Germania, coppia uccisa e bruciata: la pista porta ad Arezzo

GERMANIA – “Ci vuole più coraggio per dimenticare che per ricordare” diceva il famoso filosofo e teologo Sören Kierkegaard. Un concetto molto profondo che non lascia spazio ad equivoci e si riflette perfettamente nella terribile storia che stiamo per raccontare, dove la memoria di chi dovrebbe piangere con dignità il proprio congiunto sembra essere stata cancellata improvvisamente e il coraggio di chi sa e non parla, invece, sembra essersi tramutato in un misterioso silenzio lungo trentaquattro anni.

 

I fatti sono avvenuti il primo maggio del 1983 in Germania, precisamente nel tratto tra Erlangen e Norimberga dell’autostrada A3. Erano le 3.15 del mattino quando alcuni automobilisti che transitavano in direzione sud segnalarono la presenza di un focolaio nell’area del parcheggio in direzione Monaco, lungo le arterie principali che collegano il nord e il sud della Germania. Secondo le segnalazioni pervenute agli inquirenti, l’incendio era divampato da circa quindici minuti: l’area in questione era ben nota agli automobilisti, soprattutto per la presenza di un bagno pubblico. La Polizia Stradale giunge prontamente sul posto e fa una macabra scoperta: quei cumuli che stavano bruciando non appartenevano a  un’autovettura in fiamme parcheggiata e non vi era nemmeno un incendio boschivo in corso: si trattava di due corpi carbonizzati, di una coppia brutalmente assassinata.

 

Era stato compiuto un efferato omicidio. I corpi furono individuati a quattro metri di distanza uno dall’altro, entrambi poco distanti dalla strada. Entrambe le vittime furono colpite da oggetti contundenti, ma gli inquirenti non riuscirono ad individuare il tipo di oggetto utilizzato. Dall’esame autoptico è emersa la ferocia e la brutalità con la quale furono uccisi; la donna presentava un vistoso colpo sulla fronte e un altro sulla parte posteriore del cranio; la violenza fu tale che determinò la rottura della scapola. L’uomo invece è morto sul colpo. Chi li ha uccisi, dopo averli brutalmente colpiti, li ha cosparsi di benzina e ha dato fuoco ai loro corpi esanimi; la donna non è morta sul colpo ma ha tentato in tutti i modi di salvarsi; sono state rinvenute infatti, tracce che confermano che era ancora viva quando le hanno dato fuoco.

 

Nel corso di questi lunghi anni la Polizia ha lanciato numerosi appelli in Germania per cercare di dare un volto e un nome ai due corpi, sperando di far luce su questo misterioso caso ancora avvolto dal mistero e che ha scosso profondamente l’opinione pubblica; ad oggi però, nessuno si è fatto avanti. Qualcuno sa chi sono o riconosce gli oggetti rinvenuti sul luogo del delitto? Entrambi avevano un’età compresa tra i 25 e i 40 anni, l’uomo era alto 1,65 e molto probabilmente portava i baffi o la barba, la donna invece era alta 1.58 e portava i capelli leggermente brizzolati. Dagli accertamenti autoptici eseguito sul cadavere della donna è emerso che aveva subito un intervento per la rimozione dell’appendicite e inoltre aveva partorito almeno una volta: come mai nessuno li ha cercati in tutti questi anni? Gli appelli in Germania non hanno dato esito positivo così, recentemente la polizia tedesca si è rivolta alla trasmissione “Chi l’ha visto?” e il giornalista Ercole Rocchetti ha ripercorso i punti salienti del caso, compresi gli elementi che ricondurrebbero alla pista italiana. Sul luogo del delitto sono stati rinvenuti diversi mozziconi di sigaretta di una nota marca che in quel periodo era venduta soltanto in Italia e Francia. I due soggetti indossavano indumenti che erano reperibili soltanto in Italia e non altrove e le ditte che producevano tali indumenti erano dislocate tra Firenze, Ascoli Piceno e Bassano del Grappa. Anche i gioielli che indossavano erano di marca prettamente italiana; la donna aveva un Rolex con cinturino prodotto da una ditta di Vicenza ma assemblato in Svizzera. Si apprende che purtroppo non è stato possibile ricostruire i passaggi di vendita del prezioso orologio; la donna indossava inoltre una collana di perle e un anello in oro ma che non riportava indicazioni specifiche. Entrambi indossavano una fede con impressa la seguente data: “3-4-1981”: era la data del loro matrimonio? Qualcuno la ricorda? La Polizia tedesca, in merito alla data impressa sulle fedi, riferisce che i trattini che separano i numeri venivano usati prettamente in Italia, invece in Germania si usavano i puntini. Dalle indagini è emerso che la fede della donna riporta il marchio di fabbrica di una ditta di Arezzo, quella dell’uomo invece riporta il marchio di una ditta di Bassano del Grappa.

 

Entrambi indossavano una collana, realizzata da una ditta orafa di Arezzo, che aveva un ciondolo a forma di un  gufo/civetta. Un simbolo che li accomunava, che li legava profondamente e che li ha condotti purtroppo ad una morte terribile: ma cosa rappresenta realmente quel simbolo? Cosa li legala a tal punto da indossare quella collana fino alla morte? Il gufo e la civetta hanno significati differenti e nella simbologia rappresentano due facce della stessa medaglia, uno positivo e l’altro negativo: sono due simboli magici molto forti nell’esoterismo. Troviamo la civetta a partire dall’antica Roma fino ad arrivare all’antica Grecia dove la civetta è rappresentata insieme a Minerva. La troviamo anche nei geroglifici egizi e simboleggia la notte, l’introspezione ma anche la morte non intesa in senso negativo ma vista come una rinascita. Innumerevoli i significati attribuibili alla civetta quindi, perlopiù positivi, poiché rappresenta la saggezza, la consapevolezza di sé, la luce, la sapienza e la chiave per la risoluzione ai problemi. Ma se la civetta rappresenta la positività, l’introspezione e la saggezza, il gufo invece rappresenta l’altra faccia della medaglia: nell’iconografia generale, infatti, assume un significato negativo legato alla morte, al malaugurio e rappresenta l’oscurità e il buio, al contrario della civetta appunto.

 

Anche nella Massoneria troviamo entrambi i simboli; la civetta rappresenta la saggezza per via della sua capacità di vedere nel buio. Nella Massoneria i gufi rappresentano invece i guardiani o i vigilanti; nel libro “Mysteries and Secrets of the Masons: The Story Behind the Masonic Order”, di Lionel e Patricia Fanthorpe (2006) si legge “Un altro aspetto del simbolismo del gufo in massoneria è legato alle strane teorie sulle antiche radici della massoneria, l’idea che segreti esseri volanti giunti da mondi lontani avrebbero fondato la massoneria dopo un’evocazione avvenuta in un’epoca remota”. La simbologia massonica sopracitata in riferimento ai ciondoli da loro indossati e la città di Arezzo presente su più fronti, fanno tornare in mente un altro spaccato dell’Italia di quel tempo: la loggia P2. Saranno semplici suggestioni e coincidenze? Probabilmente si, ma ci sembra doveroso riportarle. Il 17 marzo del 1981 fu fatta la famosa perquisizione presso la villa di Licio Gelli, Villa Wanda, e presso la sua fabbrica –“Giole”- ove fu rinvenuto tra le tante carte della società la famosa lista dei mille iscritti alla P2. C’è per caso un collegamento tra il significato della simbologia sopracitata e i ciondoli indossati dalle vittime?

 

La Toscana sembra essere un elemento rilevante in questa oscura vicenda, grazie soprattutto ad elementi apparentemente di contorno ma che in realtà risultano fondamentali per la risoluzione del caso: gli indumenti indossati dalle due vittime, reperibili soltanto in Italia e non altrove poichè le ditte di produzione erano dislocate tra Firenze, Ascoli Piceno e Bassano del Grappa; la fede indossata dalla donna riportava il marchio di fabbrica di una ditta di Arezzo e la collana con il ciondolo a forma di gufo/civetta, realizzata da una ditta orafa di Arezzo. Una Toscana che di giorno si illuminava di luce riflessa, che si  forgiava di splendore e bellezza attraverso i gioielli che questa donna e quest’uomo sicuramente amavano indossare e sfoggiare lungo le vie del centro storico; di notte, però, la città mutava le sue forme e i suoi colori, diventando ombrosa e sinistra. Quando l’innocenza dell’amore e della passione travolgeva le giovani coppie desiderose di intimità, l’unico riparo possibile era il silenzio dei boschi, un’ombra nera però irrompeva prepotentemente e sparava con crudeltà: stiamo parlando dei delitti del Mostro di Firenze. Ma cosa c’entra con tutto ciò e che collegamenti possono esserci con il misterioso delitto avvenuto in Germania?

 

La notte del 9 settembre del 1983 a Firenze-esattamente quattro mesi dopo il delitto avvenuto in Germania- in un prato adiacente Via di Giogoli al Galluzzo, furono brutalmente assassinati due studenti tedeschi di 24 anni in vacanza: Uwe Jens Rusch e Wilhelm Friedrich Horst Meyer. I loro corpi furono rinvenuti la sera del 10 all’interno del furgone Volkswagen. Gli inquirenti repertarono quattro bossoli calibro 22 marca Winchester serie H, 2 all’interno del furgone, gli altri furono rinvenuti sul prato e intorno al furgone. Tutto fu lasciato intatto all’interno del furgone: non furono trafugati soldi né altro. E’ possibile che vi sia un collegamento tra i due casi o si tratta di semplice suggestione e coincidenze? Elementi come la Toscana, l’efferatezza del delitto compiuto in una città straniera in entrambi i casi ai danni di stranieri –Germania in un caso e Firenze nell’altro- e la breve distanza tra un delitto e l’altro, sono semplici coincidenze? Il duplice omicidio dei tedeschi per mano del Mostro di Firenze non fu l’unico fatto eclatante che sconvolse l’Italia dell’epoca: il 7 maggio del 1983, infatti, a Roma scompare una ragazza giovane e di bell’aspetto che si chiamava Mirella Gregori; quaranta giorni dopo, ovvero il 22 giugno 1983, scompare invece Emanuela Orlandi. I casi sopracitati e presi in esame sono puramente indicativi e servono per delineare un quadro storico dell’Italia di quegli anni; in taluni episodi vi sono certamente interessanti spunti che meriterebbero  un approfondimento ulteriore poiché vi sono delle coincidenze di luoghi, simboli e date che si incastrano con il terribile destino di questa coppia uccisa brutalmente in Germania; in altri casi presi in esame, invece, vi è l’intento di voler evidenziare quanto fosse alta la tensione in Italia in quegli anni. Si tratta soltanto di coincidenze o si tratta invece di semplici suggestioni? E se ci fosse un fondo di verità in quanto scritto fino ad ora?

