I PENTASTELLATI CONTRO DE LUCA(PD): PRESENTATO UN ESPOSTO IN PROCURA

A. P.

I pentastellati hanno iniziato a bombardare, forti dei risultati che li hanno visti sostanzialmente un pò meglio delle elezioni europee ma decisamente discreti come esito a medio lungo termine. Il Movimento 5 stelle ha gia' "presentato un esposto contro De Luca alla Procura della Repubblica, indirizzato anche al presidente del Consiglio e al ministro dell'Interno, completo di dossier su Vincenzo De Luca". Lo ha annunciato la candidata M5S alla presidenza della Campania, Valeria Ciarambino, che ha voluto ricordare: "D'altra parte e' merito dei 5 stelle se De Luca e' decaduto da sindaco di Salerno". Dopo le elezioni Regionali, ha sottolineato ancora Ciarambino, c'e' un "vero e proprio caos istituzionale". Ma, ha proseguito, "l'aver ottenuto il 18% di voti puliti, non comprati, e' un successo. Al di là della quantità di voti conta la qualità. Noi stiamo restituendo fiducia agli elettori che dicono che il voto non serve piu' a nulla. In un paese dove il voto di scambio e' una vera piaga, potrei gioire del risultato ottenuto solo per il fatto che nel consiglio regionale piu' indagato d'Italia entreranno cittadini onesti. Ma – ha spiegato – non gioisco fino in fondo perche oggi il mio presidente della Regione e' un condannato". Quindi, ha ripetuto: "Vigileremo affinche' De Luca venga sospeso e non gli venga concesso di nominare un vicepresidente. Su questa battaglia saremo attentissimi"




LA LIGURIA DELLO SCANDALO: PD CONTRO PD

A. De Marchis

Ma non la facessero troppo lunga: sono ancora il primo partito e nessuno li schioderà dalla poposition. Se hanno perso la Liguria è per i loro dispettucci interni e adesso chi ha fatto la parte del disturbatore si vedrà comunque danneggiato perché i "Renzies" hanno questa filosofia. Il Pd vince le regionali portando a casa 5 govenratori su 7. Conquistata la Campania con "l'impresentabile" De Luca, ma persa nettamente la Liguria. E dolorosamente. Almeno a sentire il commento dei vertici del Pd, che puntano l'indice contro la sinistra che ha scelto di appoggiare la Lista Pastorino (9,4% dei consensi). "Ovviamente ci amareggia il risultato della Liguria", dice la vicesegretaria Debora Serracchiani in conferenza stampa nella sede del partito. Una sconfitta, ha sottolineato, che c'e' stata "anche a causa della divisione del Pd e di una sinistra che ha ritenuto piu' utile far perdere il Pd piuttosto che continuare un'amministrazione di centrosinistra". Comunque il risultato delle regionali "ci colloca con chiarezza e determinazione nella prospettiva del 2018", conclude. L'altro vicesegretario, Lorenzo Guerini, accetta il responso delle urne e fa un'analisi: "Perdiamo in una regione e perdiamo perche' un pezzo di centrosinistra, per costruire nuovi equilibri politici, qualcuno ha consegnato quella regione alla destra. Ora serve fare una riflessione". Sulla stessa linea, ma ancor piu' diretto, Matteo Orfini, secondo il quale la conquista della Liguria da parte del centrodestra con Giovanni Toti e' "figlia di una sinistra irresponsabile che oggi festeggia la vittoria della destra".




GIUSTIZIA: PD E AREA POPOLARE TROVANO LA QUADRA SULLA PRESCRIZIONE

Dal vertice tenutosi il 14 maggio 2015 presso il Ministero della Giustizia emerge la volontà di lavorare sull'art.171 del Codice penale anziché sul 157. Accordo di maggioranza PD e Area Popolare sulla prescrizione nel giorno in cui il ddl anti-corruzione approda in Aula alla Camera. I due testi viaggeranno in parallelo. Si dice soddisfatto il ministro della Giustizia Andrea Orlando

di Cinzia Marchegiani

Proficuo il vertice tenutosi stamane al Ministero della Giustizia con il Guardasigilli Andrea Orlando, il viceministro Enrico Costa, responsabile Giustizia del Pd David Ermini, il presidente dei senatori di Ap Renato Schifani e il capogruppo in commissione Senato Nico D'Aspola. L’accordo tra il Partito Democratico e Area Popolare sulla prescrizione, prevede la possibilità di programmare un tavolo tecnico per riconsiderare i termini per i reati contro la pubblica amministrazione che rischiavano proprio per l’eccessivo allungamento dei termini, produrre pesanti impatti. Un tavolo dove si procederà a concordare il ddl prescrizione e anticorruzione.

