Morto Giorgio Napolitano: domani la camera ardente in Senato

È morto Giorgio Napolitano, aveva 98 anni. È stato il primo presidente della Repubblica eletto due volte, nel 2006 e nel 2013.

L’unico ex comunista diventato capo dello Stato. L’ultimo protagonista del Pci di Togliatti, esponete ‘migliorista’ e ‘ministro degli esteri’ del partito, guidò nel 1978 la prima missione del Pci negli Stati Uniti.

‘È stato sempre fedele interprete della Costituzione’, l’omaggio del presidente della
Repubblica Mattarella. La premier Meloni ha espresso il cordoglio del governo.

Il Papa ne ha sottolineato la continua ricerca del ‘bene comune’. Palazzo Chigi ha disposto i funerali di Stato La camera ardente sarà allestita in Senato forse già domani.




Renziade: la lunga ombra di Napolitano

 
di Roberto Ragone
 
Come previsto, l’ipotesi più probabile, conoscendo i nostri polli, rimane quella del quarto governo non eletto, che ci porti alla fine della legislatura. Un governo che permetta a circa 600 parlamentari di completare il periodo di 4 anni, 6 mesi e un giorno di esercizio, per poter ‘godere’ del vitalizio a cui ormai si fanno risalire tutte le vocazioni politiche, quasi che fare un periodo al governo fosse un’opera di beneficenza.
 
Di contro, la prima alla Scala, con grande dispiegamento di forze di polizia per proteggere i VIP, completamente avulsi dalla realtà e incapaci di comprendere le ragioni dei pochi che si sono radunati davanti al teatro per manifestare il loro disagio. Tutti gli intervistati nel foyer hanno parlato soltanto di una ‘grande emozione’ di fronte ad una versione della Butterfly mai rappresentata prima. Un contrasto stridente fra le ‘mise’ delle signore arrivate con grande codazzo di auto di lusso, e i cartelli di chi legittimamente manifestava perché non riesce a tirare la fine del mese, e magari neanche a trovare un lavoro vero, nonostante Renzi & Co. continuino, nel riassunto dei ‘meravigliosi mille giorni’, a decantare le bellezze delle centinaia di migliaia di posti di lavoro in più, circa 550 al giorno.
 
Peccato che nessuno se ne sia accorto, e che i salari siano sempre più bassi, e che le ore lavorate e pagate con i vaucher abbiano raggiunto la quota di 1 milione 700mila. Peccato anche che il 75% degli Italiani non riesca più a mettere da parte un soldo, e che i poveri siano più che raddoppiati in due anni e mezzo. Abbiamo anche imparato che si è poveri quando:
1) non si può cambiare la lavatrice;
2) non si può cambiare l’auto;
3) si lasciano indietro bollette da pagare;
4) non si può far fronte a spese impreviste;
5) non si può permettersi una breve vacanza, di una settimana.
 
Cioè praticamente la condizione generale di quasi tutti gli Italiani, tranne quei pochi ricchi che continuano a rastrellare denaro. Quindi ricchi sempre più ricchi, e poveri sempre più numerosi e sempre più poveri. Fra la Casta finanziaria e la vita reale la forbice s’allarga sempre di più, come accade anche con la Casta politica. Un’esercito di gente che ha in mano le leve del potere e dell’economia, a cui non importa nulla della condizione dei cittadini, soprattutto perché non la capiscono. E non la capiscono perché non si preoccupano minimamente di capirla. Pancia piena non pensa a quella vuota. Intanto, Napolitano parteciperà alle consultazioni per la soluzione del vuoto di potere, dopo la farsa della fiducia posta al governo dimissionario per l’approvazione della legge di bilancio. Abbiamo un Renzi abbondantemente squalificato sia come capo del governo che come segretario del partito, e ancora la sua presenza è condizionante per le decisioni da prendere, anche se non parteciperà alle consultazioni. A cui, invece, parteciperà il presidente emerito Giorgio Napolitano: in che veste, se c’è già Mattarella? Per controllare che l’incarico sia dato ad una persona di sua ‘fiducia’, per continuare la politica intrapresa?
 