 

La Dottoressa Mary Petrillo, Psicologa, criminologa, Coordinatrice del Crime Analysts Team, Docente Master Univ. Niccolò Cusano ci ha dato il suo punto di vista in merito al caso: “Attualmente abbiamo a disposizione alcuni elementi, interessanti, emersi dalla trasmissione Chi l’ha visto del 25/10/2017, ma poiché, come affermo sempre a lezione coi miei studenti di criminologia, almeno all’inizio di una indagine nessuna ipotesi può essere trascurata, si può affermare che i materiali ritrovati sui corpi carbonizzati dei due poveri sventurati possono far pensare anche ad un eventuale collegamento con ambienti esoterici. Questo coinvolgimento del mondo esoterico/occulto potrebbe essere avvalorato dal fatto che sui corpi sono stati ritrovati i “talismani” ( non amuleti, perché questi ultimi per chi pratica magia si ritrovano in natura, mentre il talismano è un manufatto), uguali tra l’altro  su entrambe le vittime, quindi , per loro questi ciondoli dovevano avere un significato ben preciso. Sono state ritrovate poi due fedine con incisa una data: 3-4-1981 che potrebbe indicare la data del matrimonio tra i due soggetti, o potrebbe indicare un certo strappo alle tradizioni, come negli anni ’80 stava già avvenendo e nel caso specifico di questa coppia ad esempio, leggendo la data impressa nelle fedi: un venerdì, giorno notoriamente infausto, nel nostro Paese, per chi è superstizioso, per contrarre matrimonio; ma potrebbe essere anche una data che segni un evento importante per entrambe le vittime: una nascita, un avvenimento. Consideriamo, poi, che il gufo(civetta) è simbolo del noto club massonico Boemo, quindi per qualche soggetto appartenente, questo simbolo potrebbe essere considerato tanto importante, da farne un ciondolo! Aggiungiamo, poi, i rimandi alla città di Arezzo, quindi alla Toscana, ossia una regione importante per chi pratica l’esoterismo, teniamo anche  presente, all’epoca, le vicende del cosiddetto mostro di Firenze, che campeggiavano su tutti i giornali; quindi ci sono apparenti indizi che possono far ipotizzare una certa influenza di ambienti settari o pseudosettari, in questa storia. Tuttavia la superstizione ed il pregiudizio, le antiche usanze, anche se in quegli anni erano ancora molto presenti, in particolare, nelle culture di estrazione contadina, erano ( e sono) anche presenti in alcune organizzazioni criminali come ‘ndrangheta, mafia, sacra corona unita, che usano, come simboli, per i loro rituali di affiliazione, immagini suggestive o di tipo religioso o che comunque appartengono, notoriamente, al mondo esoterico. In alcune culture, ad esempio nel sud Italia,  il malocchio viene spesso “scacciato” facendo uso anche di monili che dovrebbero avere il potere di allontanare il malaugurio e torna il riferimento a quanto ritrovato sul luogo in cui sono stati rinvenuti i corpi dell’uomo e della donna carbonizzati, ossia i due ciondoli che raffigurano un gufo o una civetta e  la distinzione sarebbe importante da capire perché in molte culture come in quella germanica la civetta ha un significato positivo, simboleggia l’amore e la protezione, nella cultura greco-romana essa era considerata simbolo di chiaroveggenza, saggezza, mentre il gufo è simbolo del male, della oscurità e della morte ed in alcuni popoli viene associato addirittura a Satana. Quindi il ritrovamento di questi due corpi, carbonizzati, nel lontano 1983, evoca, senz’altro,  notevoli suggestioni che speriamo possano presto trovare spiegazioni circa l’accaduto e che soprattutto possano dare nome e cognome a queste vittime che chissà forse scappavano da qualcuno o qualcosa? Forse per gravi motivi i due avevano dato in adozione il figlio (perché dall’autopsia della donna pare sicuro avesse, almeno una volta, partorito) e per questo nessuno li cerca? Perché forse c’è qualcuno che non sa di non essere figlio biologico di qualcun altro! Forse la coppia sfuggiva ad un agguato? Erano, forse, coinvolti in qualcosa di grosso? Certo non fu una rapina, visto che sono stati ritrovati oggetti d’oro che appartenevano alle vittime e questo esclude pure che l’assassino o gli assassini non erano sconosciuti ai due. Speriamo presto di poter rispondere alle molte domande che sorgono spontanee su quanto possa essere accaduto a queste due persone, al momento ogni ipotesi, anche la più “stravagante” come appunto quella esoterica o anche l’ipotesi dell’eventuale coinvolgimento di organizzazioni criminali strutturate, possono essere considerate e chissà potrebbero portare le indagini in una direzione ben precisa”

Angelo Barraco




Mostro di Firenze, Bruno: "Le dichiarazioni di Lotti sono inattendibili"

 

di Angelo Barraco

 

FIRENZE – “Mostro di Firenze" – Al di là di ogni ragionevole dubbio” è un libro che racconta in modo capillare e dettagliato gli 8 terribili duplici omicidi che hanno insanguinato le campagne della toscana dal 68 all’85. Un libro scritto da Paolo Cochi, Francesco Cappelletti e Michele Bruno e rieditato in una versione aggiornata a seguito del grande successo ottenuto con la prima tiratura. Il libro verrà presentato venerdì 16 dicembre, alle ore 18.30, presso  la sede dell’Università ecampus di Firenze.

 

Abbiamo intervistato il Prof. Francesco Bruno, massimo esperto di criminologia, noto per essere stato il primo ad aver parlato di questa disciplina.


Le dichiarazioni di Lotti si possono ritenere inattendibili?
Le dichiarazioni di Lotti sono inattendibili per natura ed è criminale da parte dei giudici che si sono avvalsi della testimonianza di un soggetto che era inadatto a testimoniare. Il Lotti era inattendibile per natura, chiunque si sarebbe reso conto nel vederlo e nel vedere i compagni di merende, non c’è bisogno di fare una perizia, chiunque ragazzino avrebbe visto che erano inattendibili.


Nel delitto dell’85 secondo lei come mai sono stati nascosti i corpi? Il delitto dell’85 è un delitto diverso rispetto a quelli precedenti e io interpretai all’epoca questo…

 

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Rossella Corazzin: una scomparsa all'ombra del mostro di Firenze

 

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di Angelo Barraco

Belluno – La storia che vi stiamo per raccontare è tutt’ora avvolta da una fitta cortina di mistero poiché nessuno è mai riuscito a dare una risposta agli innumerevoli interrogativi che ancora oggi albergano nella mente di chi cerca la verità, in una vicenda in cui l’ombra regna sovrana. Siamo a Tai di Cadore, una località montana in provincia di Belluno, Rossella Corazzin è una giovane studentessa del liceo classico, amante della lettura e delle lunghe passeggiate che ama fare in compagnia del padre. Nell’agosto del 1975 la famiglia Corazzin sta trascorrendo le ferie e come di consueto, dopo il pranzo mentre tutti riposano, Rossella e il padre, appena svegliati, si incamminano fino al bosco. Una famiglia abitudinaria, in cui la giovane è perfettamente inserita all’interno di un contesto di serenità e armonia. Il 10 agosto del 1975 qualcosa però  cambia, il padre incontra Rossella che passeggia da sola in paese. Apparentemente tutto normale se non per il fatto che tale azione non faceva parte delle abitudini della giovane, allora il padre la ferma per chiedere spiegazioni e lei risponde che ha bisogno di evadere, lo dice con un tono scherzoso. Un altro episodio insolito si verifica il 10 agosto del 1975, dopo il pranzo. La giovane in questa circostanza decide di non concedersi il riposo pomeridiano e …


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Morto Mario Spezi, il giornalista del "Mostro di Firenze"

di Angelo Barraco

Firenze – E’ morto Mario Spezi, famoso, tenace ed intraprendente giornalista che ha legato la sua carriera professionale alla vicenda del “Mostro di Firenze”. Aveva 71 anni, è morto dopo una lunga malattina. Dal 1975 ha raccontato, attraverso le pagine de La Nazione, gli otto duplici omicidi che hanno impregnato di sangue la campagne della Toscana dal 1968 al 1985. Il 7 aprile del 2006 viene persino arrestato, su ordine della procura di Perugia, con l’accusa di depistaggio, calunnia, concorso in omicidio in merito alla morte del Dott. Francesco Narducci e turbativa di servizio pubblico in relazione alle sue indagini relative ai delitti del Mostro di Firenze. Finisce in prigione e viene scarcerato dopo 23 giorni, quando la Corte di Cassazione lo scagiona dalle accuse e definisce il suo arresto privo di fondamento. Scrisse anche un libro a seguito di quell’esperienza in carcere, dal titolo “Inviato in galera”. Dopo la piena assoluzione ha ripreso a pieno l’attività giornalistica, concentrando l’attenzione sul Mostro di Firenze. Nel 2006 ha scritto un libro con Douglas Preston dal titolo “Dolci colline di sangue”, in cui ripercorre tutti i delitti dal suo punto di vista, seguendo un percorso ben distante rispetto a quella che è la verità processuale che ha portato in carcere Mario Vanni e Giancarlo Lotti. Il libro individua il colpevole in una persona vicina alla pista sarda, un percorso d’indagine a lungo seguito dagli inquirenti dell’epoca. Spezi parla di un incontro con un certo “Carlo”, che si conclude però bruscamente e che lascia incertezza e dubbi in merito alla verità. Nel corso di questi anni si occupò anche dell’omicidio di Meredith Kercher a Perugia e del caso della “Circe della Versilia”. Il suo lavoro e la sua dedizione sono stati indispensabili per mettere in luce certe dinamiche in merito a casi da lui analizzati e il suo spirito di servizio è stato da sempre fonte di ispirazione per molti giornalisti. Alla sua famiglia vanno le nostre più sentite condoglianze. 



Mostro di Firenze: si apre un nuovo capitolo

di Angelo Barraco
 
Firenze – Siamo noderatamente soddisfatti di annunciare che l’inchiesta sul Mostro di Firenze, caso che abbiamo deciso di ritrattare con documenti inediti e tesi che aprono nuovi scenari, si è nuovamente avviata a seguito di importanti sviluppi che hanno dato input positivi ad un’indagine che risultava piena di dubbi e ben distante da quella che era la verità giudiziaria. Una nuova inchiesta è dunque in corso ed è stata affidata ai Carabinieri del Ros, coordinata dal Pm Paolo Canessa. Numerosi sono stati gli elementi che hanno spintogli inquirenti a rispolverare le carte e indagare ancora: denunce anonime e gli esposti che il legale rappresentante di Jean Michel Kraveichvili ha presentato a partire dal 2013. Il giovane fu ucciso in località Scopeti nel 1985, insieme alla sua ragazza Nadine Mauriot. Ma l’elemento cardine che ha riaperto una maglia in questa intrecciata e torbida storia è il ritrovamento dell’arma avvenuto il giorno di Ferragosto. La notizie del ritrovamento però è stata resa nota il giorno dopo la pubblicazione della nostra inchiesta del duplice omicidio del 1968 a Signa, in cui persero la vita Barbara Locci e Antonio Lo Bianco. Nella Nostra inchiesta abbiamo approfondito aspetti che riguardavano la pistola. Si tratta di una Beretta Calibro 22 LR in pessime condizioni rinvenuta lungo il torrente Ensa, oltre la frazione di Ronta. L’arma è stata rinvenuta da una donna che stava passeggiando e che ha prontamente dato l’allarme alle forze dell’ordine. Emerge inoltre che l’arma è provvista di un numero di matricola. Immediatamente sono giunti sul posto le squadre speciali dei Ros e il Nucleo Investigativo e il Nucleo Operativo dei Carabinieri di Borgo che hanno provveduto al sequestro della Beretta. L’arma si trova adesso nei laboratori del Racis di Roma e saranno effettuati gli accertamenti necessari per stabilire se l’arma è la stessa degli 8 duplici omicidi. Sulla vicenda vige il massimo riserbo e si apprende inoltre – dal quotidiano La Nazione- che sarebbero state effettuate delle perquisizioni in Toscana e sarebbero stati interrogati inoltre anche i familiari di un ex dipendente di un ex imprenditore tedesco che abitava a Giogoli e che era vicino di casa di Salvatore Vinci, di cui si sono perse le tracce nel 1988. Un anno fa era emersa una novità in merito al Mostro di Firenze poiché le indagini si erano concentrate su Rolf Reinecke, un tedesco morto nel 1996. L’uomo era già entrato nell’inchiesta sui delitti del Mostro di Firenze, ovvero quando avvenne il 9 settembre del 1983, a Giogoli, l’omicidio dei due tedeschi, Jens-Uwe Rüsch e Horst Wilhelm Meyer. Un delitto atipico rispetto agli altri poiché non avvenne l’asportazione del pube e anche perché si trattava di due uomini. Rolf Reinecke era un imprenditore tedesco morto nel 1996 all’età di 59 anni e che viveva e lavorava a Vaiano. La macchina investigativa si è mossa e sono stati ascoltati amici ed ex dipendenti dell’uomo a Briglia. Le indagini dell’epoca hanno fatto emergere che l’uomo abitava a Giogoli, presso il comune di Scandicci, nelle vicinanze al luogo in cui furono uccisi i due tedeschi. E’ emerso che l’uomo possedeva una pistola calibro 22. Alla Briglia ha vissuto Salvatore Vinci dal 1963 al 1970. Salvatore Vinci è entrato nell’inchiesta del mostro di Firenze ed è stato sospettato di essere l’autore dei delitti. Quindi ritorna la pista Sarda. 
 
