione in più per incardinare il pacchetto al prossimo Consiglio europeo.

L’Ue intanto ha chiarito che le compagnie energetiche europee possono pagare il gas russo senza violare le sanzioni. “L’apertura di un conto bancario presso Gazprombank è possibile, a patto che non sia in rubli”, ha precisato la Commissione, sottolineando che basterà saldare i pagamenti in euro o dollari “in linea con i contratti concordati” e ricevere una dichiarazione di avvenuto saldo. Spetterà poi a Mosca, secondo le indiscrezioni circolate nel weekend, effettuare la conversione. Un’interpretazione sotto la lente dell’Eni, che comunque continua a valutare la possibile apertura di due conti, uno in euro e uno in rubli, per far fronte alle scadenze per i pagamenti previsti nella seconda metà di maggio. “Eni – ha fatto sapere la compagnia – sta tuttora svolgendo le proprie valutazioni e al momento non ha avviato la procedura di apertura dei due conti”.




PETROLIO ALL’ITALIANA

di Roberto Ragone
Chissà perché, ogni cosa che ci arriva da fuori dev’essere, in qualche modo, trasformato, modellato sul cittadino italiano medio. La commedia all’italiana ha fatto la fortuna, per esempio, di Lino Banfi e della Fenech; il divorzio all’italiana è stato rappresentato in un film di Pietro Germi; anche il matrimonio all’italiana è stato celebrato in una famosa commedia di Eduardo De Filippo, trasposta sullo schermo in un film di De Sica; un giallo all’italiana ce lo regala la TV ogni lunedì sera con le avventure del commissario Montalbano, e non possiamo dire che il protagonista sia immune dalle caratteristiche proprie di un italiano qualunque: le donne e la buona cucina; a fronte degli investigatori tutto whisky e 45 sotto l’ascella di oltreoceano. Insomma, tutto ciò che ci arriva dall’estero  subisce una trasformazione secondo canoni che nei millenni si sono ormai caratterizzati, fra nord, sud e centro, ma sempre ‘all’italiana’. Così quando abbiamo visto nel film ‘Il Gigante’ quelle grandi pompe succhiare oro nero dal sottosuolo texano, anche noi ci siamo entusiasmati. Anche i paesaggi erano particolari: distese immense senza un tetto, senza una roccia, solo grandi pianure, nelle quali abbiamo immaginato cow-boys stanchi a passo lento, o grandi carovane di Conestoga in viaggio verso la California. Così ci siamo guardati intorno e ci siamo detti: va bene che qui non ci sono grandi pianure; va bene che il paesaggio è interrotto da fiumi, montagne, colline, riserve naturali, piccoli paesi di montagna arroccati sulle rocce, coltivazioni e allevamenti, oltre a piccole aziende di prodotti tipici, come il prosciutto di Vaglio, il pane di Matera, e il pecorino podolico, ma forse, se ci stringiamo un po’ e chiudiamo gli occhi, possiamo anche qui immaginare un paesaggio come quello. Oppure come il deserto libico dove per decenni  le nostre aziende petrolifere, fra una duna e l’altra, sono andati a bucare la crosta terrestre, in perfetta solitudine.  Vuoi mettere l’emozione di un enorme trapano che scava in profondità per centinaia, anche migliaia, di metri, e che da un momento all’altro ti può inzuppare di un liquido puzzolente, prodotto dalla decomposizione di animali morti centinaia di milioni di anni prima, ma che per te è oro liquido?  Così la Basilicata divenne una delle prime vittime, e con la regione tutti i suoi abitanti, della febbre del petrolio, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Erano comunque altri tempi. Oggi anche in questo caso dobbiamo parlare di petrolio all’italiana. Infatti, tra sequestri di impianti, denunce, indagini su personaggi di rilievo, presunti favori alle lobbies, intercettazioni di telefonate con dimissioni di un ministro, sospetti di associazione a delinquere, piattaforme petrolifere favorite dallo stravolgimento di un legittimo referendum popolare , mancati versamenti di royalties alle regioni, sversamenti di rifiuti tossici fatti passare per altro, con risparmio di decine di milioni di euro, ed altre amenità consimili, tutta la vicenda  all’italiana vede come denominatore comune il petrolio italiano – notoriamente di pessima qualità – , come teatri il Mediterraneo – quello dove i pescatori sono stati sfrattati – e la regione Basilicata. A rischio anche Taranto, dopo la devastazione dell’Ilva, ex Italsider, fiore all’occhiello della DC degli anni ’60, che dovrà obtorto collo accettare la costruzione di grandi vasche di stoccaggio, la creazione di una pipeline, e  l’allungamento di uno dei moli del suo porto e un traffico – pare – di 90 petroliere: al giorno, alla settimana, al mese? Comunque tante. Con alti rischi di danni ambientali, dei quali le società interessate al traffico con la Turchia non vogliono farsi carico, all’italiana, appunto. E’ incredibile come le compagnie straniere  si convertano, appena nel bel Paese, alla nostra ‘nonchalance’, per dirla così. Sembra  poi che il nostro governo scopra ora il petrolio,  – forse lo vede oggi con occhi diversi – dopo che esso è destinato, nel giro di qualche anno, a diventare obsoleto, e questo per evitare di rimanere davvero senza energia. Ormai sarebbe assurdo parlare di centrali nucleari: così è assurdo continuare ancora oggi a parlare di petrolio come se fosse il futuro. La realtà è, come sempre, all’italiana. Visto dall’esterno pare ai più soltanto un grosso favore fatto alle lobbies del petrolio, con coinvolgimenti di Paesi esteri. E che dire del fatto che la stessa situazione avrebbe potuto verificarsi se i presunti lobbisti fossero stati interessati, non al petrolio, ma ai pannelli fotovoltaici, o alle pale eoliche, o ancora agli impianti geotermici? E perché non al biometano, visto che i nostri rifiuti li mandiamo all’estero, pagando fior di quattrini? Certamente la politica di chi conta sarebbe un’altra, e noi avremmo una gran fioritura di impianti di energie rinnovabili. All’italiana, insomma.