Niente soluzione di continuità, quindi, si parla addirittura di un Renzi bis, anche se don Matteo fa il ritroso, giusto per far credere che poi avremo bisogno di lui, che proprio, se fosse per lui mollerebbe tutto, ci mancherebbe, dopo le dimissioni ‘irrevocabili’, accolte impropriamente da Mattarella ‘con riserva’. Mille giorni in cui l’Italia è andata sempre peggio. Renzi, se ci lascia – e tutti ce lo auguriamo, almeno il 60% degli aventi diritto al voto – ci lascia una nazione in pezzi, con gli stipendi ai minimi termini, i poveri che aumentano ogni giorno, la disoccupazione galoppante, i pensionati che fuggono all’estero, i migranti che arrivano in numero sempre maggiore, i guasti nella gestione delle case popolari che creano guerre fra poveri, e famiglie che vanno a vivere nelle cantine dei palazzi, ove trovino posto. Uno sfacelo che don Matteo definisce ‘mille giorni meravigliosi’. Cosa ci trovi di meraviglioso, lo sa solo lui. Lui che non solo non è guarito dalla sua solita arroganza, ma, dopo il lacrimevole discorso pronunciato con la moglie a tre metri di distanza, sullo sfondo, – discorso che pare non sia neanche farina del suo sacco – ha ripreso il suo solito atteggiamento. Certa gente non impara mai. Mentre fuori dal teatro alla Scala i poveri, quelli veri, si accalcano, cercando di manifestare della loro condizione a persone che, ingioiellate e vestite in alcuni casi, con un chimono come la protagonista –  “L’avevo nell’armadio, e ho pensato bene di metterlo”: perché mai una donna debba avere un chimono giapponese nel suo armadio, nessuno lo sa – sono arrivate con auto di lusso in fila indiana, ben protette e attente a non contaminarsi con gli straccioni che chiedevano solo un po’ di giustizia sociale.
 
Si racconta che Maria Antonietta, di fronte al popolo che protestava fuori del palazzo reale, abbia chiesto alla sua servitù per quale motivo lo facesse. “Maestà” fu la risposta “Non hanno pane.” “E allora che mangino brioches” pare che sia stata la risposta. Ora, al di là della leggenda, sappiamo come è andata a finire, con la ghigliottina in piazza. Non siamo a quei tempi, ma la disuguaglianza sociale è arrivata a livelli insopportabili, specialmente se teniamo conto del fatto che il compito dei governi dovrebbe essere quello di creare le condizioni di vita giuste per i cittadini. Dopo la consultazione referendaria sarebbe stato giusto che chi ha fallito in maniera così clamorosa fosse andato veramente a casa. L’esito del referendum ha detto chiaramente che gli Italiani non sono soddisfatti di questa gente e delle loro politiche, tutte tese al vantaggio dei poteri forti, che ormai sappiamo bene chi sono e a chi fanno capo in Italia. Così stando le cose, è molto facile che, sotto la spinta di un Napolitano tanto emerito quanto redivivo, ci venga imposto un quarto governo non eletto. Chiamatelo come volete: tecnico, provvisorio, istituzionale: non c’è niente di più definitivo di una cosa provvisoria. Anche perché è chiaro come il sole che, a dispetto delle ‘gride’ della destra, Salvini in testa, la mira di chi è ancora al potere nonostante tutto, è di arrivare al 2018, cioè a fine legislatura. L’unica strettoia per chi dovrà decidere il prosieguo di questo disgraziato governo sarà l’attenzione ad adottare misure che taglino fuori i Cinquestelle. È probabile, e speriamo di sbagliare, che sarà adottata la soluzione del Renzi-bis, il che consentirebbe di non sconvolgere i piani Bilderberg/Unione Europea. Questo spiegherebbe il perché del mancato sconvolgimento dei mercati finanziari. Con buona pace di chi legittimamente chiede di andare finalmente a votare, dopo il parere della Consulta, il 24 gennaio o giù di lì: infatti non è necessario un nuovo governo per cambiare la legge elettorale, basta, appunto, la modifica della Corte Costituzionale.



NAPOLITANO HA LASCIATO IL QUIRINALE

Redazione

Roma – Giorgio Napolitano ha lasciato il Quirinale ed e' tornato nel suo quartiere, il rione Monti. Accompagnato dalla moglie Clio, e' sceso dai suoi uffici, si e' recato nel Cortile d'onore del Quirinale e, preceduto da due stazzieri vestiti di rosso, ha ricevuto gli onori dei diversi Corpi delle forze armate. La banda dei carabinieri ha eseguito l'inno d'Italia.

