Ludopatia: l’ennesimo paradosso dello Stato italiano

Il nero in Italia è ovunque. Anche nel gioco d’azzardo. E lo Stato resta a guardare. Nessuno si è filato l’allarme lanciato sui giochi fuori controllo. Una barcata di soldi tirati fuori da Snai, l’associazione di categoria che raggruppa la maggior parte degli operatori nel settore delle scommesse ippiche e sportive, per gridare invano aiuto al governo. Ora, premesso che il gioco d’azzardo non ha ragione di esistere, è un cancro che distrugge uomini, donne, troppe famiglie, che per di più è causato direttamente da chi dovrebbe tutelare il nostro benessere, cioè lo Stato, che è raccapricciante perfino provare a difendere chi lo pratica in modo legale, la realtà non può essere ignorata. Soprattutto quando si tratta di mercato nero, un cancro nel cancro dell’azzardo. Maurizio Ughi, amministratore di Snai servizi, firmatario dell’sos, scrive a caratteri cubitali che “esiste una rete in forte espansione da circa un decennio che vende giochi e scommesse senza autorizzazione dello Stato italiano”.

 

Non fa mai male rispolverare la diagnosi del cancro. Il gioco d’azzardo ha un giro d’affari di 90 miliardi di euro. Quello illegale ne fattura dieci. È la terza impresa del Paese e non conosce crisi. Sono 800 mila i giocatori dipendenti e 2 milioni quelli a rischio. Per la patologia, inserita nei Lea (Livelli essenziali di assistenza), lo Stato non ha mai sborsato un centesimo. Lo Stato (che non è mai stato) ci deve delle spiegazioni. Dispiace sapere che a Milano il Tar ha dato torto al Comune, che saggiamente aveva stabilito orari limitati per le sale slot, dalle 9 alle 12 e dalle 18 alle 23 (che è già un lasso di tempo mostruoso per concedere alla gente di buttare via soldi e cervello). Dispiace anche che il Tar abbia deciso lo stesso a Pavia, altra amministrazione che aveva ridotto l’attività delle macchinette. E dico grazie a quei sindaci che lottano contro la ludopatia. Come quello di Sori (Genova), che ha proposto di scontare del 10 per cento la tassa sui rifiuti ai gestori che eliminano le slot dai locali. Quello di San Giorgio (Mantova), che ha annunciato di toglierle dai centri sportivi. Grazie anche a tutti quelli che aderiscono alla campagna nazionale “Mettiamoci in gioco”, al Movimento “No slot” , a Senzaslot.it (i bar senza slot) e a tutte le altre iniziative nate per contrastare il gioco pericoloso.

 

Assodato è che il gioco d’azzardo, prodotto dallo Stato, viene anche curato dallo stesso con campagne sul divieto di gioco per i minori. È lecito, dunque, pensare che ci sia una contraddizione tra la legalizzazione del gioco d’azzardo e la necessità di tutela e cura per chi si ammalasse di ludopatia? Sembra proprio di sì. Da una parte l’amministrazione centrale non sembra disposta a rinunciare agli introiti che derivano dal giro d’affari di lotterie, “macchinette” e giochi on-line. Dall’altro non può neppure abbandonare a se stesse le vittime di questo meccanismo perverso.

 

Il che è un po’ come dire che lo Stato combatte un nemico che si crea da solo. Infatti il fenomeno non è sempre esistito in queste proporzioni. L’allarme sociale per la ludopatia è un fatto recente. Quindi, si tratta di capire cosa è accaduto negli ultimi anni. Perché la pratica dell’“azzardo”, dapprima sopportata e contrastata, a poco a poco è stata assunta tra le attività promosse e controllate dal settore pubblico? Pare ci sia quasi stato una sorta di cambiamento culturale.