Ma il petrolio inquina, sporca, puzza, fa ammalare la gente anche di tumore; distrugge i pascoli, avvelena le falde dell’acqua che sarà destinata ai nostri acquedotti – come quella della diga del Pertusillo, il cui fondo è diventato una melma di idrocarburi, rilasciando nell’acqua metalli pesanti e sostanze cancerogene. Diga che serve di acqua potabile tre province pugliesi e una campana. Se vogliamo dirla tutta, sarebbe meglio che il petrolio rimanesse dov’è. In Italia. Tanto a comprarlo dalle società che bucano il nostro territorio, o dagli Arabi e dai Russi è la stessa cosa, e si fa prima, senza danni: il petrolio è quotato in borsa, e non paghiamo di meno il nostro, anzi, essendo di pessima qualità, per lo più non se ne può neanche fare benzina; perciò Eni, Shell, Total e Mitsui lo caricheranno a Taranto per mandarlo in Turchia, appunto. All’italiana. Facciamo un riassunto: vi sembra giusto piazzare pozzi e trivelle magari davanti a Venezia o a Lampedusa; rovinando il paesaggio delle colline, dei boschi, di piccoli centri ricchi di storia e tradizione, inquinando i vigneti delle regioni come Friuli, Toscana, Puglia eccetera che producono vini di pregio? Chi comprerà una casa con panorama di pompe, come grossi aironi di ferro che immergono il becco sottoterra? Rinunceremo alla nostra vera ricchezza, cioè il turismo, o l’enogastronomia che annovera prodotti unici al mondo, per ricavare qualche barile di melma maleodorante?  Tale è il nostro ‘petrolio’ di pessima qualità, posto a grandi profondità e difficile da estrarre  – che oltretutto necessita di infrastrutture invasive, punti di stoccaggio, autobotti, raffinerie, petroliere?  Quindi rifiuti tossici, che le compagnie non vogliono, nelle più parte dei casi, smaltire correttamente, o non hanno i mezzi per farlo; quindi inquinamento dei terreni, delle falde freatiche, dell’aria, con gas venefici, come idrogeno solforato, nitrati, composti organici volatili, idrocarburi policiclici aromatici, tutta roba che influisce sul DNA e che provoca mutazioni genetiche e  malattie come il cancro. Ricordate il rione S. Paolo di Taranto, invaso dai  fumi dell’Ilva, con una mortalità per tumore la più alta in Italia? Le conseguenti piogge acide non hanno limite, né difesa. Rischio geologico sempre possibile, rotture e infiltrazioni delle tubature sotterranee per obsolescenza, difficili da individuare, con perdite di petrolio. Incidenti sempre possibili, mentre le piccole aziende non garantiscono un risarcimento di eventuali danni ambientali. E i benefici? Quasi nulli, niente diminuzione della disoccupazione, niente royalties per l’ambiente, i cittadini, le piccole attività, ma, nel migliore dei casi, per i comuni e le regioni; fondi che stranamente  a volte si dileguano senza lasciar traccia, o vengono impiegati in opere non indispensabili. Enzo Di Salvatore, coordinatore dei ‘No Triv’, sostiene che l’emendamento alla Legge di Stabilità che la consultazione mirava a modificare, è in contrasto con la normativa europea sulla libera concorrenza. Di conseguenza annuncia un’azione contro il Mise “per chiedere il blocco immediato delle 5 concessioni estrattive entro le 12 miglia”. “Le autorizzazioni sono scadute da anni. La norma prevede che siano prorogati i titoli vigenti, non quelli scaduti. Di conseguenza le aziende petrolifere stanno continuando ad estrarre senza autorizzazione”. Ancora un emendamento, ancora la Legge di Stabilità, ancora una legge in capo al Ministero che fu della Guidi. Proprio così, all’italiana.
 