Ricevuti gli onori militari, ha avuto in consegna lo stendardo presidenziale che portera' con se'. Contemporaneamente, nel Cortile d'onore e' stata ammainata la bandiera del presidente.
Ha salutato alcuni funzionari del Quirinale che sono scesi per stringergli la mano prima che lui abbandonasse il Palazzo.

La presidente della Camera Laura Boldrini ha letto in aula il testo della lettera di dimissioni ricevuta da Giorgio Napolitano. Lunghissimo applauso dell'assemblea.




NAPOLITANO E HOLLANDE: INSIEME CONTRO IL TERRORISMO

Redazione

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha telefonato ieri sera al telefono il Presidente della Repubblica Francese Francois Hollande, al quale ha personalmente manifestato la sua solidarieta' a seguito dei gravissimi atti terroristici perpetrati negli ultimi giorni in Francia. Il Capo dello Stato ha inoltre manifestato partecipe vicinanza per tutte le ardue prove che il Presidente Hollande ha dovuto recentemente affrontare, in una difficile situazione economica e politica. I due Capi di Stato hanno convenuto sull'assoluta necessita' di condurre a un livello ancor piu' elevato l'integrazione e la cooperazione al livello europeo nella lotta senza quartiere al terrorismo.
  Il Presidente Hollande ha da parte sua sottolineato le positive reazioni di una parte preponderante della societa' francese a fronte dei gravissimi attacchi degli ultimi giorni, evidenziando la stringente necessita' di non cadere nell'insidioso tranello, sotteso nella retorica degli stessi movimenti integralisti e costituito dalla semplicistica e del tutto erronea identificazione tra lotta al terrorismo e scontro tra civilta'.




