REGGIO CALABRIA NDRANGHETA: LA POLIZIA DI STATO ARRESTA UN AFFILIATO ALLA COSCA BELLOCCO

Redazione
Reggio Calabria
– Nell’ambito delle attività finalizzate al controllo del territorio ed al contrasto alla criminalità disposte in tutta la provincia dal Questore di Reggio Calabria , dott. Guido Nicolò Longo, sono state effettuate numerose perquisizioni a carico di pregiudicati appartenenti alla criminalità organizzata operante nel territorio della Piana di Gioia Tauro. Nella giornata di sabato 30 u.s., in Rosarno (RC) la Polizia di Stato ha arrestato in flagranza di reato PALAIA Francesco Benito, classe ‘73, con numerosi precedenti di polizia per furto, truffa, ricettazione, reti in materia di stupefacenti e associazione finalizzata al traffico di droga, affiliato alla famiglia di ‘ndrangheta dei “Bellocco” di Rosarno, coniugato con BELLOCCO Emanuela, attualmente detenuta, figlia di BELLOCCO Giuseppe, classe ‘48, elemento apicale della omonima cosca attiva nel comprensorio della Piana di Gioia Tauro. In particolare, personale del Commissariato della Polizia di Stato di Gioia Tauro (RC), unitamente a personale del Reparto Prevenzione Crimine di Siderno (RC), dopo aver fatto irruzione all’interno della residenza dell’uomo, hanno effettuato una meticolosa e accurata perquisizione che, estesa ad un scooter utilizzato dal PALAIA ma di proprietà della moglie, ha portato al rinvenimento di due involucri costituiti da vari strati di gomma e cellophane avvolti da nastro adesivo, rispettivamente di Kg. 1,070 e Kg. 1,222 di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
Ultimate le formalità di rito, il PALAIA, è stato associato presso la Casa Circondariale di Palmi (RC).
 




REGGIO CALABRIA NDRANGHETA: LA SQUADRA MOBILE ARRESTA I VERTICI DELLE COSCHE ZAPPIA E CIANCI MAIO HANOMAN

Redazione
Reggio Calabria
– Nella mattinata odierna, al culmine di incessanti ed articolare investigazioni coordinate della locale Procura Distrettuale Antimafia, la Squadra Mobile di Reggio Calabria, con la collaborazione della Squadra Mobile di Brescia e del Commissariato P.S. di Taurianova, ha dato esecuzione ad un’Ordinanza di Custodia Cautelare nr. 80/2014 RGNR/DDA, 710/2014 R.GIP/DDA e nr. 20/2014 R.OCC, emessa in data 14.03.2014 dal G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria, nei confronti dei sottoindicati esponenti di vertice delle cosche di ‘ndrangheta ZAPPIA e CIANCI-MAIO-HANOMAN, operanti nel territorio di San Martino di Taurianova (RC):

–    ZAPPIA Vincenzo Giuseppe, nato a Taurianova (RC) il 10.02.1965;
–    ZAPPIA Maria, nata a Taurianova (RC) il 26.07.1962;
–    ZAPPIA Teresa, nata a Taurianova (RC) 10.03.1970;
–    ZAPPIA Rosetta, nata a Taurianova (RC) il 25.06.1977;
–    ZAPPIA Giuseppe, nato a Taurianova (RC) il 01.07.1969;
–    CIANCI Domenico, nato a Taurianova (RC) il 24.03.1947.

I predetti sono tutti accusati di aver fatto parte dell’associazione di tipo mafioso denominata ‘ndrangheta, nelle articolazioni territoriali del mandamento “tirrenico” delle due distinte cosche degli ZAPPIA e CIANCI-MAIO-HANOMAN, operanti a San Maritino, frazione di Taurianova (RC) e zone limitrofe, nonché di estorsione aggravata dal metodo mafioso (art. 7 della Legge 203/91).  

