Olindo e Rosa, rimandato l’incidente probatorio

BRESCIA – Il tanto atteso incidente probatorio, con l’ammissione agli esami dei periti per cinque reperti ancora non analizzati, è stato rimandato di quindici giorni dal Tribunale di Brescia per l’incapacità dei due a sostenere le spese delle perizie. Si tratta di cinque elementi mai analizzati, ancorchè rinvenuti sulla scena del crimine e addosso al piccolo Marzouk: formazioni pilifere – da cui sarebbe possibile estrapolare un profilo genetico – , un accendino, un mazzo di chiavi e altri due reperti. “Tutti dovrebbero avere accesso alla giustizia, a prescindere dalle sue condizioni economiche” afferma l’avvocato Schembri, difensore della coppia insieme all’avvocato Luisa Bordeaux “Il tribunale sappia che siamo pronti noi a sostenere le spese, affinchè sia possibile effettuare le doverose perizie su questi reperti, che avrebbero dovuto essere analizzati anni fa.”

Olindo Romano e Rosa Bazzi vennero condannati anni fa all’ergastolo per l’assassinio dei loro vicini di casa l’11 dicembre 2006

Furono uccisi Raffaella Castagna, moglie di Azouz Marzouk, all’inizio sospettato dell’eccdio e poi scagionato perchè non in Italia, suo figlio dui due anni Youssef, la madre della Castagna, Paola Galli, e una vicina di casa, Valeria Cherubini. il marito della Cherubini, Mario Frigerio, fu il principale, e l’unico, testimone d’accusa berso Olindo e Rosa, nonostante all’inizio avesse dichiarato di essere stato colpito da un uomo di colore. ritrattò poi la prima versione dopo il colloquio con un investigatore che gli mostrò più volte la foto di Olindo. Nonostante la piena confessione dei due, resa probabilmente per ingenuità, e perchè tratti in inganno da alcune dichiarazioni degli inquirenti, Olindo e Rosa sarebbero completamente innocenti, dato che sulla scena del crimine, oltretutto, non è stata rinvenuta alcuna traccia della loro presenza. tracce di presenze estranee sono appunto quelle oggetto dell’incidente probatorio, che in definitiva aprirebbe la strada alla richista di revisione del processo.

Roberto Ragone




Strage di Erba, riapertura del caso: il 21 novembre l’incidente probatorio

Il prossimo 21 novembre, davanti alla Corte d’appello di Brescia, si terrà l’incidente probatorio su alcuni reperti mai analizzati da cui potrebbero arrivare novità riguardo la posizione di Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all’ergastolo per la strage di Erba in cui furono uccise quattro persone, tra cui un bambino di due anni, e una quinta rimase gravemente ferita. Si tratta di accertamenti su formazioni pilifere, un accendino, un mazzo di chiavi mai analizzati che potrebbero portare a una richiesta di revisione del processo. All’udienza davanti alla Corte d’appello di Brescia per l’incidente probatorio su alcuni reperti mai analizzati sulla scena del delitto della strage di Erba sono invitati a comparire anche Olindo Romano e Rosa Bazzi. “Non so ancora se riterranno di partecipare”, ha detto uno dei loro legali, Fabio Schembri, il quale ha aggiunto che l’esito di questi accertamenti “sarà molto importante” per decidere se presentare la richiesta di revi-sione del processo la quale è ammissibile in presenza di nuovo elementi che potreb-bero comportare l’assoluzione. L’avviso di fissazione dell’udienza è firmato dal presi-dente della Corte d’assise d’appello di Brescia, Enrico Fischetti, lo stesso che si è occu-pato del processo di secondo grado a Massimo Bossetti, per il quale è stato confermato l’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio.

 

Le due ipotesi iniziali Undici anni fa, era l’11 dicembre del 2006, all’indomani della strage di Erba due le ipotesi iniziali degli investigatori e due le piste seguite per cercare di risalire agli autori di quella terribile carneficina in cui fu trucidato anche un bimbo di appena due anni, Youssef Marzouk. Una pista era quella della vendet-ta trasversale, maturata negli ambienti criminali dello spaccio di sostanze stupefacenti, attività a cui si dedicavano Azouz e i suoi parenti; l’altra era quella familiare, legata ai Castagna. I carabinieri di Como si stavano occupando dei conflitti esistenti all’interno della famiglia di Raffaella, sorti a seguito dell’ingresso in famiglia di Azouz, extracomunitario e spacciatore. Questi dissidi si erano ulteriormente acuiti di recente a causa della scarcerazione di Marzouk e dell’annuncio da parte di Raffaella ai suoi familiari dell’intenzione di trasferirsi in Tunisia nel giro di poche settimane per avviare nel Paese natale del marito un’attività imprenditoriale. Risulta sempre dagli atti che Raffaella chiese alla sua famiglia ingenti somme di denaro per poter realizzare questo progetto, suscitando l’ira dei parenti. Unico anello di congiunzione tra Raffaella e la sua famiglia era rappresentato dalla signora Galli, moglie di Carlo Castagna e madre di Raffaella, anche lei vittima della strage, che fungeva da paciere e che era ben disposta ad aiutare la figlia.
Tra i numerosi testi non ammessi dalla Corte di Assise figura anche la mamma di Azouz, Ferichici Ep Marzouk Souad, costituitasi parte civile, la quale riteneva che il delitto si potesse ricondurre ai turbo-lenti rapporti familiari all’interno della famiglia Castagna e che il suo autore fosse uno dei fratelli di Raffaella. Ma Ferichici non fu ammessa come teste, nonostante fosse la nonna di una delle vittime.

A portare gli inquirenti ad investigare su questa pista soprattutto altri pesanti indizi oltre ai conflitti familiari: Il tunisino Chemcoum Ben Brahim riferì ai carabinieri di Erba di avere visto la sera della strage, mentre la palazzina bruciava, tre individui in piazza del Mercato – davanti alla corte in cui avvennero gli omicidi – e che uno dei tre individui era una persona che aveva rivisto in caserma quella stessa sera. Chemcoum individua questa persona in Pietro Castagna, fratello di Raffaella. Le dichiarazioni dettagliate del tunisino trovavano riscontro in quelle di Fabrizio Manzeni, residente in via Diaz, anche lui sentito la sera della strage. Manzeni, essendosi affacciato alle ore 20:20 al balcone posto davanti all’abitazione di Raffaella, vide due individui, presumibilmente extracomunitari (come Frigerio stesso descrisse in un primo momento il suo aggressore) più un terzo individuo che si dirigeva verso i primi due, proprio in piazza Mercato. Ma anche Manzeni è uno di quei testi revocato immotivatamente dalla Corte di Assise, dunque non fu sentito in dibattimento.