 

Fino ai primi anni ‘90, infatti, il monopolio pubblico del gioco d’azzardo in Italia ha sempre cercato di regolare e “contenere” il fenomeno. Poi è qualcosa è cambiato. La metamorfosi è iniziata con il moltiplicarsi delle incarnazioni dei giochi ufficiali, come il Lotto, con l’espandersi delle scommesse sportive e con il diluvio di lotterie istantanee, “Gratta e Vinci”, “Win for life” e così via. Tutte proposte ben accompagnate da pubblicità accattivanti, che invece di scoraggiare al vizio, da anni invitano gli italiani a sprecare i propri soldi nell’illusione di «vincere facile».
Una propaganda che in un ventennio ha segnato in maniera massiccia la cultura popolare italiana. Ad oggi circa la metà della popolazione è composta di giocatori abituali. Basta passare pochi minuti in un bar, in una tabaccheria, in un autogrill, per rendersi conto di quanto sia diffusa l’abitudine al gioco. Evidentemente, lo Stato considera i prelievi sui giochi una sorta di irrinunciabile “bancomat”, cui ricorrere per fare cassa, e i problemi che ne derivano un inevitabile insieme di effetti collaterali.

 

Un discorso che vale anche per altre deplorevoli dipendenze, come ad esempio quella da nicotina. Ma nel caso delle sigarette, lo Stato vieta la pubblicità. Anzi, da qualche anno ha varato norme stringenti per i fumatori e avviato vere e proprie campagne di contrasto del fenomeno. Se il fumo fa male, non si può dire «fuma responsabilmente». Da un po’ di tempo, invece, alla fine degli spot sui giochi c’è proprio un ipocrita invito alla responsabilità. Quasi che lo Stato voglia pulire la propria cattiva coscienza lasciando ogni colpa al singolo giocatore.È come se dicesse: «se dai retta al mio autorevole e attraente invito a farti male, a perdere la tua salute e il tuo denaro, la responsabilità è solo tua». Comodo vero?

Per meglio comprendere la situazione attuale, analizziamo uno dei giochi più frequenti e che attirano sempre più consumatori grazie alle grafiche accattivanti e all’elevato numero di premi “bassi”: I gratta e vinci, da cui ne deriva anche la pubblicità il quale inno è: “Ti piace vincere facile?” , ebbene sarà davvero così facile?

Il Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, riporta all’articolo 7 una serie di “Disposizioni in materia di vendita di prodotti del tabacco, misure di prevenzione per contrastare la ludopatia e per l’attività sportiva non agonistica”. Nello specifico, al comma 4 bis, dispone che “La pubblicità dei giochi che prevedono vincite in denaro deve riportare in modo chiaramente visibile la percentuale di probabilità di vincita che il soggetto ha nel singolo gioco pubblicizzato. Qualora la stessa percentuale non sia definibile, e’ indicata la percentuale storica per giochi similari.”
Probabilità media di vincita delle lotterie nazionali ad estrazione istantanea, cosiddette “Gratta e Vinci”: 1 su 3,53. Il valore complessivo medio della restituzione in vincite può raggiungere il 75% dell’incasso. La probabilità di vincita è riferita al numero di biglietti vincenti uno o più premi, tra quelli individuati con i decreti di indizione delle lotterie, rapportato al numero complessivo di biglietti costituenti i lotti prodotti e immessi sul mercato per la vendita, anch’esso definito nei medesimi decreti di indizione delle lotterie. Il numero dei premi non coincide con il numero di biglietti vincenti: ciascun biglietto vincente può contenere uno o più premi.

Dopo questi cenni noi de L’Osservatore d’Italia abbiamo voluto capirne di più provando a chiedere una percentuale di vincite fatte con i Gratta e Vinci, presso una rivendita di tabacchi del centro storico di Potenza, in Basilicata, prendendo in esame i biglietti le quali vincite sono state riscosse in una settimana. Nel dettaglio, raggruppando i tagliandi principali e più venduti, in base al prezzo di vendita, abbiamo ottenuto questi risultati:
20 euro: 1 vincente ogni 2,9 tagliandi;
10 euro: 1 vincente ogni 3,4 tagliandi;
5 euro: 1 vincente ogni 3,9 tagliandi;
3 euro: 1 vincente ogni 4,2 tagliandi;
2 euro: 1 vincente ogni 4,6 tagliandi;
1 euro: 1 vincente ogni 4,9 tagliandi;