MODIFICA SUL DDL PRESCRIZIONE

Mentre approda in Aula alla Camera il dddl anticorruzione, c’è anche l’accordo sul ddl prescrizione. Il tavolo tecnico per quest’ultimo dovrà lavorare sugli interventi di modifica cercando quell’armonizzazione del ddl sulla prescrizione che è stato già approvato alla Camera e ora passato all'esame della Commissione Giustizia del Senato e del ddl anticorruzione e domani inizia l'iter per l'approvazione finale alla Camera. Insomma sembra accordo tra Area popolare e Partito Democratico garantendo entrambe che i tempi dell’approvazione saranno rispettati garantendo che le stesse norme saranno presto legge dalla prossima settimana.
A sollecitare il vertice era stata la stessa Area Popolare (Ncd e Udc). L'obiettivo del tavolo è raccordare ddl prescrizione e ddl anticorruzione. Il ministro Orlando dichiara: "Sono soddisfatto per l'accordo nella maggioranza sulla prescrizione perché consente di approvare le norme prima del voto sulle regionali".

DICHIARAZIONI

Il senatore Nico D'Ascola (Ap) specifica, dopo la chiusura del vertice: "Abbiamo trovato un accordo per l'istituzione di un tavolo che dovrà esaminare le modifiche per ridurre i termini di prescrizione per i reati contro la pubblica amministrazione e su tutto l'assetto della prescrizione. Si è convenuto – Da’D’Ascola aggiunge – che per effetto di alcune modifiche di legge ci sarebbero stati tempi troppo lunghi di prescrizione e che non avrebbero eliminato il rischio prescrizione in sé e per sé, ma avrebbero avuto riflessi sulla ragionevole durata dei processi". La scelta individuata oggi sarà quindi di lavorare sull'art.171 del Codice penale anzichè sul 157.

Per Renato Schifani, capogruppo di Ap al Senato i cittadini hanno diritto a tempi certi dei processi e bisogna evitare un eccessiva dilatazione: “Oggi abbiamo avviato una trattativa foriera di un giusto compromesso e delle giuste tutele.”

L’IMPIANTO DEL TESTO
Il responsabile giustizia del Pd, David Ermini spiega quanto questo tavolo tecnico concordato e avviato svolgerà un lavoro importante: “L'impianto del testo sulla prescrizione rimane integro: ci saranno le sospensioni di due anni e un anno dopo le condanne in primo grado e in appello; si partirà nel calcolo dal massimo edittale come base. A nostro avviso va considerato che i reati contro la pubblica amministrazione – spiegando un punto importante – non potranno essere considerati come reati ordinari. Inoltre è stato chiesto che siano inseriti nelle modifiche al 161 anche gli altri reati contro la P.A., come l'induzione".
 




PIPPO CIVATI LASCIA GRUPPO ALLA CAMERA E PD: ADDIO RENZI!

Redazione

Bye, bye Renzi, questa volta è definitiva. Non è solo addio al gruppo del Pd, ma un addio al partito. Lo puntualizza Pippo Civati sul suo blog, spiegando le ragioni della sua "sfiducia" in Renzi che lo hanno portato a lasciare i Dem, un "partito nuovo e diverso, fondato sull'Italicum e sulla figura del suo segretario", nel quale "chi non è d'accordo, viene solo vissuto con fastidio". "Siamo dispiaciuti ma non preoccupati", la replica dal Pd con Lorenzo Guerini.

Civati ha spiegato, durante un'intervista a "Otto e mezzo" su La7 di non aver parlato con Renzi prima di annunciare la sua decisione. "Renzi non ha rispettato il programma elettorale con il quale siamo stati eletti, a cominciare dalla legge elettorale e dalle riforme. Ha parlato di risultati straordinari del jobs act che non si vedono. Non cito Enrico Letta per amor di patria. Io non ho tradito. Io rispetto gli elettori con i quali mi sono impegnato anni fa e la mia coscienza". "Nuovo partito? Penso che sia un lavoro che dobbiamo fare nelle prossime settimane. Ci sono persone che sono candidate per il Pd e che mi sono vicine: votate per loro, ha detto Civati. Fino alle Regionali non si parlerà di nuovo partito, ma di questa esigenza si parlerà questa estate". E sull'Italicum ha aggiunto: la firma di Mattarella "la davo per scontata, anche se secondo me la Consulta qualcosa da dire ce l'ha". "Non mi sento più di votare la fiducia" – "Esco dal gruppo del Pd. Percoerenza con quello in cui credo e con il mandato che mi hanno dato gli elettori – spiega Civati – non mi sento più di votare la fiducia al governo Renzi. La conseguenza è uscire dal gruppo".