Entrambe le piste iniziali vennero però abbandonate dagli investigatori di fronte alla sola intuizione del luogotenente dei carabinieri di Erba, Gallorini, che si convince di leggere nello sguardo stranito di Olindo la sua colpevolezza. E fu lo stesso luogotenente a decidere di non inviare subito all’Autorità giudiziaria le importanti dichiarazione rese da Chemcoum, bensì solo dopo le confessioni dei coniugi Romano.

 

Alla luce di tutto questo le indagini sulla strage di Erba ebbero fin dall’inizio un’unica direzione. Lo stesso gip che ha convalidato il fermo e applicato la custodia cautelare in carcere subito dopo le confessioni non conosceva le dichiarazioni di Chemcoum, che escludono la responsabilità dei coniugi Romano, né che Frigerio avesse indicato come suo aggressore un soggetto a lui sconosciuto e dalle fattezze tipiche da nordafricano, né sapeva che vi era un’intercettazione ambientale tra i coniugi disposta presso il carcere e che, proprio prima di confessare, Olindo spiegava a Rosa il motivo per il quale aveva deciso di confessare anche se non erano stati loro a compiere la strage: ossia l’impossibilità di vivere lontano dalla donna che amava.

 

Anche altri importanti elementi vengono accantonati: la mancanza di un alibi da parte di Pietro Castagna, il quale afferma di essere rientrato a casa tra le 20 e le 20:30, mentre il padre, Carlo Castagna dichiara che il figlio rientra a casa solo alle 22 con la Panda della madre, salvo poi modificare entrambi in fase di dibattimento queste dichiarazioni verbalizzate in corso di indagine, specificando Carlo Castagna che il figlio rientrò alle 21 e specificando Pietro di non essere solo, bensì in compagnia di un amico; la presenza di un guanto in lattice di colore verde sulla scena del crimine, vicino al corpo di Youssef. Tale guanto fu repertato dal Ris di Parma ed analizzato all’esterno, dove fu rinvenuto il Dna del bambino.

 

L’interno del guanto però non fu mai analizzato. Si parlò tanto del guanto in presenza dello stesso Castagna, il quale però si decise a dirne qualcosa solo dopo che Il Giornale del 3 dicembre del 2007 pubblicò la foto del guanto, così il 4 dicembre, un anno dopo la strage, Castagna si recò dai carabinieri di Erba per rendere dichiarazioni spontanee a Gallorini: “Il guanto di cui si parla è del tipo usato da me, nella mia azienda. È un guanto di colore verde in lattice, che usiamo io, i miei figli ed anche gli operai della mia azienda di falegnameria. Un giorno prima dell’evento, io rientrai in casa, con la vestaglia da lavoro e con i guanti in lattice nelle mani, guanti che tolsi in abitazione. Presente in casa era il piccolo Youssef, il quale prese i guanti per giocare e si portò a casa sua i guanti”. Castagna dirà poi durante il dibattimento di non avere dato al bambino i guanti che si era tolto, bensì altri guanti che aveva in tasca. Fu sentito anche Azouz che escluse la presenza in casa di guanti di quel tipo. Ma non solo queste risultano essere le uniche dichiarazioni contraddittorie di Castagna, che riferì di avere fatto due telefonate che però non risultano agli atti, una sul cellulare di Raffaella e l’altra sul telefono fisso della figlia, quando iniziò a preoccuparsi per il mancato rientro della moglie.

 

Altro mistero è la sparizione della Panda della signora Galli, utilizzata da Pietro Castagna quella sera. Fu regalata ad una suora dopo la strage e non fu mai analizzata. Senza ombra di dubbio chi ha compiuto la carneficina utilizzò le chiavi per introdursi in casa. Ed Olindo e Rosa non erano in possesso delle chiavi di casa di Raffaella.

 

Il testamento di Raffaella. Risulta quantomeno particolare, ma non improbabile, che una 27nne, sposata da pochi mesi, ancora senza figli, faccia un testamento di suo pugno e lo dia in custodia al padre col quale non aveva più rapporti. Il testamento, consegnato qualche mese dopo la strage dai Castagna ad un notaio di Erba, risulta essere in favore della madre e, in caso di mancata accettazione da parte di quest’ultima, in favore del figlio del fratello di Raffaella. Si sa anche che era stata stipulata una polizza assicurativa in favore dei genitori della donna. “Tirando le somme, possiamo affermare che la sentenza è quantomeno viziata, in quanto le indagini hanno avuto uno sviluppo unidirezionale tralasciando le due piste alternative”, ha dichiarato Fabio Schembri, avvocato dei coniugi Romano.




Strage di Erba, parla l'avvocato Schembri che difende Rosa e Olindo. Molte le zone d'ombra


 

di Roberto Ragone

 

"Grazie avvocato per la sua disponibilità. Da quanto tempo seguite la causa di Rosa e Olindo?"

“Io e la collega Luisa Bordeax seguiamo la difesa di Rosa e Olindo da sei mesi dopo il loro arresto, inizialmente li ha difesi l’avvocato Pasìa, poi, dopo la sua morte, è entrato nella difesa anche l’avvocato Nico D’Ascola.”

 

“Secondo lei, è possibile che ciò che ha portato a condannare Olindo e Rosa sia stato quello che alcuni chiamano ‘innamoramento della tesi accusatoria’?”

“Ci sono stati processi, il primo grado, l’appello e poi la Cassazione. Diciamo che ci siamo sempre lamentati, Olindo e Rosa si sono sempre lamentati, di aver subito un processo monco e ingiusto, sono stati revocati settanta testi dapprima ammessi. Testi estremamente importanti, quali, ad esempio, gli stessi inquirenti, gli ufficiali di Polizia Giudiziaria che avevano fatto le indagini, e quindi questi non vennero sentiti. Non vennero sentiti dei testi oculari. Soprattutto non vennero fatti quegli approfondimenti che abbiamo chiesto oggi. Oggi sostanzialmente c’è stato questo annullamento della Corte di Cassazione, perché c’era tutta una serie di oggetti per cui noi chiedemmo un approfondimento di indagine . Purtroppo tutte le richieste formulate all’epoca vennero respinte, quindi un processo che probabilmente venne fortemente influenzato dal sentire comune, dall’opinione pubblica. E naturalmente anche dalla confessione che avevano reso Olindo e Rosa. Sì è partiti quindi sempre dal presupposto che loro due erano i mostri, loro due erano i colpevoli, e che quindi era inutile approfondire le tematiche d’indagine che si erano prospettate inizialmente.”