Non è la prima volta che salta fuori una Beretta e si punta nuovamente l’attenzione sul Mostro di Firenze: Circa tre anni e mezzo fa è stata rinvenuta una pistola con matricola abrasa e con le ultime quattro cifre “3322” e l’anno di produzione 1960. L’arma è stata rinvenuta in un bunker della Polizia Giudiziaria di Potenza. Si è pensato subito che l’arma potesse essere collegata ai delitti del Mostro e si puntò l’attenzione sulla “Pista Sarda”. Ma dalle indagini non si riuscii a risalire al proprietario e la vicenda risulta ancora avvolta da una fitta cortina di mistero.  Borgo San Lorenzo è inoltre un luogo estremamente particolare per la vicenda del Mostro poiché il 14 settembre del 1974 vennero uccisi Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini. Si tratta del secondo delitto compiuto dal mostro che con la sua Beretta Calibro 22 Long Rifle uccide con cinque colpi Pasquale e con tre colpi Stefania. La giovane viene successivamente trascinata fuori dall’autovettura e viene uccisa con tre coltellate allo sterno. Dopo il brutale omicidio, il mostro compie uno strano rituale: colpisce per 96 volte il suo corpo a coltellate, in particolar modo il seno e il pube.
 
Nella parte introduttiva dell’articolo abbiamo detto che uno degli elementi che ha portato gli inquirenti ad indagare ulteriormente sulla vicenda del mostro riguarda principalmente il numero di esposti presentati dall’avvocato che rappresenta la famiglia di Jean-Michel Kraveichvili. Noi de L’Osservatore D’Italia, nel giugno del 2015, abbiamo parlato del delitto degli Scopeti avvenuto nel 1985 e in cui persero la vita Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot, pubblicando documenti inediti che gentilmente ci ha concesso il documentarista Paolo Cochi e che smentiscono quanto dichiarato da Lotti. Le novità riguardano principalmente la data in cui è stato commesso il delitto, che si colloca nella notte tra il 6 e il 7 settembre del 1985 e non l’8. I corpi dei due francesi sono stati rinvenuti lunedì 9 settembre in via degli Scopeti. Il luogo del delitto è a sud della città ed è in prossimità di Certosa. Il luogo in cui furono rinvenute le vittime è costituito da una radura sopraelevata e si trova in prossimità della superstrada Firenze-Siena e del casello autostradale Firenze-Certosa. I due francesi si erano accampati con una tenda canadese che era stata posizionata vicino la macchina. Il mostro li ha sorpresi e li ha uccisi brutalmente, la donna è stata trovata morta in posizione fetale all’interno della tenda, mentre il giovane si trovava presso l’estremo margine della radura. Il mostro ha sorpreso la coppia, ha lacerato il telo della tenda nella parte posteriore con un coltello con taglio verticale. Gli inquirenti hanno rinvenuto 9 bossoli di cui uno nel cadavere della donna e due nel cadavere dell’uomo e risultano dei bossoli mancanti, che probabilmente il mostro ha portato via. Il mostro poi ha asportato il pube e il seno sinistro alla donna. 
 
I documenti che gentilmente ci ha fornito Paolo Cochi e che pubblicammo nell’inchiesta del 15 giugno riguardano proprio quel delitto. Una su tutte riguarda la dichiarazione del Dottor Sandro Federico  – Capo della SAM Squadra mobile di Firenze dal 1984 al 1989.
“Io vidi i poveri corpi dei ragazzi e devo dire che non mi sembravano morti la sera precedente. Anche tra i miei colleghi era presente questa convinzione. Nelle indagini che facemmo, non venne assolutamente trascurato il sabato. L'omicidio venne scoperto il lunedì , io non faccio il medico , ma di cadaveri ne ho visti tantissimi in tanti anni. Pur rimettendomi al parere degli esperti in materia, se vuole sapere la mia opinione, l'omicidio di Scopeti avvenne di sabato”.
 
La tesi di Antonio Osculati – specialista in medicina legale presso l’Università di Varese 
“Possiamo ipotizzare, alla luce di tutti i dati a nostra disposizione, un intervallo tra decesso dei due giovani e primo sopralluogo (ricordiamo, avvenuto alle 17 del 9 settembre 1985) stimabile in circa due giorni e mezzo. In particolare, a nostro avviso l’omicidio è avvenuto nella notte fra il 6 e il 7 settembre 1985”.
“Possiamo escludere pressoché con certezza che il decesso sia avvenuto la sera precedente il primo sopralluogo (ossia domenica 8 settembre 1985). Possiamo affermarlo sulla base dei fenomeni trasformativi presenti al momento del primo sopralluogo (ore 17 di lunedì 9 settembre 1985): enfisema, reticolo venoso putrefattivo ed epidermolisi, per quanto il clima fosse caldo, suggeriscono che non possono essere trascorse meno di ventiquattro ore. Inoltre, sebbene il rigor fosse presente al momento del sopralluogo, la sua risoluzione completa il giorno seguente (martedì 10 settembre 1985) suggerisce che il decesso sia avvenuto nel terzo giorno precedente l’autopsia”.
“Al tavolo anatomico, il giorno dopo il ritrovamento, dove è disponibile iconografia relativa anche al cadavere dell’uomo, possiamo apprezzare come i fenomeni trasformativi non abbiano grosse differenze tra l’uomo e la donna. Da ciò si può desumere che la permanenza all’interno della tenda non abbia modificato in maniera sensibile l’andamento dei fenomeni post mortali.
la presenza dei fenomeni trasformativi più avanzati (enfisema, epidermolisi, reticolo venoso) e la presenza del rigor al momento del primo sopralluogo consente di formulare l’ipotesi di un intervallo tra decesso dei due e primo sopralluogo (ricordiamo, avvenuto alle 17 del 9 settembre 1985) stimabile in circa due giorni e mezzo. In particolare, a nostro avviso l’omicidio è avvenuto nella notte fra il 6 e il 7 settembre 1985.”
 
Prof. Giovanni Marello – istituto medicina legale di Firenze :
“ Mi occupai dei delitti del cosiddetto mostro fin dal 1974 e nell'85 ero in sala autoptica solo in maniera molto laterale , tuttavia posso confermare che quel caso fece molto discutere per quanto riguarda la cronologia della morte. Ci fu una grande discussione, non soltanto tra i periti , ma anche fra di noi della medicina legale. L'aver attribuito la morte alla domenica fu una spinta del Prof. Maurri che era il più esperto tra di noi ed ha avuto l'ultima parola in proposito, ma in realtà le persone che hanno partecipato all'autopsia non erano del tutto sicure, perché c'erano alcuni elementi che la facevano anticipare.
Le foto che ho potuto riesaminare dei cadaveri sono abbastanza significative per anticipare la data dell'evento alla sera del sabato, perche ci sono fenomeni putrefattivi molto avanzati e c'e' uno sviluppo di larve notevole, anche sul cadavere dell'uomo che a differenza della ragazza si trovava all'esterno della tenda, nel bosco e quindi non esposto all'eccessivo calore che fu attribuito alla tende stessa. Sull'entomologia cadaverica non avevamo una preparazione sufficiente , adesso la situazione è molto cambiata in questi ultimi anni.” 
 
Cochi ha inteso rivolgere una domanda a Marello: Quanto può essere valido , effettuare una valutazione sulla base di fotografie e delle relazioni ?
“Consideriamo due fattori. Le relazioni medico legali hanno la caratteristica di essere descrittive di quello che si sta esaminando, quindi l'operatore descrive la situazione che sta constatando e non fa diagnosi, che viene riportata solo alla fine della relazione ,per cui già la descrizione può essere utilizzabile al fine di una rivalutazione…. in più le foto che rievocano visivamente di quello che si é descritto servono in maniera preponderante a dare un quadro molto obbiettivo della situazione”.

dr. SIMONETTA LAMBIASE entomologa forense – biologa dell 'Universita di Pavia
“Ipotizzando di trovarci di fronte a delle specie di mosca comuni presenti in quell'area geografica , con quelle condizioni metereologiche e considerando che la temperatura media di quei giorni era di 23 gradi, secondo i dati meteo, ritengo , esaminando le foto dei soggetti e leggendo la relazione dei CTU, bisogna necessariamente retrodatare l'evento delittuoso. Ci sono tuttavia dei limiti nella valutazione che riguardano il mancato rilevamento della specie di larva e la situazione microclimatica all' interno della tenda, ma comunque il tempo attribuito dai CTU è troppo stretto, in ogni caso”.



Mostro di Firenze: rinvenuta una Beretta a Borgo San Lorenzo

di Angelo Barraco
 
Firenze – Rinvenuta una Beretta Calibro 22, quella che potrebbe essere la pistola del mostro di Firenze. Noi de L’Osservatore ci siamo recentemente occupati del mostro di Firenze e in modo particolare al delitto del 1968 e della coppia Locci-Lo Bianco. L'ultimo articolo sul mostro risale a soli due giorni fa.  Abbiamo parlato tanto di pistola e di come tale arma sia la chiave di volta per risolvere uno dei casi più torbidi d’Italia. A seguito di questa nostra inchiesta qualcosa di concreto si è mosso. Nelle campagne di Borgo San Lorenzo è stata rinvenuta una pistola vicino al fiume. Si tratta della tanto ricercata Beretta Calibro 22. L’arma è stata rinvenuta da una donna che stava passeggiando e che ha prontamente dato l’allarme alle forze dell’ordine. La notizia è stata resa nota dal Corriere Fiorentino ed emerge che si tratta dello stesso modello di pistola utilizzata dal Mostro di Firenze e le gravose condizioni d’usura hanno fatto immediatamente pensare che  potesse essere la stessa che ha cagionato la morte di giovani vittime innocenti. Immediatamente sono giunti sul posto le squadre speciali dei Ros e il Nucleo Investigativo e il Nucleo Operativo dei Carabinieri di Borgo che hanno provveduto al sequestro della Beretta. L’arma si trova adesso nei laboratori del Racis di Roma e saranno effettuati gli accertamenti necessari per stabilire se l’arma è la stessa degli 8 duplici omicidi. Ma non è la prima volta che salta fuori una Beretta e si punta nuovamente l’attenzione sul Mostro di Firenze: Circa tre anni e mezzo fa è stata rinvenuta una pistola con matricola abrasa e con le ultime quattro cifre “3322” e l’anno di produzione 1960. L’arma è stata rinvenuta in un bunker della Polizia Giudiziaria di Potenza. Si è pensato subito che l’arma potesse essere collegata ai delitti del Mostro e si puntò l’attenzione sulla “Pista Sarda”. Ma dalle indagini non si riuscii a risalire al proprietario e la vicenda risulta ancora avvolta da una fitta cortina di mistero.  Borgo San Lorenzo è inoltre un luogo estremamente particolare per la vicenda del Mostro poiché il 14 settembre del 1974 vennero uccisi Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini. Si tratta del secondo delitto compiuto dal mostro che con la sua Beretta Calibro 22 Long Rifle uccide con cinque colpi Pasquale e con tre colpi Stefania. La giovane viene successivamente trascinata fuori dall’autovettura e viene uccisa con tre coltellate allo sterno. Dopo il brutale omicidio, il mostro compie uno strano rituale: colpisce per 96 volte il suo corpo e in particolar modo il seno e il pube. 
 