ANTONIO DI PIETRO SPARA SU TUTTI: DA NAPOLITANO A RENZI NON RISPARMIA NESSUNO

di Matteo La Stella

All'interno della rubrica “cittadini in divisa” in onda su Radio Radicale, curata dal 2010 da Luca Marco Comellini, interviene in qualità di ospite l'ex pm, ministro e fondatore dell'Italia Dei Valori Antonio Di Pietro. Il tema centrale dell'intervista è il discorso di fine anno del capo dello stato Giorgio Napolitano. Di Pietro ha troppi sassi nello zaino ed è pronto a liberarsene a modo suo. Il patriarca IDV, coltello tra i denti e morso serrato, rompe la campana di vetro che protegge gli esponenti di spicco della politica nostrana e coglie l'occasione per sferrare duri colpi. L'ex pm “Apre il fuoco” sul Presidente della Repubblica, elevato dalla stampa a Re Giorgio, sostenendo che questa carica gli sia stata conferita per evidenziare come, al tramonto del suo lungo mandato, non abbia svolto il suo ruolo correttamente.
Lo paragona ad un arbitro che invece di fischiare il fallo lascia giocare, quasi passivo all'ambiente politico circostante. Del discorso di Capodanno dice di non aver incamerato nulla:  – "Un discorso preconfezionato, studiato e strutturato per raccontare ai cittadini una favola”- , favola che sembra non esserci. Il presidente Napolitano parla della diffusione di -”senso della legge e senso della costituzione”-, nell'intervista viene fuori però il suo primato di provvedimenti emanati e poi giudicati incostituzionali.
Oltre alla difficoltà nel seguire il discorso di Capodanno, ormai ricco di termini aulici adatti ad un pubblico di letterati e non per trasmettere concetti ad una nazione, non si ravvisa dove è finito quel “tatto” con cui i presidenti del passato entravano nelle case degli italiani in punta di piedi, sempre fieri e consapevoli della loro carica, capaci di spiegare e al contempo rassicurare la nazione sui problemi del momento. Si pensi a Pertini che, nel 1978, dopo la scomparsa di Aldo Moro, in un'Italia violentata dal terrorismo, non perse di vista l'obiettivo e confidò nella nazione che poteva superare il momento di grave difficoltà, come ha già fatto in precedenza al termine della seconda guerra mondiale. Nel suo discorso alla nazione, Napolitano richiede gli ingredienti per-“Ricreare quel clima di consapevolezza e mobilitazione collettiva che animò la ricostruzione post bellica”- .
Proprio volgendo lo sguardo al passato, nell'intervista si fa un passo indietro nel tempo. Fino al 1989 Napolitano era ministro degli esteri del PCI ed è una colonna portante della corrente migliorista all'interno del partito, corrente che intende “migliorare” le condizioni dei lavoratori senza però cambiare lo schema costitutivo del capitalismo. La strada che sognano i miglioristi è molto vicina a quella che percorrono i socialisti di Craxi e risultano per anni politicamente molto vicini. Le cose però cambiano e lo stesso Craxi nel 1993 accusa, di fronte all'allora pm Antonio Di Pietro, Giorgio Napolitano di aver taciuto i finanziamenti sovietici che avevano sostenuto per anni il PCI. Viene allora chiesto all'ex pm come mai quest'ultimo possa essere rimasto impunito. Colpa dell'amnistia globale, spiega lui , che cancella vari reati tra cui il finanziamento occulto ai partiti sanando di conseguenza la posizione dei vari esponenti del PCI tra cui proprio il Presidente. Di Pietro e mani pulite arrivano dopo . Napolitano è già parte integrante del PDS ( Partito Democratico della Sinistra) che raccoglie tutti i componenti della sua corrente. Chiusi i rubinetti sovietici, ai miglioristi non resta che costruire impresa con cooperative “rosse”che a loro volta finanziano il partito. Nel 1992, nell'inchiesta mani pulite a Milano, Di Pietro ferma molti miglioristi ed alcune coperative. Dice di essere costretto a circoscrivere la sua indagine su questo filone milanese, poiché -”Quando vedevano che li fermavamo tutti”- la procura romana creò il conflitto di interessi, determinante nel bloccare le competenze all'ombra del Colosseo dell'allora pm e, magari, agevolando la reiterazione dei meccanismi che potrebbero portare fino alla Mafia Capitale dei giorni nostri.
Continua l'intervista. Di Pietro “ricarica” e prende di mira il presidente del consiglio Matteo Renzi: ce ne è anche per lui. Oggetto nei giorni scorsi di pesanti polemiche per l'approvazione dell'articolo 19 bis ,di cui si dice all' oscuro, e per la deviazione di un Falcon 900 dell'aereonautica militare che in vista delle vacanze di fine anno, accoglie lui e famiglia per atterrare ad Aosta. “Renzi ci fa e non ci è” afferma l'ex ministro del governo Prodi, che lo accusa di vendere fumo agli italiani che prende costantemente per i fondelli.
Radio Radicale al termine dell'intervista prende le distanze dalle critiche al Capo dello Stato. Ma resta il fatto che ci piace così com'è vera come lo è stato Di Pietro, coscienti sempre dei limiti che hanno rispettivamente rispetto al tema trattato. La situazione Italiana odierna, a prescindere dalle dichiarazioni di Di Pietro resta complessa.




NAPOLITANO: MOLTO PRESTO LE DIMISSIONI

Redazione

Siamo molto vicini alle dimissioni del Capo dello Stato. E' Giorgio Napolitano in persona che entra nell'argomento: "La prossima fine di questo anno 2014 e l'imminente conclusione del mio mandato presidenziale inevitabilmente ci portano a svolgere alcune considerazioni sul periodo complesso e travagliato che stanno attraversando l'Italia, l'Europa ed il mondo", sono state le sue parole. E cosi' passa al secondo capitolo del bilancio dell'anno, quello dedicato alla politica internazionale. Due giorni fa, infatti, si era concentrato sui temi della politica interna di fronte alle alte magistrature della Repubblica.
  A dir la verita', neanche oggi manca un esplicito endorsement nei confronti del governo. Quella del governo e' "un'opera difficile e non priva di incognite", spiega. Per poi chiedesi immediatamente: "Ma vi potevano essere alternative per chi, come noi, crede nelle potenzialita' di questo Paese, nel ruolo che deve rivestire in Europa, negli ideali che vuole portare e nella missione di pace che vuole svolgere nel mondo?". Del resto e' in atto "un ampio e coraggioso sforzo" per "eliminare alcuni nodi e correggere mali antichi che hanno negli ultimi decenni frenato lo sviluppo del Paese e sbilanciato la struttura stessa della societa' italiana e del suo sistema politico e rappresentativo". E cosi' facendo lascia intendere che la vera considerazione da fare, in termini di politica internazionale, e' che l'Italia ha un governo che deve rassicurare i partner, europei e non solo. Da lontano, impegnato in un vertice dell'Unione Europea, il premier Matteo Renzi raccoglie la palla e guarda avanti. Il Parlamento eleggera' il successore di Giorgio Napolitano al Quirinale "nei tempi stabiliti", assicura. "L'Italia", aggiunge, "quando dovra' fare i conti con la sostituzione del presidente della Repubblica, non avra' alcun tipo di problema, perche' credo che il Parlamento abbia imparato la lezione dell'aprile del 2013".
  Si', perche' parlando di "imminenti" dimissioni Giorgio Napolitano ha ufficialmente dato il via ad una competizione tra le piu' affannose e difficoltose che esistano: la conquista del Colle