Naturalmente la quantità di tagliandi vincenti non è significativa o comunque utilizzabile per determinare una media delle quote dei premi ridistribuiti con i tagliandi vincenti stessi, in quanto frequentemente si sono presentate vincite multiple su alcuni tagliandi. Dopotutto lo scopo del nostro studio (sia sempre chiaro questo concetto) non è quello di stabilire quanto si vince, ma le reali percentuali di probabilità di vincita che si avrebbero comprando un tagliando al giorno e spiegando perché anche in questo caso “Il gioco non vale la candela”. Qualitativamente parlando, il tipo e la quantità di premi presenti su ogni tagliando vincente, per ogni serie di tagliandi, è prestabilito in base al montepremi predeterminato al tipo ed alla serie del tagliando stesso (montepremi = introiti totali di vendita esclusa la quota da riferire a tutte le voci detrattive, cioè AAMS (Azienda Autonoma Monopoli di Stato), costi di organizzazione, produzione e distribuzione, guadagno rivenditori) , ragion per cui è chiaro il fatto che l’incasso dello Stato non sarà mai uguale o inferiore rispetto all’incasso del singolo giocatore.

E’ conveniente fare questo tipo di gioco? Assolutamente no, perchè questo metodo infatti garantisce la vincita con elevate percentuali di riuscita, ma non l’attivo economico, in quanto comprare 5 gratta e vinci da 20 euro comporta una spesa di ben 100 euro, ma il tagliando vincente potrebbe essere di una somma nettamente inferiore, anche di 20 euro soltanto, ed alla fine vi trovereste ad avere speso 100 euro per ottenere una vincita di soli 20 euro. Lo Stato, infatti, prende sempre di più di quello che da, finendo in uno dei conflitti d’interesse più importante della storia, insieme al fenomeno del tabagismo.

Giulia Ventura




Il fumo: un’ipocrisia di Stato

Il primo a fumare fu un inglese, un tale sir Walter Raleigh, che introdusse Il vizio del fumo e quando il suo maggiordomo lo vide, pensando che stesse per prendere fuoco, gli buttò addosso un secchio di acqua gelata! Fu quella la prima doccia fredda del fumatore di tabacco! Da allora il fumo di sigaretta fu in continua espansione; in Francia, un altro saggio, Jean Nicot, da cui il termine “nicotina”, ebbe l’idea di creare la sigaretta, che al contrario del puzzolente sigaro sembrava più conveniente per le signore, infatti la forma più snella si prestava meglio per il fumo delle donne che non era corretto tenessero in bocca un voluminoso sigaro! Fu dunque creata la più micidiale sigaretta.

 

Guai a provare a fumare la prima sigaretta: ne deriva una dipendenza dal fumo che si instaura in breve, e da cui sarà difficile scostarsi. Pertanto è sulla prevenzione che dovrebbero essere spese le energie! Per dare idea del problema diremo che nel mondo fumano un miliardo e cento milioni di persone; (1/3 della popolazione mondiale sopra i 15 anni) di cui circa trecento milioni in Cina (circa 60% maschi e 10% femmine); la maggior parte di questi si trovano nei paesi in via di sviluppo. Un terzo delle donne fuma nei paesi industrializzati ed un ottavo delle donne fuma nei paesi in via di sviluppo. Il più alto tasso di fumatori maschi è in Corea del Sud (68%), il più alto tasso di donne fumatrici è in Danimarca (37%)

 