Le indagini, svolte dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria con il supporto di presidi tecnologici, hanno consentito di accertare, anche sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Russo Antonio, perduranti condotte estorsive, accettate nel tempo dalla vittima, la quale, inizialmente, ha reso dichiarazioni solo parziali e, successivamente, anche alla luce delle ulteriori acquisizioni, più ampia narrazione della pressione subita.
La vicenda, pertanto, costituisce una chiara estrinsecazione del modo in cui la comunità di San Martino fosse assoggettata al potere mafioso delle ‘ndrine ivi operanti.

I componenti della storica famiglia di ‘ndrangheta degli ZAPPIA, un tempo diretta dal defunto capobastone ZAPPIA Giuseppe cl. 1912, ucciso in un agguato nel 1993 e definito “ilpresidente” per aver presieduto il cd. “Summit di Montalto” del 26.10.1969 (interrotto dal tempestivo intervento delle Forze dell’Ordine), hanno dato vita ad una condotta vessatoria nei confronti di un imprenditore agricolo, costringendolo a concedere loro la guardiania dei terreni ed a versare complessivamente la somma di 2.500,00 euro annui da corrispondere in due soluzioni, quale condizione per porre fine agli episodi di danneggiamento e di furto nelle proprietà della stessa vittima che erano stati regolarmente denunciati alle Autorità.

In particolare, ZAPPIA Vincenzo Giuseppe determinava il quantum dell’estorsione, mentre le sorelle Maria, Teresa e Giuseppe unitamente al cugino Giuseppe cl. 1969, provvedevano alla riscossione della tangente dal 2004 fino al 2009.  

Le attività investigative permettevano altresì di accertare che, successivamente,  a partire dal febbraio 2010, in virtù di una nuova ripartizione delle zone di San Martino tra le famiglie mafiose degli ZAPPIA e dei CIANCI, la vittima subiva le angherie del CIANCI Domenico, il quale era appena rientrato in Calabria dopo aver trascorso un periodo di Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza a Fonte Nuova (RM).      

Il CIANCI, avvalendosi di un metodo tipicamente mafioso, si presentava quale autorevole esponente della omonima famiglia di ‘ndrangheta, annunciando di volersi riappropriare della gestione delle attività estorsive tramite la guardiania dei terreni ed intimando, quindi, di consegnare la somma iniziale di 60 euro al mese, di seguito aumentata a 100 euro mensili.

L’esistenza e l’operatività a San Martino delle cosche ZAPPIA e CIANCI è stata affermata con sentenze passate in giudicato, pronunciate a seguito di gravi eventi criminosi che, negli anni ’70 e poi ’90, interessarono la zona di Taurianova, fra cui la cd. “Strage di Razzà” del 01.04.1977 (in cui persero la vita, tra l’altro, due militari dell’Arma dei Carabinieri della Compagnia di Taurianova) ad opera dei fratelli Damiano e Domenico CIANCI, unitamente ad esponenti del clan AVIGNONE.

Da ultimo, nel 2011, l’Operazione “Tutto in famiglia”, condotta dai Carabinieri di Gioia Tauro, aveva consentito di individuare una nuova ‘ndrina, quella dei MAIO e HANOMAN, che costituisce con la famiglia CIANCI un unico gruppo criminale. 

La presente attività d’indagine ha dimostrato che le predette cosche tuttora fanno parte dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta ed impongono le loro volontà attraverso la “tradizionale” e mai abbandonata guardiania ai terreni, un metodo di oppressione e taglieggiamento attraverso cui la cosca trae indispensabili fonti di sostentamento economico,secondo una risalente ma efficace logica estorsiva di controllo del territorio che richiama alla memoria i vecchi “campieri” della mafia i quali imperversavano per le campagne, incutendo timore nei proprietari terrieri e contadini.  

Due degli arrestati (ZAPPIA Vincenzo Giuseppe cl. ’65 e ZAPPIA Giuseppe cl. ‘69) sono stati localizzati e catturati in provincia di Brescia, mentre gli altri tra San Martino e Taurianova.

Al termine delle formalità di rito, gli arrestati sono stati condotti nelle case circondariali a disposizione dell’Autorità Giudiziaria procedente.
 