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Mostro di Firenze, delitto del 1968: rimettiamo tutto in discussione


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di Angelo Barraco
 
FIRENZE – La notte del 21 agosto 1968, vicino al cimitero di Signa, vengono uccisi Barbara Locci e il suo amante Antonio Lo Bianco a colpi di pistola Beretta. Stefano Mele, marito della donna, viene condannato per il delitto e secondo gli inquirenti avrebbe agito per interessi ben diversi da quelli che gravitavano attorno alla sfera affettiva.
 
L'inattendibilità del test  Numerosi sono gli elementi che hanno spinto gli investigatori dell’epoca ad arrestare Mele, uno tra tutti è stato l’esame del guanto di paraffina che accerta se un soggetto ha sparato o meno. Tale test è stato fatto a Stefano Mele ben 16 ore dopo il delitto. Noi de L’Osservatore d’Italia, rispettando quella che fu la sentenza dell’epoca, abbiamo elementi sufficienti che gettano profondi dubbi sull'attendibilità di quell’esame, diventato uno degli elementi di prova che ha portato alla carcerazione di Stefano Mele. Analizzando in modo capillare la vicenda, abbiamo riscontrato alcuni elementi relativi alla prima fase confessoria di Mele, che risultano estremamente importanti ma che a nostro avviso non sono stati ulteriormente approfonditi nel corso degli anni. Tali elementi avrebbero potuto portare, probabilmente, all’individuazione dell’arma del delitto e del Mostro che ha insanguinato le campagne della Toscana.. 
 
La vicenda “Aprimi la porta perché ho sonno ed ho il babbo ammalato a letto. Dopo mi accompagni a casa perché c’è la mi’ mamma e lo zio che sono morti in macchina”. Sono queste le lapidarie parole che ha pronunciato Natalino Mele a Francesco De Felice, un muratore che viveva nei Campi Bisenzio in frazione S. Angelo a Lecore che dopo aver sentito suonare il campanello di casa, si affaccia dalla finestra e vede sull’uscio della porta un bimbo di sei anni che indossava un maglione grigio, pantaloni corti color marrone scuro, calzini ed era scalzo. Erano le due di notte e il muratore si era alzato per bere un bicchiere d’acqua. Successivamente alla frase pronunciata dal piccolo, De Felice lo fa entrare in casa e con l’aiuto dell’inquilino del piano di sopra che nel frattempo si era svegliato, cercano di ottenere ulteriori informazioni in merito a quanto accaduto. Le deduzioni iniziali fanno vagliare  ai due, l’ipotesi di un possibile incidente in auto ma le insistenze sul piccolo non portano all’ottenimento di nuove informazioni poiché lo stesso continua a ripetere che la mamma e lo zio sono morti ma non sa come.  Allora i due decidono di riferire tutto al Carabinieri e seguendo le indicazioni del bambino giungono in una strada dove vi è parcheggiata una Giulietta Alfa Romeo, con il faro destro ancora in funzione. All’interno di essa vi sono due cadaveri: Si tratta di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco. Il cadavere di Lo Bianco si trovava in posizione supina, con le mani sui pantaloni, come se stessero compiendo un’azione di movimento sui di essi, la cinghia era slacciata ed erano sbottonati. Barbara Locci, la mamma del piccolo Natalino, fu rinvenuta al posto di guida, nel sedile anteriore, semisdraiata. Gli inquirenti ispezionano l’autovettura e rinvengono una pallottola esplosa da una cartuccia calibro 22 con la lettera “H” impressa sul fondello. Sono tanti i bossoli rinvenuti successivamente all’interno dell’auto e nei corpi delle vittime, gli inquirenti ispezionano la zona in cui è avvenuto il delitto ma non trovano nulla. L’unico testimone oculare di questo  terribile delitto è il piccolo Natalino Mele che però dichiara di non aver visto e sentito nulla poiché dormiva sul sedile posteriore dell’auto e non appena si è reso conto che la madre era morta, impaurito, si è incamminato fino alla casa di De Felice, lungo in tragitto di tre chilometri. Immediatamente parte la macchina investigativa e viene interrogato Stefano Mele, all’epoca 49enne e padre del piccolo. L’uomo dichiara agli inquirenti che la moglie, il 21 agosto del 68, era uscita alle 22 con il figlio e si doveva incontrare con un tale “Enrico”. In merito al rapporto con la moglie, Mele afferma che vanno d’accordo, malgrado lui fosse a conoscenza che la moglie era solita intrattenersi con altri uomini e fornisce agli inquirenti i nomi di alcuni amanti della donna tra cui: Giovanni Vinci, Salvatore Vinci, Francesco Vinci e il nome di un tale Enrico. Quando gli inquirenti gli chiedono cosa avesse fatto quella sera lui riferisce di aver aspettato l’arrivo della moglie e del figlio a casa e di non essere uscito a cercarli perché stava poco bene. Un fatto strano e che ha insospettito gli investigatori riguarda il momento in cui i Carabinieri suonano il campanello dell’inquilino del piano di sotto, Mele si affaccia dalla finestra per vedere chi fosse ed esclama “Aspettavo chi mi portassero la notizia se del caso fosse capitato qualche cosa”. Gli inquirenti riferiscono a Mele del brutale omicidio compiuto ai danni della moglie e del suo amante, lui invece sottolinea immediatamente di essere rimasto a casa poiché si era sentito male a lavoro. Si preoccupa invece del figlio, ma il modo in cui pone l’interesse lascia intendere una conoscenza in merito allo star bene del piccolo Natalino.  Le indagini proseguono serrate e gli inquirenti convocano in caserma Francesco Vinci, additato da Mele come amante della moglie. Vinci dichiara che in passato era stato l’amante della donna ma tale episodio non ha compromesso i rapporti con la famiglia Mele, da lui stesso ritenuti buoni. Francesco Vinci inoltre riferisce  di essere rimasto a casa tutta la sera con la moglie, che conferma l’alibi del marito e che riferisce inoltre di essere a conoscenza che Barbara Locci è stata l’amante di suo marito. Successivamente vengono sentite anche altre persone tirate in ballo da Mele che però hanno in alibi in merito a quella sera.
 
L'esame del guanto di paraffina Il 22 agosto gli inquirenti eseguono l’esame del guanto di paraffina per verificare se effettivamente qualcuno dei seguenti soggetti avesse sparato di recente. Dal risultato emerge una colorazione azzurra sulla mano destra di Stefano Mele, precisamente in una zona di tre millimetri che corrisponde alla piega tra il pollice e l’indice. L’esame viene eseguito anche su Carmelo Cutrona e Francesco Vinci: Sul primo l’esame è stato fatto su entrambe le mani e la colorazione è azzurra puntiforme con estensione lungo tutta la parte interna; su Francesco Vinci invece viene effettuato l’esame sulla mano destra e l’esito è negativo. Tali esami sono stati compiuti ben 16 ore dopo il delitto e i soggetti possono aver toccato anche nitrati quindi l’esame può aver dato un falso positivo.

 

In esclusiva per l'Osservatore d'Italia il Dott. Gianfranco Guccia,  perito balistico consulente tecnico dell’Autorità Giudiziaria ci ha spiegato che cos’è la tecnica del guanto di paraffina. 

 
– Salve Dott. Guccia, grazie per averci concesso la sua preziosa consulenza.
Grazie a voi, buongiorno
 
– Nel caso in oggetto viene eseguita la prova con il Guanto di Paraffina ad alcuni soggetti: in cosa consista tale esame?
La prova del guanto di paraffina venne messa a punto negli Stati Uniti da un tal Gonzales , funzionario di polizia; nel 1935 entrò a far parte della pratica scientifico-forense come metodo per prelevare ed analizzare possibili particelle residuate dai fenomeni di natura chimico-fisica associati allo sparo di un’arma da fuoco, da cui si origina la produzione di un particolato (residuato solido) di vario genere: sia proveniente dalla detonazione dell’innesco presente nella cartuccia che dalla deflagrazione della polvere da sparo contenuta nel bossolo.
Il protocollo all’epoca adottato prevedeva la spalmatura di paraffina allo stato liquido, quindi ad alta temperatura, sulle mani di persone sospettate di aver commesso un delitto, che una volta solidificata e rimossa avrebbe dovuto ritenere le particelle oggetto della ricerca.
La “faccia interna” del c.d. guanto di paraffina veniva poi trattata con reagenti chimici cromogenici, cioè sostanze chimiche in grado di generare una variazione cromatica del particolato invisibile a occhio nudo, come, ad esempio, la Difenilamina Solforica o la Soluzione del Gries ed altri, anche più selettivi e specifici.

– Quanto era alto il rischio di imbattersi in “falsi positivi” e perché?
La possibilità di un “falso positivo” era elevatissima, dal momento che l’ “evidenza materiale” dell’esistenza del particolato inglobato nella paraffina consisteva in una reazione cromatica focale di colore blu intenso, per la presenza di nitriti e nitrati afferenti, in prevalenza, al fenomeno della deflagrazione della polvere da sparo; una simile reazione si manifesta anche in presenza di residui provenienti da una innumerevole tipologia di attività umane diverse, è sufficiente il maneggio di vernici, fertilizzanti e varie altre sostanze per diventare dei “potenziali colpevoli” di un determinato delitto.
 