Uno dei più grandi conflitti d’interesse per lo Stato Italiano è, da sempre, rappresentato dal Tabacco. L’Italia guadagna il 74 per cento del costo del pacchetto. Inoltre lo Stato incassa anche la percentuale destinata al produttore (16 per cento) nel caso in cui la sigaretta venduta e’ quella prodotta dal Monopolio di Stato. Grazie alle tasse delle sigarette nel 1999 sono entrati nelle casse ben 17 mila miliardi. Il Monopolio di Stato si è trasformato in Ente Tabacchi Italiani (ETI), sempre statale ma che ha avviato alla privatizzazione la struttura della manifattura di Stato. Come dichiarato dagli stessi dirigenti dell’ETI in Italia 14 stabilimenti producevano tanto quanto viene prodotto in un solo stabilimento della Philip Morris in Olanda. Il fatto che il tabacco crei posti di lavoro e’ una teoria che spesso ne legittima l’esistenza. Ben poca evidenza viene data al fatto che il tabacco contiene una droga (la nicotina, catalogata come tale dalle autorita’ sanitarie mondiali più importanti), questa droga andrebbe venduta in farmacia come sostanza stupefacente, che crea dipendenza e induce a fumare oltre alla nicotina una quantità di catrame che provoca la morte a 90.000 persone ogni anno in Italia.

Lo Stato preferisce le entrate immediate (i tabaccai a cui spetta il 10 per cento del costo del pacchetto, pagano settimanalmente alla consegna della merce il prezzo integrale delle sigarette che acquistano) senza tenere conto dei costi sanitari che a lungo termine il vizio del fumo provoca. Tra cure per il cancro, asma, bronchiti e giornate lavorative perse la spesa sanitaria determinata dal fumo ammonta a circa 17.000 miliardi l’anno, che corrisponde piu’ o meno alla cifra che lo Stato incassa con le tasse sulle sigarette.
Eppure l’unica droga di stato, la nicotina, non solo viene accettata ma spesso mitizzata dalle industrie che ne traggono profitto economico. Tra queste industrie c’è ancora il Monopolio di Stato che ha cambiato il nome.

 

Prevenire senza guadagnare Come già detto la libertà del fumatore non può danneggiare la salute di chi non fuma. D’altro canto è lo Stato che ha permesso ai fumatori di sentirsi liberi di fumare, anche nei luoghi chiusi: Durante il secolo scorso era possibile fumare addirittura nelle corsie degli Ospedali. La maggior parte dei politici e i mass-media hanno spinto per decenni le immagini del fumo come una semplice e perdonabile espressione comportamentale umana naturalmente viziosa, mai sottolineandone la dipendenza che provoca, e la gravita’ dello “spaccio” di nicotina da parte dello Stato. Una delle cause di morte in ascesa nel mondo e’ il tabacco, unitamente all’AIDS. La prevenzione deve essere diretta ai giovani. Perché l’82 per cento dei fumatori prende il vizio durante l’adolescenza e il numero di giovani che iniziano a fumare e’ in crescente aumento (fonte: Lega Italiana Contro i Tumori).
L’ufficio VI del Dipartimento della Prevenzione, che riceve per conoscenza le segnalazioni del Ministero delle Finanze al Comando Generale della Guardia di Finanza, circa le infrazioni alla norma di divieto della pubblicità dei prodotti di tabacco, anno per anno, non ha visto affluire al suddetto capitolo somme che permettessero negli ultimi anni, la realizzazione di specifiche attività di ricerca e prevenzione.

Questa non e’ ipocrisia di Stato, ma qualcosa di inclassificabile.
1- Si promulga una legge secondo la quale la pubblicità diretta e indiretta ai tabacchi è vietata per legge.
2- Si prevede che la prevenzione e la ricerca per la lotta al tabagismo debba finanziarsi con le sanzioni pecuniarie che dovrebbero essere pagate dai trasgressori. Ci sarebbe già molto da obiettare sul fatto che la prevenzione venga cosi’ poco programmata dal Ministero, facendola dipendere da una variabile esterna e non da una seria programmazione.

 

La faccenda andrebbe interpretata cosi’: chi pubblicizza paga affinchè lo Stato possa controbilanciare. Qualcosa non torna. Le scritte delle sigarette compaiono insieme alle immagini, a colori, dei danni che il fumo provoca, tale prevenzione viene pubblicizzata dallo stesso Stato che vende e pubblicizza anche la sostanza. Le multinazionali del tabacco sponsorizzavano, fino a qualche anno fa, uno degli sport più popolari e seguiti dai giovani, la Formula Uno. Si dice che per diritto di cronaca non si può fare a meno di trasmettere i gran premi. Scavando nella storia abbiamo la sensazione che ci siano troppi interessi. La legge viene presa in giro da quasi tutti i mass-media. Rai in primis,in quanto TV di Stato, tanto per stare al detto: “Se la cantano e se la suonano”.

