CASO ELENA CESTE: MICHELE BUONINCONTI VUOLE RIVEDERE I SUOI FIGLI, PRESTO UDIENZA

di Angelo Barraco

Asti – Due dei quattro figli di Michele Buoninconti saranno ascoltati dal Tribunale dei Minori di Torino in un’udienza videoregistrata. I due ragazzi sono ottimi studenti e attualmente sono affidati ai notti materni e agli zii, verrà chiesto loro se vogliono rivedere il padre dopo un anno e mezzo. La famiglia Ceste è rappresentata dai legali Zaro e Tabbia ed è contraria al contatto tra padre e figli, bisogna inoltre ricordare che la patria potestà a Michele Buoninconti è stata sospesa. La data dell’udienza non è stata ancora fissata ma la difesa di Buoninconti si dice pronta a tirare fuori una serie di contro perizie per smontare l’accusa. 
 
Michele Buoninconti è stato condannato, in primo grado, a trent’anni di carcere per l’omicidio della moglie Elena Ceste. Ripercorriamo quella tragica mattina e ciò che è successo. Motta di Costigliole D’Asti, pochi abitanti che si conoscono tutti. Sono le 08:15 del 24 gennaio, Elena è solita accompagnare i figli a scuola ma quella mattina non si sente bene e chiede al marito di accompagnarli. Alle 08.35 il marito, Michele Buoninconti, rientra a casa e trova vicino il cancello i vestiti di Elena e gli occhiali dalla quale la donna non si separava mai perché miope e sul tavolo trova la fede nuziale. Elena sparisce, da qui inizia un mistero fitto. Elena sparisce in venti minuti, stando al raccondo del marito, un spazio temporale oggettivamente scarso. Una donna nuda si sarebbe notata subito e invece nessuno vede Elena nuda camminare per strada. Il marito, appena tornato a casa e dopo aver visto quei vestiti per terra si allarma perché per lui è una vergogna che una donna cammini nuda per strada e allora si mette alla ricerca della donna ma non trova nulla. Il marito dichiara che la donna, la sera prima della scomparsa era agitata, e il marito, dopo aver chiesto quale fosse il problema, la donna rispose di aver combinato un guaio e di essere sulla bocca di tutti stupendosi di come il marito non fosse a conoscenza di tale cosa.
 
Il marito dichiara  che Elena quella notte gli fece leggere degli sms che la donna avrebbe ricevuto da altri uomini, Michele dichiara anche che la donna chiese a lui di non mandare i figli a scuola perché pensava che fossero a rischio e che qualcuno li avrebbe presi. Durante le prime indagini salta fuori la vita di Elena attraverso i social network. Michele, durante la prima fase delle indagini punta subito il dito su due persone, accusandole di essere coloro che importunavano Elena e quindi di essere stati loro ad averla istigata all’allontanamento. Vengono verificate le posizioni di queste persone e risulta che queste due persone hanno un alibi e non possono essere loro.
Vengono analizzati dalla polizia scientifica i vestiti che Michele dice di aver trovato vicino al cancello, ma su di essi non vi è traccia alcuna di esposizione all’atmosfera ergo quei vestiti non sono mai stati lì fuori poiché se fossero stati fuori ci sarebbero stati elementi scientifici che avrebbero supportato questa tesi. I racconti di Michele appaiono confusi, strani e spesso alquanto sospetti. 
 
Il cadavere di Elena Ceste è stato rinvenuto in data 23/10/2014 all’interno di un canale di scolo che dista 2 Km di distanza da casa sua. La causa della morte è probabilmente l’asfissia. I medici scrivono: “lo stadio evolutivo del processo trasformativo cadaverico è coerente con l'epoca della scomparsa della donna, si può ritenere che il corpo della Ceste sia sempre rimasto nel luogo ove furono rinvenuti i resti. Si deve altresì affermare che il corpo pervenne nel luogo in cui ne furono ritrovati i resti completamente nudo” continuano dicendo “l'autopsia non esclude che l'intero corpo fosse immune da lesioni da arma da taglio o da fuoco, anche se tale ipotesi deve ritenersi malsicura, si affaccia, più probabile, l'ipotesi di una morte per asfissia”. 
 
Viene effettuato un altro sopralluogo dopo il ritrovamento del cadavere, e viene ritrovato un telo, classico telo utilizzato nelle serre. Il telo si trovava poco distante dal luogo di rinvenimento del cadavere e si iniziano ad avvalorare le prime ipotesi: e se il telo in questione fosse stato utilizzato per trasportare il corpo?
Le varie ricerche hanno portato a rinvenimenti ossei sparsi e c’è la probabilità che nei prossimi giorni, durante le ricerche che si stanno svolgendo, vengano fuori altri reperti ossei. 
Ma come è morta Elena? L’acqua del canale di scolo era alta pochi centimetri al momento del ritrovamento, la condotta, lunga tre metri, passa sotto la ferrovia. La scoperta non è avvenuta ad opera dei carabinieri ma è avvenuta in modo estremamente casuale da un dipendente del comune.
 
Quel canale non veniva pulito da anni e invece gli altri canali erano stati puliti, quindi soltanto chi conosceva quella zona, avvalorando l’ipotesi dell’omicidio, avrebbe potuto portare il corpo lì per via di una conoscenza logistica. Il cadavere è stato trovato con il volto riverso nel fango e privo di indumenti, ma Elena poteva percorrere quella strada a piedi per poi morire lì? Chi ha ispezionato la zona ha detto chiaramente che il livello dell’acqua era molto basso quindi l’ipotesi del suicidio crolla come un castello di carta.
Il 29 gennaio 2015, I carabinieri di Asti hanno arresto Michele Buoninconti, marito di Elena Ceste. L’accusa è omicidio volontario premeditato e occultamento di cadavere. L’arresto è avvenuto su ordine del gip di Asti Giacomo Marson che ha accolto la richiesta del PM Laura Deodato. Michele Buoninconti si dichiara innocente dal carcere e dice di non essere stato lui ad uccidere la moglie ed invita gli inquirenti a cercare il vero colpevole.