– Quando viene abbandonata questa tecnica di analisi, e quale sono oggi le tecnologie più avanzate?
Nel 1979 su richiesta del  Department of Justice statunitense, venne commissionato a un gruppo di ricercatori del M.I.T. (Massachussets Institute of Technology) diretti da G.M. Wolten, uno studio rivolto  all’elaborazione di una metodica raffinata ed affidabile per l’individuazione del particolato residuato solido di sparo; la sperimentazione ebbe luogo presso i laboratori scientifici dell’ Aerospace Corporation di El Segundo (California U.S.A); i risultati della ricerca vennero raccolti in un’opera dal titolo “Final Report on Particle Analysis for Gun Shot Residue Detection”, successivamente pubblicata in tre diversi saggi su Journal of Forensic Science (volume n° 24 del 2 Aprile 1979); Wolten e colleghi, che effettuarono la loro ricerca mediante osservazione dei campioni raccolti con il microscopio elettronico a scansione (SEM) a cui venne associata una sonda microanalitica a dispersione di energia X – Ray (EDX), conclusero che, almeno allo stato delle conoscenze di allora, non esistevano attività umane o fonti naturali alternative che producessero particolati con morfologia, granulometria e composizione elementale simile a quella osservata nei campioni prelevati su oggetti o persone che erano stati interessati, direttamente o indirettamente, dalla fenomenologia collegata allo sparo di un’arma da fuoco, con particolare riferimento alle particelle residuate dalla detonazione della miscela esplosiva contenuta entro l’apparecchio d’innesco delle moderne munizioni.
Gli inneschi oggi comunemente usati per l’allestimento delle cartucce per armi da fuoco portatili adottano un composto detonante costituito, in prevalenza, da tre sostanze chimiche: lo stifnato di piombo [C6H(NO2)3O3Pb], il nitrato di bario [Ba(NO3)2] e il solfuro di antimonio [(NH4)2S], quasi sempre associati a biossido di piombo (PbO2) e siliciuro di calcio [lega Ca-Si]; quest’ultimo è una lega inerte che aumenta la frizione tra le molecole della miscela dinnescante, garantendo una più sicura detonazione dell’innesco sotto l’azione d’urto esercitata dal percussore.
Le particelle RDS (residuato di sparo) si formano per effetto della trasformazione chimica subita (passaggio dallo stato solido a quello gassoso) dei suddetti elementi, tutti sali metallici inorganici, dovuta all’elevato calore di esplosione, superiore ai 1.600 C° gradi centigradi, con pressioni di esercizio che arrivano a superare il valore di 2.300 atmosfere. La repentina espansione dei gas di sparo, non appena il proiettile fuoriesce dalla canna dell’arma, dà luogo a un processo inverso; il particolato che così si genera assume forma generalmente sferoidale, ogni singola particella può contenere tutti e tre i menzionati elementi chimici, piombo, antimonio e bario (composizione ternaria) e viene quindi definita, ad oggi, come caratteristica del fenomeno di sparo, oppure solo due di questi (composizione binaria), in tal caso viene definita come indicativa ma non esclusiva, dal momento che simili particelle, ma anche quelle ternarie, in qualche caso, possono essere il prodotto di altre attività umane; le dimensioni di tali particelle possono variare da poco meno di un micron fino a 30/40 al massimo (un micron = 1/000 di millimetro).
 Per quanto concerne le modalità di captazione ed analisi delle particelle RDS la metodica oggi universalmente adottata prevede l’uso di un c.d. kit-stub, ovvero un manipolo con un supporto circolare su cui è applicato uno strato biadesivo, che viene pressato sulle superfici, ivi compresa la pelle, sulle quali si ritiene possano essersi depositati eventuali RDS.
Successivamente lo stub viene metallizzato mediante applicazione di un sottile strato di carbonio, onde renderlo conduttivo, per poi essere inserito nella camera a vuoto di un S.E.M., microscopio elettronico a scansione, ed analizzato con una microsonda E.D.X. (Energy Dispersive X-Ray), in grado di rivelare, attraverso un processo chimico-fisico, la composizione chimica elementale di ogni singola particella, una volta individuata e osservata grazie all’elevato potere d’ingrandimento e risoluzione del microscopio elettronico.
E’ importante rimarcare che le operazioni di prelievo devono essere condotte nel rispetto dei protocolli di sicurezza, al fine di evitare episodi d’inquinamento specifico o aspecifico che portino ad un falso esito positivo; occorre evitare, quindi, di esporre la persona sospettata a contatto con ambienti o cose verosimilmente inquinati da eventuali RDS già esistenti a monte, nei luoghi o sulle mani degli operatori di P.G. incaricati di effettuare una tale operazione.
 
– Grazie per averci concesso l’intervista. 
Grazie a voi, nella speranza di aver dato un apporto che renda almeno comprensibile i principi della ricerca di una così delicato e complesso argomento.
 
La dinamica dell'omicidio L'arma del delitto Gli inquirenti perquisiscono le abitazioni di Stefano Mele, Francesco Vinci e Carmelo Cutrona con l’obiettivo di rinvenire l’arma del delitto, ma tale ricerca non porta ai frutti sperati, allora si punta nuovamente l’attenzione su Mele che viene interrogato il 23 agosto del 1968  e in questa sede punta il dito contro Francesco Vinci, accusandolo di essere l’autore del delitto, fornendo anche un movente riconducibile ad un vecchio debito e all’intento di liberarlo dalla moglie infedele. Le dichiarazioni di Mele sono altalenanti, mai stabili e concrete ma gli investigatori sono sempre più convinti che l’uomo sia coinvolto in questo terribile delitto. Viene nuovamente interrogato e questa volta confessa, dicendo che la moglie era uscita di casa alle ore 21.00 e che lui, stanco di stare  da solo, esce fuori a fare una passeggiata e giunto in Piazza 4 Novembre incontra Salvatore Vinci –fratello di Francesco Vinci- anch’esso amante della donna, che chiede a Mele notizie in merito alla moglie e al figlio, Mele dice all’amico che si è recata al cinema con un “amico” e secondo quanto avrebbe poi dichiarato Mele, il Vinci gli avrebbe detto “Perché non la fai finita?” e Stefano Mele in tutta risposta  “Come faccio senza nulla in mano sapendo che Enrico (che sarebbe Antonio Lo Bianco) ha praticato la Boxe”, Vinci avrebbe risposto “Io ho una piccola arma”. I due sarebbero quindi saliti a bordo di una macchina e avrebbero raggiunto il cinema in cui si trovava la Locci e il Lo Bianco, individuando l’autovettura di “Enrico” (Lo Bianco), li avrebbero seguiti fino al luogo in cui si sono appartati, vicino al cimitero di Signa. Salvatore Vinci, sempre secondo le dichiarazioni di Mele, avrebbe aperto una borsa cedendo l’arma a Mele e dicendo lui “Guarda che ci sono otto colpi”, allora Mele avrebbe raggiunto la moglie che stava compiendo atti  peccaminosi con l’amante e avrebbe sparato, poi avrebbe sistemato i cadaveri mentre il figlio si sarebbe svegliava. Stando alle dichiarazioni di Mele, la donna si trovava al di sopra dell’uomo che invece era supino sul sedile. Viene chiesto all’uomo dove avesse gettato l’arma e lui dichiara di averla gettata lateralmente alla strada parcata all’autovettura, avrebbe poi raggiunto Salvatore Vinci che in questo lasso di tempo lo avrebbe atteso in auto. Viene ricostruita la dinamica dell’omicidio e Mele viene condotto sul posto, dove vi è una Giulietta per rendere il tutto più verosimile alla scena di quella notte. All’uomo viene anche consegnata “Beretta” scarica per simulare l’azione, viene simulata anche la presenza dei cadaveri all’interno dell’autovettura e si Mele prodiga alla sistemazione di tale scena mediante l’aiuto di due sottoufficiali che si prestano a ciò e nel manovrare i corpi urta la freccia ed esclama “Anche la notte è capitato così, ho messo la mano su questo posto (in riferimento al cruscotto) e si è accesa la luce”. A  seguito di quanto dichiarato da Mele, viene fermato con l’accusa di essere l’autore del duplice omicidio e condotto in carcere. 

Gli inquirenti intanto rintracciano Salvatore Vinci, colui che secondo quanto dichiarato da Mele lo avrebbe aiutato. L’uomo si dichiara totalmente estraneo ai fatti, affermando che quella sera è rientrato a casa intorno alla mezzanotte e non è più uscito, inoltre fornisce anche un alibi, dichiarando di essere rimasto in compagnia di un amico e in merito all’arma sopracitata riferisce di non averne mai posseduta una. Il suo amico conferma l’alidi, indica inoltre i luoghi che hanno visitato. Gli inquirenti perquisiscono l’autovettura di Salvatore Vinci e la sua abitazione, ma l’esito è negativo. Successivamente si procede con un ulteriore interrogatorio per Stefano Mele e per Salvatore Vinci, ma improvvisamente tutto cambia. Mele smonta quella che era la perfetta ricostruzione dei fatti che precedentemente aveva fatto e riferisce agli inquirenti  che non si tratta di Salvatore Vinci bensì del fratello, Francesco Vinci. Quest’ultimo viene fermano poiché sospettato del delitto. Pochi giorni dopo, Stefano Mele viene nuovamente interrogato e cambia nuovamente versione dei fatti, scagionando da ogni accusa Francesco Vinci e questa volta punta il dito su Carmelo Cutrona. Si procede quindi al confronto tra Mele e Cutrona, quest’ultimo nega la sua partecipazione al delitto. In una prima dichiarazione, Stefano Mele fa riferimento ad un incontro avuto con Salvatore Vinci a Piazza 4 Novembre. Gli inquirenti avviano le indagini su questo fronte ed emerge che nessuno aveva visto all’interno del locale tutti coloro che sono finiti sotto la lente d’ingrandimento del sospetto. Vengono anche svolte accurate indagini sugli amanti di Barbara Locci a seguito di una dichiarazione fatta da Francesco Vinci. Ognuno di loro possiede un alibi per la sera del delitto o addirittura c’è chi nega di aver avuto rapporti amorosi con lei. Le indagini vertono immediatamente sull’arma del delitto, gli inquirenti controllano tutti i rivenditori di armi per verificare se la pistola calibro 22, con relative munizioni, fosse stata venduta a Mele o se fosse stata venduta a qualcuno vicino a lui vicino, ma tali ricerche portarono ad un esito negativo. Viene fatta anche una verifica su tutte le pistole calibro 22  detenute a Signa ma anche in questo caso non vi è nessun esito positivo. 
 
Accuse, inesattezze e ritrattazioni Malgrado Stefano Mele si autoaccusasse del delitto, la sua dichiarazione appare confusa, piena di inesattezze, accuse e poi ritrattazioni, dettagli apparentemente univoci che però poi risultano pieni di falle e privi di oggettività. La prima falla di questa torbida storia riguarda proprio un dettaglio sull’unico testimone di questo delitto, il piccolo Natalino: Stefano Mele dichiara di essere scappato dopo che il figlio lo ha riconosciuto, ma il figlio a sua volta dichiara di non aver visto e sentito nulla, ma di aver trovato la madre e lo zio morti e di essersi diretto dai De Felice. Il tragitto che avrebbe fatto il piccolo Natalino da solo è logicamente impossibile da compiere per un bambino di 6 anni poiché il terreno era scosceso, non vi era illuminazione e il piccolo era sprovvisto di scarpe. Un percorso di tre chilometri in un terreno di sassi e ghiaia, il piccolo non aveva nessuna ferita ai piedi: Come mai? Stefano Mele sembra avere una spiegazione a tutto e chiarisce anche questo punto, cambiando nuovamente le carte e ammettendo di essere stato lui ad aver accompagnato il figlio dai De Felice dopo aver ucciso la moglie e il suo amante. 
 
L’arma. Gli accertamenti appurano che si tratta di una Beretta calibro 22 Long Rifle in commercio dal 1959. Le munizioni sono Winchester con la lettera “H” impressa sul fondello del bossolo e provenienti almeno da due scatole da 50 munizioni ciascuna, palla a piombo nudo e palla in piombo ramato galvanicamente. La stessa pistola sparerà anche per gli otto duplici omicidi che hanno insanguinato la Toscana fino al 1985. Contro Barbara Locci e Antonio Lo Bianco furono sparati in totale otto colpi, quattro contro la donna e quattro contro l’uomo. 
 