ROMA – CASTELLI ROMANI, 'NDRANGHETA E TRAFFICO INTERNAZIONALE DI STUPEFACENTI: 20 ARRESTI TRA LAZIO, CALABRIA E PUGLIA

Redazione

Roma / Castelli Romani – I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Roma, dalle prime luci dell’alba, in provincia di Roma, Reggio Calabria e Bari, coadiuvati dai militari dei comandi Arma territorialmente competenti, stanno dando esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP presso il Tribunale di Roma, su richiesta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, a carico di 20 persone ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere, transnazionale, finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti e associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati contro il patrimonio.

La misura cautelare è stata emessa a conclusione dell’indagine convenzionalmente denominata “Bate”, sviluppata dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma su un gruppo criminale romano che importava, occultandoli all’interno di container di merce provenienti dal Nicaragua e che giungevano in diversi porti italiani, carichi di cocaina destinati a gruppi criminali operanti in Puglia e in Calabria.

Decine di arresti e perquisizioni nel Lazio, in Puglia, nonché a Platì, nella locride, nei confronti di soggetti vicini a cosche della ‘ndrangheta.

Nell’ambito della stessa operazione sono stati arrestati un gruppo di cittadini romeni che operavano per conto dell’organizzazione criminale ed erano anche dediti a furti di rame, di materiale edile e in abitazioni, nella zona dei Castelli romani. 




REGGIO CALABRIA: SEQUESTRO DI BENI ALLA 'NDRANGHETA

Redazione

Reggio Calabria -Senza soluzione di continuità è l'aggressione ai patrimoni illecitamente acquisiti da parte di soggetti appartenenti alla 'ndrangheta. Sul versante tirrenico della provincia reggina la Polizia di Stato ha eseguito il decreto di sequestro, emesso dal Tribunale di Reggio Calabria, Sezione Misure di Prevenzione, di una lussuosa villa con piscina dalla superficie di oltre 5.000 mq, sita in Gioia Tauro (RC), nella disponibilità di Magnoli Girolamo, nato a Cannes (Francia) il 7/09/1979 residente a Gioia Tauro, arrestato il 01.10.13 dalla locale Squadra Mobile a conclusione di una articolata e complessa attività investigativa, coordinata dalla locale Procura Distrettuale Antimafia (operazione "GRIFFE"), che ha condotto all'esecuzione di n.23 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti esponenti di un'organizzazione criminale transnazionale, dedita al traffico di sostanze stupefacenti, che aveva base operativa nella piana di Gioia Tauro. In particolare MAGNOLI Girolamo, ritenuto al vertice di detta organizzazione criminale, oltre a promuovere, dirigere ed organizzare, l'associazione e le attività collegate, procurava in Francia lo stupefacente per poi smerciarlo in diverse regioni italiane quali Sicilia, Lazio, Puglia e Liguria. Il sequestro della citata villa è stato disposto, avvalorando le risultanze investigative patrimoniali che hanno dimostrato la provenienza illegittima del denaro utilizzato dal MAGNOLI per i lavori di costruzione della villa, della piscina, delle serre e di tutte le altre pertinenze dell'immobile.

Il Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Misure di Prevenzione, a seguito della proposta del Questore della Provincia di Reggio Calabria, ha, inoltre, disposto la confisca di alcuni beni immobili riconducibili a SCHIMIZZI Paolo, nato a Reggio Calabria il 15.03.76, esponente della cosca " Tegano" operante in questo centro. Il provvedimento ablatorio rappresenta la naturale evoluzione dell'indagine, condotta dalla locale Squadra Mobile e diretta dalla Procura della Repubblica – D.D.A. di Reggio Calabria. In particolare allo Schimizzi veniva contestato di aver collocato e fatto esplodere un ordigno esplosivo all'interno di un noto bar pasticceria, sito nella centralissima via S.Caterina di questo centro.