MICHELE BUONINCONTI: TORNA IN TRIBUNALE ACCUSATO DI AGGRESSIONE A TROUPE TELEVISIVA

di Angelo Barraco
 
Asti – Torna nell’aula del Tribunale di Asti Michele Buoninconti, condannato in primo grado a 30 anni di carcere per l’omicidio di Elena Ceste. Il Vigile del Fuoco è arrivato in aula dal carcere di Verbania con la polizia penitenziaria. Capelli e barba lunghi, era visibilmente sereno. Davanti al Giudice di Pace Rita Falco deve rispondere dell’accusa di aggressione a una troupe televisiva della nota trasmissione televisiva Porta a Porta. Ricordiamo che Michele Buoninconti, il marito di Elena Ceste, è stato condannato a trent’anni di carcere per l’omicidio della moglie, trovata cadavere a pochi metri da casa ad Asti. La sentenza è stata letta dal Giudice Roberto Amerio che ha accolto la richiesta del pm Laura Deodato. Durante il suo intervento in aula Michele Buoninconti ha ribadito a gran voce la sua innocenza, l’uomo ha letto cinque pagine in Aula e ha ribadito di non aver ucciso la moglie. 
 
La storia: Motta di Costigliole D’Asti, pochi abitanti che si conoscono tutti. Sono le 08:15 del 24 gennaio, Elena è solita accompagnare i figli a scuola ma quella mattina non si sente bene e chiede al marito di accompagnarli. Alle 08.35 il marito, Michele Buoninconti, rientra a casa e trova vicino il cancello i vestiti di Elena e gli occhiali dalla quale la donna non si separava mai perché miope e sul tavolo trova la fede nuziale. Elena sparisce, da qui inizia un mistero fitto. Elena sparisce in venti minuti, stando al raccondo del marito, un spazio temporale oggettivamente scarso. Una donna nuda si sarebbe notata subito e invece nessuno vede Elena nuda camminare per strada. Il marito, appena tornato a casa e dopo aver visto quei vestiti per terra si allarma perché per lui è una vergogna che una donna cammini nuda per strada e allora si mette alla ricerca della donna ma non trova nulla. Il marito dichiara che la donna, la sera prima della scomparsa era agitata, e il marito, dopo aver chiesto quale fosse il problema, la donna rispose di aver combinato un guaio e di essere sulla bocca di tutti stupendosi di come il marito non fosse a conoscenza di tale cosa.
 
Il marito dichiara  che Elena quella notte gli fece leggere degli sms che la donna avrebbe ricevuto da altri uomini, Michele dichiara anche che la donna chiese a lui di non mandare i figli a scuola perché pensava che fossero a rischio e che qualcuno li avrebbe presi. Durante le prime indagini salta fuori la vita di Elena attraverso i social network. Michele, durante la prima fase delle indagini punta subito il dito su due persone, accusandole di essere coloro che importunavano Elena e quindi di essere stati loro ad averla istigata all’allontanamento. Vengono verificate le posizioni di queste persone e risulta che queste due persone hanno un alibi e non possono essere loro.
Vengono analizzati dalla polizia scientifica i vestiti che Michele dice di aver trovato vicino al cancello, ma su di essi non vi è traccia alcuna di esposizione all’atmosfera ergo quei vestiti non sono mai stati lì fuori poiché se fossero stati fuori ci sarebbero stati elementi scientifici che avrebbero supportato questa tesi. I racconti di Michele appaiono confusi, strani e spesso alquanto sospetti. 
 
Il cadavere di Elena Ceste è stato rinvenuto in data 23/10/2014 all’interno di un canale di scolo che dista 2 Km di distanza da casa sua. La causa della morte è probabilmente l’asfissia. I medici scrivono: “lo stadio evolutivo del processo trasformativo cadaverico è coerente con l'epoca della scomparsa della donna, si può ritenere che il corpo della Ceste sia sempre rimasto nel luogo ove furono rinvenuti i resti. Si deve altresì affermare che il corpo pervenne nel luogo in cui ne furono ritrovati i resti completamente nudo” continuano dicendo “l'autopsia non esclude che l'intero corpo fosse immune da lesioni da arma da taglio o da fuoco, anche se tale ipotesi deve ritenersi malsicura, si affaccia, più probabile, l'ipotesi di una morte per asfissia”. 
 
Viene effettuato un altro sopralluogo dopo il ritrovamento del cadavere, e viene ritrovato un telo, classico telo utilizzato nelle serre. Il telo si trovava poco distante dal luogo di rinvenimento del cadavere e si iniziano ad avvalorare le prime ipotesi: e se il telo in questione fosse stato utilizzato per trasportare il corpo?
Le varie ricerche hanno portato a rinvenimenti ossei sparsi e c’è la probabilità che nei prossimi giorni, durante le ricerche che si stanno svolgendo, vengano fuori altri reperti ossei. 
Ma come è morta Elena? L’acqua del canale di scolo era alta pochi centimetri al momento del ritrovamento, la condotta, lunga tre metri, passa sotto la ferrovia. La scoperta non è avvenuta ad opera dei carabinieri ma è avvenuta in modo estremamente casuale da un dipendente del comune.
 
Quel canale non veniva pulito da anni e invece gli altri canali erano stati puliti, quindi soltanto chi conosceva quella zona, avvalorando l’ipotesi dell’omicidio, avrebbe potuto portare il corpo lì per via di una conoscenza logistica. Il cadavere è stato trovato con il volto riverso nel fango e privo di indumenti, ma Elena poteva percorrere quella strada a piedi per poi morire lì? Chi ha ispezionato la zona ha detto chiaramente che il livello dell’acqua era molto basso quindi l’ipotesi del suicidio crolla come un castello di carta.
Il 29 gennaio 2015, I carabinieri di Asti hanno arresto Michele Buoninconti, marito di Elena Ceste. L’accusa è omicidio volontario premeditato e occultamento di cadavere. L’arresto è avvenuto su ordine del gip di Asti Giacomo Marson che ha accolto la richiesta del PM Laura Deodato. Michele Buoninconti si dichiara innocente dal carcere e dice di non essere stato lui ad uccidere la moglie ed invita gli inquirenti a cercare il vero colpevole.



CASO CESTE: BUONINCONTI MOLLA IL QUARTO AVVOCATO

di Domenico Leccese

E’ il quarto avvocato che lascia la difesa di Michele Buoninconti dopo Alberto Masoero, Massimo Tortoroglio e Chiara Girola. Che si fosse incrinato il rapporto di fiducia tra Scolari e Buoninconti era già palpabile ormai da mesi sui social networks, nei gruppi a favore di Michele Buoninconti si percepiva infatti una generale insoddisfazione da parte degli innocentisti per le non proprio apprezzate performances dell’avvocato di Ivrea, secondo il giudizio degli attentissimi sostenitori del vigile del fuoco di Asti infatti, Scolari non è mai stato capace di tenere testa ai giornalisti durante le sue apparizioni televisive.

