Omicidio Yara, il consulente di Bossetti: “Ci sono ancora campioni di DNA da analizzare”

“Qualcuno si crede Dio in terra ed in grado di analizzare una provetta soltanto guardandola”. Marzio Capra, biologo, ex Ris, lavora ai Laboratori di Genetica forense dell’Università degli Studi di Milano, è consulente della difesa di Massimo Bossetti, è intervenuto ai microfoni di “Legge o Giustizia” su Radio Cusano Campus per commentare le motivazioni con le quali è stato confermato l’ergastolo in secondo grado al muratore di Mapello. Nella sentenza si legge che il test del Dna sarebbe irripetibile: “Non so sulla base di quali elementi si possa ritenere questo test irripetibile. Non lo so perché mi è stato impedito, sia in primo grado che in secondo, di vedere ed analizzare la “prova” portata contro Bossetti. Mi devo basare su ciò che ha dichiarato chi ha avuto accesso diretto ai reperti. Il professor Casari, ad esempio, il quale ha riferito di aver avuto nel proprio laboratorio, e di avere probabilmente ancora, decine e decine di campioni di DNA contenenti il fantomatico “ignoto 1” però di non averli potuti analizzare con le tecniche a sua disposizione”.

Lei invece sarebbe in grado di analizzarli? “Tutto si può analizzare a meno che non si pensi di essere Dio in terra e di valutare una provetta semplicemente guardandola. Non posso sapere che risultati posso ottenere prima di fare un’analisi a meno che non si tarocchi il tutto, ovvero che non si faccia in modo che esca un determinato risultato. Non si può dire a priori cosa ci sia dentro una traccia mai analizzata. Dire che da certe tracce non si possa ricavare nessun profilo genetico utile a mio avviso non ha senso”.

Ha trovato altri inesattezze nelle motivazioni? “Gli errori sono tanti e distribuiti in più punti. Tra l’altro ci sono anche osservazioni su comportamenti etici fuori luogo. Io non ho sbagliato dal punto di vista etico dato che questa mia attività di consulente l’ho fatta gratuitamente. Dall’altra parte, chi ha fatto le analisi le ha realizzate facendo sborsare centinaia di migliaia di euro. Sentirmi dire che non ho avuto un comportamento deontologicamente elegante, come scritto in sentenza, è sbagliato. Io non ho contestato i risultati dell’accusa. Ho detto che queste analisi, fatte dai consulenti tecnici dell’accusa, mostrane delle criticità una rispetto alle altre e sono talmente evidenti che gli stessi consulenti non hanno saputo dare spiegazioni in merito. Quando dalle analisi del DNA vengono fuori delle anomalie bisogna approfondire. Inoltre, quando le analisi sono precise vanno anche contestualizzate”.

Si diceva che la traccia trovata sul corpo di Yara fosse straordinaria a livello di qualità e che ce ne era anche in buona quantità: “Questa traccia “straordinaria” mancava invece di una componente. In alcuni momenti dava risultati non utilizzabili. Poi si è visto che è stata consumata completamente. Se si presta fede a quanto scritto dai consulenti tecnici dell’accusa sembrava si potessero fornire migliaia di ripetizione del test. Invece si dice che dopo 6-7 ripetizioni la traccia si sia esaurita completamente. È incredibile che un uomo condannato all’ergastolo non abbia la possibilità di verificare queste tracce in un contraddittorio. Prima hanno parlato i consulenti tecnici dell’accusa. Poi ho parlato io e nessuno mi ha risposto. La cosa è finita lì. Le risposte mi sono state date da un pubblico ministero, non da uno scienziato. Il contraddittorio c’è stato a livello di avvocati, non a livello di tecnici”.




OMICIDIO YARA GAMBIRASIO: MASSIMO BOSSETTI CONTINUA A PROFESSARSI INNOCENTE

di Daniele Rizzo

A quasi un mese dal fermo di Massimo Giuseppe Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio tutti sembrano essere d’accordo: Bossetti è l’assassino di Brembate di Sopra. E nessuno ha più dubbi. Colui che fino al 15 giugno era un buon padre, un buon marito, un lavoratore onesto, dal 16 è diventato un mostro. Anzi, non “un”, ma “il” mostro, la persona che per tre anni e mezzo ha tenuto sotto scacco le forze dell’ordine mettendo in scena l’omicidio quasi perfetto.