Pd, dispiaciuti ma non preoccupati.  "Sono dispiaciuto ma era una decisione preannunciata da tempo". Così il vice segretario del Pd Lorenzo Guerini a proposito della scelta di Civati di lasciare il gruppo. Per quanto riguarda la maggioranza al Senato Guerini dice di non essere "impensierito, non credo che la minoranza Pd lo seguirà anche se dovete chiedere a loro".

Speranza, Civati dimostra malessere serio. "L'addio di Civati è un atto che ci deve far riflettere e non è liquidabile con una scrollata di spalle ma testimonia un malessere. Non condivido l'uscita dal Pd ma il fatto che una persona che abbia preso circa 400mila preferenze alle primarie se ne vada deve far riflettere". Così Roberto Speranza reagisce all'addio di Civati al Pd. "In questi mesi – spiega Speranza – spesso non siamo stati d'accordo ma il suo addio dispiace molto. Io penso che ci sono le condizioni per lavorare dentro il Pd e battersi perchè resti di sinistra e non diventi tutto e il contrario di tutto". Sul rischio che nel Pd si consumi una scissione silenziosa di dirigenti e militanti, l'ex capogruppo spiega che "bisogna lavorare perchè non avvenga ma vedere Bondi che vota il Def mentre il mondo largo della scuola protesta provoca inquietudine nel nostro elettorato". Ieri, parlando del ribelle Dem, Renzi aveva detto: "Siamo per tenere tutti dentro".

E già inizia la mobilitazione su Twitter




ITALICUM: VIA LIBERA ALLA PRIMA FIDUCIA. 38 DEPUTATI PD NON LA VOTANO

Redazione

L'Aula della Camera conferma la fiducia al governo sul primo articolo della legge elettorale con 352, 207 no e un astenuto. Sono 38 i deputati del Partito democratico che non hanno votato la fiducia al governo sulla legge elettorale. In base ai tabulati, ai 36 che risultano non partecipanti alla chiama, vanno aggiunti Roberto Speranza e Guglielmo Epifani che risultano in missione ma hanno espresso pubblicamente la dichiarazione di non voto. "Siamo in linea con i numeri delle altre fiducie. E' il primo passo". Così il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, uscendo dall'Aula della Camera dopo il primo voto di fiducia al governo sulla legge elettorale. Il ministro esprime "soddisfazione" per il risultato. "Grazie di cuore ai deputati che hanno votato la prima fiducia. La strada è ancora lunga ma questa è #lavoltabuona". Così Matteo Renzi commenta su tweet l'esito del primo voto di fiducia su Italicum




G8 IRRUZIONE ALLA DIAZ: PD IN UN MARE DI POLEMICHE, SI SCAGLIA SULL'EX CAPO DELLA POLIZIA

 

LEGGI ANCHE: 07/04/2015 G8: ITALIA CONDANNATA PER TORTURA

Redazione

Un Pd sempre più spaccato con un premier sempre più alle prese con moniti "multimediali": si allontana dalla realtà e "cinguetta" continuamente su Twitter. E anche altri del Pd non ne riescono a fare a meno. La condanna dell'Italia per ricorso alla tortura durante il G8 di Genova diviene un caso politico, che agita le acque di un Pd gia' alle prese con la spinosa questione della legge elettorale. Se il governo, nel 2001, era a guida centrodestra, e' il principale partito del centrosinistra a dividersi. Perche' Gianni De Gennaro, all'epoca capo della polizia, venne tirato in ballo con l'accusa di falsa testimonianza, assolto al processo del 2011 ed in seguito nominato ai vertici di Finmeccanica. Un incarico riconfermatogli la scorsa estate dall'attuale governo. Ragion per cui fanno rumore i 140 caratteri di twitter con cui il presidente del Pd, Matteo Orfini, oggi tuona; "Lo dissi quando fu nominato e lo ripeto oggi dopo la sentenza. Trovo vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica". M5S e Sel rilevano un'incongruenza. "Noi chiediamo le dimissioni di De Gennaro da presidente di Finmeccanica ma non lo facciamo in modo ipocrita. Perche' non siamo stati noi nel 2013 a metterlo a capo di Finmeccanica, ma e' stato un governo di centrosinistra", rileva il grillino Vittorio Ferraresi. E Nicola Fratoianni, di Sel: "Siamo talmente convinti che sia una vergogna da permetterci di chiedere a Matteo Orfini, presidente del Pd, di fare qualcosa di piu' che un semplice tweet: chieda al Presidente del Consiglio (che e' anche segretario del Pd) di risolvere il problema".
Il premier nel frattempo si trovaimpegnato in un botta e risposta, anch'esso su twitter, con uno dei leader della contestazione di Genova, Luca Casarini, che all'epoca guidava le cosidette "Tute Bianche". Scrive Casarini, rivolgendosi al segretario del Pd e Presidente del Consiglio: "Sulla condanna dell'Italia per tortura alla Diaz non dici nulla. Come mai?". Secca replica del diretto interessato: "Quello che dobbiamo dire lo dobbiamo dire in Parlamento con il reato di tortura. Questa e' la risposta di chi rappresenta un Paese". Controreplica: "Ok. ma un primo ministro di un paese democratico si schiera subito di fronte a una vergogna nazionale. Rottamare e' anche questo".