Le indagini della Squadra Mobile hanno dimostrato che la matrice dell'attentato era da ricondursi al rifiuto opposto dal titolare dell'esercizio commerciale di affidare i lavori di ristrutturazione del bar ad una ditta riconducibile allo Schimizzi. Questo rifiuto, opposto al prevenuto, e quindi alla cosca "Tegano", che esercita un ruolo egemone sul rione Santa Caterina, è stato fatale per le sorti dell'esercizio che, pochi giorni dopo l'inaugurazione, è stato distrutto da un attentato ispirato da una becera logica di supremazia e ritorsione mafiosa.

Il provvedimento di confisca ha interessato un appartamento e due magazzini, tutti siti in Reggio Calabria. Con lo stesso provvedimento è stata, altresì, applicata allo SCHIMIZZI la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. Il valore complessivo dei beni immobili sequestrati con gli odierni provvedimenti ammonta a due milioni di euro.




REGGIO CALABRIA, 'NDRANGHETA: SEQUESTRATI 5 MILIONI DI EURO IN BENI AL CLAN LO GIUDICE

Redazione

Reggio Calabria – La cosca della 'Ndrangheta dei Lo Giudice è stata "spogliata" dei suoi beni per un valore di 5 milioni di euro.

La confisca è stata eseguita dagli uomini della Squadra mobile di Reggio Calabria a conclusione di un'indagine, coordinata dalla locale Procura distrettuale antimafia.

I beni confiscati riguardano immobili, società e ditte individuali, tutte con sede a Reggio Calabria, che i Lo Giudice avevano attribuito a prestanome al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali.

Proprietari effettivi dei beni erano Domenico e Giovanni Lo Giudice, fratelli del capo della cosca Antonino, ex collaboratore di giustizia, arrestato il 15 novembre scorso dalla Squadra mobile di Reggio Calabria dopo cinque mesi di latitanza.




OMICIDI NDRANGHETA: 20 ARRESTI PER L'OPERAZIONE ERINNI

Redazione

Roma – Il 26 novembre 2013, nelle province di Reggio Calabria, Catanzaro, Roma, Latina, Macerata ed Agrigento, i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, in collaborazione con quelli di Roma e Catanzaro, hanno dato esecuzione ad un provvedimento di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, nei confronti di 20 persone alle quali, a vario titolo, sono contestati i reati di:
–          associazione di tipo mafioso (artt. 416 bis, commi 1°, 2°, 3°, 4°, 5°, 6° e art. 61 nr. 6 c.p. e art. 71 d.lvo nr. 159/11);
–          concorso in omicidio, aggravato dall’aver favorito un sodalizio di tipo mafioso (artt. 110, 112, 575, 577 nr. 3 e 4 e 61 nr. 4 e 6 c.p. e art. 7 d.l. 152/91 conv. in legge 203/1991);
–          concorso in detenzione e porto in luogo pubblico di diverse armi da fuoco anche da guerra e clandestine, aggravati dall’aver favorito un sodalizio di tipo mafioso (artt. 110, 112, 61 nr. 2 e 81 cpv c.p., artt. 1, 2, 4 e 7 della legge 895/1967, art. 23 comma 3° della legge 110 del 18 aprile 1975 e art. 7 d.l. 152/91 conv. in legge 203/1991);
–          concorso in sequestro di persona, aggravato dall’aver favorito un sodalizio di tipo mafioso (artt. 110, 112, 605 e 61 nr. 2 e 6 c.p. e art. 7 d.l. 152/91 conv. in legge 203/1991);
–          concorso in intestazione fittizia di beni, aggravata dall’aver favorito un sodalizio di tipo mafioso (art. 110 c.p., art. 12 quinquies D.L. nr. 306/92, convertito in legge 7 agosto 1992 nr. 356 e art. 7 d.l. 152/91 conv. in L. nr. 203/91);
–          concorso in detenzione, vendita e cessione di sostanze stupefacenti del tipo marijuana e cocaina, aggravati dall’aver favorito un sodalizio di tipo mafioso (artt. 110 e 81 cpv c.p., artt. 73 e 73 comma 1 bis D.P.R. 309 del 1990 e art. 7 d.l. 152/91 conv. in legge 203/1991);
–          concorso in ricettazione, aggravata dall’aver favorito un sodalizio di tipo mafioso (art. 110 e 648 c.p. e art. 7 d.l. 152/91 conv. in legge 203/1991).