Bossetti, individuato grazie al DNA trovato sui vestiti di Yara, continua a professarsi innocente, e a più riprese ha dichiarato di non aver mai visto né conosciuto la vittima. Ma quali sono le prove a sostegno dell’accusa? Innanzitutto il DNA. Il sangue rinvenuto sul corpo della vittima è stato per tre anni cercato dalle forze dell’ordine, fino a quando il famoso “Ignoto 1” è stato rintracciato grazie ad un posto di blocco e al conseguente test dell’etilometro: il fermato era proprio Bossetti.

Ma poi anche tracce di calce rinvenute sui vestiti sarebbero riconducibili al lavoro di muratore condotto da Bossetti. Un video poi mostrerebbe il camioncino del muratore mentre sfreccia tra le vie di Brembate proprio nell’ora e nella zona in cui scomparve la ragazza. Il video, sgranato e buio, consentirebbe però solo parzialmente il riconoscimento del camioncino; la targa, ad esempio, non si riesce a vedere. Ma oltre a queste prove sembrerebbe che gli inquirenti abbiano verificato che il cellulare del presunto omicida si sia agganciato alla stessa cella in cui nel giro di pochi minuti si agganciò anche il telefonino di Yara, e questo testimonierebbe che i due si trovavano nella stessa zona nel medesimo momento.

Ma Bossetti continua a dirsi innocente giurando sui suoi stessi figli. Il sangue rinvenuto sarebbe giustificato dal fatto che il muratore soffre di epistassi, ossia perde spesso sangue dal naso. Il sangue in questione sarebbe quindi finito sulla cassetta degli attrezzi nella quale c’era anche il taglierino con cui è stata seviziata Yara. La cassetta degli attrezzi però, secondo quanto sostiene la difesa, fu rubata al muratore prima dei fatti.

La coincidenza secondo la quale i due telefonini in questione si sarebbero agganciati alla stessa cella sarebbe invece giustificata dal fatto che Bossetti stava in quel periodo lavorando in un cantiere della zona, e quindi passando con la macchina per tornare a casa il suo cellulare si sarebbe casualmente collegato alla cella sott’accusa.

Dall’interrogatorio dello scorso 19 giugno, il primo dopo il fermo, continuano intanto ad emergere nuovi particolari: l’omicidio, secondo una dichiarazione di Bossetti, sarebbe riconducibile ad una vendetta verso il padre di Yara, il geometra Fulvio Gambirasio.

La pista della vendetta personale già da tempo era stata vagliata dagli investigatori, senza che però conducesse ad una svolta. Le indagini ora sono invece indirizzate ad accertare la colpevolezza del muratore bergamasco. Se Bossetti è l’omicida lo scopriremo col tempo. Certo è che se verrà dimostrata la sua non colpevolezza assisteremo al difficile reinserimento nella vita di tutti i giorni di un uomo ormai universalmente etichettato come bestia.
 




YARA GAMBIRASIO: NOVITA’ CHE INCASTRANO MASSIMO GIUSEPPE BOSSETTI

di Christian Montagna

Bergamo – Continuano senza sosta le indagini sul caso della giovane Yara Gambirasio. Dopo essere stato arrestato con l’accusa di omicidio Massimo Giuseppe Bossetti grazie ad un attento lavoro dei RIS sui dna prelevati, emergono nuovi particolari sulla vicenda. Dall’ordinanza del gip Ezia Maccora, si evince che la ragazza sia salita volontariamente sulla macchina del suo assassino. Analizzando inoltre le celle agganciate dal cellulare della giovane ginnasta, alle 18.44 del 26 Novembre, è possibile stabilire che si trovasse ancora nei pressi della palestra. Soltanto cinque minuti dopo il suo cellulare andò fuori uso. Si pensa dunque che intorno alle 18.49 sia cominciata l’aggressione.