Elementi di Condanna contro Stefano Mele: Ma quali sono gli elementi che gettano l’ombra del sospetto su Stefano Mele? Il primo riguarda l’arrivo dei Carabinieri la mattina del 22 agosto sotto casa sua, quando lui si affaccia immediatamente dalla finestra dicendo successivamente di averlo fatto perché aspettava la notizia. La contraddizione in merito al figlio, che prima dice di averlo lasciato in auto e poi ammette di averlo accompagnato da De Felice; senza alcuna indicazione da parte degli inquirenti ha saputo spiegare qual’era il luogo esatto in cui è stata rinvenuta l’auto ergo quella notte si trovava lì; ha ricostruito la dinamica del delitto, compreso il numero dei colpi sparati; l’accensione della freccia è un elemento che dimostrerebbe la sua presenza all’interno della scena poiché nel corso della ricostruzione si è verificata la medesima circostanza; la prova del guanto di paraffina che ha indicato una reazione sulla mano destra. Ma tali elementi possono considerarsi validi alla luce delle innumerevoli contraddizioni emerse in merito ai fatti sopracitati? 
 
Il movente: “Sembra indiscutibile affermare” che i motivi che avrebbero spinto l’uomo ad uccidere la donna e l’amante di essa fossero legati ad interessi oggettivi e non relativi alla sfera passionale, poiché l’uomo era a conoscenza delle innumerevoli frequentazioni della donna, era ben cosciente degli amanti che aveva nel periodo del loro fidanzamento e nel periodo postumo. Se il motivo fosse stato strettamente legato alla sfera affettiva, avrebbe potuto commettere il delitto molto prima poiché la moglie aveva un numero imprecisato di amanti anche nel periodo in cui i due erano fidanzati. I motivi di interesse hanno invece una base oggettivamente più stabile e logica rispetto al resto poiché l’uomo, fino ai quindi anni, Stefano Mele ha fatto il pastore in Sardegna dove non guadagnava molto. A seguito del suo trasferimento in Toscana le sue condizioni non cambiarono poiché si ritrovò senza un mestiere, semi-analfabeta e non riuscì a trovare un lavoro. Ha fatto numerose attività lavorative tra cui l’agricoltore, il manovale ma i guadagni sono stati sempre scarsi e non è mai riuscito a fare il grande salto. In quei caldi mesi del 68, Stefano Mele riscuote diverse somme di denaro: la prima in data 21 giugno di lire 480mila per un rimborso spese di un sinistro e l’altra di 24.625 lire, somma che si trovava nel borsello della Locci e che viene consegnata a lui. Un fattore scatenante che avrebbe spinto gli l’uomo ad uccidere la donna sarebbe da ricollegare alla riscossione dell’assicurazione da parte del Mele. Bisogna premettere che la donna non aveva mai avuto grandi disponibilità di denaro in vita sua e quella riscossione fu per lei motivo di spese e piccole spese. Viene attribuito come movente principale la sottrazione del denaro da parte della moglie per soddisfare i piaceri personali e dei suoi amanti. Tutti questi elementi hanno portato all’individuazione di Stefano Mele come unico autore del delitto. Malgrado vi siano innumerevoli incongruenze e l’assenza dell’arma del delitto, nel marzo del 1970 viene condannato dal Tribunale di Perugia in via definitiva a 14 anni di reclusione. Viene riconosciuto incapace di intendere e di volere e gli vengono inflitti due anni di calunnia contro i fratelli Salvatore e Francesco Vinci. 
 
Si torna a parlare di questo delitto nel periodo in cui l’Italia è terrorizzata dall’incubo del Mostro di Firenze. Il 19 giugno 1982  in località Baccaiano vengono barbaramente uccisi Antonella Migliorini e Paolo Mainardi. La coppia si era appartata a bordo di una Fiat 147 in uno spiazzale sulla Strada Provinciale Virginio Nuova. Il mostro li sorprende mentre fanno l’amore, spara uccidendo Antonella ma non riesce a completare il suo terribile piano anche con Paolo che, gravemente ferito, riesce ad azionare la retromarcia tentando la fuga, ma l’auto finisce in una scarpata, il mostro spara sui fari della macchina di Paolo. Ma tale tesi è oggetto di innumerevoli discussioni poiché molti sostengono  che lo spostamento dell’auto sia opera del Mostro e non dal Mainardi. Il fascicolo del 1968 ricompare proprio nel 1982 a seguito del delitto sopracitato e ci sono due teorie avvalorate da esperti e non: la prima riguarda un maresciallo che 15 anni prima aveva svolto servizio a Signa e avrebbe ricordato quello strano delitto avvenuto in quella calda estate. A seguito di ciò sarebbe stato recuperato il fascicolo, dove all’interno di esso vi erano ancora i bossoli con la serie “H” impressa sul fondello. La comparazione dei proiettili del 68 con quelli dell’82 ha stabilito che a sparare è stata la stessa arma. Il giornalista Mario Spezi, nel suo libro “Dolci colline di Sangue” collega il misterioso delitto del 1968 attraverso una circostanza che riguarda una lettera anonima giunta agli inquirenti con un ritaglio di giornale con un messaggio a penna con scritto “Perché non andate a rivedere il processo di Perugia contro Stefano Mele?”. Tale scoperta porta gli inquirenti a puntare il dito contro Francesco Vinci, già accusato per il delitto del 68. Viene posto in stato di fermo con l’accusa di maltrattamenti alla moglie, ciò per approfondire aspetti legati alla vicenda del Mostro di Firenze. Nel 1983 vengono uccisi Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch a Giogoli, Vinci in quel momento si trovava in carcere ergo non poteva mai essere lui il mostro quindi viene scagionato dalle accuse di omicidio. Fu brutalmente assassinato, insieme all’amico Angelo Vargiu,  il 7 agosto del 1993 in località Chianni. I loro corpi sono stati rinvenuti incaprettati, all’interno del bagagliaio della Volvo che a sua volta era stata data alle fiamme. Una vicenda torbida, strana, che sicuramente meritava ulteriori accertamenti.  . Dante Alighieri, nel Canto XVI del Paradino, descrive così Signa, luogo in cui si il primo delitto del Mostro di Firenze “Oh quanto fora meglio esser vicine quelle genti ch'io dico, e al Gazzuto e a Trespiano aver vostro confine, che averle dentro e sostener lo puzzo del villan d'Aguglion, di quel da Signa, che già per barattare ha l'occhio aguzzo!”.



MOSTRO DI FIRENZE: INTERVISTA A PAOLO COCHI SUL CASO CALAMANDREI

di Angelo Barraco

Firenze – Recentemente è apparsa su tutti i giornali nazionali la parola “Mostro di Firenze”, un tuffo nella memoria e nei tristi ricordi di cruenti fatti di sangue che hanno macchiato le campagne toscane e che, ad oggi, lasciano aperte le porte ad una vasta gamma di dubbi e perplessità in merito a cosa sia realmente accaduto in quelle calde notti e soprattutto a chi abbia commesso quegli atroci crimini senza precedenti. Si è parlato nuovamente della vicenda a seguito di una querela per diffamazione  presentata dal Dott. Francesco Calamandrei, all’epoca indagato come uno degli autori degli omicidi del Mostro di Firenze e assolto nel 2008 dinnanzi al Gup con rito abbreviato. Il  Dott. Calamandrei è deceduto nel 2012 e la sua memoria è oggi tutelata dalla famiglia. Il farmacista di San Casciano aveva querelato la produzione del film “Il Mostro di Firenze”, miniserie a sei puntate, perché presentava scene diffamatorie. Il Giudice del Tribunale di Firenze ha stabilito che Calamandrei non è stato diffamato e la produzione del film è stata assolta dall’accusa di diffamazione. 
 
Noi de L’Osservatore d’Italia abbiamo intervistato in esclusiva Paolo Cochi, famoso documentarista nonché autore di un libro sul Mostro di Firenze uscito da poco dal titolo “Mostro di Firenze, al di là di ogni ragionevole dubbio”, scritto con Michele Bruno e Francesco Cappelletti. Cochi ci ha parlato della vicenda processuale del Dott. Calamandrei. 
 
– Quando avviene il coinvolgimento del Dott. Calamandrei nella vicenda del Mostro di Firenze?
Nel 1988 fu oggetto di accuse tanto circostanziate quanto suggestive da parte dell'ex moglie, reiterate ossessivamente fino al 1992, allorquando la stessa scrisse un memoriale nel quale addirittura coinvolgeva Vigna. La donna fu dichiarata, dopo varie perizie psichiatriche, affetta da squilibrio mentale.
 
– Quali sono gli elementi investigativi iniziali che supportano un suo eventuale coinvolgimento?
Non fu rinvenuto nulla durante le perquisizioni al Calamandrei: pertanto, l'unico elemento d'accusa erano proprio le dichiarazioni della moglie.
 
– Quali sono invece gli elementi che escludono il suo coinvolgimento?
Non è mai stato trovato alcun elemento a carico, perciò non si può dire che vi fossero prove a discarico. gli elementi accusatori portati in giudizio , erano totalmente insufficenti .

– Come e quando si arriva all'assoluzione?
L'assoluzione fu pronunciata il 21 maggio 2008 in sede di giudizio abbreviato, perché il fatto non sussiste per insufficienza di prove. La sentenza non fu nemmeno appellata dal Procuratore della Repubblica.
 
In merito alla fiction e alla recente vicenda processuale Paolo Cochi ci ha riferito
La fiction che ha avuto ad oggetto le vicende del mostro e che è stata di recente oggetto di una pronuncia della Cassazione, oltre ad essere un prodotto scadente da un punto di vista televisivo, ha il difetto di essere totalmente parziale nel racconto dei fatti, tendendo ad evidenziare soltanto gli elementi d'accusa nei confronti di coloro che furono condannati. Non dà alcuno spazio ai fatti di segno opposto, nonostante gli stessi fossero emersi anche sui mass media, oltre che nei processi che si erano celebrati.



MOSTRO DI FIRENZE: ASSOLTA LA PRODUZIONE DEL FILM QUERELATA DALLA FAMIGLIA CALAMANDREI

di Angelo Barraco
 
Firenze – Non è stato diffamato il farmacista di San Casciano Francesco Calamandrei, indagato come uno degli autori degli omicidi del Mostro di Firenze e poi assolto nel 2008 dinnanzi al Gup con rito abbreviato. Questo è stato l’esito processuale e la decisione presa dai Giudici del Tribunale di Firenze che hanno assolto dall’accusa di diffamazione la produzione del film-tv “Il Mostro di Firenze”, una miniserie in sei puntate trasmessa sul canale Fox Crime dal 12 novembre al 10 dicembre del 2009 e con replica su Canale 5 nel 2010, su Iris nel 2011, su Rete 4 nel 2012 e nel 2013. Il Giudice Lisa Gatto ha assolto dall’accusa di diffamazione il presidente della società produttrice Wilder srl, Diego Fernando Londono; membri del cda della stessa società Lorenzo Mieli e Alessandro Tucci; il presidente della Fox International Channels Italy srl, distributrice del film, Edward Haslingden, e i consiglieri del cda Hernan Santiago Lopez e Karina Marcela Martin. Il processo è nato a seguito di una querela presentata dal Dott. Calamandrei, deceduto nel 2012, la cui memoria è oggi tutelata dalla famiglia. Alcune scene del suddetto film sono state ritenute diffamatorie. L’Avvocato Zanobini, legale della famiglia Calamandrei, ci ha riferito che “sono rimasto assolutamente sorpreso dell’assoluzione data, visto la sentenza precedente e visto quello che veniva rappresentato. Invece nel film non è assolutamente conforme  a quelle che sono state le prove acquisite sull’estraneità del Calamandrei”.  Si attendono adesso le motivazioni che hanno portato all’assoluzione, che saranno disponibili entro 90 giorni, poi faranno ricorso in appello.