Premessa
L’odierna operazione è il risultato di un’articolata attività d’indagine condotta dal Comando Provinciale di Reggio Calabria, svolta sotto le direttive ed il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, in cui sono confluite le risultanze investigative dei seguenti procedimenti relativi:
–          all’omicidio di BONARRIGO Domenico (perpetrato in data 3 marzo 2012);
–          all’omicidio di FERRARO Vincenzo (perpetrato in data 13 marzo 2012);
–          alla scomparsa di RACCOSTA Francesco e PUTRINO Carmine (scomparsi il 13 marzo 2012 ed uccisi nel tardo pomeriggio dello stesso giorno);
–          all’omicidio di RACCOSTA Vincenzo (perpetrato in data 10 maggio 2012);
–          al favoreggiamento della latitanza di POLIMENI Domenico (tratto in arresto dai Carabinieri di Reggio Calabria in data 14.07.2012 a Fiumefreddo Bruzio [CS]).

Le indagini, avviate nel mese di dicembre 2011 nell’ambito delle ricerche dell’allora latitante POLIMENI Domenico, si sono sviluppate a seguito degli eventi omicidiari susseguitisi nel territorio di Oppido Mamertina nel 2012.
L’analisi dei singoli omicidi e della realtà criminale di quel centro ha evidenziato elementi – ritenuti gravemente indiziari – dell’esistenza in Oppido Mamertina di una “locale” di ‘ndrangheta, di cui fanno parte le cosche dei Mazzagatti-Polimeni-Bonarrigo e Ferraro-Raccosta; il medesimo grave quadro indiziario è stato ritenuto in ordine all’individuazione del capo indiscusso della locale in Rocco MAZZAGATTI, deputato a conferire cariche e a decretare nuovi ingressi nella ‘ndrangheta, e del mastro di giornata in Nino DE PASQUALE. Gli elementi acquisiti hanno permesso di disvelare l’articolata struttura, la sua gerarchia interna, gli affiliati.
Le indagini hanno anche evidenziato  che la “locale” operava sul territorio – con propaggini oltre i confini provinciali e regionali – per imporre la propria egemonia con “metodo mafioso”.
In particolare, le investigazioni hanno avuto ad oggetto le attività criminali poste in essere nel territorio di Oppido Mamertina e località limitrofe, nel catanzarese e nel Lazio dalla “locale” di Oppido Mamertina ed hanno consentito di acquisire il quadro ritenuto gravemente indiziario in ordine:
–          agli esecutori materiali ed i mandanti degli omicidi sopra richiamati;
–          agli aspetti strutturali (statici) ed a quelli dinamici della “locale” di Oppido Mamertina, disvelandone l’articolata struttura, la gerarchia interna e gli affiliati;
–          agli stabili rapporti criminali intrattenuti con altre “locali” di ‘ndrangheta, quali quella di Sinopoli, San Luca e Platì, nonché con le cosche del vibonese, del crotonese e del catanzarese;
–          numerosi reati-fine commessi nell'ambito della “locale” di Oppido Mamertina: alcuni di carattere violento (omicidi ed armi) e con finalizzazione estorsiva in danno di persone e patrimoni, costituenti espressione diretta del controllo del territorio; altri di natura più prettamente economica, sia in materia di stupefacenti che finalizzati alla dissimulazione della reale pertinenza dei beni, costituenti prodotto diretto ed indiretto delle attività illecite poste in essere, evidentemente al fine di eludere l’applicazione della normativa in materia di prevenzione patrimoniale.
Gli investimenti della “locale”
Accanto ad un nitido ed incontrastato dominio nel territorio di Oppido Mamertina, attuato secondo i tipici metodi della ‘ndrangheta, è emerso il quadro di una “locale” molto proiettata agli investimenti e con tendenza a progetti economici fuori provincia, resi possibili grazie anche all’azione del “capo della locale”, Rocco MAZZAGATTI che – trasferendo la propria residenza nella provincia di Catanzaro – aveva dislocato uomini e mezzi anche su quel territorio.
Grazie al supporto del sodale SCARFONE Domenico, referente per gli investimenti dell’organizzazione criminale su Roma, dove poteva contare su amicizie con avvocati e soggetti gravitanti nell’orbita delle aste giudiziarie e delle procedure fallimentari, le mire espansionistiche nel settore economico-finanziario della cosca Mazzagatti confluivano nel Lazio, con la finalità di trarre vantaggio dagli incanti pubblici, con l’aggiudicazione di beni che venivano intestati fittiziamente a terzi.