Resta alla difesa l’avvocato romano Giuseppe Marazzita che è subentrato all’avvocato d’ufficio Chiara Girola nel settembre scorso, il quale ha da sempre sostenuto invece l’innocenza del suo assistito. L’avvocato Marazzita ha chiesto al giudice Amerio nella sua requisitoria di ottobre di assolvere Buoninconti con formula piena in quanto il fatto non sussiste e dopo la sentenza di condanna ha dichiarato che è pronto a ricorrere in appello per dimostrarne l’innocenza non appena verrano rese note le motivazioni della stessa.

 




CONDANNA BUONINCONTI: LA CRIMINOLOGA URSULA FRANCO PUNTA IL DITO SU INQUIRENTI E GIUDICI

di Domenico Leccese 

Dopo la condanna a 30 anni, inflitta in primo grado a Michele Buoninconti, torniamo ad intervistare la criminologa consulente della difesa Ursula Franco.

Che cosa si aspetta dalla motivazioni della sentenza del Tribunale di Asti ?
Nulla di nuovo, nessuna prova si è formata in dibattimento e le ordinanze che hanno condotto all’arresto di Buoninconti e poi al processo non sono sostenute da alcun indizio degno di questo nome, si è arrivati a condannare un innocente per un omicidio che non c’è stato sulla base di supposizioni illogiche che la procura non ha provato.

Le perizie dell’accusa, secondo lei non hanno provato nulla ma nonostante tutto Buoninconti è stato condannato a 30anni. Perché?

E’ proprio questo il punto, attraverso le errate interpretazioni degli inquirenti e dei giudici dei dati emersi dalle indagini si è ridotto un procedimento penale dell’anno 2015 ad un procedimento più vecchio di almeno cent’anni e dal punto di vista della psichiatria ci troviamo catapultati in un era pre freudiana, il goffo tentativo di affrancare la Ceste dalla malattia psichiatrica che già gli era stata diagnosticata dal perito dell’accusa è un segnale di un’arretratezza culturale che fa venire i brividi, coloro che negano la psicosi di Elena hanno grosse responsabilità nei confronti di Buoninconti perché hanno contribuito a farlo condannare per un omicidio che non c’è stato e sono responsabili pure dell’ulteriore dolore inflitto ai suoi figli ed anche dell’aver lasciato passare il messaggio che una malattia psichiatrica sia uno stigma di cui vergognarsi.

Che cosa intende dire quando sostiene che è stato un processo vecchio?
Intendo dire che non serve assolutamente a nulla fare delle perizie se non si è in grado di valutarne i risultati nel modo giusto. La perizia medico legale ha concluso che non si poteva ricavare una causa di morte dallo stato dei resti di Elena Ceste, l’inferenza dei medici legali che ipotizza una morte asfittica non ha valore di prova, non prova assolutamente l’omicidio, è un’idea che si sono fatta questi consulenti i quali non hanno potuto escludere l’assideramento ed hanno ripetuto in aula che era impossibile avere certezza della causa della morte della Ceste, quella dei consulenti medico legali rimane un’inferenza limitata allo studio dei resti della Ceste, l’inferenza finale su una causa di morte dubbia si fa dopo aver studiato gli atti. Il giudice Amerio ha condannato un uomo senza avere la certezza che fosse stato commesso un omicidio e niente di ciò che è emerso dalle indagini sorregge questa condanna.

La perizia sulle celle telefoniche invece cosa prova?
Prova l’esatto contrario di ciò che ha sostenuto la procura, prova che alle ore 9.00 Michele si trovava a casa e lo prova anche la testimonianza di Marilena Ceste, che è stata però completamente ignorata, la donna ha detto di aver visto Michele dalla finestra 5 minuti dopo le 8.55, quindi alle ore 9.00 proprio quando la procura sostiene che fosse ad occultare il corpo di Elena. L’interpretazione errata dei dati chiari delle due perizie telefoniche dell’accusa ha annullato il senso delle stesse. Se le celle hanno localizzato Michele al Rio Mersa solo alle 9.02.50 non vi è motivo di collocarlo lì prima, avendo invece a suo favore la testimonianza della vicina che lo vide dalla finestra proprio a quell’ora e tre telefonate tra le 8.55.4 e le 9.01.48 che agganciano la cella di casa sua.

Che cosa manca all’accusa secondo lei?
Manca la prova dell’omicidio, manca la prova del trasporto del cadavere in auto, manca la prova dell’avvenuto occultamento, mancano il movente ed eventuali intercettazioni probatorie, le intercettazioni presentate come tali sono paradossalmente un autogol per la procura, ma bisogna essere liberi da pregiudizi ed abili nell’analisi del linguaggio per leggerle nel modo giusto.

Da quanti mesi lotta per dimostrare la sua tesi innocentista su Buoninconti?
È dal 31 ottobre 2014 che ho risolto questo caso e per fortuna non sono complice dello strazio che ha condotto alla condanna di un innocente a 30 anni, da questo punto di vista sono serena ma umanamente ciò che è stato fatto a Buonincont ed a i suoi figli non riesco ad accettarlo.

Se potesse parlare agli italiani colpevolisti che gli direbbe?

Mi piacerebbe dire agli italiani di non farsi manipolare, di ribellarsi a questo stato di cose, al modo di lavorare degli inquirenti, alle violenze che i media riservano alle famiglie colpite da disgrazie come quella di Buoninconti, violenze di cui sono responsabili in primis le procure che fanno filtrare gli atti solo perché gli fa comodo, i contenuti degli interrogatori delle persone informate sui fatti spesso sono noti prima alla stampa che agli avvocati degli indagati. Non mi sembra che sussistano più i presupposti per chiamare questo paese una democrazia. Aprano gli occhi coloro che urlano all’assassino senza le competenze per giudicare ed in specie quando non vi è prova, alcuna, potrebbero essere loro stessi a breve le vittime di un nuovo errore giudiziario.

Qual è la sua soluzione?
Forse è una guerra persa, ma credo che ci sia bisogno di un garante che tuteli gli indagati, che impedisca alle procure di divulgare gli atti giudiziari e che vieti lo strazio degli impuniti talk show televisivi dove si passa il tempo a manipolare informazioni sui vari casi ed ad infangare gli eventuali sospettati solo per soddisfare l’odio morboso dei telespettatori ed infine c’è bisogno di lavorare per migliorare le competenze di chi indaga perché è proprio da lì che comincia l’errore e poi si propaga.
 