PD – FI: SI CERCA INTESA SU CAPO DELLO STATO

Redazione

E' caccia al nuovo Capo dello Stato. Un politico che non indossi la 'casacca' del Pd, 'low profile' ma affidabile e allo stesso tempo autorevole, preferibilmente che abbia smesso l'attivita' parlamentare.E' questo l'identikit che, riferiscono fonti parlamentari, avrebbe fornito il premier Matteo Renzi ai suoi per il futuro Capo dello Stato, e sul quale si sarebbe raggiunto un accordo di massima anche con Forza Italia. Regge per ora l'asse tra largo del Nazareno e il partito azzurro.La premessa e' l'intesa sull'Italicum 2: domani la legge elettorale sara' incardinata nell'Aula del Senato senza il voto della commissione, non comincera' neanche la discussione, se ne riparlera' il 7 gennaio. Ma nella legge elettorale verra' inserita la 'condizione' chiesta dagli azzurri, entrera' in vigore a settembre 2016. Su questo punto e' d'accordo anche l'ala rappresentata da Raffaele Fitto. L'europarlamentare azzurro che 'controlla' circa 40 parlamentari ieri sera a cena ha visto il plenipotenziario azzurro Denis Verdini. C'e' l'ok alla riforma del sistema di voto, se conterra' nero su bianco la certezza che la finestra elettorale in primavera sara' 'chiusa'.

Per quanto riguarda l'elezione del successore di Giorgio Napolitano l'obiettivo e', spiegano dalla maggioranza dem, allargare lo 'schema' a tutte le forze politiche, anche se gia' si mette in conto che il Movimento cinque stelle non si siedera' neanche al tavolo. Al momento nomi non sono stati fatti, Silvio Berlusconi nei suoi ragionamenti privati avrebbe avanzato il nome di Sergio Mattarella, ma in campo c'e' anche l'ipotesi Sabino Cassese, una figura che – viene spiegato – sarebbe gradita anche all'attuale Capo dello Stato.

"A Renzi – sottolinea un parlamentare vicino all'ex sindaco di Firenze – serve una personalita' di garanzia e verra' individuata una persona che corrisponda a questo profilo".

La convinzione e' che anche la minoranza del Pd difficilmente potrebbe sfilarsi.
  In realta' i 'desiderata' della minoranza dem sono noti: il profilo e' quello di un politico autorevole che provenga proprio dall'area di sinistra.

Una condizione non dirimente, sottolineano sempre fonti parlamentari, per il premier. "Serve – questo l'identikit che viene suggerito dalle stesse fonti – un presidente che sappia gestire le forze politiche e i passaggi parlamentari, che firmi l'Italicum e possa sciogliere le Camere all'accorrenza".Non prima del 2016 in ogni caso, su questo punto Fi e' netta.

In realta' il partito azzurro punta ad un altro scopo: Berlusconi a febbraio – lo ha annunciato lui stesso in diverse occasioni – riavra' la sua 'liberta'', ma si starebbe studiando la possibilita' di ridare al Cavaliere la piena agibilita' politica, ovvero la possibilita' di candidarsi.

Lunedi' Fitto incontrera' Berlusconi: l'obiettivo dell'ex ministro e' quello di chiudere un accordo sul partito, ma la partita sul Quirinale pesa, visto che l'europarlamentare ha dalla sua parte quasi un terzo dei parlamentari. L'ex premier avrebbe riallacciato i contatti anche con Angelino Alfano.

Il 'dossier' Colle e' comunque ancora da aprire, visto che Renzi aspettera' fino all'ultimo minuto prima di scoprire le carte per poi provare a mettere in pratica il 'metodo Ciampi'.
  La minoranza del Pd ha gia' fatto sapere che non fara' alcun nome prima della prevista Assemblea, proprio per aspettare le mosse del Capo dell'esecutivo e non bruciare alcuna candidatura. L'identikit fornito da Renzi – un politico, non Pd – difficilmente sara' 'appoggiato' da tutto il partito. Ma senza un accordo interno, spiega un altro renziano, non e' escluso che si possa puntare su un 'piano B', su un nome vicino al presidente del Consiglio, tipoGraziano Delrio o Paolo Gentiloni.

