PAOLO ADINOLFI: INTERVISTA ALLA MOGLIE DEL MAGISTRATO SCOMPARSO

di Simonetta D'Onofrio

Che fine ha fatto il magistrato Paolo Adinolfi? Forse ha pagato con la vita per aver svolto il suo lavoro, adottando sempre un elevato grado di rettitudine e di onestà, caratteristiche riconosciute dai suoi collaboratori?

Il magistrato Adinolfi è scomparso da Roma la mattina del 2 luglio del 1994, da allora nulla si è saputo sulle motivazioni che lo avrebbero portato l’uomo ad allontanarsi dalla sua famiglia. Le inchieste fatte finora non hanno prodotto alcun esito, affinché si possa mettere la parola fine. Dissolto nel nulla, i familiari sono venti anni che attendono “giustizia”.

Abbiamo incontrato la moglie del giudice Adinolfi, Nicoletta Grimaldi, la quale ci ha rilasciato una lunga intervista in esclusiva per il giornale l’“Osservatore d‘Italia”.

D       Le indagini sulla scomparsa di suo marito, in questo periodo, sono aperte o chiuse?

R       C’è stata una prima archiviazione un anno o due dopo, piuttosto frettolosa. Si è riaperta l’inchiesta perché un pentito, un certo Elmo, di cui hanno parlato molto i giornali, ha ritirato fuori questa storia.

D       Parlando della banda della Magliana?

R       Beh, no. Lui veramente aveva parlato di Servizi Segreti, e aveva detto che era collegato alla morte di un agente dei servizi, che si era stranamente impiccato nel suo appartamento, a un termosifone, cosa che sembrava quanto mai strana, e che mio marito si sarebbe incontrato con quest’agente, perché indagava su fatti molto… strani, sempre relativi a questioni di armi, d’importazioni ed esportazioni di armi. Ora questo a me sembra molto strano, perché mio marito era una persona molto rigorosa e legalitaria, il fatto che si fosse incontrato con questa gente dubbia e incerta, dei servizi segreti, un magistrato, sinceramente io ho sempre creduto poco. Però è stato utile questo Elmo, perché ha permesso di riaprire le indagini, e la questione è passata nelle mani di un magistrato, un certo dott. Cannevale, che ha approfondito meglio le ricerche, infatti, mi sembra intorno al 2003 ha scritto un nuovo decreto di archiviazione, spiegando bene tutte le direzioni delle ricerche, dicendo che pur essendo convinto che mio marito fosse scomparso per motivi legati al suo lavoro, purtroppo le indagini non avevano dato delle certezze.

D       E così quindi si sono terminate le indagini.

R       Sì. La scomparsa risale al ’94, il primo decreto di archiviazione risale al ’96, poi le indagini si sono riaperte con decreto sempre nel ’96, in giugno.

D       A seguito di questa testimonianza.

R       Sì, a seguito delle dichiarazioni rese da Francesco Elmo ai Carabinieri, perché inducevano a ipotizzare un reato di omicidio. Quindi in seguito venivano riaperte le indagini, dalle quali però non si ricavò niente, e ci fu una nuova richiesta di archiviazione nel 1999. Mi ricordo bene quel giorno, io andai a Perugia, il giudice mi disse: “Signora, noi dobbiamo chiudere perché non abbiamo più spunti d’indagine”, proprio quel giorno arrivò una lettera anonima che comunicava altre notizie.

D       Dove arrivò?

R       Arrivò al Parroco della chiesa di San Bellarmino (San Roberto Bellarmino, ndr), a Piazza Ungheria.

D       Era la vostra parrocchia?

R       No, ci abitava mia suocera, e c’era l’ufficio di mio marito. Arrivarono due lettere anonime, che chiedevano al parroco di comunicarmi delle cose molto inquietanti. Quindi prima c’è stato Elmo, poi queste due lettere anonime, per cui le ricerche sono ricominciate. Però anche in questo caso, si arrivò al buio.

D       Cosa c’era scritto in queste lettere?

R       Si diceva che un tizio avesse bloccato mio marito alla fermata del tram, che era una persona pericolosa. Ma pare che queste lettere siano state scritte per vendette trasversali tra queste persone, ma che mio marito non c’entrasse nulla. Purtroppo molto spesso ci sono intromissioni di questo tipo. Dopodiché inizia a diffondersi una voce, che io poi ogni volta che sentivo queste voci inquietanti, facevo un esposto al giudice, anche per non far chiudere l’inchiesta, che la scomparsa di mio marito era legata alla banda della Magliana, e quindi responsabilità, si disse, di questo Nicoletti, che era il cassiere della banda. Venne fuori la voce che mio marito fosse sepolto nella villa di questo Nicoletti, che ora è la “Casa del Jazz”, e furono fatti fare degli scavi, ma non si trovò nulla. Che poi gli scavi sono una cosa complicata, capace che li fai da una parte, e ciò che cerchi sono da un’altra, e allora non c’erano macchinari evoluti come ci sono oggi. L’unica cosa, per noi positiva è che il giudice in questo nuovo decreto di archiviazione, afferma che le nuove indagini inducono a rivedere il giudizio espresso da quest’ufficio nella prima richiesta di archiviazione, riguardo la probabile origine volontaria della scomparsa, perché nel primo decreto di archiviazione c’era questa possibilità di scomparsa volontaria, mentre in questo secondo è esclusa. Purtroppo non siamo riusciti a capire cosa è successo, ma i problemi erano all’interno del tribunale, c’erano problemi di rapporti con i giudici, pare che lui avesse toccato degli interessi particolari.