 

“Allora, avendo ricusato settanta testi, e avendo rifiutato di approfondire le indagini a proposito dei sei reperti che oggi vediamo, e che i giornali riportano, probabilmente importantissimi…”

“Sì, per la verità sono più di sei, i sei sono quelli che lei ha visto, che sono le formazioni pilifere, i margini ungueali, i due giubbotti, delle chiavi, ce ne saranno poi anche altri che verranno sottoposti ad analisi tramite incidente probatorio. Quelli indicati da noi sono quelli che non sono stati certamente mai analizzati, poi ce ne sono altri mai analizzati, e ce ne sono altri ancora che sono stati sostanzialmente analizzati solo parzialmente, nel senso che si sono cercate le tracce di Rosa e Olindo, quindi le analisi sono state effettuate solo per cercare tracce di Rosa e Olindo, visto che avevano confessato, e non si sono cercate tracce di terzi soggetti. Quindi un’analisi parziale volta a reperire soltanto tracce di Olindo e Rosa. Non sappiamo, visto che all’epoca questa indagine non è stata fatta, se su quei reperti ci potevano, o ci possono essere, perché a tutt’oggi tutto può essere analizzato, tracce di soggetti sconosciuti, quindi terze persone che all’epoca non entrarono nelle indagini. D’altronde all’epoca il RIS non trovò nulla di Rosa e Olindo, ma aveva già repertato delle impronte palmari, quindi impronte digitali che possono essere comparate, utili per le indagini, però di soggetti sconosciuti alle indagini, impronte che non erano di Rosa e Olindo, non erano dei soccorritori, non erano neanche le impronte delle vittime. Così noi da questo abbiamo già un punto di partenza abbastanza forte. Perché di Rosa e Olindo su quella scena del crimine non c’è nulla, al contrario ci sono tracce di soggetti che poi rimasero sconosciuti alle indagini.”

 

“Mi risulta che un testimone riferì di aver visto due persone di colore fuggire dalla scena del crimine dal terrazzino del primo piano.”

“Sì, diciamo che c’è un testimone italiano che abitava in via Diaz, nella palazzina di fronte al luogo della strage, e che vide, proprio all’ora del delitto, intorno alle 20 e 20, due soggetti in via Diaz, – all’epoca sentito dai carabinieri proprio il giorno dopo la strage – due persone, verosimilmente extracomunitari, più una terza persona, di cui non sa distinguere la nazionalità, provenire proprio dall’altezza del terrazzino di casa Castagna, e che poi si dirigevano da via Diaz in Piazza del Mercato. In piazza del Mercato a quell’ora c’era un altro testimone che venne all’epoca sentito, il quale disse anche lui di aver visto tre persone. Due, come aveva riferito il primo testimone, probabilmente di nazionalità extracomunitaria, la terza che poteva anche essere italiana. Noi avevamo prospettato un’altra via di fuga, appunto il terrazzino, proprio in virtù non solo di queste testimonianze, ma anche perché vi erano, proprio sul terrazzino di casa Castagna, delle tracce di sangue da calpestìo, come pure vi era, sulla parete all’interno di casa Castagna, il sangue dell’ultima vittima, la povera signora Cherubini. Peraltro c’era un particolare di molto rilievo, che quando entrarono nella palazzina i primi due soccorritori, i primi due vigili del fuoco, sentirono la signora Cherubini gridare più volte ‘Aiuto’. Provarono a raggiungere l’ultimo piano, quindi la casa del signor Frigerio e della signora Cherubini, però il fumo intenso impediva di passare, per cui lasciarono per un attimo la palazzina e ritornarono in cortile per prendere un estintore, perdendo qualche minuto. Quando rientrarono nella palazzina, la signora Cherubini non gridava più. La signora Cherubini venne trovata nel suo appartamento con il cranio fracassato e la lingua recisa, perché ricevette il colpo di grazia alla gola che colpì anche la lingua. Questo sta a significare che quando i primi due soccorritori entrarono, la signora Cherubini ancora non era stata finita, e quindi che il suo aggressore era ancora di sopra, pronto a finirla, come poi in effetti la finì. Il fatto che gridasse aiuto, e che poi venisse trovata con la lingua recisa, fatto che le avrebbe impedito di gridare aiuto, non può non essere considerato. Questo sta a significare che l’aggressore o gli aggressori non potevano più uscire da quella corte, perché ormai nella corte c’erano i soccorritori, e che quando i primi due soccorritori lasciarono per un attimo la palazzina, gli aggressori scesero da casa Cherubini, rientrarono in casa Castagna, e lì lasciarono il sangue dell’ultima vittima, della povera signora Cherubini, per poi guadagnare il terrazzino e calarsi su via Diaz dall’altezza di circa un metro e mezzo, quindi molto facile da raggiungere. Lì, guarda caso, proprio a quell’ora, vennero viste due persone più una terza provenire dalla direzione del terrazzino, da questo signore che lei ricordava, questo signore italiano che abita proprio lì di fronte. Questo è un argomento che noi sosteniamo, ma lo sosteniamo in base ad elementi di carattere tecnico, cioè le testimonianze dei soccorritori, quali appunto il taglio della lingua, che non poteva permettere di gridare aiuto aiuto, quali il sangue della signora Cherubini rinvenuto in casa della signora Castagna, l’ultima vittima, le impronte da calpestìo sul terrazzino, le dichiarazioni di questo signore italiano, le dichiarazioni dell’altro signore extracomunitario, che è stato in via Diaz e vide dei soggetti, e guarda caso tutti e due videro tre soggetti alla stessa ora, e, al contrario, alla stessa ora nessuno vide uscire Olindo e Rosa da quella corte.”

 

“Pare che uno degli esecutori della strage fosse mancino.”

“Questo si può dire soltanto con grande approssimazione, Certo, dalla descrizione che diede il sopravvissuto Frigerio  della sua aggressione, cioè che sarebbe stato colpito, una volta messo prono, da una persona alle spalle, nella zona sinistra del collo, quindi una persona messa a cavalcioni sulla schiena, allora tutto lascia presupporre che il colpo sia stato dato con la mano sinistra, perché in quella posizione il colpo poteva essere dato solo con la mano sinistra, quindi dalla descrizione che ne fornisce il sopravvissuto. Solo che poi il sopravvissuto disse pure che il suo aggressore era stato Olindo Romano, mentre per i primi quindici giorni indicava un soggetto non del posto, a lui sconosciuto, olivastro, occhi neri e quant’altro. Certo è che il signor Olindo Romano non è mancino.”

 

“Possiamo dire che la chiave di volta della faccenda è stata la confessione resa dai due coniugi.”