PETROLIO: UN INTERESSE CHE SI MUOVE IN LUOGHI IN CUI LA TERRA HA TREMATO

Redazione
 
L’On. Giancarlo Giordano, deputato di SeL ed eletto in provincia di Avellino  riferisce che gli abitanti dell’Irpinia rischiano la loro sicurezza poiché da diversi anni si scava per la ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi che secondo il deputato riguarda l’Ingv (istituto nazionale di geofisica e vulcanologia). Nell’interrogazione parlamentare presentata il 28 settembre scorso, il deputato pone la questione sul lavoro dell’Ingv svolto in maniera indipendente e come mai, se tale lavoro viene svolto in maniera indipendente è allo stesso tempo pagato dalla stessa società privata su cui dovrebbe indagare l’ente pubblico. Nel testo presentato si parlo di come l’Ingv venda servizi di consulenza sia ad enti pubblici che società private e si legge che ci sono società che sono coinvolte nell’estrazione di petrolio e gas. La lista delle società a cui L’Ingv vende servizi comprende sia enti pubblici che privati, che sono direttamente coinvolte nell’estrazione di idrocarburi. Nella lista dei nomi spunta L’Enel che è coinvolta in ricerche sia su mare che su terra, ma anche il colosso brasiliano Petrobras e la francese Total. La matassa è grande ma come mai è uscito fuori il nome di Irpinia? Il deputato sostiene che l’Ingv ha trattative in corso per diventare consulente nella compagnia Cogeid, compagnia di idrocarburi. Ma in Irpinia? Nel 1980 una scossa di terremoto strappò la vita a 2.914 persone. Ma il passato non ha fermato niente e nessuno poiché la società ha ottenuto dal ministro dello Sviluppo economico (nel 2010) il permesso per effettuare ricerche di idrocarburi. Ma al momento tale concessione risulta sospesa poiché si attende che il ministro dell’Ambiente dia il via libera alle perforazioni. Intanto tale situazione non ha portato serenità agli abitanti che, con il ricordo del passato impresso nella mente, sono preoccupati che dalle trivellazioni possano scatenarsi nuovi terremoti. Ma prima delle trivellazioni bisognerebbe verificare la sismologia del territorio, ed è questo ciò che si dovrebbe fare. Ma la consulenza in questione sarebbe finanziata sa Cogeid, quindi dall’Ingv e in questo caso si verrebbe a creare un forte conflitto d’interesse. Secondo il deputato l’Ingv non deve farsi pagare la consulenza dai privati. Intanto l’Ingv riferisce di essere stata contattata da Codeig del 2013 ma che non è stato fatto nessun contratto. 