D       Riguardano la sezione fallimentare del Tribunale di Roma, perché lui aveva lavorato molto tempo in quel settore?

R       Sì, per dieci anni, poi un giorno, mentre lui aveva preso un periodo di ferie, aveva appena dichiarato il fallimento di una società che si chiamava Ambra Assicurazioni, viene revocata a sua insaputa la sua dichiarazione di fallimento. Lui torna, “fa un macello”, perché non è d’accordo, ma gli rispondono che ormai la cosa è consolidata e se ne va dalla sezione fallimentare.

D       Quindi è stata una sua scelta volontaria uscire dalla fallimentare?

R       Volontarissima, da un giorno all’altro lui se ne va, perché dice io qui dentro, non ci voglio stare più.

D       Perché aveva capito, o forse aveva avuto la certezza.

R       Beh, i contrasti erano sorti, esattamente. Quindi si fa trasferire ad altro ufficio, però, pur essendosi fatto trasferire, lui continua non certo a seguire dal punto di vista lavorativo la cosa, ma siccome si cominciava a parlare sui giornali di queste società fantasma, di questi traffici, di questi interessi strani della fallimentare, lui telefona a Milano, a un collega che si occupava di queste cose, e dice a questo collega “vengo a Milano a parlarti”, come cittadino informato dei fatti, non come magistrato.

D       Quindi lui voleva andare da questo collega per far presente ciò che sapeva?

R       Esattamente.

D       Però non riuscì ad arrivare a parlargli?

R       Non ha fatto in tempo, perché questa telefonata fu fatta non molto tempo prima della scomparsa.

D       Quindi a tutt’oggi le indagini non si sono riaperte?

R       Assolutamente no, però siccome erano vent’anni che era successa questa cosa, e che noi non ci rassegniamo e continuiamo a cercarlo.

D       Infatti, ho visto anche suo figlio che ne parlava in TV, a luglio ha fatto un appello per richiamare l’attenzione sul caso della scomparsa del padre. Venti anni sono tanti…

R       Mio figlio aveva 16 anni quando è successo, oggi ne ha 36.

D       Voi ci tenete quindi a questa riapertura?

R       Purtroppo, lei sa che non riaprono se non ci sono fatti nuovi, e al momento non ce ne sono stati. Però, con i venti anni, noi in qualche modo volevamo ricordare quest’uomo così poco, e così male ricordato. Quindi abbiamo fatto quell’annuncio, di cui hanno parlato tutti, e a seguito di questo mi hanno ricontattato quelli di “Chi l’ha visto”, ed io con estrema fatica sono andata anche lì, proprio sperando ci fossero degli esiti a questa cosa, purtroppo però, sono passati vent’anni, quindi se sul piano della comunicazione, della vicinanza, si sono fatte vive le persone, purtroppo quello che io desideravo, che qualcuno si mettesse la mano sulla coscienza, e ci raccontasse quello che è successo, perché qualcuno sicuro lo sa. Questo purtroppo non è accaduto

D       Forse anche qualcuno all’interno del Tribunale?

R       Ma sicuramente, qualcuno all’interno del Tribunale, o che sicuramente “bazzica” nell’ambiente, qualcosina di più la conosce.

Al termine del dialogo la signora Adinolfi ci fa capire che la speranza non si è spenta, nei confronti di chi possa ulteriormente fornire informazioni, anche in forma anonima, su cosa sia veramente accaduto quel giorno, 2 luglio del 1994.

Un servitore dello Stato che attende giustizia da venti anni, caratterizzati dall’indifferenza di chi avrebbe dovuto e forse potuto cercare la verità con un impegno che è apparso insoddisfacente all’opinione pubblica.

 

 

 

 

 

 

 




GIUDICE ADINOLFI, SCOMPARSA: L'APPELLO DEI FAMILIARI

di Simonetta D' Onofrio

 

Roma 2 luglio 1994, è la data della sparizione del magistrato Paolo Adinolfi. Da allora nulla si è più saputo sul suo allontanamento, solo supposizioni sul suo caso, nessuna traccia. Venti anni sono trascorsi da quella mattina, quando si recò alla biblioteca del Tribunale Civile di Roma, e in seguito  all’ufficio postale nel quartiere del Villaggio Olimpico, alle porte dello Stadio. Inconfutabile è la figura professionale che ricopriva, un uomo di legge, dedito al suo lavoro presso il Tribunale Civile di Roma, legato alla sezione fallimentare, civile e alla Corte d’Appello.