“La chiave di volta è stata naturalmente la confessione, che viene considerata un elemento determinante,  dato che non si capisce a quale scopo due persone debbano accusarsi di un crimine del genere, quindi se hanno confessato, sono loro i colpevoli. Però, molto spesso è così, e altre volte non è così, perché non tutti sanno che sia la cronaca giudiziaria italiana che quella internazionale è piena di confessioni fasulle, confessioni indotte, piuttosto che confessioni di mitomani, eccetera eccetera. Peraltro, anche le confessioni devono essere valutate in un certo modo, nel senso che lei mi può confessare di aver abbattuto l’aereo a Ustica, però poi mi dovrà spiegare come ci è riuscito, e darmi dei dettagli. Ora, questi dettagli sono stati resi, ma sono tutti dettagli errati. Quando Olindo fornisce dettagli, li sbaglia tutti. Le faccio degli esempi concreti per capirci. Nonostante abbia deciso di confessare, e poi parleremo anche del motivo per cui ha deciso di confessare, eventualmente, lui vuole confessare ma fa degli errori clamorosi. Per esempio, è stato accertato che chi agì in quella casa agì al buio. Inizialmente Olindo dirà che c’era la luce. Poi gli verrà detto che la luce era stata staccata, e allora lui dirà, va bene, allora ho agito al buio. Gli viene chiesto, ma lei a che ora ha staccato la luce? Alle 20, dirà lui, perché sa che il delitto è stato commesso attorno alle venti. In realtà poi è stato accertato in modo inoppugnabile che la luce in quella casa venne staccata alle 17,40. E altro. Quanti colpi ha dato alla signora Cherubini? Lui dirà due, tre. In realtà la signora Cherubini aveva subito trentasette colpi, e quindi diciamo che è stata purtroppo la vittima che ha subito una ferocia maggiore rispetto alle altre. Dove l’ha uccisa? Lui dirà, al piano terra, in realtà fu uccisa al secondo piano. Che vestiti indossavano le vittime? Non li saprà descrivere, tranne quelli di Paola Galli, perché dice Olindo che li ricordava, ma sbaglierà tutto, per esempio dirà che quello se lo ricordava benissimo, aveva una gonna grigia e rossa, mentre in realtà aveva una gonna leopardata. Cioè, nei dettagli non indovina proprio nulla, tant’è vero che noi abbiamo cintato, per quanto riguarda la confessione di Olindo, duecentoquarantatrè errori, cioè un errore ogni trenta secondi di dichiarazioni, sono veramente tanti. Peraltro a questo bisogna aggiungere che vi era un’intercettazione ambientale, cioè poco prima di confessare, gli inquirenti proprio in carcere fecero incontrare Rosa con Olindo e misero una cimice per ascoltarli. Dove sostanzialmente Olindo dice a Rosa, guarda che ho parlato con quei signori lì fuori, e mi hanno detto che se confesso, tu torni a casa, e io dopo qualche anno ti raggiungo, con l’abbreviato, quelle cose lì, le attenuanti generiche, mi hanno detto, e Rosa dirà, ma scusa se non siamo stati noi, che cosa vuoi confessare, il carcere ti pesa così tanto, e lui dice, guarda, per tagliare le gambe al toro, questo mi sembra il minore dei mali, ecco che l’analisi della confessione deve esaminare anche gli altri elementi che le stanno intorno. Del resto, sono stati gli stessi due carabinieri che entrarono quella mattina in carcere ad aver detto poi in dibattimento che in effetti uno dei due disse ad Olindo, che, siccome lui diceva che mia moglie non c’entra niente, di aver detto a Olindo, vabbè, ma se tua moglie non c’entra niente, vuol dire che tu c’entri per qualcosa, quindi ti suggerisco di chiamare i magistrati, di dire che tua moglie non c’entra nulla, così se ne va a casa, e poi tu, confessando, con le attenuanti generiche, l’abbreviato e quelle cose lì, prendi qualcosa di meno. Quando nella intercettazione ambientale lui dice queste cose a Rosa, queste cose trovano conferma dalle stesse dichiarazioni rese poi in dibattimento dai due carabinieri che quella mattina entrarono in carcere e parlarono con Olindo. Il contesto quindi è molto più ampio, perché da un lato abbiamo questa confessione, mi passi il termine, sgangherata, perché nessuno poi ha confutato, anche nelle sentenze di merito, che in effetti gli errori ci furono, cioè anche la sentenza, non quella di primo grado, ma poi dalla sentenza di appello in poi fu scritto che gli errori in effetti ci sono, solo che, e questa è stata la motivazione da parte dei giudici, magari sono il frutto dell’azione concitata del momento, e in parte anche della volontà di Olindo di lasciarsi una porta aperta per poi ritrattare. Ora, tutto si può dire, ma che uno confessi per poi ritrattare, mi sembra veramente abbastanza singolare, visto che sostanzialmente sarebbe meglio, in questi casi, non confessare. Una volta confessato sarà sempre più difficile ritrattare. Per esempio, ancora Olindo, quando non sapeva che il RIS di Parma doveva depositare degli accertamenti, aveva detto di aver appiccato il fuoco con un semplice accendino, in realtà poi venne accertato dal RIS che in quella casa venne dato fuoco non con un semplice accendino, ma utilizzando anche degli acceleranti di marca diversa. Naturalmente per fare quello che è stato fatto, quel tipo di incendio, con un semplice accendino difficilmente si sarebbe riusciti a farlo. Questi sono gli elementi che riguardano la confessione. Certo, la confessione certamente ha pesato, ha pesato tantissimo, perché, si può anche dire così, ha lavato le coscienze un po’ a tutti.”

 

“Certo, Olindo e Rosa sono due persone psicologicamente molto particolari. È stata fatta una perizia psichiatrica?”

“Anche questo. Purtroppo, noi abbiamo anche chiesto una perizia psichiatrica, non per cercare la semi incapacità o l’incapacità, ma per accertare quello che loro due sono. Per eventualmente misurare il loro grado della possibilità di suggestione e di induzione che può essere creata in questi soggetti, anche quella ci è stata negata, quindi fra i settanta testi, e non solo, ma anche ci è stata negata la perizia psichiatrica per analizzare sia Rosa che Olindo.”

 

“Vi siete avvalsi anche della collaborazione di un criminologo?”

“Nell’ambito della difesa il consulente era il professor Torres, che purtroppo ci ha lasciati un anno e mezzo fa, la dottoressa Vasino, la dottoressa Saracino, c’era il professor Strata, neurologo, erano stati nominati anche dei periti psichiatrici, il dottor Bogetto, proprio per eventualmente esaminarli, ma non ci è stato consentito. C’è stato anche come perito Paloscino, per cercare il profilo di quel soggetto che nei primi quindici giorni Frigerio descriveva. Quello che fece una relazione per la difesa fu il professor Carlo Torres, insieme alla dottoressa Vasino e alla dottoressa Saracino, che poi addirittura non venne nemmeno sentita, perché la dottoressa Saracino fu uno di quei testi prima ammessi e poi revocati. Il RIS lavorò sulla scena del crimine con diciotto unità, erano i consulenti del Pubblico Ministero, solo che, siccome la loro relazione era favorevole a Olindo e Rosa, abbiamo dovuto insistere per avere la loro relazione, quindi solo tramite le nostre richieste poi venne depositata. Addirittura il PM non voleva che entrasse in atti, e non citò neppure il RIS di Parma, che divenne testimone della difesa. Erano diciotto unità, se ne ammisero soltanto tre.”