ELENA CESTE: UN FILM DI MICHELE BUONINCONTI

di Roberto Ragone

Come nella migliore tradizione di Conan Doyle, o di Agatha Christie, il caso della scomparsa, e del successivo ritrovamento del corpo di Elena Ceste ha appassionato il pubblico italiano.

La TV ha scoperto che i casi di cronaca nera fanno una grande audience, e perciò dal mattino, fino alla sera in prima e seconda serata, ogni conduttore porta la sua pietruzza alla costruzione dell’edificio televisivo, così sostituendo e integrando l’oppio popolare costituito dal calcio, anch’esso propinato in tutte le salse, gli orari, e i giorni della settimana. Michele Buoninconti, marito della vittima, ritenuto colpevole, è stato condannato in prima istanza trent’anni di reclusione. Sappiamo che in Italia, a differenza di altri Stati, ogni anno corrisponde a nove mesi di reclusione; sappiamo che intervengono altri fattori per cui, dopo l’appello che doverosamente sottrarrà una parte della pena, fra semilibertà e leggi varie il Buoninconti potrà essere libero molto prima del 2045. Diversamente da quanto accade in USA, dove la pena te la sconti tutta, mentre il limite è a discrezione dei giudici, per cui può capitare di sentirsi appioppare una pena detentiva di novant’anni. Trent’anni sono il massimo della pena in uno Stato in cui il massimo dovrebbe essere il carcere a vita, ma in questo caso pena ridotta per la richiesta di rito abbreviato, quello che fa risparmiare tempo e fatica ai magistrati, già tanto oberati da cause e causette che si trascinano con rinvii biblici – a volte decisamente assurdi.

Nonostante tutto, Michele è il vincitore morale di questo processo, come di tutta la vicenda. Dico subito che sono stato colpevolista fin dall’inizio, per ciò che ho potuto seguire e conoscere attraverso i programmi di cui sopra: quando sparisce, o viene trovata cadavere una donna, nella quasi totalità dei casi il colpevole è il marito, e questo anche nei racconti gialli di fantasia – dove la fantasia prende a prestito dalla realtà, e non viceversa, rivelandosi – la fantasia – meno ‘fantasiosa’ degli assassini veri. Inventarsi – secondo il Tribunale – la storia della moglie che, dopo aver passato la notte in deliquio, rifugiata tremante e delirante in un angolo della camera da letto, è degno del miglior Poirot. Inventare poi il successivo comportamento, secondo il quale la sventurata, ancorchè insonne, e quindi meritevole di riposo, si sia spogliata completamente in giardino, (e non si capisce perché non uscire di casa già nuda) lasciando a casa anche gli occhiali – sul comò, e ritrovati in cima alla pila di abiti freschi di bucato lasciati dietro al cancello della villetta – e si sia avventurata, novella Lady Godiva senza cavallo, per la strada a quell’ora fitta di auto di gente che va al lavoro, senza che nessuno notasse la sua presenza, con la neve ancora dappertutto, e una temperatura di circa quattro gradi sopra – il mio frigo lavora a circa 6 gradi centigradi – è indice di una fantasia veramente rimarchevole. Dissi subito che secondo me il soggetto certamente aveva letto troppi gialli Mondadori, quelli settimanali, o che aveva visto troppi film.

Cercare in modo maldestro di coinvolgere il suo presunto – o reale – rivale in amore, è stata successivamente cosa doverosa. Purtroppo per lui, l’altro aveva un alibi a prova di bomba, e Michele è rimasto con il cerino in mano. Guardando in prospettiva tutta la faccenda, comunque, emerge limpido un fatto: Michele è un egocentrico, un ‘dominus’, una persona che si sente più furbo, più intelligente, più pronto, più spregiudicato degli altri, insomma, una sorta di super-brain. Pensare che la Polizia o i Carabinieri potessero bere come acqua fresca la panzana confezionata su  misura, vuol dire che l’uomo è talmente sicuro di sé e della stupidità degli altri, da farci conto, e da meravigliarsi quando invece si è reso conto che non era proprio come lui aveva previsto.

Successiva, o contemporanea, è stata l’invenzione di un filmato che sarebbe stato girato ai danni di Elena in atteggiamenti intimi, e promosso sul web; inutile dire che di tutto ciò non s’è trovata traccia. Né se n’è trovata di questa fantomatica banda che la minacciava, che voleva toglierle i bambini. Michele è diventato, ancorchè sospettato numero uno, il protagonista di tutta la vicenda, e si è divertito a sfidare gli inquirenti (I Carabinieri mi fanno un baffo – intercettazione ambientale), ritenuti sempre non all’altezza di un genio del crimine come lui. Ma protagonista Michele ha sempre voluto essere, da quando la domenica in chiesa intonava la ‘prima lettura’ sul pulpito; quando imponeva alla moglie di rimanere a casa, sospendendo l’assicurazione dell’auto, mentre lui andava in vacanza con i bambini, lasciandola a badare alle galline; quando la mandava a far la spesa senza denaro perché poi sarebbe passato lui; quando le sequestrava il cellulare per leggere gli sms e ricevere le telefonate al posto suo, quando ancora la umiliava in tutti i modi. “Ho messo diciott’anni a raddrizzare vostra madre”, altra intercettazione. Oppure quando cerca di indottrinare i figli in previsione delle domande degli inquirenti; “Vi tolgono la casa, fate la fine di vostra madre”. Insomma, guardando controluce, Michele Buoninconti ha sempre voluto, e avuto, l’attenzione dovuta ad un protagonista, anche quando fingeva di essere disturbato dai numerosi giornalisti delle varie testate che lo cercavano per registrare qualcosa da trasmettere; e lui si negava, tirava sassi, li prendeva a parolacce; oppure telefonava spacciandosi per un fantomatico ‘Armando Diaz’, in segno di disprezzo per una televisione di indagine che non riusciva a trovare il bandolo della matassa, nonostante tutte le mollichelle che lui s’era lasciato dietro. Si legge spesso, nei libri gialli, dell’assassino che inconsciamente lascia delle tracce come Pollicino, per farsi prendere, quasi volesse mostrare all’investigatore poco provveduto quanto è stato bravo. Michele ha fatto anche questo. Quella ‘vergogna’ perché ‘non è bene che una donna vada in giro nuda’ la dice tutta: la punizione per ‘vergogna’ presunta o reale del tradimento della moglie, la ‘vergogna’ di una moglie che va a spasso nuda, come le prostitute messe alla berlina nel Cinquecento; il proclamare la ‘vergogna’ della moglie come per purgare una colpa che non gli appartiene: questo è il movente principale, quello che ha fatto scattare la molla, quando s’è reso conto che la moglie lo avrebbe lasciato, diventando a sua volta protagonista, e lui avrebbe perso la faccia in chiesa, in caserma e con tutti i parenti e gli amici; mentre la ‘colpa’, l’adulterio – reale o presunto – di Elena lo avrebbe insozzato dalla testa ai piedi.