NAPOLITANO, STATO – MAFIA: IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GARANTISCE TRASPARENZA

Redazione

Tanto rumore per nulla? Auspichiamo che le domande siano state nodali. Quasi tre ore di udienza, spese in parte sulle procedure, in parte a ricostruire i fatti. Giorgio Napolitano, primo presidente della Repubblica nella storia italiana, testimonia di fronte ad una corte che si sta occupando di mafia e di una presunta trattativa tra questa e lo Stato.
  Storia nebulosa, ed infatti anche oggi i legali che hanno partecipato all'udienza, al Quirinale, precisano: la parola "trattativa" non e' stata nemmeno pronunciata, per non dire evocata. Sui contenuti della testimonianza, al momento, si hanno solo un comunicato del Quirinale, e quanto detto alla fine dagli avvocati presenti.
  Iniziamo dal primo. Si compone di due parti. Nella prima il Colle fa sapere che il Presidente "aveva dato la sua disponibilita' a testimoniare ed ha risposto alle domande senza opporre limiti di riservatezza connessi alle sue prerogative costituzionali ne' obiezioni riguardo alla stretta pertinenza ai capitoli di prova ammessi dalla Corte stessa". Insomma, massima disponibilita' e nessun atto di insofferenza. Nella seconda parte, invece, il Quirinale auspica la rapida pubblicazione del verbale "affinche' sia possibile dare tempestivamente notizia agli organi di informazione e all'opinione pubblica delle domande rivolte al teste e delle risposte rese dal Capo dello Stato con la massima trasparenza e serenita'". In altre parole: sbrigatevi perche' prima si sanno le cose con certezza meglio e' per tutti.  Intanto arriva la prevista ridda delle indiscrezioni. Tutte affermazioni attribuite a Napolitano, ma che in mancanza del suddetto verbale sarebbe meglio non virgolettare. In sintesi: Napolitano avrebbe detto che il suo consigliere D'Ambrosio sarebbe stato pronto a denunciare accordi illegali (quindi, non avendoli denunciati, non ci sono stati); che non ha mai fatto la conoscenza diretta dei carabinieri imputati nel processo; di non essere mai stato a conoscenza dell'esistenza di una lettera al suo predecessore Oscar Luigi Scalfaro da parte dei parenti di alcuni boss. Soprattutto e' mancata, pare, la madre di tutte le domande: quella se sapesse o meno dell'esistenza di accordi tra mafiosi ed esponenti delle istituzioni. La qual cosa, poi, e' il nocciolo della questione. Si chiedono le associazioni di consumatori se valesse la pena di spendere tanti soldi per spostare a Roma la Corte d'Assise di Palermo. Il Pd, con Zanda, sottolinea: Napolitano vero democratico e uomo di grande correttezza. "Una storia dove il termine normalita' non puo' essere usato", sottolinea il ministro della Giustizia Orlando. Auspicando, parrebbe di capire, che alla normalita' si torni presto.




RIINA E BAGARELLA NON SARANNO PRESENTI ALLA DEPOSIZIONE DI NAPOLITANO

Redazione

Roma – I boss Riina e Bagarella non ci sarano. La Corte d'assise di Palermo ha rigettato la richiesta dei capi dei capi Toto' Riina e Leoluca Bagarella di essere presenti in videoconferenza alla deposizione al Quirinale del Capo dello Stato Giorgio Napolitano. La Corte d'assise presieduta da Alfredo Montalto, sciogliendo la riserva, dunque non ha ammesso la partecipazione degli imputati all'udienza del 28 ottobre quando verra' sentito il Presidente della Repubblica. A formulare la richiesta erano stati i boss Salvatore Riina, Leoluca Bagarella, l'ex ministro Nicola Mancino. "L'esclusione non appare contrastare con le norme costituzionali ed europee", ha detto Montalto leggendo nell'aula bunker dell'Ucciardone di Palermo l'ordinanza.