 

“Insomma, i reperti di cui hanno parlato i giornali, dove sono custoditi, e come mai non sono stati messi in evidenza, dopo quasi undici anni?”

“Questi reperti sono, alcuni presso il RIS di Parma, altri presso l’Università di Pavia. Sono custoditi, secondo le nostre informazioni, perché quando abbiamo fatto la richiesta, sia il RSI di Parma che l’Università di Pavia ci risposero che erano custoditi, ed era possibile analizzarli. All’epoca non vennero fatte le analisi di alcuni reperti perché per scelte di carattere investigativo si ritenne di dover fare delle analisi rispetto a delle altre, di analizzare alcuni reperti piuttosto che altri. Poi noi durante la fase processuale avevamo chiesto quell’approfondimento su tutto, che però, insieme ai settanta testi, ci venne negato. Adesso l’iter, una volta che è avvenuto questo annullamento della Cassazione, Brescia dovrà procedere a fare questo incidente probatorio, quindi ad esaminare tutti quei reperti indicati, soprattutto quei reperti che una volta esaminati non potranno essere riesaminati. Nel senso che, una volta fatta la prima analisi, non è detto che se ne possa fare una seconda. quello dovrà avvenire in contraddittorio di tutte le parti, verrà fissata un'udienza davanti al giudice, le parti dovranno nominare i propri consulenti, il giudice il suo perito, e quindi siprocederà ad analizzare tutta una serie di reperti sui quali i tecnici effettueranno un esame unico, nel senso che non potrà essere ripetuto, e quindi verrà fatto un'unica volta davanti ad un giudice, davanti ai periti e agli esperti. Quell'esame cristallizzerà appunto la prova, e vedremo quali saranno i risultati. Una volta effettuato l’incidente probatorio, poi, in base anche ai risultati ottenuti, in base anche ad altri elementi, in questo caso di carattere dichiarativo, ed altro, verrà presentata una vera e propria istanza di revisione, sempre davanti ai giudici bresciani che raccoglieranno anche queste prove qui, quelle relative all’incidente probatorio. “

 

“Quindi il tribunale di competenza è quello di Brescia.”

“La Corte d’Appello competente, così ha stabilito la Cassazione, è quella di Brescia, per fare questo tipo di incombente.”

 

“Quindi i tempi lunghi dipendono dalla Cassazione, che soltanto oggi ha potuto esaminare l’istanza.”

“Noi due anni fa abbiamo presentato la prima istanza, poi ci siamo dovuti rivolgere alla Cassazione perché annullasse questo provvedimento. I tempi lunghi dipendono dal fatto che avevamo chiesto dapprima a Brescia, Brescia riteneva che fosse Como competente, Como riteneva che competente fosse Brescia, Brescia riteneva di non dover fare l’incidente probatorio, abbiamo impugnato l’ultimo provvedimento di Brescia davanti alla Corte di Cassazione, la corte di Cassazione ha annullato il provvedimento di rigetto di Brescia, e ha stabilito che questo incombente venisse effettuato.”

 

“Avevate fatto istanza di revisione del processo?”

“Noi ancora non abbiamo presentato un’ istanza di revisione, avevamo  fatto una richiesta di analisi in incidente probatorio di quei reperti. Ci era stata negata dalla Corte d’Appello anche di Brescia, ritenendo che quel tipo di incombente, di incidente probatorio non si poteva fare anche perché non era stata presentata una richiesta di revisione. In realtà la Corte di Cassazione ha stabilito che l’incidente probatorio andava fatto, anche perché è un incombente che si deve fare anche se non c’è una richiesta di revisione, proprio perché è propedeutico ad una revisione. “

 

“A proposito dei famosi reperti, io ho qui un capello…”

“Sono più capelli, dei quali uno più lungo di dieci centimetri, sono delle formazioni pilifere.”

 

“Un accendino, un mazzo di chiavi, lei mi ha detto due giubbotti, io ne avevo uno, lei mi ha anche detto ‘margini ungueali’, un cellulare e una macchia di sangue, non ho più nulla.”

“Poi esamineremo sicuramente anche una tenda, e anche qualche altro oggetto, non sono solo quei sette, sono quei sette, ma ce ne sono anche degli altri, le aggiungo una tenda e qualche altro oggetto.”

 

“A posteriori, dando non un giudizio, ma un suo parere, lei ritiene che questa condanna nei confronti di due persone che da tanti, come da me e dal collegio difensivo, sono considerate innocenti,  sia stata causata da un’indagine condotta in modo molto particolare. Per esempio, l’identificazione di Olindo è stata fatta da Frigerio mentre si trovava ricoverato in ospedale, con un investigatore che gli mostrava una foto di Oilindo, ‘suggerendogli’ che avrebbe potuto essere stato lui ad aggredirlo.”

“Noi riteniamo che le indagini siano state molte, perché anche ad un certo punto si sono interrotte. Ma soprattutto riteniamo che doveva essere valutato quello che è successo prima, e non soltanto quello che è successo dopo, perché se per quindici giorni il testimone, fin quando non aveva subito alcun condizionamento, quindi davanti al PM, davanti ai suoi figli, aveva per più volte ripetuto di non conoscere il suo aggressore; l’aveva descritto come olivastro, occhi neri, capelli neri sul volto, forte come un toro, esperto di arti marziali, ma soprattutto aveva detto a più riprese di non conoscerlo, che non era di Erba. Questo sta a significare che escludeva dal cono della responsabilità il già sospettato Olindo Romano, perché il signor Frigerio, Olindo Romano lo conosceva da circa dieci anni, ci si fermava a parlare. Se il tuo vicino di casa, con il quale hai una certa confidenza, ti aggredisce, ti uccide la moglie, è chiaro che tu non è che lo descrivi, lo indichi, è stato il signor Rossi, non indichi altri soggetti sconosciuti. Quindi il signor Frigerio, fin quando un investigatore, lo stesso investigatore che fin dalla notte era convinto della colpevolezza di Olindo, fin quando non ha incontrato quell’investigatore, ha dato sempre la stessa versione, dicendo che il suo aggressore era un soggetto che non conosceva, con determinate caratteristiche somatiche che non combaciano in alcun modo con quelle di Olindo. Solo dopo la visita dell’investigatore, che fece quel colloquio investigativo, iniziando a dire, diciamo per assurdo, ma se lei avesse visto Olindo Romano come suo aggressore, l’avrebbe riconosciuto? E anche lui dirà, penso di sì. Poi continuerà a dare a quest’investigatore la stessa descrizione di un soggetto sconosciuto, fin quando l’investigatore, dopo quarantacinque minuti ritorna sull’argomento, e dice: tornando all’Olindo, le ho messo quel dubbio che sia lui, o che non sia lui? Lei ci pensi a questa figura che aveva di fronte, e poi ne riparliamo. Tant’è vero che Frigerio dirà, ma pensate che sia stato l’Olindo? E allora l’investigatore lo lascia con questo dubbio. Nei giorni successivi, Frigerio dirà, al cento per cento, che il suo aggressore è stato Olindo. Ora non ci vuole uno scienziato per stabilire che il ricordo più genuino è quello che non è stato condizionato da nulla, e fin quando Frigerio non è stato condizionato da nulla, ha detto che il suo aggressore aveva caratteristiche somatiche molto diverse da quelle di Olindo. “