PRESENTAZIONE LIBRO: "MOSTRO DI FIRENZE: AL DI LA' DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO", INTERVISTA A PAOLO COCHI

di Angelo Barraco
 
Firenze – Lunedì 30 maggio, alle ore 18, verrà presentato il libro “Mostro di Firenze, al di là di ogni ragionevole dubbio”, edito da Enigma Edizioni. Gli autori sono: Paolo Cochi, Michele Bruno e Francesco Cappelletti e lo presenteranno presso la Libreria Nardini di Firenze, in Via delle Vecchie Carceri all’interno del complesso delle Murate. Oltre agli autori vi saranno anche: L’Avvocato Cecilia Bevacqua, l’Avvocato Nino Filastò, l’Avvocato Fiammetta Pezzati e l’Avvocato Vieri Adriani, legale delle vittime francesi. Il libro verrà presentato una seconda volta in data 8 giugno presso la libreria CentroLibro di Scandicci alle ore 18 e vi presenzierà la criminologa Roberta Bruzzone, che ha curato la prefazione del libro. Gli autori hanno hanno ripercorso 48 anni di dubbi e misteri su uno dei fatti di cronaca più intrinseco di mistero che la storia italiana abbia mai avuto, una lunga scia di sangue che ha stroncato la vita ad almeno 16 vittime e morti “collaterali”. Gli autori hanno ricostruito l’intera vicenda con l’aiuto di esperti di medicina legale e di entomologia forense e criminologico. La vicenda raccontata attraverso i verbali, i rapporti giudiziari e atti ufficiali di un’inchiesta lunga e tortuosa, con il fine di una nuova valutazione e per evidenziare aspetti rimasti inediti. In questo libro viene totalmente scardinato il racconto del reo-confesso Giancarlo Lotti, che ha accusato i compagni di merende –cagionando loro la condanna- e si è autoaccusato. Il libro ridimensiona le dichiarazioni di Lotti e ne esce fuori un racconto privo di credibilità, alla luce di elementi oggettivi presenti negli atti del processo. Inoltre, tutta la cronologia degli eventi e nuove conclusioni emersi da recenti studi nel campo entomologico e medico legale che hanno portato alla luce una dicotomia inconciliabile con i risultati fino ad oggi processualmente accertati. Nel libro vi è inoltre una perizia medico legale comparativa tra il delitto del 1983 di Giogoli e il delitto di Scopeti datato 1985.
 
Noi de L’Osservatore d’Italia abbiamo intervistato in esclusiva Paolo Cochi, uno degli autori del libro nonché noto documentarista.
 
– Come nasce il libro?
 
Nasce dalla volontà degli autori di raccontare tutta l' interminabile vicenda, utilizzando i dati certi e reali, attingendo totalmente agli atti ufficiali. Tutta la storia viene esposta in maniera dettagliatissima e scevra da ipotesi o considerazioni personali, che troppo spesso hanno condizionato gli appassionati della vicenda creando addirittura "scontri" ideologici sulle varie tesi esistenti  . Sarà  dunque il lettore a farsi un'idea libera da condizionamenti . Non proponiamo tesi alternative , ma solo riscontri oggettivi derivanti dagli atti ufficiali.

– Cosa è emerso dai vostri studi sulla vicenda?

L'elemento più significativo, a mio avviso , riguarda il testimone reo-confesso e chiamante in correita' , Giancarlo Lotti. In un capitolo del libro si evidenziano le numerosissime incongruenze dei suoi racconti ed in talune circostanze ha sicuramente mentito. Nel suo confuso racconto sui delitti, racconta di situazioni ed elementi assolutamente impossibili. Non solo sul giorno del delitto di scopeti ma anche negli altri 3, nei quali avrebbe partecipato. Sul delitto di Baccaiano , ad esempio,  ci descrive una situazione materialmente impossibile, ma questa la potrete ben apprendere nel libro.
 
– Quali sono i punti da chiarire sulla vicenda del Mostro di Firenze?
 
La vicenda é totalmente da chiarire. A mio avviso si é arrivati ad una verità parziale dal punto di vista giuridico, che non si sposa affatto con quella storica .
 
– Alla luce dei nuovi elementi messi in evidenza, c'è la possibilità di riaprire il caso?
 
Il caso del mostro , non mi risulta si sia mai chiuso. Le indagini, come hanno gia' riportato alcuni media, sono ancora in essere. Anche in considerazione del fatto che 3 duplici omicidi, non hanno alcun colpevole dal punto di vista giudiziario. Penso sarà difficilissimo arrivare ad individuare il responsabile o i responsabili. Troppi anni sono passati .



MOSTRO DI FIRENZE: SI RIAPRE IL CASO. DUBBI SULLA PISTA DEGLI INQUIRENTI

di Angelo Barraco
 
Firenze – La storia del Mostro di Firenze è un terreno difficile da percorrere poiché spesso vi sono anni di silenzio che sembrano interminabili e poi all’improvviso saltano fuori novità. Noi de L’Osservatore D’Italia abbiamo deciso tempo fa di prendere in mano il caso e studiarlo, analizzarlo e abbiamo pubblicato un documento inedito che riguarda il delitto avvenuto a Scopeti nell’85, in cui hanno perso la vita Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot.
 
Le novità che abbiamo pubblicato a riguardo cambiano i connotati storici della vicenda e dei suoi protagonisti poiché forniscono dettagli certamente non trascurabili che dimostrano oggettivamente che il delitto sarebbe avvenuto nella notte tra il 6 e il 7 settembre del 1985 e non dell’8. Questi documenti li ha voluti condividere con noi il celebre documentarista Paolo Cochi, che si è avvalso di interviste fatto al Dr. Antonio Osculati, che è uno specialista in medicina legale dell’Università di Varese; il Prof. Giovanni Marello –istituto di medicina legale di Firenze, la Dr.ssa. Simonetta Lambiase – entomologa forense – biologa dell’Università di Pavia, il Dr. Sandro Federico – Capo della SAM, Squadra mobile di Firenze dal 1984 al 1989. Ma su questi punti torneremo a breve, analizziamo ora le novità emerse in questi giorni. 
 
Le novità. L’inchiesta del mostro di Firenze ricomincia, ricominciano le indagini, ricomincia tutto. Le indagini si concentrano su Rolf Reinecke, un tedesco morto nel 1996. L’uomo era già entrato nell’inchiesta sui delitti del Mostro di Firenze, ovvero quando avvenne il 9 settembre del 1983, a Giogoli, l’omicidio dei due tedeschi, Jens-Uwe Rüsch e Horst Wilhelm Meyer. Un delitto atipico rispetto agli altri poiché non avvenne l’asportazione del pube e anche perché si trattava di due uomini. Secondo quando si apprende, nei mesi scorsi è giunta in Procura una segnalazione anonima che si riferiva ai delitti compiuti tra il 68 e l’85. La Procura ha accertato la verifica ai Carabinieri dei Ros ed è coordinata dal pm Paolo Canessa, attuale procuratore di Pistoia e delegato ad indagare ancora sui delitti del mostro di Firenze. Rolf Reinecke era un imprenditore tedesco morto nel 1996 all’età di 59 anni e che viveva e lavorava a Vaiano. La macchina investigativa si è mossa e sono stati ascoltati amici ed ex dipendenti dell’uomo a Briglia. Le indagini dell’epoca hanno fatto emergere che l’uomo abitava a Giogoli, presso il comune di Scandicci, nelle vicinanze al luogo in cui furono uccisi i due tedeschi. E’ emerso che l’uomo possedeva una pistola calibro 22. Alla Briglia ha vissuto Salvatore Vinci dal 1963 al 1970. Salvatore Vinci è entrato nell’inchiesta del mostro di Firenze ed è stato sospettato di essere l’autore dei delitti. Quindi ritorna la pista Sarda.
 
La domanda sorge spontanea. perché indagare su questa nuova pista, quando vi sono elementi oggettivi che potrebbero condurre le indagini da tutt’altra parte? Gli inquirenti hanno in mano elementi oggettivi per poter investigare su quest’uomo? Eppure vi sono elementi oggettivi anche per poter investigare e ripartire dall’omicidio dell’85, elementi che smontano totalmente la verità processuale e aprono spiragli investigativi nuovi. Perché non partire da lì? 
 
L’Osservatore D’Italia vi propone un’esclusiva analisi sul Mostro di Firenze redatto dalla Dott.essa Rossana Putignano, Psicologa- Psicoterapeuta Psicoanalitica, la quale, sposando la tesi del killer solitario e del trauma evolutivo, traccia indirettamente un profilo del Mostro. 
 
Nel 1989 lo stato italiano chiedeva una collaborazione all’FBI Academy di Quantico in Virginia, la quale stilava una analisi sulla base del materiale, fornito in merito ai duplici omicidi attribuiti al c.d. “Mostro di Firenze”.  Scrive: “ il vostro aggressore deve essere quasi sicuramente un uomo bianco di origine italiana nativo dell’area. Deve aver avuto circa 25-30 anni quando iniziò questa serie di aggressioni nel 1968. Questo dovrebbe far pensare che sia intorno ai 45- 50 anni  (ndr. oggi dovrebbe avere all’incirca 71 – 76 aa.).Sarebbe da notare che il vostro aggressore debba avere una lunga storia criminale con periodi trascorsi in istituti o in carceri,m ma potrebbe essere molto più vecchio dell’età su indicata. Ha molta confidenza con scene del crim9ine e con l’area di Firenze in generale. Si sente a suo agio li e deve aver dei legami abbastanza stretti con quell’area. Ciò è evidenziato dalla lunghezza delle sue assenze, ma con successivo ritorni in quell’area in due occasioni,. Sembra essere nativo dell’area e potrebbe avere membri della sua famiglia che risiedono ivi” .Questo profilo tiene in considerazione anche l’omicidio del 1968 in cui persero la vita Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, il suo amante. Precisiamo che anche se il delitto del ’68 fu attribuito al Mostro, a livello processuale, dobbiamo considerare i delitti del mostro dal 1974 in poi, poiché per il delitto del ’68 fu processato e condannato Stefano Mele, marito della Locci.