Scenari assolutamente prematuri, ma che si 'rincorrono' in Transatlantico dopo che il presidente della Repubblica ha ufficializzato che il suo addio e' ormai imminente.




PARTITI POLITICI ITALIANI: TUTTI I CONTI IN ROSSO

di Maurizio Costa

Gli aiuti di Stato non ci sono più e la politica italiana entra in crisi. I maggiori partiti del nostro Paese hanno stilato i bilanci per l'anno 2013 e i dati sono sconcertanti: Pd, Forza Italia, Pdl e Lega Nord hanno chiuso l'anno scorso con un passivo di 55 milioni di euro.

Dopo anni di aiuti pubblici ai partiti, adesso le cose sono cambiate: se nel 2010 lo Stato elargiva 290 milioni di euro ai vari colori politici, quest'anno gli schieramenti incasseranno solamente 91 milioni, per arrivare a zero nel 2017. Le condizioni economiche dei vari partiti continueranno a tendere verso il segno meno e l'unico modo per risolvere la situazione è tagliare fino all'ultimo spreco.

Vediamo come sono messi i conti dei vari schieramenti per quel che riguarda il bilancio 2013.

Partito Democratico – Il Pd versa in una condizione estremamente complessa. Se gli introiti derivanti da contributi pubblici e privati hanno raggiunto la quota di 37 milioni di euro, il partito ha registrato oneri che arrivano a più di 48 milioni di euro, con una perdita complessiva di 10 milioni di euro. Il Partito Democratico ha affidato la revisione dei conti allo studio "DLA Piper", uno dei migliori in Italia, che, analizzando le carte, ha riscontrato le falle maggiori soprattutto nelle forniture e nei costi del sito web. Inoltre, le elezioni politiche sono costate 7 milioni di euro e le rispettive iniziative un altro milione. Il Pd punta nel 2014 a raggiungere il pareggio di bilancio, tagliando le spese di vitto e alloggio e i vari rimborsi spesa, disdicendo, inoltre, gli inutili affitti in Via Tomacelli e in Via del Tritone.

Forza Italia – Il partito di Berlusconi avrebbe un buco di 15 milioni di euro. Pochi giorni fa, infatti, il Cavaliere ha dichiarato che il partito versa in condizioni disastrose, tanto da essere arrivato con l'acqua alla gola. Oltre ai debiti con i vari fornitori, Fi deve ancora versare 87 milioni di euro alla sua vecchia gloria, il Pdl, che però, a febbraio, aveva ricevuto da Berlusconi un assegno da 15 milioni di euro.

Lega Nord – Il tesoriere della Lega Nord, Stefano Stefani, è stato glaciale: "Al Carroccio rimangono due anni di vita." Il partito di Salvini si ritrova un buco di 14,4 milioni di euro. I tagli dovranno essere d'obbligo per non incorrere nel default finanziario.

Popolo delle Libertà – Infine, il Pdl, ha un passivo di 14 milioni, con altri 18 milioni di debiti da pagare. Senza Berlusconi sarà difficile recuperare tutto.

I partiti vanno incontro al disastro totale. Un politica di tagli è l'unico modo per uscirne, anche perché, nel 2017, i soldi dello Stato non arriveranno più. 




PD: GIANNI CUPERLO SI DIMETTE

di Gianni Cuperlo

Ho scritto al segretario Matteo Renzi. Per comunicargli che mi dimetto da presidente dell'assemblea nazionale del PD. Ecco il testo della lettera:

Caro Segretario,
dal primo minuto successivo alle primarie ho detto due cose: che quel risultato, così netto nelle sue dimensioni e nel messaggio, andava colto e rispettato, e che da parte mia vi sarebbe stato un atteggiamento leale e collaborativo senza venir meno alla chiarezza di posizioni e principi che, assieme a tante e tanti, abbiamo messo a base della nostra proposta congressuale.
Ho accettato la presidenza dell’Assemblea nazionale con questo spirito e ho cercato di comportarmi in modo conseguente. Prendendo parola e posizione quando mi è sembrato necessario, ma sempre nel rispetto degli altri a cominciare da chi si è assunto l’onere e la responsabilità di guidare questa nuova fase.
Nella direzione di ieri sono intervenuto sul merito delle riforme e sul metodo che abbiamo seguito. Ho espresso apprezzamento per l’accelerazione che hai impresso al confronto e condiviso il traguardo di una riforma decisiva per la tenuta del nostro assetto democratico e istituzionale. Non c’era alcun pregiudizio verso il lavoro che hai svolto nei giorni e nelle settimane passate. Lavoro utile e prezioso, non per una parte ma per il Paese tutto.
Ho anche manifestato alcuni dubbi – insisto, di merito – sulla proposta di nuova legge elettorale. In particolare gli effetti di una soglia troppo bassa – il 35 per cento – per lo scatto di un premio di maggioranza. Di una soglia troppo alta – l’8 per cento – per le forze non coalizzate e di un limite serio nel non consentire ancora una volta ai cittadini la scelta diretta del loro rappresentante. Dubbi che, per altro, ritrovo autorevolmente illustrati stamane sulle pagine dei principali quotidiani da personalità e studiosi ben più autorevoli di me.
Infine ho espresso una valutazione politica sul metodo seguito nella costruzione della proposta e ho chiuso con un richiamo a non considerare la discussione tra noi come una parentesi irrilevante ai fini di un miglioramento delle soluzioni.
Nella tua replica ho ascoltato la conferma che le riforme in discussione rappresentano un pacchetto chiuso e dunque – traduco io – non emendabile o migliorabile pena l’arresto del processo, almeno nelle modalità che ha assunto. Sino ad un riferimento diretto a me e al fatto che avrei sollevato strumentalmente il tema delle preferenze con tutta la scarsa credibilità di uno che quell’argomento si è ben guardato dal porre all’atto del suo (cioè mio) ingresso alla Camera in un listino bloccato.

E’ vero.
Per il poco che possano valere dei cenni personali, sono entrato per la prima volta in Parlamento nel giugno del 2006 subentrando al collega Budin che si era dimesso. Vi sono rientrato da “nominato” nel 2008 e nuovamente nel listino da te rammentato a febbraio di un anno fa. La mia intera esperienza parlamentare è coincisa con la peggiore legge elettorale mai concepita nella storia repubblicana. Sarebbe per altro noioso per te che io ti raccontassi quali siano stati la mia esperienza e il mio impegno politico prima di questa parentesi istituzionale. Però la conosco io, e tanto può bastare.
Quanto al consenso non so dire se in una competizione con preferenze ne avrei raccolte molte o poche. So che alcuni mesi fa, usando qualche violenza al mio carattere, mi sono candidato alla guida del nostro partito. Ho perso quella sfida raccogliendo però attorno a quella nostra proposta un volume di consensi che io considero non banali.
Comunque non è questo il punto.
Il punto è che ancora ieri, e non per la prima volta, tu hai risposto a delle obiezioni politiche e di merito con un attacco di tipo personale.
Il punto è che ritengo non possano funzionare un organismo dirigente e una comunità politica – e un partito è in primo luogo una comunità politica – dove le riunioni si convocano, si svolgono, ma dove lo spazio e l’espressione delle differenze finiscono in una irritazione della maggioranza e, con qualche frequenza, in una conseguente delegittimazione dell’interlocutore.
Non credo sia un metodo giusto, saggio, adeguato alle ambizioni di un partito come il Pd e alle speranze che questa nuova stagione, e il tuo personale successo, hanno attivato.
Tra i moltissimi difetti che mi riconosco non credo di avere mai sofferto dell’ansia di una collocazione.
Ieri sera, a fine dei nostri lavori, esponenti della tua maggioranza hanno chiesto le mie dimissioni da presidente per il “livore” che avrei manifestato nel corso del mio intervento.
Leggo da un dizionario on line che la definizione del termine corrisponde più o meno a “sentimento di invidia e rancore”.
Ecco, caro Segretario, non è così.

Non nutro alcun sentimento di invidia e tanto meno di rancore. Non ne avrei ragione dal momento che la politica, quando vissuta con passione, ti insegna a misurarti con la forza dei processi. E io questo realismo lo considero un segno della maturità.
Non mi dimetto, quindi, per “livore”. E neppure per l’assenza di un cenno di solidarietà di fronte alla richiesta di dimissioni avanzata con motivazioni alquanto discutibili.
Non mi dimetto neppure per una battuta scivolata via o il gusto gratuito di un’offesa. Anche se alle spalle abbiamo anni durante i quali il linguaggio della politica si è spinto fin dove mai avrebbe dovuto spingersi, e tutto era sempre e solo rubricato come “una battuta”.
Mi dimetto perché sono colpito e allarmato da una concezione del partito e del confronto al suo interno che non può piegare verso l’omologazione, di linguaggio e pensiero.
Mi dimetto perché voglio bene al Pd e voglio impegnarmi a rafforzare al suo interno idee e valori di quella sinistra ripensata senza la quale questo partito semplicemente cesserebbe di essere.
Mi dimetto perché voglio avere la libertà di dire sempre quello che penso. Voglio poter applaudire, criticare, dissentire, senza che ciò appaia a nessuno come un abuso della carica che per qualche settimana ho cercato di ricoprire al meglio delle mie capacità.
Auguro buon lavoro a te e a tutti noi.
Gianni