Fin qui l’intervista che l’avvocato Schembri ci ha gentilmente concesso, e della quale lo ringraziamo. Restiamo in attesa della data dell’incidente probatorio, che, ci auguriamo, porterà alla revisione di un processo che, ad un osservatore non addentro alle cose della giustizia, e alla luce di quanto l’avvocato Schembri ci ha detto, sembra viziato da situazioni e decisioni non chiare e non motivate, almeno al grande pubblico. Certo è che il processo a Rosa e Olindo, prima che in tribunale, venne fatto in televisione, in base a voci raccolte da chi evidentemente ne sapeva ancor meno di chi le voci raccoglieva, a caccia di sensazioni. Bene dice l’avvocato Schembri quando parla di un processo “fortemente influenzato dal sentire comune” e, secondo noi, falsato da una confessione che avrebbe almeno dovuto sollevare dei dubbi negli inquirenti sulla sua genuinità. Rosa e Olindo sono due mostri, sì, ma non due assassini, sono due mostri di ingenuità, e lo dimostrano con la richiesta che venne fatta di una cella matrimoniale. Ci auguriamo che giustizia venga fatta, anche se a distanza di undici anni, o che almeno giustizia venga resa a chi non ne ha avuta.

 

 

 

 

 




Strage di Erba: Olindo e Rosa sperano in un permesso premio

 

di Angelo Barraco
 
 
MILANO – La Strage di Erba rappresenta ancora oggi una macchia indelebile nella storia del crimine, una terribile vicenda avvenuta l’11 dicembre del 2006 che nessun italiano ha dimenticato per anomalie ed efferatezza nel modus operandi. Un delitto che ha sdoganato le regole non scritte del buon vicinato. Per la strage in cui persero la vita quattro persone sono stati condannati all’ergastolo in primo e secondo grado Olindo Romano e Rosa Bazzi, oggi la coppia spera di poter riacquistare barlumi di libertà attraverso i permessi premio e poter “"andare in camper a mangiare una pizza sul lago”. Tali volontà sono state espresse da Olindo Romano in una lettera dove ha scritto: “Continuo a vedere Rosa tre volte al mese e questa è la cosa più importante. Spero che prima o poi io e Rosa possiamo avere i permessi premio cosi potremmo vederci tranquillamente e in santa pace come facevamo prima. Sarebbe bello avere un permesso premio da soli con Rosa per farci un giro in camper e fermarci a mangiare una pizza lungo il lago. Il problema è che il camper ce l'hanno venduto. Chissà se il magistrato di sorveglianza ci darà l'ok” aggiungendo inoltre: “Mi ricordo il giorno della strage e fino a sera è stato un giorno normale: lavoro, casa, Rosa, Mc Donald…è da dieci anni che dura questo incubo, ma aspettiamo fiduciosi la revisione del processo. Sono innocente”.
 
Le parole di Olindo hanno avuto un effetto boomerang e Azouz Marzouk, che in quella terribile mattanza ha perso il figlio Youssef e la moglie Raffaella Castagna, non ha dimenticato il terribile lutto che lo ha colpito e nel corso di un’intervista ad Adnkronos ha riferito: “Anche se mi sono fatto una famiglia, ho tre figlie meravigliose e una bravissima moglie, mi fa sempre male quello che è successo. Quel giorno io ho perso mio figlio e mia moglie, eppure non vengo trattato come una vittima: tutti si ricordano della famiglia Castagna, ma anch'io ho perso tutto”, ha inoltre riferito “Non ho mai detto che sono innocenti, ho solo detto che ci sono alcuni punti non chiari, come alcune dichiarazioni o alcuni elementi che non sono stati approfonditi. Io credo che se Olindo e Rosa sono colpevoli non hanno diritto ad avere permessi premio e a potersi vedere fuori dal carcere dopo solo 10 anni da quella strage che mi ha distrutto la vita”. Una vicenda che ha colpito tutti e la famiglia Castagna, dieci anni dopo il massacro, ha deciso di donare la casa in cui si è consumata la strage. Carlo Castagna ha infatti riferito ai microfoni di TgCom24 che: “Il nostro obiettivo è stato quello di garantire una continuità di vita e non più di morte, tenebre”. In quella abitazione ci vivrà una coppia della Nuova Guinea con un bambino piccolo. 
 
Nel mese di aprile scorso si era parlato di una nuova possibile riapertura del caso e i legali di Olindo e Rosa hanno presentato alla Corte d’appello di Brescia, alla luce di una richiesta di revisione del processo, un’istanza d’incidente per analizzare “reperti importantissimi mai prima esaminati”. Tra questi reperti vi erano i peli rinvenuti sulla felpa del piccolo Youssef Marzouk. Tali elementi erano emersi nel novembre scorso. L’avvocato Schembri aveva commentato così il rinvenimento di tale materiale “Ci siamo trovati di fronte a questo elemento per caso, nel corso del carteggio tra le procure che si rimpallano la competenza sulla nostra istanza di acquisizione dei vecchi reperti ancora in carico a Ris e Università di Pavia, cioè quelle di Como e Brescia. Ora sappiamo due cose: che sono stati trovati dei peli sulla felpa del bambino vittima della strage, e che questi reperti non sono stati analizzati. Ci sembra doveroso farlo ora, visto che potremmo non trovare nulla di anomalo o al contrario trovare qualche nuovo attore sulla scena del delitto”. La difesa chiede inoltre di esaminare un accendino rinvenuto sul pianerottolo dell’appartamento in cui avvenne la mattanza e altro reperti biologici che “non furono sottoposti ad amplificazione”.
 
La vicenda. Un delitto che ha scosso l’Italia, tre donne uccise brutalmente e un bambino di non ancora due anni sgozzato, e un unico sopravvissuto. Questo è quanto accaduto l’11 dicembre del 2006 intorno alle 20.00, nella corte di Via Diaz, in una palazzina denominata la Palazzina del Ghiaccio quando divampa un incendio all’interno di uno degli appartamento di una delle palazzine. Vedendo il fumo due vicini salgono e trovano Mario Frigerio, unico sopravvissuto, il corpo privo di vita di Raffaella Castagna che sarebbe morta mediante ferimento di una spranga e 12 coltellate e sgozzamento, Paola Galli, la madre, uccisa a sprangate e coltellate e il bambino di Raffaella, Youssef, dissanguato sul divano in seguito al taglio della gola. Proprio in quella palazzina nel 2000 andò ad abitare Raffaella Castagna, nel periodo in cui vi erano entrati Olindo Romano e Rosa Bazzi. 
 