Le convergenze con altre indagini sul fenomeno unitario della ‘ndrangheta
Dall’indagine sono poi emerse conferme a pregresse acquisizioni giudiziarie (c.d. operazione “Crimine”, “Reale” ed “Infinito”) relative al fenomeno ‘ndranghetistico in generale e alla sua organizzazione a livello territoriale, dal momento che ancora una volta è stata posta in luce l’esistenza di “locali” che, pur agendo con una certa autonomia all’interno del territorio sul quale operano, devono in ultima analisi rispondere alla Provincia, organo di vertice dell'organizzazione unitaria denominata 'ndrangheta.
Del pari la struttura della “locale” di Oppido Mamertina rispecchia la medesima composizione di tutte le strutture similari, insistenti in ogni località ove esiste il fenomeno ‘ndrangheta.
Il materiale probatorio acquisito nel corso dell’attività di indagine si combina in modo assolutamente armonico, sia con quanto accertato nell’ambito dell’operazione Crimine, sia con quanto emerso nell’ambito dell’operazione Infinito e, anzi, fornisce ulteriori ed interessanti elementi per ricostruire esaustivamente il retroscena e la causale di uno dei più gravi delitti di ‘ndrangheta commessi in Lombardia negli ultimi anni: l’omicidio di NOVELLA Carmelo, perpetrato in San Vittorio Olona (MI) il 14 luglio 2008.
In proposito, si può affermare che le emergenze del processo Infinito, nella parte relativa alla “locale” di Bresso, si rivelano particolarmente interessanti in quanto coinvolgono, sia pur tangenzialmente, il principale indagato del presente procedimento, MAZZAGATTI Rocco, confermando che si tratta di un personaggio di vertice della locale di Oppido e, più in generale, di un personaggio di altissima levatura della ‘ndrangheta a livello nazionale.

Gli omicidi
Nel corso dell’anno 2012 (precisamente tra marzo e maggio 2012) in Oppido Mamertina venivano perpetrati cinque omicidi (quelli di Bonarrigo Domenico, Ferraro Vincenzo, Raccosta Vincenzo, Raccosta Francesco e Putrino Carmine), che coinvolgevano entrambe le fazioni storicamente operanti in quel centro (FERRARO-RACCOSTA e POLIMENI-MAZZAGATTI-BONARRIGO).
Non si trattava però di una vera e propria faida, ma di una fibrillazione registrata all’interno della locale di Oppido Mamertina da parte di una cosca, quella Ferraro-Raccosta, immediatamente sopita da parte del gruppo ‘ndranghetista egemone, quello facente capo ai Mazzagatti, intenzionato a non abdicare il proprio maggiore potere mafioso conquistato negli anni della guerra.
La complessiva attività investigativa condotta sugli omicidi dell’anno 2012, registratisi ad Oppido Mamertina, in sintesi, ha consentito di ricostruire gli scenari e acquisire elementi ritenuti gravemente indiziari circa:
–          la responsabilità dell’omicidio di BONARRIGO Domenico, elemento di vertice della ‘ndrangheta oppidese, in capo a RACCOSTA Francesco, FERRARO Vincenzo e RACCOSTA Vincenzo;
–          l’eliminazione, nei mesi successivi, dei tre responsabili del predetto omicidio, unitamente a PUTRINO Carmine (cognato di RACCOSTA Francesco e genero di RACCOSTA Vincenzo);
–          la decisione di eliminare RACCOSTA Francesco, FERRARO Vincenzo, RACCOSTA Vincenzo e PUTRINO Carmine, adottata dagli elementi di vertice della cosca MAZZAGATTI-BONARRIGO-POLIMENI;
–          la riconducibilità a PEPE Simone, "figlioccio" di BONARRIGO Domenico, dell’esecuzione di tutti gli omicidi degli appartenenti alla cosca Ferraro-Raccosta.