Come protagonista, ed unico ‘informato sui fatti’, ha  riferito, e poi smentito, un dissidio coniugale dovuto alla mancanza di obbedienza della moglie, avendole al contrario tolto di fatto ogni fiducia, ogni autonomia, ogni spazio vitale: lei, donna intelligente e laureata; lui poco addottorato, pompiere, con tutto il rispetto per i pompieri che svolgono un’attività di grande sacrificio. Ma lui non era ‘un’ pompiere, lui era ‘il’ pompiere, quello che ‘non uccide le persone, ma le salva’, un eroe civile. Ora Michele, la cui espressione furbesca abbiamo ripetutamente potuto osservare nei filmati trasmessi ad libitum – sempre gli stessi – è finalmente ‘il’ protagonista, colui che non potrà più essere messo da parte. Anche nel disfarsi del corpo della moglie Michele ha voluto mantenere il controllo: infatti dal suo balcone si vede il piccolo rio dove ha gettato il corpo nudo di Elena, un corso d’acqua infoltito dalla mancanza di manutenzione, che da otto anni non riceveva manutenzione; e nulla faceva presagire che l’avrebbe ricevuta proprio in quel momento. Fino ad allora Michele era riuscito a tener lontane le ricerche; qualche mese ancora, forse due o tre, e del corpo di Elena non sarebbe rimasto nulla. La pietruzza nell’ingranaggio è stato proprio il tempo atmosferico con le sue piogge; il classico imprevisto che smaschera anche il più bravo dei Barbablù. Ma Michele non defette, lui è colui che comunque è entrato nella cronaca, e poi nella storia, l’eroe ‘nero’ della vicenda, e si sa che gli eroi neri appassionano più di quelli candidi come sir Galahad. Prova ne siano le numerose manifestazioni di simpatia – ed altro – che riceve quotidianamente. Proclamare la sua innocenza fa parte del suo carattere, o meglio, del carattere del personaggio che si è cucito addosso. Non confesserà mai, a meno che non voglia, passato del tempo e nell’oblio della sua avventura, riaccendere su di sé i riflettori, raccontando come effettivamente sono andate le cose. Probabilmente, sollecitato dai soliti noti, scriverà un libro, con la collaborazione del solito ‘ghost writer’, per raccontare la sua verità.

Che sia colpevole, secondo me, non c’è alcun dubbio. Ma che lui si proclami ancora innocente, vittima dell’errore giudiziario più grande del terzo millennio, è esattamente nel personaggio: non gli basta un semplice errore giudiziario, dev’essere un fatto epocale. Come sta Michele? E’ affranto, desolato, deluso, depresso, intimorito, disperato? No, state tranquilli, a modo suo se la sta godendo, e sa che non è ancora finita. Assassino spietato e intelligentissimo, o vittima sacrificale di una Magistratura che non ha cercato a 360 gradi? O ancora vittima di investigatori incapaci o disonesti, o di giudici influenzati dal mezzo mediatico? O piuttosto maldestro marito che ha scelto di liberarsi di sua moglie nella maniera più sbagliata? Deve ancora scegliere, l’importante è che, comunque vada, lui rimanga il protagonista.




30 A BUONINCONTI, IL PERITO DELLA DIFESA: "GRAVE ERRORE GIUDIZIARIO"

di Domenico Leccese

Sulla condanna a 30 anni per Michele Buoninconti la criminologa Ursula Franco, consulente della difesa,  ritiene che il giudice Amerio sia incappato in un grave errore giudiziario.
 
Cosa non è stato capito della vostra linea difensiva?

Mi piacerebbe che la nostra linea difensiva venisse chiamata con il suo vero nome, ovvero verità. La ricostruzione di come andarono i fatti non è stata compresa perché anche il giudice è stato infettato dal virus maligno della ‘tunnel vision’ che si è manifestato in primis nella stazione dei carabinieri di Costigliole d’Asti e poi in procura. L’assurda ricostruzione del’accusa fa acqua da tutte le parti perché come ha ribadito Buoninconti non c’è mai stato un omicidio.

Ci chiarisce la storia della presunta ricostruzione dell’omicidio fatta da Buoninconti nelle dichiarazioni spontanee?

Nessuna ricostruzione, egli ha semplicemente ripreso ciò che la Deodato aveva detto nella sua requisitoria del 23 settembre, ovvero: ‘Quando un delitto è premeditato, non serve una pistola, un coltello, un’arma, basta mettere una mano sulla bocca’, per questo motivo ha parlato di una mano sulla bocca, per dimostrare al giudice quanto fosse assurda la ricostruzione del magistrato. La mossa di Michele Buoninconti di leggere le dichiarazioni spontanee ha spiazzato tutti ma non il giudice, come ha detto qualcuno legge la Bibbia e si prende 30 anni? Le dichiarazioni spontanee di Buoninconti resteranno un documento, un manifesto di questo errore giudiziario che mi auguro verrà letto da tutti nell’ottica giusta quando un giudice finalmente comprenderà che l’appello di Michele è stato sincero, che è lui la vera vittima di questo caso giudiziario, lui ed i suoi figli.

Le convinzioni errate, più delle bugie sono le peggiori nemiche della verità?

Sono molti i fattori che conducono chi indaga all’errore: l’ignorare, il pregiudizio, la superficialità, la noble cause corruption, la pressione dell’opinione pubblica e l’incapacità di riconoscere un proprio errore a scapito di un innocente. Per quanto riguarda il giudice Amerio egli ha consolidato l’errore della procura e non si sbaglia Buoninconti quando afferma che è il peggior errore giudiziario del terzo millennio, un errore condito dal peggior strazio mediatico mai visto, una vergogna per il nostro paese, del quale un giorno in molti dovranno rispondere.