Gli investigatori inoltre hanno scoperto che la zona di Chignolo d’Isola in cui fu ritrovato il corpo senza vita della piccola Yara, era stata spesso frequentata da Bossetti. Proprio in quella zona infatti risiede la ditta da cui si rifornisce di materiali edili. I colpi di scena però non finiscono qui: sul corpo di Yara furono trovate altre tracce di dna tra cui una di natura femminile. Tale ipotesi se avvalorata, potrebbe far pensare alla presenza di un complice sul luogo del delitto. La scoperta che ha fatto sì che il gip confermasse la custodia cautelare è stata quella dell’analisi dei tabulati del Bossetti. Secondo questi infatti, il muratore che vive a Mapello e lavora in zona, è stato intorno alla palestra di Brembate di Sopra almeno tre volte nei giorni precedenti la scomparsa di Yara. Particolari questi che hanno permesso agli investigatori di pensare che l’omicida stesse studiando i movimenti della sua vittima.

Durante il primo interrogatorio, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il lavoro effettuato dagli investigatori sui dna pare essere assolutamente corretto. Non ci sono dunque possibilità di margini di errori. Ricordiamo come sono andati i fatti: è il 26 novembre 2010 quando Yara esce dalla palestra che dista poche centinaia di metri da casa e di lei si perdono le tracce. Tre mesi dopo, il suo corpo viene trovato in un campo abbandonato a Chignolo d’Isola, distante solo una decina di chilometri da casa. L’autopsia svela una ferita alla testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessun colpo mortale: era agonizzante, incapace di chiedere aiuto, ma quando chi l’ha colpita le ha voltato le spalle lei era ancora viva. Il decesso è avvenuto in seguito, quando alle ferite si è aggiunto il freddo. Un delitto che porta, in pochi giorni, all’arresto di Mohamed Fikri, rilasciato per una traduzione sbagliata. Su di lui si riaccendono i riflettori e cambia ancora la scena: per Fikri cade l’accusa di omicidio e si profila quella di favoreggiamento. Il giudice delle indagini preliminari Ezia Maccora archivia il fascicolo con la prima ipotesi, ma rimanda gli atti al pm di Bergamo Letizia Ruggeri perchè indaghi sulla seconda.

Una mezza vittoria per mamma Maura e papà Fulvio che, attraverso l’avvocato Enrico Pelillo, si erano opposti all’archiviazione. Il gip ricorda che dalle analisi e dagli esami sui vestiti e nei polmoni di Yara c’erano polveri riconducibili a calce, sostanze “simili ai materiali campionati nel cantiere di Mapello”, dove lavorava il tunisino. Inoltre, la zona in cui le celle telefoniche agganciano il cellulare della ragazza, nell’arco di tempo che va dalle 18.30 alle 19, “coprono anche l’area del cantiere, “rendendo plausibile in quel range temporale la presenza di Yara e di Fikri in un territorio circoscritto”. Ma l’operaio non l’ha uccisa.

Due gli elementi che lo scagionano: il suo Dna non corrisponde con quello trovato sugli slip e sui leggings della 13enne, l’analisi delle celle telefoniche dimostrano che il tunisino non è andato nel campo di Chignolo d’Isola, dove la vittima è stata uccisa e abbandonata. Tuttavia secondo il giudice ci sono delle “incongruenze” nelle telefonate di Fikri e “in assenza di una plausibile ricostruzione alternativa”, queste “incongruenze” potrebbero far ritenere che la sera del 26 novembre 2010, l’uomo “ha visto o è venuto a conoscenza di circostanze collegate alla scomparsa e all’ omicidio di Yara “. Per il gip appare verosimile che sia stato spinto a nascondere quello che ha visto, “per proteggere o favorire la persona che ritiene in qualche modo coinvolta nel delitto”. Nei mesi scorsi la sua posizione è stata archiviata e il sospettato numero uno esce di scena. E le indagini proseguono ripartendo dalle analisi genetiche sulle tracce trovate sugli abiti della vittima, circa 18mila i Dna prelevati e analizzati da carabinieri e polizia che lavorano fianco a fianco nell’inchiesta. Ora che pare essere giunti ad una soluzione, si studiano attentamente le venti mila pagine d’inchiesta per cercare di scovare il particolare che sarà determinante per questa triste vicenda.

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