FERRARO Vincenzo veniva eliminato nella mattinata del 13 marzo 2012, in località Rocca, a soli 11 giorni dalla morte di BONARRIGO Vincenzo, perché ritenuto il “mandante” del suo omicidio. Dall’attività investigativa effettuata, è emerso che l’autore materiale dell’omicidio di FERRARO Vincenzo sarebbe stato PEPE Simone, coadiuvato da altro soggetto allo stato non identificato.

In relazione alla scomparsa di RACCOSTA Francesco e PUTRINO Carmine, dalla complessiva attività di indagine effettuata, é emerso che si sarebbe trattato di un di duplice omicidio e non di scomparsa da allontanamento volontario e che gli autori di quel crimine -che si connoterà per la spietatezza e massima efferatezza, atteso che RACCOSTA Francesco sarebbe andato in pasto ai maiali quando era ancora vivo- sarebbero intranei alla cosca Mazzagatti-Bonarrigo-Polimeni.

L’omicidio di RACCOSTA Francesco e PUTRINO Carmine sarebbe stato perpetrato, in concorso morale e materiale tra loro, da PEPE Simone, MAZZAGATTI Rocco, SCARFONE Domenico, RUSTICO Pasquale ed altri  allo stato non identificati, con l’“autorizzazione” e l’ausilio fattivo, e pertanto con il concorso morale e materiale del capo della cosca Ferraro-Raccosta, FERRARO Giuseppe che “consegnò” i suoi uomini, fornendo preziose indicazioni per farli trovare dagli avversari, quale “condizione” per la cessazione delle ostilità con la ‘ndrina dei Mazzagatti-Polimeni-Bonarrigo, scaturite dall’uccisione di BONARRIGO Domenico.

L’ultimo omicidio, quello di RACCOSTA Vincenzo, sarebbe stato perpetrato da PEPE Simone, supportato dal cugino PEPE Valerio


Pericolo di fuga
La scelta della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria di disporre il fermo degli indagati è stata dettata dall’acquisizione, durante l’attività d’indagine, di elementi specifici, concreti ed attuali in ordine alla sussistenza del pericolo di fuga, essendo state captate diverse conversazioni dalle quali è emerso che gli indagati:
–      avevano consapevolezza dell’esistenza di un’attività di indagine a loro carico;
–      avevano la possibilità di procurarsi continue informazioni sullo stato dell’indagine e sull’eventuale emissione di provvedimenti restrittivi;
–      stavano valutando se darsi o meno alla fuga.

Sequestri
Contestualmente all’esecuzione del provvedimento di fermo, i Carabinieri di Reggio Calabria, in collaborazione con quelli di Roma e Catanzaro, hanno dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo in via d’urgenza emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, di 14 imprese (quote sociali, annesso patrimonio aziendale e conti correnti), 88 immobili, 12 beni mobili e 144 Rapporti Bancari e Prodotti Finanziari, per un valore complessivo di circa 70 milioni di Euro.

Dati operativi
Nel corso dell’operazione sono stati impiegati oltre 300 Carabinieri dei Comandi Provinciali di Reggio Calabria, Roma e Catanzaro, supportati dai militari dello Squadrone Eliportato Cacciatori e dell’8° Nucleo Elicotteri.