ELENA CESTE: 30 ANNI DI CARCERE PER MICHELE BUONINCONTI

Redazione
 
Michele Buoninconti, il marito di Elena Ceste, è stato condannato a trent’anni di carcere per l’omicidio della moglie, trovata cadavere a pochi metri da casa ad Asti. La sentenza è stata letta dal Giudice Roberto Amerio che ha accolto la richiesta del pm Laura Deodato. Durante il suo intervento in aula Michele Buoninconti ha ribadito a gran voce la sua innocenza, l’uomo ha letto cinque pagine in Aula e ha ribadito di non aver ucciso la moglie. Il difensore Enrico Scolari ha spiegato: “Michele Buoninconti ha ripercorso il suo iter giudiziario e le sue sofferenze per non aver potuto vedere i quattro figli ormai da molti mesi. Era commosso, e si e' dichiarato vittima di un errore giudiziario ribadendo che non c'e' stato nessun omicidio”. Commossi i familiari in aula, Buoninconti è rimasto sereno in aula ed è stato accompagnato nella stanza affianco e sperava, come gli avvocati, che venissero fatti accertamenti che meritavano approfondimenti. L'avvocato di Buoninconti dichiara, in un'intervista dopo il processo, che faranno ricorso dopo aver letto le motivazioni. 



ELENA CESTE: ECCO COSA HA DETTO MICHELE BUONINCONTI AL GIUDICE

di Domenico Leccese

Caso Elena Ceste – Michele Buoninconti ha letto in aula, rivolgendosi al Giudice Amerio, le sue dichiarazioni spontanee, praticamente un’arringa lucida e struggente.

Michele Buoninconti ha in pratica sintetizzato, a suo modo, la linea difensiva della sua consulente, la criminologa Ursula Franco che lo assiste dal febbraio scorso, ha raccontato poi delle umiliazioni subite e sottolineato con forza di essere la vittima di un errore giudiziario.

“Signor Giudice, io, Michele Buoninconti, nato a Sant’Egidio del Monte Albino il 28 luglio 1969, vedovo a causa di una tragica fatalità e padre di quattro figli sono la vittima di un errore giudiziario. Mia moglie, Elena Ceste, si è allontanata da casa nuda durante una crisi psicotica il 24 gennaio 2014 ed i suoi resti sono stati ritrovati il 18 ottobre dello stesso anno a poche centinaia di metri da casa nostra, nel letto del Rio Mersa. Già la mattina della scomparsa di Elena, poco dopo essermi recato dai carabinieri della stazione di Costigliole, gli stessi mi si rivolsero chiamandomi Misseri e Parolisi. Signor Giudice, nulla mi accomuna a questi due signori e non credo che lei possa biasimarmi per le parole di disistima rivolte ai carabinieri dopo che gli stessi si erano permessi di darmi dell’assassino in un momento così disgraziato della mia vita”. “Questi stessi carabinieri sono stati la causa prima dell’errore giudiziario, il luogotenente Giuseppe Toledo, il maresciallo capo Michele Sarcinelli ed il carabiniere scelto Stefano Trinchero disconoscendo la psichiatria non hanno creduto alle mie parole, alle parole di uomo disperato alla ricerca di sua moglie, si sono convinti, a torto, che Elena non potesse essersi denudata ed allontanata da casa con le sue gambe in preda ad una crisi psicotica.
Non solo la mia consulente, ma ben prima i periti dell’accusa hanno concluso che mia moglie era psicotica ed allora perché attribuirmi la sua morte? Elena non era mai stata sottoposta a terapia farmacologica in quanto nessuno di coloro che l’aveva avvicinata nei mesi di ottobre e novembre 2013 aveva riconosciuto in lei i sintomi della psicosi. Signor Giudice, non si guarisce dalla psicosi senza una terapia specifica”.

“All’indomani dei risultati dell’autopsia sui resti di mia moglie sono stato arrestato e da allora mi trovo in carcere, perché? Le ricordo che mi è stato perfino impedito di assistere ai funerali di mia moglie con i miei figli, non lo trova imperdonabile? Riguardo alla causa della morte, i medici legali non sono giunti a determinarla ed hanno escluso la maggior parte delle cause di morte violenta ed allora le chiedo ancora perché io sono stato arrestato e mi trovo qui davanti a lei? Al momento del ritrovamento dei resti di mia moglie non ho nominato un consulente medico legale perché non avevo nulla da temere non avendola uccisa, ma la procura di Asti evidentemente non è quella di Aosta e cercava, a tutti i costi, un responsabile in carne ed ossa. Perché cercare dai medici legali una risposta precisa se gli stessi non sono stati in grado di darla analizzando i soli resti della povera Elena quando attraverso l’analisi delle risultanze delle indagini si poteva giungere facilmente alla causa della morte di mia moglie? L’ipotesi dei medici legali dell’accusa rimane limitata all’analisi dei resti di Elena mentre le indagini allargano la prospettiva, permettono di escludere l’omicidio ed accreditano la tragica casualità. Signor Giudice, se i medici legali avessero avuto certezza dell’asfissia, secondo lei, non avrebbero scritto: Causa della morte: omicidio per asfissia? O mi sbaglio?

Signor Giudice, io mi trovo davanti a lei senza un motivo vero, non c’è alcuna certezza che mia moglie sia stata uccisa e la procura non può provarlo, né ora, né mai, semplicemente perché non è accaduto”. “Ma davvero lei crede che sia possibile che io con una mano abbia serrato gli orifizi di mia moglie per sei lunghissimi minuti, un tempo interminabile, senza che lei si difendesse, senza che lei provasse a togliermi la mano, senza che mi mordesse o mi graffiasse, allungando così inesorabilmente i tempi del presunto omicidio? Lei è a conoscenza che questa modalità omicidiaria, che si chiama soffocazione diretta, si vede raramente negli omicidi di soggetti adulti sani in quanto è difficile mantenere la compressione degli orifizi aerei nell’individuo che si difende vigorosamente, così come si legge nel libro di Medicina Legale di Clemente Puccini, tanto amato dai medici legali dell’accusa, i quali però hanno accusato la mia consulente di non dire il vero quando la stessa durante l’udienza l’ha citato riguardo a questo tipo di soffocazione?”.