POMPA DI BENZINA CHE VAI…PREZZI CHE TROVI

di Angelo Barraco
 

Quando ci rechiamo presso una pompa di benzina a fare il pieno ormai non vediamo più quei prezzi esorbitanti di qualche anno fa che ma c’è un notevole cambiamento dei prezzi, come mai? Perchè le quotazioni del petrolio a New York toccano ormai il punto più basso da sei anni a questa parte e raggiungono i 41 dollari al barile, ma per gli automobilisti al ritorno dalle vacanze i prezzi non calano poiché il calo non è unidimensionale ma vi sono zone in cui i costi sono ancora alti e altri invece in cui sono molto bassi. Le associazioni dei consumatori contestano i prezzi troppo elevati della benzina alla pompa di 9 centesimi al litro rispetto all’andamento ai prezzi di mercato.
 
 
Alle proteste si unisce anche il Codacons che teme manovre speculative ai danni dei consumatori e annuncia denunce alla Procura di Roma e all’antitrust. Intanto secondo il calcolo dell’Osservatorio di feder consumatori il rincaro non giustificato della benzina pesa per circa 108 euro l’anno ad automobilista per i costi diretti ai quali si aggiungono 87 euro di costi indiretti dovuti al trasporto delle merci. Dal mese di agosto 2014 ad agosto 2015 la quotazione del petrolio è dimezzata, calando da 100 dollari al barile a circa 40, gli analisti si attendono nuovi ribassi fino a 30 dollari. In Italia il prezzo della benzina alla pompa è passato da 1.74 euro al litro nel 2014 a 1.56 ma ci sono pompe di benzina in cui il prezzo è di 1.30, specialmente nel sud Italia. 



CALIFORNIA,DISASTRO AMBIENTALE: 400 MILA LITRI DI PETROLIO IN MARE

di Angelo Barraco
 
San Francisco (California)- Una delle più grandi minacce per il mare è il petrolio; quando esso si tergiversa causa danni irreparabili. E' quanto successo in California, davanti al litorale di Santa Barbara, dove la rottura di un oleodotto della Plains All American Pipeline LP ha causato la fuoriuscita di oltre 400 mila litri di petrolio, la macchia avrebbe un’estensione di circa sei chilometri e una larghezza di cinquanta metri. Le splendide spiagge di Santa Barbara che in estate sono affollatissime, adesso sono invase e macchiate dal petrolio che la ha trasformate in una distesa monocromatica nera.
 
La Guardia Costiera è intervenuta insieme ad una società che si occupa della ripulitura dell’acqua e un’organizzazione che si occupa della salvaguardia della fauna; sono accorsi anche numerosissimi volontari. I danni ambientali potrebbero essere ingenti e una stima attualmente non c’è, la compagnia petrolifera però ha dichiarato di aver chiuso l’oleodotto tempestivamente per limitare i danni che può causare il petrolio all’ambiente.
 
Nelle spiagge di Santa Barbara vi era stato già un disastro petrolifero il 28 gennaio del 1969 dove si sono tergiversati in mare circa 10.000-14.000 tonnellate di greggio in mare. Un altro disastro entrato nella storia è stato quello avvenuto nelle splendide Isole Galapagos, in cui la petroliera “Jessica” ha disperso in mare 568 tonnellate di greggio in quel fatidico gennaio del 2001. Per bonificare un territorio contaminato, spesso ci vogliono mesi o anni e molte risorse economiche, ma, le risorse spesso mancano e la bonifica non arriva mai. Di conseguenza quelli che da sempre sono stati definiti paradisi naturali diventano sempre più aree contaminate dall'oro nero.