ARMIAMOCI E PARTITE

Angelo Parca

La conoscete la storia di al lupo, al lupo? Con qualche ritocchino potrebbe chiamarsi al grillo, al grillo! Si quel grillo che conosciamo noi ne ha combinata un’altra. D'altronde non lo si può biasimare, lui è golpista, è tsunami, è un ex comico. Lui si diverte ad invitare tutti in piazza e poi a non presentarsi mettendo su una scusa. I suoi militanti c’erano però. Aspettavano il loro leader, davano informazioni: “non verrà in camper”.  Emozionati con le bandiere colorate, sicuri che da lì a pochi minuti sarebbe arrivato il loro leader. Invece il grillo ancora in viaggio ha cinguettato una posticipazione del golpe pentastellato a domenica. E ancora molti grillini rimangono fermamente convinti di protestare per una giusta causa, convinti che l’aver chiesto aiuto a Napolitano dopo le pietose scene susseguitesi fosse un vero e proprio golpe. Quando il presidente potrà essere eletto dal popolo e qualcosa non andrà per il verso giusto allora sì che si potrà urlare al golpe! Eppure i militanti, almeno fino alle dieci di sera, poco meno, come degli automi hanno continuato a ripetere Rodotà, Rodotà, Rodotà…. ma se non ha i numeri che la si smetta di rendersi ridicoli. Con tutto il rispetto per la persona di Rodotà che pur ha compreso una possibile distorta strumentalizzazione della propria figura, Napolitano è attualmente il presidente della Repubblica condiviso a larga maggioranza. Non c’è stato nessun inciucio, ne Prodi e neppure Marini. I Cinque Stelle sono rimasti chiusi su loro stessi in preda ad un io smisurato. Ma urlare al golpe piace anche quando si rimane da soli a farlo, con un pugno di critiche in mano, pronti a dire ancora una volta no, in nome di quella comprensibile umana fatica scaturita da una nera crisi. Una crisi che solo il Grillo
sa cavalcare.
 




LE PRESIDENZIALI E IL GRANDE ASSENTE

Emanuel Galea

La Presidente della Camera, Laura Boldrini, ha convocato il Parlamento in seduta comune, con la partecipazione dei delegati regionali, giovedì 18 aprile alle ore 10 per l'elezione del Presidente della Repubblica. Prima dell’elezione del presidente della Repubblica c’è da sciogliere il nodo degli onorevoli con doppi incarichi in quanto membri di una giunta regionale. Secondo il regolamento di Montecitorio, il problema dell’incandidabilità dovrebbe essere affrontato dalla giunta per le Elezioni, organo ancora non formato come le commissioni permanenti. La giunta per il regolamento ha però deciso la proroga della giunta provvisoria per le elezioni. Secondo Pino Pisicchio, la giunta avrà funzioni di mero accertamento, rispetto ai deputati incompatibili, che spontaneamente decideranno di dimettersi. La domanda sorge spontanea. Se qualcuno o forse anche più di uno, non dovesse decidere spontaneamente, e rimanendo nell’emiciclo di Montecitorio il giorno dell’avvio delle votazioni, forse rischierebbe di minare il plenum. Quanto saggia può essere la decisione della giunta del regolamento, mentre la Presidente Laura Boldrini già fissa data ed ora per l’inizio delle votazioni? Intanto Flavio Tosi, onor al merito, già si è dimesso da parlamentare. Nichi Vendola che fa? La solita pattuglia Radicale , questa volta pugliesi,  presentano ricorso contro chi ancora non ha scelto a quale delle due cariche rinunciare , o la carica di governatore / Consigliere regionale oppure quella di parlamentare. Roberto Cota dice di volerlo fare, vuol dire lasciare un incarico, ma non ha deciso ancora.  C’è chi ha contato 59 parlamentari con doppi incarichi e fra questi c’è chi arriva a tre e quattro. Il Caso più eclatante è quello di Domenico De Siano, attualmente deputato, consigliere regionale, consigliere provinciale di Napoli e consigliere comunale di Lacco Ameno, Comune sull’isola di Ischia di cui già è stato Sindaco. Nel Consiglio Pugliese siedono 4 del PD e 6 del Pdl che siedono contemporaneamente anche in Parlamento. I candidati già si sono messi in riga, da Prodi a Bonino, da Marini alla Finocchiaro,da Zagrebelsky a Strada e  via cantando. Il Parlamento è stato convocato. Quella che manca è proprio la “giunta per le elezioni” e non si può lasciare una cosa così importante, alla spontanea rinuncia del “doppista”  Sono stati impegnati i miglior cervelli, saggi/acceleratori/pompieri, chiamiamoli come vogliamo.  Come mai che nulla hanno avuto da raccomandare per questo caso specifico?La giunta per il regolamento, pare strano che, anziché regolamentarizzare, rinvia e proroga.  A te pare serio? A me no!
 