 Quella sera, fu risparmiato solo Natalino, figlio della Locci, addormentatosi  sul sedile posteriore dell’auto. del 1968. Escludendo Natalino, incompatibile per età, se proviamo a immaginare l’omicidio del ’68 come la  “scena madre” a cui avrebbe assistito un soggetto in età evolutiva, orientativamente tra i 5 e i 10 anni, ovvero se immaginiamo che quell’omicidio avesse dato l’imprinting  a un soggetto che nel 1974 ha uccidere a seguito di un forte stress psicologico, oggi il mostro potrebbe avere all’incirca 54-57 anni. Per quanto concerne la fine dei delitti e eventuale cambio di MO, devo però lanciare la palla ai criminologi e agli esperti nel settore. 
La  “tesi del trauma”  sembra andare di pari passo con quella del killer solitario, il “ LUSTMURDER”,inteso come 
“soggetto che agiva scegliendo i luoghi e le situazioni ma non le vittime, che gli erano in genere sconosciute, sotto la spinta di un impulso sessuale abnorme nel quale confluivano cariche aggressive profonde, sessualizzate (sadismo sessuale) ed un desiderio sessuale  (ad orientamento quasi sempre eterosessuale) che in genere non trovava altre vie di appagamento se non quelle dell’azione sadica e delle fantasie sadiche masturbatorie, nell’ambito delle quali spesso si esauriva la sessualità exstradelittuosa”

Per contro, la tesi del killer solitario contraddice quella dei “compagni di merende” (ndr. Vanni,Pacciani e Lotti)  visti come esecutori materiali dei delitti ordinati dal “secondo livello”; seguendo l’ipotesi del “trauma evolutivo”, il nostro lustmurder potrebbe essere un soggetto che ha assistito, in età infantile, al delitto del 1968 oppure ha vissuto in un ambiente promiscuo sessualmente e violento allo stesso tempo. A mio avviso, il trauma potrebbe essere stato gestito attraverso una coazione a  ripetere della scena – attraverso il rituale maniacale – però, con l’inversione dei ruoli: il killer può, così, sperimentare il trauma, questa volta,  non più passivamente come vittima indifesa, bensì attivamente come carnefice. Non dimentichiamoci il ruolo occupato dalla fantasia: 
“ nella maggior parte degli assassini seriali, e in particolare in quelli sadici, le fantasie sono strettamente collegate al sesso e alla violenza, e hanno una fortissima valenza sessuale e rappresentano il motore scatenante dell’omicidio” (Mastronardi, 2005) .  
 
A un certo punto le fantasie irrompono e l’assassino necessita di ottenere la sua vendetta anche nel mondo esterno. Dopo l’omicidio, subentra una fase in cui ilo sk si sente appagato e questo periodo è di durata variabile e può coincidere, nella fattispecie del Mostro, alle “pause” tra un duplice omicidio e l’altro. A mio avviso, è errato ipotizzare che il Mostro abbia avuto una relazione sentimentale in queste pause, anche perché a livello psicopatologico sarebbe impossibile, inoltre era un iposessuale, con difficoltà nella consumazione di veri e propri rapporti sessuali. 
Secondo Mastronardi (2005) la possibilità che si possa reiterare il comportamento violento dipende dal grado di incidenza di alcuni fattori come:
 
-esperienze durante il primo omicidio (attrazione, repulsione, angoscia, soddisfazione) attraverso meccanismi di apprendimento S-R (stimolo- risposta)
-capacità o meno di un singolo omicidio di soddisfare il senso di inadeguatezza /frustrazione o il bisogno di controllo del soggetto
-rielaborazione di emozioni vissute durante l’omicidio dopo un certo periodo (a freddo)
-stimolazione proveniente dall’amplificazione da parte dei media della figura dell’assassino
-ulteriori stimolazioni frustranti provenienti dall’ambiente sociale dell’assassino
Il  modello del trauma che più si avvicina alla mia idea, è il “Modello di origine traumatica del comportamento omicidiario seriale di Hickey (1991) secondo il quale i crimini seriali sarebbero influenzati da una serie di fattori predisponenti e facilitanti che aiutano il “passaggio all’atto”:
 
Famiglia maltrattante
predisposizione genetica
Psicopatologia
Eventi traumatici (violenza di vario genere, situazione familiare instabile ecc.)
Socializzazione frustrante
Sessualizzazione anomala (precoce, violenta ecc..)
 
Secondo questo modello, il principale meccanismo scatenante del comportamento distruttivo è l’incapacità del killer seriale di gestire lo stress prodotto dagli eventi traumatici e l’impossibilità di ricanalizzare l’energia psichica in ambiti positivi. Inoltre, come da profilo FBI, si tratta di “una persona inadeguata e immatura sessualmente e che deve aver avuto pochi contatti sessuali con donne della stessa età”  e che “non deve aver avuto molto contatto con il pubblico a causa dei suoi sentimenti di inadeguatezza”. E’ chiaro che solo una persona che ha avuto un percorso di un certo tipo, un evento traumatico di una certa natura, che ha vissuto un contesto sociale disagiato in assenza di fattori protettivi e che ha sviluppato una sessualità anomala, può dare origine a un quadro psicopatologico cosi particolare come quello del Mostro. Concludendo, è inverosimile, se no n impossibile, che due persone traumatizzate, con la stessa psicopatologia e la stessa fantasia sadica e che abitano nello stesso luogo, possano uccidere solo coppiette, in auto e in procinto di avere un rapporto sessuale.
 

Ecco i documenti inediti che L’Osservatore D’Italia  ha pubblicato sul delitto dell’85 e che smontano totalmente la verità processuale.
 
– Dichiarazioni del dottor Sandro Federico – Capo della SAM Squadra mobile di Firenze dal 1984 al 1989. “Io vidi i poveri corpi dei ragazzi e devo dire che non mi sembravano morti la sera precedente. Anche tra i miei colleghi era presente questa convinzione. Nelle indagini che facemmo, non venne assolutamente trascurato il sabato. L'omicidio venne scoperto il lunedì , io non faccio il medico , ma di cadaveri ne ho visti tantissimi in tanti anni. Pur rimettendomi al parere degli esperti in materia, se vuole sapere la mia opinione, l'omicidio di Scopeti avvenne di sabato”.
 
– La tesi di Antonio Osculati – specialista in medicina legale presso l’Università di Varese “Possiamo ipotizzare, alla luce di tutti i dati a nostra disposizione, un intervallo tra decesso dei due giovani e primo sopralluogo (ricordiamo, avvenuto alle 17 del 9 settembre 1985) stimabile in circa due giorni e mezzo. In particolare, a nostro avviso l’omicidio è avvenuto nella notte fra il 6 e il 7 settembre 1985. Possiamo escludere pressoché con certezza che il decesso sia avvenuto la sera precedente il primo sopralluogo (ossia domenica 8 settembre 1985). Possiamo affermarlo sulla base dei fenomeni trasformativi presenti al momento del primo sopralluogo (ore 17 di lunedì 9 settembre 1985): enfisema, reticolo venoso putrefattivo ed epidermolisi, per quanto il clima fosse caldo, suggeriscono che non possono essere trascorse meno di ventiquattro ore. Inoltre, sebbene il rigor fosse presente al momento del sopralluogo, la sua risoluzione completa il giorno seguente (martedì 10 settembre 1985) suggerisce che il decesso sia avvenuto nel terzo giorno precedente l’autopsia. Al tavolo anatomico, il giorno dopo il ritrovamento, dove è disponibile iconografia relativa anche al cadavere dell’uomo, possiamo apprezzare come i fenomeni trasformativi non abbiano grosse differenze tra l’uomo e la donna. Da ciò si può desumere che la permanenza all’interno della tenda non abbia modificato in maniera sensibile l’andamento dei fenomeni post mortali. La presenza dei fenomeni trasformativi più avanzati (enfisema, epidermolisi, reticolo venoso) e la presenza del rigor al momento del primo sopralluogo consente di formulare l’ipotesi di un intervallo tra decesso dei due e primo sopralluogo (ricordiamo, avvenuto alle 17 del 9 settembre 1985) stimabile in circa due giorni e mezzo. In particolare, a nostro avviso l’omicidio è avvenuto nella notte fra il 6 e il 7 settembre 1985.”
 
– Prof. Giovanni Marello – istituto medicina legale di Firenze:“ Mi occupai dei delitti del cosiddetto mostro fin dal 1974 e nell'85 ero in sala autoptica solo in maniera molto laterale , tuttavia posso confermare che quel caso fece molto discutere per quanto riguarda la cronologia della morte. Ci fu una grande discussione, non soltanto tra i periti , ma anche fra di noi della medicina legale. L'aver attribuito la morte alla domenica fu una spinta del Prof. Maurri che era il più esperto tra di noi ed ha avuto l'ultima parola in proposito, ma in realtà le persone che hanno partecipato all'autopsia non erano del tutto sicure, perché c'erano alcuni elementi che la facevano anticipare. Le foto che ho potuto riesaminare dei cadaveri sono abbastanza significative per anticipare la data dell'evento alla sera del sabato, perche ci sono fenomeni putrefattivi molto avanzati e c'e' uno sviluppo di larve notevole, anche sul cadavere dell'uomo che a differenza della ragazza si trovava all'esterno della tenda, nel bosco e quindi non esposto all'eccessivo calore che fu attribuito alla tende stessa. Sull'entomologia cadaverica non avevamo una preparazione sufficiente , adesso la situazione è molto cambiata in questi ultimi anni.”

– Cochi ha inteso rivolgere una domanda a Marello: Quanto può essere valido , effettuare una valutazione sulla base di fotografie e delle relazioni ?
“Consideriamo due fattori. Le relazioni medico legali hanno la caratteristica di essere descrittive di quello che si sta esaminando, quindi l'operatore descrive la situazione che sta constatando e non fa diagnosi, che viene riportata solo alla fine della relazione ,per cui già la descrizione può essere utilizzabile al fine di una rivalutazione…. in più le foto che rievocano visivamente di quello che si é descritto servono in maniera preponderante a dare un quadro molto obbiettivo della situazione”.
 
– dr. Simonetta Lambiase entomologa forense – biologa dell 'Universita di Pavia: “Ipotizzando di trovarci di fronte a delle specie di mosca comuni presenti in quell'area geografica , con quelle condizioni metereologiche e considerando che la temperatura media di quei giorni era di 23 gradi, secondo i dati meteo, ritengo , esaminando le foto dei soggetti e leggendo la relazione dei CTU, bisogna necessariamente retrodatare l'evento delittuoso. Ci sono tuttavia dei limiti nella valutazione che riguardano il mancato rilevamento della specie di larva e la situazione microclimatica all' interno della tenda, ma comunque il tempo attribuito dai CTU è troppo stretto, in ogni caso”.
 
L'analisi: Ricordiamo che nel delitto dell’85 a Scopeti, l’assassino, oltre a nascondere i corpi per ritardare la scoperta, e invia un lembo del seno sinistro alla Dott.ssa Silvia Della Monica. Quella famosa lettera venne spedita da San Piero a Sieve, un paesino del Mugello dove il Magistrato Della Monica aveva, proprio in quell’anno, la sua residenza estiva. Perché non iniziare da qui le indagini, anche alla luce degli elementi che spostano la data della morte? Analizzando bene le circostanze, l’assassino spedì in procura una lettera dal paesino in cui risiedeva la Dott.ssa, ciò porta a pensare che fosse vicino alle indagini. E se il mostro fosse una persona all’interno dell’ambiente investigativo, per esempio un membro delle forze dell’ordine? Infondo gli elementi che confuterebbero tale tesi ci sono; il primo è la segnalazione anonima che arrivò in Procura in merito al delitto del 1968, lettera anonima che invitava gli inquirenti a rivedere il fascicolo del 1968 e casualmente in quel fascicolo vi erano ancora i bossoli serie H repertati in quel delitto ancora conservati . Soltanto chi era dentro le indagini e chi aveva consultato quei fascicoli poteva sapere l’esistenza del fascicolo stesso e dell’esistenza dei bossoli che erano l’unico elemento di collegamento con tutti gli altri duplici omicidi, poiché nel 68 vi era stato un condannato, ovvero Stefano Mele. L’uomo disse, durante la sua prima deposizione, che la pistola la gettò; e se la pistola non fu repertata ma invece sottratta da un poliziotto? Ricordiamo che il modus operandi cambiò nei successivi omicidi. Nei giorni successivi all’arresto di Mele, furono fatte delle perquisizioni; e se proprio durante quelle perquisizioni avvenne la sottrazione dei bossoli? Vi sono elementi sufficienti per indagare anche su questa pista.