  

L’appello della famiglia

Nel giorno del ventennale dalla scomparsa, il 2 luglio del 2014, è il figlio Lorenzo, avvocato di professione a ricordare il padre, un’ appello che fa alla società civile, a chi dovrebbe indagare sulla vicenda, a chi nasconde la verità. Chiedono i familiari di avere almeno il corpo per potergli dare giusta sepoltura. La famiglia Adinolfi ha acquistato anche mezza pagina del “Corriere della Sera” per diffondere il messaggio: “Nicoletta, Giovanna e Lorenzo con infinito amore ricordano il rigore, il coraggio, e l’onestà”, “Chi sa, ed ha mantenuto il silenzio fino a oggi, trovi la forza di raccontarci la verità: noi continuiamo ad aspettare, e non smetteremo mai di cercarlo”. 

La storia

Secondo quanto riportato dall’associazione “19  luglio 1992” Adinolfi si sarebbe accorto che qualcuno lo stava seguendo. A dirlo è il magistrato Giacomo De Tommaso al quale gli avrebbe confidato il timore di essere anche spiato. Sempre come riportato dalla redazione del Movimento Toghe Rosse, anche la moglie di Adinolfi, Nicoletta Grimaldi, avrebbe detto che il marito si sarebbe confidato a un vecchio amico di avere acquisito prove e documenti che avrebbero potuto per il loro “scottante” contenuto far “crollare” il Tribunale di Roma.  Rivelazione alquanto plausibile e fondamentale dal punto di vista investigativo visto che Adinolfi avrebbe chiesto un appuntamento per la settimana successiva alla sua scomparsa con il Sostituto Procuratore della Repubblica di Milano Carlo Nocerino; lo stesso Adinolfi avrebbe chiesto al PM di Milano di “poter testimoniare come persona informata sui fatti. 

Poche sono state le figure istituzionali che finora si sono spese nel menzionarlo, con un convegno dedicato alla sua storia o un giorno appositamente indirizzato alla sua storia.   Coloro che in questi anni hanno veramente onorato la memoria del magistrato Adinolfi sono stati gli attori della compagnia teatrale Les Enfants Terribles, che nella loro pièce “Toghe Rosso Sangue” hanno ricordato il magistrato assieme agli altri colleghi scomparsi, come Falcone Borsellino. L’autore del testo, dopo aver ricordato brevemente le ultime ore del giudice prima della scomparsa, ha evidenziato i troppi lati oscuri della vicenda. Il passaggio più significativo del testo narra: “Prima di scomparire mi sono occupato di fallimenti importanti, dopo qualcuno ha detto che di me si sarebbero occupati quelli della Banda della Magliana, o quelli dei servizi segreti deviati, i soliti insomma, quelli che quando c’è un mistero a Roma, li chiamano sempre in ballo, per raccontare di tutto per arrivare a niente”.

In queste poche righe è racchiusa gran parte del mistero sulla scomparsa Adinolfi. Un giudice che ha combattuto contro il “Porto delle nebbie”, come veniva definita all’epoca la sezione fallimentare del Tribunale di Roma. E da queste nebbie è stato avvolto, per non apparire più dopo tutti questi anni.

Nebbie che hanno avvolto anche il ricordo del giudice. L’Associazione Nazionale Magistrati non ha mai voluto ricordare la figura del giudice, quasi a far cadere l’oblio sulla vicenda, e sulle accuse che Adinolfi fece nei confronti di alcuni colleghi, e che pochi giorni dopo la sua scomparsa avrebbe dovuto portare al Procuratore di Milano, Carlo Nocerino, al quale aveva chiesto di poter testimoniare come “persona informata sui fatti”.

Le inchieste che il giudice aveva seguito erano importanti. Dal fallimento della compagnia assicurativa Ambra, un crack da 200 miliardi, alla Casina Valadier, inchiesta che si concluse con l’arresto di Giuseppe Ciarrapico, patron delle acque minerali e della AS Roma, legatissimo ad Andreotti.

Nel libro di Piero Messina “il cuore nero dei servizi”, si parla della morte di Adinolfi, perché aveva scoperto “società fantasma utilizzate per comprare e vendere immobili alle aste giudiziarie e di un controllo a tappeto, da parte di servizi deviati e criminalità organizzata, per accaparrarsi società sul punto di fallire”.

A raccontare questi fatti è stato il faccendiere pentito Elmo, che cercò di coinvolgere il Colonnello del Sismi Mario Ferraro. Il Colonnello non poté però confermare né smentire quanto affermato da Elmo, venne trovato impiccato nel suo bagno. Le perizie indicarono un suicidio. Le parole di Elmo concordano comunque con quanto detto in seguito dal PM Nocerino.

Un altro servitore dello Stato si aggiunge alla lunga lista delle persone che tuttora non hanno avuto giustizia, una situazione che sembra esprimere una maligna e perversa volontà di qualcuno poco propenso a far sapere la verità sulla sorte del magistrato. Come il giudice Ambrosoli, Falcone e Borsellino e tanti altri, tutti di alto spessore che ancora oggi non si sa chiaramente su chi li avrebbe uccisi. Si spera che l’appello dei familiari abbia un seguito.