FORMIA, PD/SEL/LISTA CIVICA: REGISTRAZIONE TRA IL CONSIGLIERE VALERIO E IL SINDACO, "SPIEGAZIONI DI VALERIO NON GLI FANNO ONORE"

Pd, Sel e lista civica “Ripartiamo Insieme” Formia

Le speculazioni sul “caso Valerio” risultano ormai non più sopportabili. E’ sempre più evidente che abbiamo a che fare con un’operazione tutta politica, poco genuina e molto volgare.
Alcune puntualizzazioni:
1. nel mese e mezzo che è trascorso dalla dichiarazione di indipendenza del consigliere Giovanni Valerio, la nostra posizione non è cambiata. Il suo comportamento sì. Una serie di atti confermano, purtroppo, la tesi che ci spinse a chiederne le dimissioni: l’incontro col Sindaco munito di un registratore nascosto; l’uso dell’audio a sostegno delle proprie strategie dilatorie; la denuncia per concussione e il coinvolgimento del Prefetto che non ha alcun altro ruolo in questa storia se non quello di aver appreso di fatti da un Sindaco preoccupato;
2. della questione Acerbara, ci interessa l’aspetto etico-politico. Il giudizio su quello giudiziario, eventualmente spetterà a chi di dovere, non certo a noi, né ai tanti che stanno straparlando in questo momento, utilizzando anche l’assise comunale come teatro per prese di posizione degne di un bar del porto, con tutto il rispetto per i baristi portuali. Valerio non spiega perché abbia acquistato all’asta giudiziaria un terreno “di nessun valore perché soggetto a vincolo ferroviario”, posto “sopra una montagna che non ci puoi neanche arrivare”. La verità è che in campagna elettorale abbiamo discusso tanto di Acerbara e dei progetti speculatori della precedente amministrazione. Si guardò bene allora dal comunicarci che aveva acquistato un terreno proprio lì. Già questo, basterebbe a minare la fiducia che l’intera maggioranza aveva riposto in lui;
3. il Sindaco Bartolomeo ha mostrato grande coerenza, umana e politica. Sorprende che i tanti commentatori non l’abbiano notato. Già nella precedente consiliatura, dai banchi dell’opposizione, aveva denunciato quanto inopportuno sia per un amministratore mantenere legami professionali con famiglie legate alla criminalità organizzata i cui interessi siano sedimentati sullo stesso territorio che governa;
4. Tale pensiero del Sindaco è oggi anche un obbligo giuridico e morale, avendo l’intera Amministrazione aderito alla Carta di Pisa, la quale prevede che gli amministratori si impegnano a svolgere il loro mandato evitando situazioni o comportamenti che possano nuocere agli interessi o all’immagine della Pubblica Amministrazione;
5. torniamo alla vile registrazione del colloquio tra Valerio e il Sindaco. Il consigliere Valerio sta cercando di strumentalizzare ogni punto di quella conversazione che ritiene utile alla sua strategia. Prendiamo la terribile minaccia che pure è finita sui giornali come un “o ti dimetti o ti spacco la testa”. Qualunque frase, estraniata dal contesto, assume un significato diverso e il tono paternalistico usato dal sindaco dal vivo si trasforma magicamente in un feroce atto di intimidazione. Emerge chiaramente che il Sindaco è preoccupato del buon nome della città e dell’amministrazione. Di nient’altro. Non attacca Valerio dal punto di vista personale, gli interessa solo di tutelare la sua comunità. E’ risibile l’argomentazione per la quale il primo cittadino lo avrebbe allontanato dalla maggioranza dopo il suo intervento “fuori dal coro” quando in Consiglio si discusse della discarica di Penitro. Nessuno ha avvertito un pericolo nelle parole del consigliere Valerio e nessuna fibrillazione si è verificata all’interno della maggioranza, né il sindaco ha avuto alcunché da ridire. Come fa a dire che quell’intervento aveva fatto di lui un consigliere scomodo? E’ un’argomentazione ridicola che non gli fa onore.
6. alla luce di quanto detto, ribadiamo il consiglio dato a suo tempo a Valerio: si dimetta da consigliere comunale.
Sappiamo bene, invece, che questa storia continuerà perché molte persone hanno tutto l’interesse a che il clima resti questo. Evidentemente, c’è chi ha perso molto più di un’elezione… Noi continueremo nel nostro impegno a favore della città e contro ogni mafia.