Raffaella Castagna,  era giovane e sola quando giunge in via Diaz. In aula, quando il Pubblico Ministero chiede ai Teste se la Signora Castagna avesse dei problemi all’interno della palazzina, la risposta dei teste è “Olindo Romano e Rosa Bazzi”, il Pubblico Ministero chiede di che cosa si lamentavano questi signori, il teste riferì che si lamentavano “del baccano, del casino, dei rumori”. Nel processo emerge inoltre che Raffaella Castagna aveva preso delle precauzioni per evitare lamentele, il teste infatti riferisce che utilizzava tappeti e molta cautela tant’è che faceva togliere le scarpe agli ospiti per evitare screzi con i coniugi Romano. Inoltre il teste racconta un episodio che evidenza un grande problema, racconta infatti che si trovavano a casa di Raffaella Castagna a prendere il Thè e una sua amica muove bruscamente la sedia, dopo pochi minuti suona il citofono e l’amico di Raffaella riferisce in aula che la donna consiglia loro di evitare di far rumori, fare piano, ma dieci minuti dopo suona ancora il citofono, la terza volta quando risponde o Olindo o Rosa chiedono di smetterla di fare rumore. Ma l’insistenza dei coniugi Romano non finisce qui, poiché continuano  citofonare e decidono di scendere tutti quanti dal signor Romano e chiedono come mai, perché questo. Ma le testimonianze che parlano di atteggiamenti aggressivi contro Raffaella Castagna messi in atto da Olindo e Rosa sono tanti. Tali episodi riguardano il antecedente il matrimonio con Azouz Marzouk.
 
I testimoni raccontano di come Raffaella avesse paura dei coniugi Romano perché la trattavano male, la insultavano, che quando era incinta aveva ricevuto percosse. Il matrimonio e la nascita di Youssef Marzouk aggravano una situazione ormai critica, fino a quando non si arriva al 3 aprile del 2005 quando Paola Galli viene chiamata in lacrime dalla figlia Raffaella e, giunta in Via Diaz subisce un’aggressione dai coniugi Romano, terrorizzata chiama il marito che, anch’esso, viene aggredito. Ma i coniugi Romano litigavano anche con il resto del vicinato? Dal processo emerge che si, litigavano con il resto del vicinato. Un teste racconta che sua moglie non poteva mettere fuori le lenzuola perché c’erano subito discussioni con Rosa Bazzi, mentre loro facevano quello che volevano, non rispettando ordine e pulizia e senza chiedere niente a nessuno.
 
Ma come mai Olindo e Rosa Bazzi vengono accusati di essere gli autori del massacro? Il tutto avviene principalmente dal risveglio di Mario Frigerio, l’unico sopravvissuto al massacro –morto nella notte del 16-09-2014- che in aula ha raccontato quella terribile sera. Frigerio racconta i aula di aver cenato alle 7 con sua moglie , alle 8 la moglie sua moglie si era preparata per accompagnare il cane a fare i bisogni, e mentre era pronta per uscire, ha raccontato in aula Frigerio, sentono un paio d’urli. L’uomo in aula ha raccontato che in quel momento, a seguito degli urli, ha riferito alla moglie di aspettare un po’ prima di uscire e appena si calma la situazione poteva scendere. “Mia moglie dopo circa un quarto d’ora rientra e mi dice guarda che c’è un bel po’ di fumo, sembrava un attimino spaventata” prosegue Frigerio, raccontando che gli si è aperta la porta e gli è apparta una persona, che sottolinea di aver riconosciuto in quella persona in signor Olindo Romano, che secondo il racconto di Frigerio si trovava all’entrata “e mi guardava con due occhi d’assassino”, e conferma l’assoluta certezza che era Olindo. Poi lo ha trascinato giù per terra, lo ha preso per il collo e ha iniziato a picchiarlo, poi ha estratto un coltello e gli ha tagliato la gola. Il racconto di Frigerio agghiaccia l’aula e riferisce che mentre il killer gli tagliava la gola sua moglia urlava e poi ad un certo punto non urlava più, anche il cane è stato ucciso. Ha cercato di muoversi in quella terrificante scena e cercava di urlare ma il sangue gli grondava dalla gola e non era facile nemmeno muoversi. Quando il Pubblico Ministero chiede a Frigerio se al momento dell’aggressione avesse percepito la presenza anche di una seconda persona, l’uomo risponde con fermezza “di due persone”, anche se puntualizza la sicurezza in merito alla presenza di Olindo sulla scena del delitto. Un elemento su cui la corte punta il dito in direzione Olindo – Rosa è il semplice fatto che la coppia in casa non parla della strage e in auto viene intercettata mentre si suggeriscono di non parlare del caso perché qualcuno avrebbe potuto aver messo “qualcosa”. Ma a compiere l’atroce strage sono stati realmente Olindo Romano e Rosa Bazzi?
 
I coniugi Romano prima confessano, ma all’udienza preliminare Olindo ritratta la sua confessione e anche la moglie fa lo stesso.Il 29 gennaio 2008 si svolge l’udienza di primo grado, in questa sede Olindo accusa i carabinieri che lo hanno interrogato e che, secondo lui, avrebbero esercitato una pressione coercitiva nei suoi confronti convincendolo a confessare. I coniugi Romano sono stati condannati all’ergastolo il 20 aprile del 2010 dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano, con isolamento diurno per tre anni. Il caso è chiuso, ma sono loro i colpevoli? Vediamo quali sono i punti che fanno pensare l’esatto contrario.
 