“Elena delirava e sentiva le voci quella notte e si picchiava in testa, non me lo sono inventato, questa crisi psicotica si ascrive perfettamente nel quadro dei suoi disturbi precedenti, quei disturbi di ottobre e novembre, li chiami crisi psicotica come l’accusa o pensieri ossessivi persecutori come la consulente della difesa.
Quella mattina con i miei figli ho lasciato Elena a casa verso le 8.10 e, circa 35 minuti dopo, Elena non c’era più e la casa era nelle stesse condizioni in cui l'avevo lasciata, nonostante Elena fosse rimasta per fare le faccende domestiche. Secondo lei mia moglie rimase in casa 35 minuti senza fare niente o si allontanò subito dopo che la vide la signora Riccio in cortile, come vuole la logica? Se Elena fosse rimasta in casa, avrebbe rifatto tutti i letti e sistemato la cucina, di sicuro non avrebbe perso tempo, sapendo che avrebbe dovuto sistemare la casa, recarsi dal dottore e preparare il pranzo per sei persone.
Elena non stava bene, per questo non accompagnò i bambini a scuola quella mattina, per questo saremmo dovuti andare dal dottore e per questo si allontanò. Elena era vestita di tutto punto con abiti che profumavano di pulito ed era solita farsi la doccia alla sera. Quella mattina, Signor Giudice, Elena non si fece la doccia, non la trovai nuda e non la uccisi, è un’accusa falsa ed infamante e priva di fondamento”.

“Ci vogliono le prove per condannare un uomo, e la procura non le ha perché non esistono, non si può trasformare a piacimento un innocente in un colpevole, tra l’altro, di un omicidio che non c’è stato”. “Vede Signor Giudice, sono riuscito a sopravvivere all’ingiustizia grazie alla forza della verità, una verità che nessuno potrà mai togliermi, nessuno potrà mai modificare i fatti di quella mattina che saranno uguali a se stessi in eterno essendo già accaduti”. “Il 24 gennaio 2014 non ho ucciso la madre dei miei figli e non ho occultato il suo corpo. Quella mattina, dopo essere tornato a casa ed aver cercato Elena in cortile e dentro l’abitazione, ho chiamato la vicina Marilena Ceste e poco dopo l’altro vicino Aldo Rava, dopo la telefonata senza risposta ai Rava mi sono recato da loro, saranno state più o meno le 9.00, mi ha visto Marilena Ceste dalla finestra mentre beveva il caffè, ha pensato che parlassi con Aldo Rava, invece in quell’occasione Aldo non ha udito il citofono, così come non aveva sentito il telefono, ma i citofoni non hanno memoria, non si possono richiederne i tabulati!”.

“Signor Giudice, non vorrei ridurmi a dire quello che mi accingo a dire ma vi sono costretto: non c’è assolutamente nulla che provi questo presunto osceno occultamento, non sono stati trovati segni del trasporto di un cadavere in auto, né alcun segno su di me prodotto dai rovi o macchie di fango sui miei vestiti o fango sulle mie scarpe, nonostante io sia stato accusato di aver occultato un corpo sotto il fango in una zona abitata dai rovi. E poi, non le pare impossibile che io abbia potuto, come sostiene l’accusa, aver occultato un corpo in quel modo in soli due minuti?
Nessuno occultò il cadavere di Elena, mia moglie si nascose in quel rio con tutta probabilità entrando a monte del tubo di cemento per raggiungerlo, Elena era stanca, non aveva dormito ed aveva passato la notte a delirare, una volta sentitasi al sicuro si addormentò, lo stato soporoso ed il coma subentrarono al sonno a causa dell’ipotermia e la portarono a morte. Signor Giudice, la presenza dell’acqua in quel rio favorì l’assideramento, particolare che mi sembra sia sfuggito ai tre medici legali in aula lo scorso 22 luglio!”.

“Signor Giudice, come avrà avuto modo di leggere sulle carte, io non avevo alcun motivo per uccidere mia moglie. Un presunto motivo se lo sono inventato i miei accusatori ma non l’hanno provato, il loro libero convincimento non ha alcun fondamento, l’accusa si è inventata una crisi matrimoniale che non c’è mai stata, non ho mai avuto una discussione con Elena, né mia moglie si è mai lamentata di me con nessuno, né ha mai parlato con me o con altri di divorzio, non ero a conoscenza dei suoi presunti tradimenti, mia moglie era malata, si sono approfittati di lei e nonostante in molti avessero compreso il suo disagio nessuno dei suoi confidenti me lo ha mai comunicato. Elena, a me, fino al pomeriggio del 23 gennaio ha tenute nascoste le sue paure”.

“Come è possibile che nella richiesta di applicazione della misura cautelare  a pag. 131 la dottoressa Deodato concordi con me sul fatto che il contenuto dei messaggi inviati da Silipo a mia moglie era innocuo ed al contempo li consideri il movente di un omicidio?
Non è anche per lei l’ennesima offesa al buon senso? Io quei messaggi non li lessi il giorno 21 e non mi fecero alcun effetto il giorno 23 quando mia moglie me li fece leggere.
Come sostiene anche la Deodato, sempre a pag. 131 dello stesso documento, Elena non rispose a quei messaggi ed appariva semplicemente il bersaglio di attenzioni non gradite, null’altro”.

“La mia vita è ormai un libro aperto e non c’è nulla di cui io non vada orgoglioso, ho solo il rimorso di non aver capito l’entità del disagio psichico di mia moglie quella notte e di non aver chiamato un medico.
Non ho creduto ai suoi tradimenti ed ho ancora difficoltà a crederci, ritengo che Elena abbia piuttosto frequentato soggetti che si sono approfittati di lei in un momento di debolezza e quando si sono accorti delle sue difficoltà hanno taciuto.
Ha taciuto anche don Roberto, non mi ha voluto riferire che cosa gli avesse confidato Elena, a me, suo marito, ma lo stesso Don Roberto non ha avuto remore a rilasciare interviste televisive dove si è aperto invece con i giornalisti e ciò mi ha profondamente addolorato”.