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CORSA AD OSTACOLI PER LETTA, PROSSIMA TAPPA: IL FINANZIAMENTO PUBBLICO AI PARTITI

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Emanuel Galea

Da quando ha assunto l'incarico di guidare questo governo di larghe intese Enrico Letta si è reso conto che la sua non sarà una passeggiata. Dall'inizio si è dimostrata per quello che è, una corsa ad ostacoli. Determinato e con le idee chiare ha subito messo in allerta i lobbisti e ogni sua dichiarazione d'intenti è da questi guardata con sospetto, pronti ad affossarla ogniqualvolta minacci interferenze con i loro interessi. Per fortuna il nuovo Presidente si sta dimostrando sicuro di se stesso e libero dai soliti compromessi.

La tappa dell'abolizione delle province è stata superata, salvo imprevisti, ed entro sei mesi, dice lui, il provvedimento dovrà giungere in porto.

La prossima corsa ad ostacoli sarà la più dura perché tocca la carne viva degli apparati dei partiti. Per Letta questa sarà la prova del fuoco. Se vince questa battaglia, lo potremmo considerare il nuovo Caesar dopo Romolo Augusto , l'ultimo imperatore romano d'Occidente. L'abolizione del finanziamento è la madre di tutte le battaglie. Ci hanno provato i Radicali con un referendum 20 anni fa. E' stato un plebiscito ma, come si sa, l'apparato partitico ce l'ha messa tutta riuscendo a scippare quella volontà popolare e la democrazia non ha potuto far altro che soccombere. Questa volta i tempi sembrano più maturi e, per adoperare un eufemismo, un lucignolo di speranza si intravede in fondo al viale in questa nottata senza luna. 

Il 31 maggio 2013 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge per la progressiva abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.

Fra l'altro il ddl prevede la sostituzione del finanziamento pubblico dei partiti con un sistema basato sulla contribuzione volontaria da parte dei privati, il due per mille da sottoscrivere in sede di dichiarazione dei redditi annuale, fissando naturalmente, alcune norme per i partiti, per poter usufruire di questa contribuzione.

A reggere la fila di coloro che, con denti ed unghie lottano per il mantenimento del finanziamento ai partiti è Ugo Sposetti del Pd. Al tg La7, intervistato dichiara: «Il due per mille, così come vogliono cambiare il finanziamento va bene se sono tutti gioiellieri, se viene dai pensionati della Cgil gli arriva poco… e finiamo per fare un sostegno a un partito ricco e uno a un partito povero: non funziona così la democrazia».

Il ragionamento di Sposetti, persona intelligentissima e di tutti quelli che come lui ragionano, non regge, oserei dire che lo trovo patetico. Forse sarebbe ora di finirla con questo discorso del partito ricco e quello povero. Quale sarebbe il partito povero, quello che ha immobili per milioni di euro? Quello che ha investimenti? Come mai ogni volta che ci sta una scissione si presenta sempre il problema del patrimonio, dei beni mobili ed immobili da dividere? E' falso dire che la politica costa. Costano gli apparati dei partiti che raramente fanno “politica” intesa come iniziativa per il bene della collettività.

La gente condivide l'iniziativa di Enrico Letta, a tutti quelli che fanno “politica” lo Stato, anziché elargire denaro dovrebbe offrire servizi. Sale gratuite per le riunioni, spazi sulle tv pubbliche, stampa manifesti gratuiti, un numero di telefonate a tariffa agevolata, rappresentanza ed ospitalità controllata e pagata dall'economato dello stato ed altri servizi. In poche parole, risparmiare al partito “il fastidio di maneggiare denaro”. Se diamo un'occhiata ai compensi di ogni deputato; ci accorgiamo che una delle voci della busta paga rappresenta un tot per i contatti con l'elettorato. Ai signori sposetti dei partiti “poveri”di destra e sinistra che ci vogliono convincere che il finanziamento pubblico serve per fare funzionare la democrazia consigliamo loro di liquidare i loro vari immobili ed il ricavato sommato ad altri eventuali investimenti ed utilizzarlo per fare “politica” al servizio della comunità. L'art.49 della Costituzione non contempla possedimenti ed investimenti ma semplicemente che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. La politica nazionale si determina con le giuste iniziative e sembra che Enrico Letta è determinato a seguire questo corso.