Dubbi, teorie, ipotesi.  La deposizione chiave, come detto poc’anzi, fu quella di Mario Frigerio fatta in aula dove accusava senza ombra di dubbio Olindo Romano, ma quella non fu la sua prima e unica deposizione poiché dopo essersi svegliato dal coma . Inoltre lo stesso giorno che Frigerio riconosce Olindo come assassino, vengono rinvenute nella macchina dei coniugi Romano tracce di sangue di una delle vittime, Valeria Cherubini, moglie di Frigerio. Due giorni dopo l’arresto confessano, e lo fanno in modo accusato, dettagliato e soprattutto coincidente. Olindo e Rosa, nella corte di Via Diaz sono noti per il loro rapporto simbiotico, perché vivono sempre incollati uno con l’altro. La coppia non ha figli e non ha amici e sono talmente uniti che chiedono alla corte di stare in una cella matrimoniale a patto che non vengano separati. Le vittime della strage sono Frigerio e moglie, che vivono in una mansarda all’ultimo piano, poi la famiglia Marzouk-Castagna al primo piano e al piano terra vivono i coniugi Romano. La prima parte della strage si consuma al primo piano, è l’11 dicembre del 2006 e sono le 20.00. Valeria Cherubini stave per uscire dalla mansarda del secondo piano per portare il cane a fare i bisogni, ma dal piano di sotto sente delle urla molto forti e si blocca sulla soglia di casa, la donna però poi decide di proseguire dopo aver aspettato qualche minuti.
La signora rientra verso le 20.20 e vede uscire del fumo dall’appartamento di Raffaella Castagna, avverte il marito e scendono nell’appartamento di Raffaella. In quel momento la porta si apre, si chiude e si apre ancora e Frigerio vede di fronte a se l’assassino. In aula non ha alcun dubbio Frigerio sull’identità di quell’uomo, in aula precisa che si tratta del tuo vicino di casa Olindo Romano e lo indica pure. Ma questa sicurezza di Frigerio arriva soltanto 15 giorni dopo la mattanza, il 26 dicembre del 2006. Frigerio prima aveva descritto il suo aggressore con connotati totalmente diversi e che non corrispondono assolutamente ad Olindo. Il soggetto descritto da Olindo era alto, pelle scura, occhi scuri e capelli neri corti, la descrizione corrisponde ad un nord africano dunque. Tale descrizione la fa anche al primo Magistrato che il 15 dicembre, ben 4 giorni dopo la strage, lo ascolta in ospedale. Il PM chiede: “Era Bianco di carnagione, scuro?” e Frigerio risponde: “No era scuro..non era di qua…”, il PM incalza e chiede: “Ma nero, nero o…?” e Frigerio: “Olivastro, Olivastro”, il Pm continua: “Olivastro?” e Frigerio descrive così: “Olivastro, capelli corti, tanti capelli ma corti”. Aggiunge inoltre che i capelli erano neri, il pm chiede poi se gli occhi erano neri o chiari e Frigerio dice che erano neri. Una domanda importante del pm è : “Lei non ha mai visto quella persona?” e Frigerio risponde: “No, non l’ho mai visto”. Frigerio fa mettere a verbale che nell’appartamento di sotto c’era un via vai di nord africani. Qualche giorno dopo emergono altri dettagli sull’aggressore, dati da Frigerio stesso, ovvero che era forte e altro 6/10 cm più alto di lui. Olindo non è più alto di Frigerio, anzi è più basso. Viene fatto un identikit ma quando viene realizzato ormai Olindo e Rosa sono stati messi dietro alle sbarre. L’identikit e l’uomo descritto da Frigerio rappresenta l’antitesi di Olindo poiché quest’ultimo ha la pelle chiarissima, gli occhi chiari, è basso e tarchiato. Ma come uscì il nome di Olindo? Sarebbe avvenuto il 20 dicembre 2006 durante un colloqui in ospedale in cui viene chiesto a Frigerio: “Lei conosce il sig. Olindo. Il suo vicino di casa? Che abita nella palazzina lì vicino?”, viene chiesto se lo saprebbe riconoscere e se lo avesse visto se lo avrebbe potuto riconoscere. Chi fa le domande a Frigerio chiede:”se lei avesse avuto di fronte l’Olindo avrebbe saputo che era Olindo?” e Frigerio risponde “Penso di si” . Il nome di Olindo non era mai venuto fuori se non in questa occasione e la registrazione di quel colloquio non fu ammessa dal PM. Il 26 dicembre dice invece che era sicuramente Olindo. Un altro punto interrogativo è la foto della macchina dove è stata rinvenuta la traccia di sangue di Valeria Cherubini
 
Nel verbale però manca la foto della luminescenza che evidenza la traccia di sangue nel battitacco della macchina, la foto dovrebbe esserci. Un elemento da tenere in evidenza è che la traccia di sangue poteva avercela portata chiunque poiché il sangue veniva calpestato e poteva essere involontariamente calpestato. Olindo abitava nella corte e poteva aver calpestato quella traccia e averla trascinata involontariamente. Quando Olindo e Rosa vengono arrestati e successivamente interrogati negano di aver commesso i brutali omicidi e riferiscono di essere andati a Como quella sera e di aver mangiato da MacDonald. Per due giorni vengono rinchiusi in cella, separati uno dall’altro. Il 10 gennaio due marescialli dei carabinieri si recano presso il carcere di Como, devono prelevare le impronti digitali di Olindo. Le impronte erano state prelevate all’uomo e soltanto uno dei due marescialli è autorizzato a vedere Olindo. Per prelevare le impronte ad una persona bastano pochi minuti, loro invece si soffermano con Olindo per ore e parlano di sconti di pena e dei vantaggi che può avere in caso di una piena confessione.
 
L’uomo fa avvisare i magistrati che vuole proferire, ma in realtà l’ha fatto per vedere sua moglie. Ma gli dicono che non la vedrà più, anche se successivamente la incontra. Nell’incontro tra i due parlano della vicenda e Olindo, pur non separarsi con la moglie, dice palesemente che vuole confessare e la moglie dice chiaramente che non sono stati loro. Rosa poi decide di confessare, ma dimostra di non conoscere molti particolari della vicenda come la posizione dei corpi e inoltre dice che nella casa della Castagna la luce era accesa, quando in realtà il contatore era stato staccato circa due ore prima della strage. Quando Olindo sente la confessione di Rosa dice che la moglie mente e che non ha fatto niente e che loro non hanno fatto niente. Successivamente confessa, ma il suo racconto è ritenuto più credibile e anche perché l’uomo lesse il mandato di cattura e li è riportato quanto accaduto. Rosa è analfabeta e non lo ha potuto leggere. Malgrado ciò vi sono tanti “non ricordo”, oppure “non so”. I Ris di Parma prelevano i vestiti di Olindo e Rosa, anche dalla lavatrice, e non trovano la minima traccia di sangue in quei vestiti. Perché la Procura di Como non si avvalse di quelle indagini? Le indagini dei Ris durarono 5 mesi. I Ris dopo il primo arresto si ubicano a casa Romano e la ispezionano per bene, da cima a fondo e viene utilizzato il luminol ma in quella casa non viene trovato assolutamente nulla. Eppure quella è la casa di due persone accusate di aver commesso atroci delitti e in teoria dovevano pur essere sporchi di sangue dalla testa ai piedi. Nessuna traccia di Olindo e Rosa nemmeno sulla scena del delitto, ma viene trovato sangue delle vittime e di soggetti sconosciuti. E se fosse il sangue degli assassini? Inoltre bisognerebbe analizzare il modus operandi utilizzato da chi ha commesso il delitto, ovvero taglio della gola. Sembra una strage compiuta da qualcuno con l’intento di uccidere per vendetta personale e il modus operandi ricorda delle pratiche di uccisione, come il taglio della gola, tipica di altri popoli.