Troviamo negli archivi della RAI una trasmissione celebrativa sulla Ferrari condotta da Bruno Vespa. Che avrebbe dovuto rispettare una legge italiana e non quella di mercato e chiedere di eliminare dalle Ferrari, da tutto (perchè era ovunque) il marchio “Marlboro”. Certe apparizioni televisive servono soprattutto per il bene degli sponsor, evidentemente. Sprezzanti della legge italiana. O può essere anche in questo caso al diritto di cronaca? La Philip Morris, padrona del marchio “Marlboro”, rappresentava lo sponsor principale della casa di Maranello?
E come giustificare i giornali che “facendo cronaca” inseriscono sempre foto dove sono bene in vista i marchi di sigarette? Basterebbe poco per evitare questa sponsorizzazione “indiretta”.
D’altro canto le multinazionali del tabacco hanno da sempre attivato raffinate campagne marketing al fine di mitizzare il fumo, per renderlo un comportamento umano “figo”, da adulto, utilizzando i miti del cinema e dello sport.

Oggi, si cerca di “mettere le pezze a colori”, in tutti i sensi. Stiamo assistendo ad un meccanismo indiretto di “smitizzazione” del fumo, il quale viene oggi osannato e fatto sembrare pari alla peste nera, mentre lo Stato continua comunque a guadagnare grazie a chi la dipendenza la ha ancora radicata. Questo mercato nel mondo è complesso e variegato: ogni nazione ha le proprie leggi che ne regolano il commercio, la distribuzione e la vendita. Ogni fumatore può trovare il tabacco che più gli piace tra migliaia di referenze ed etichette, così da soddisfare i propri gusti personali, insomma esistono le etichette a colori che rappresentano i rischi, ma rimane una presenza importantissima per i fondi Statali. Padronissimo, ognuno di noi, di voler fumare e quindi diventare impotente, o insomma vedersi ridotta la potenza. Ma non padrone di fumare in auto con minori. L’impotenza, o la minor potenza, degli adulti è una loro scelta, ma la potenza dei minori è un loro diritto. Per non parlare dei feti. Ormai sappiamo che i feti, mesi prima di nascere, sentono la musica che la madre ascolta, gli americani dicono di aver perfino registrato all’ecografia che se sentono musica rock i nascituri muovono i piedini, mentre se sentono musica classica muovono le mani. È stato affermato che, se prima di nascere hanno sentito più volte una canzone e dopo nati la risentono, ebbene, la riconoscono. Sarebbe molto bello se fosse vero. Ma comunque, è bruttissimo che appena nati sentano il sapore di fumo che hanno sentito prima di nascere. La madre incinta non fuma, se ama il figlio che verrà. E dopo non fuma, se ama il figlio appena venuto. E in presenza di una donna incinta non si fuma. Si potrebbe andare avanti: neanche in presenza di figli in età infantile o minorenni. In treno è assurdo che si fumi nelle toilette, dove il fumo impregna l’abitacolo indelebilmente. Adesso le scritte sui pacchetti saranno più chiare: «Il 90% del cancro ai polmoni è dovuto al fumo», «Il fumo può uccidere il feto», «Il fumo causa ictus», segue foto del fumatore in carrozzella. Capirei se fosse una campagna che l’Organizzazione Mondiale della Sanità rivolge ai venditori di sigarette. Ma è una campagna dello Stato, venditore monopolista di sigarette. Allora, perché le vende? La risposta è semplice: Per un tornaconto economico. Se ogni fumatore lo capisse, sarebbe più ricco e sicuramente avrebbe una percentuale di mortalità inferiore.

Giulia Ventura