QUELL’ORDINARIA FOLLIA CHE PLACHERÀ GLI ANIMI

Chiara Rai

Ci aspettavamo le dimissioni? Non sono arrivate. Un nuovo governo? Non è arrivato. E’ arrivata una legislatura parlamentare col rinforzino di due gruppi di saggi e l’ombra del professor Monti che dovrebbe essere garanzia di continuità del Governo, dimissionario sì ma non sfiduciato dal Parlamento.

Un tentativo Pd – Pdl? Non è arrivato neppure questo. Napolitano si è pronunciato: farà il presidente della Repubblica fino all’ultimo giorno e cercherà di spianare la strada al nuovo uomo del Colle che raccoglierà i frutti da lui seminati con ponderatezza, senza improvvisazioni ne alzate di testa. Quello che succederà è che si insedieranno due gruppi di studio, mentre Monti continuerà a far marciare il suo Governo ponendo in essere, ce lo auguriamo tutti ma visti i precedenti la speranza è poca, i provvedimenti necessari a partire dallo sblocco dei debiti della Pubblica amministrazione.

Insomma un’ordinaria amministrazione, una ordinaria follia che ha lasciato tutti soddisfatti senza vincitori ne vinti, a parte i Cinque stelle che credono che Napolitano abbia seguito le loro direttive. Ci sarà una sorta di Governo del Parlamento che sarà responsabile di tutte le riforme che dovranno essere approvate o meno.

Nel gruppo che si occuperà della parte istituzionale figurano l'ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida, il capogruppo di Scelta civica al Senato Mario Mauro, il senatore del Pdl Gaetano Quagliariello, l'ex presidente della Camera Luciano Violante. Nel gruppo di saggi impegnato su temi economico-sociali ed europei ci sono il presidente dell'Istat Enrico Giovannini; il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato Giovanni Pitruzzella; Salvatore Rossi, componente del Direttorio di Bankitalia; i presidenti della commissione speciale di Camera e Senato, il leghista Giancarlo Giorgetti e l'esponente del Pd Filippo Bubbico e il ministro per gli Affari europei Enzo Moavero Milanesi.

Insomma, proprio questa anomalia placherà gli animi e porterà il famoso Titanic in porto, al sicuro dall’ansia Cipro che in queste ore pare avere preso il largo. Napolitano ha pensato a smussare l’iceberg, a calmare le borse, a non far ingrassare lo spread a regalare agli italiani una calma Pasqualina dove per il momento i politici ringraziano mentre affilano gli artigli pronti per rivendicare la loro fetta di torta. E’ volata una colomba in Quirinale, adesso la palla passa ai saggi che dovranno smussare parecchi angoli. Sono lì a posta. Intanto possiamo gustarci la lieta novella giunta dal ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble alla Bild: Cipro è un caso unico e non un modello per eventuali nuovi salvataggi. I conti dell'eurozona sono “al sicuro”. E per Monti altre sorprese?

La questione Marò brucerà ancora: il governo indiano è intenzionato a chiedere ulteriori indagini sulla vicenda all'Agenzia nazionale di investigazione (Nia), l'organismo creato dopo l'attentato terroristico del 2008 nella capitale Mumbai del 2008. Il 2 aprile c’è l’udienza in cui il presidente Altamas Kabir è chiamato a prendere atto del regolare ritorno di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone e rimuovere l'ordinanza di limitazione dei movimenti dell'ambasciatore Daniele Mancini. Che la buona sorte assista i saggi.