“Mi si accusa di depistaggi e di aver premeditato tutto in quanto conosco le tecniche di ricerca. Davvero lei può credere che io avrei potuto prevedere che i cani dei gruppi cinofili non avrebbero trovato mia moglie a due passi da casa nostra? Crede davvero che io fingessi di cercare Elena in auto a velocità moderata con il finestrino abbassato sulla strada da Govone o crede forse semplicemente che la cercassi come vuole la logica? Crede davvero che se avessi ucciso mia moglie avrei perso tempo al telefono ed avrei chiamato i vicini prima di occultarne il corpo a poche centinaia di metri da casa? Niente di ciò che sostiene l’accusa è sorretto dalla logica, non chiamai i vicini per  preordinarmi una linea difensiva, li chiamai semplicemente perché non trovavo mia moglie. Se avessi ucciso Elena e subito dopo avessi chiamato la vicina, chi mi avrebbe garantito che Marilena Ceste dopo la mia telefonata delle 8.55.04 non sarebbe uscita a cercarla verso l’area del Rio Mersa dove secondo la procura io nascosi il suo corpo?

Perché, se l’avessi uccisa, avrei dovuto avere fretta di denunciare la scomparsa di Elena ai vicini, ai suoi familiari ed ai carabinieri?
Crede davvero che sia possibile che un assassino al suo primo omicidio uccida e nel giro di pochi secondi sia pronto ad occultare il corpo della sua vittima e che in quel frangente chiami i vicini?
Solo io trovo la ricostruzione della procura illogica o anche lei?
Crede che io abbia un ruolo in ciò che ha riferito mio figlio Giovanni, o che la madre gli prospettò una fuga poco prima che lo accompagnassi a scuola e che Elena purtroppo già premeditasse di scappare?”.

"Mi sono chiesto, rileggendo per l’ennesima volta l’ordinanza del Giudice Marson, poi l’ordinanza dei tre Giudici del riesame ed infine la richiesta di giudizio immediato dello stesso Giudice Marson, come sia possibile che se il Giudice Marson ha ritenuto nell’ordinanza la premeditazione fondante, dopo che è stata esclusa con vigore dai giudici del riesame, smontando così in gran parte il castello accusatorio, il suddetto Giudice abbia richiesto, nonostante tutto, il mio rinvio a giudizio? Signor Giudice,  la verità è che io sono stato rinviato a giudizio perché nessuno si è spiegato diversamente la morte di mia moglie se non per mano mia, ma ora che esiste una spiegazione alternativa logica e plausibile, cui tra l’altro si confanno tutte le risultanze investigative perché sono ancora in carcere? Perché sono stato costretto a raggiungere quest’aula ammanettato? La prego, me lo spieghi lei!”.

“Come è possibile Signor Giudice che nell’ordinanza del Giudice Marson si descriva il luogo in cui sono stati ritrovati i resti di Elena come impraticabile, inaccessibile, impervio e difficilmente raggiungibile ad un soggetto per nascondervisi, e questo alle pagine 15  e 17, ed invece solo alla pagina 29 della stessa ordinanza il luogo sia descritto come agevole per un’attività di occultamento? Come possono variare così drasticamente le condizioni dei luoghi agli occhi dello stesso Giudice nella stessa ordinanza?
Impervie per nascondervisi, agevoli per occultare. Non è indubbio, anche secondo lei, che quali che fossero le condizioni del Rio Mersa, il letto del rio sarebbero stato sempre più facile da raggiungere da parte di un singolo nell’atto di nascondersi piuttosto che da parte di un soggetto intento ad occultare un ingombrante cadavere?”.

“Ed ancora all’indomani del ritrovamento dei resti della povera Elena sono stato accusato di non aver rivelato di essere stato in quel luogo quella mattina. Ho cercato mia moglie dappertutto, non avrebbe avuto senso fare un elenco dettagliato dei luoghi battuti.
Sono stato anche accusato di aver rivelato di essere stato lì per un preciso motivo, ma come lei ben sa non ho mai avuto alcun motivo di giustificare a nessuno la mia presenza nei pressi del Rio Mersa, non esiste, Signor Giudice, una fatidica ‘pregressa mancata rivelazione’, sono rimasto semplicemente basito nel momento in cui ho saputo che avevano ritrovato i resti di Elena in un luogo dove l’avevo cercata. E’ capitato a tutti di dire parole simili alle mie dopo aver ritrovato un oggetto smarrito in un luogo dove lo si era già cercato. Per me, Signor Giudice, è stato un enorme dolore apprendere di essere stato vicino a trovare Elena quella mattina e di non essere riuscito a salvarla e sarà per sempre il mio cruccio”.

“Signor Giudice, sono stato sottoposto in carcere ad una perizia psichiatrica. Come è possibile che in un paese libero come il nostro un innocente venga sottoposto a questa umiliazione? Allo psichiatra che mi ha analizzato, al dottor Pirfo, contro ogni protocollo di tutela di un sospettato e poi di un indagato, la dott.ssa Deodato ha fornito gli atti dell’accusa prima che mi incontrasse, le testimonianze, l’ordinanza e, ahinoi, pure le annotazioni dei carabinieri di Costigliole. Come può il giudizio del dottor Pirfo dopo tali letture essere stato scevro da pregiudizi? Egli ha letto tra l’altro solo gli atti dell’accusa, non essendo ancora disponibile la perizia criminologica della difesa, il dottor Pirfo si è fatto così involontariamente un’idea preconcetta dei fatti occorsi il 24 gennaio 2014. La sua disposizione nei miei confronti era viziata, non libera da pregiudizi come avrebbe dovuto essere e le conclusioni della sua consulenza proprio per questo motivo non hanno alcun valore scientifico. Egli ha redatto semplicemente una perizia ‘di parte’, nel senso dispregiativo del termine.

Lei sa che quattro relazioni, tra l’altro riportate nella perizia dello stesso dottor Pirfo, sul giudizio di idoneità al servizio personale di ruolo di vigile del fuoco, redatte nel 2002, 2006 e nel 2009 concludevano che il mio sistema neuropsichico era integro, mentre nell’ultima relazione redatta in data 30 luglio 2013, sei mesi prima della scomparsa di Elena, dal comando provinciale dei vigili del fuoco di Cuneo si legge: ‘… dai contenuti riferiti e dall’osservazione diretta della persona non si rilevano segni evidenti di psicopatologie in atto. Dagli stessi contenuti non si rilevano segni evidenti di deficit e disagi psicologici in atto’ .
Non vi è quindi all’anamnesi, un’anamnesi che copre più di dieci anni e tutta riferibile all’età adulta, nulla che supporti assolutamente le conclusioni del dottor Pirfo, quanto piuttosto il contrario. Vede, il disturbo che mi è stato diagnosticato dal dottor Pirfo è un disturbo di personalità ed ogni disturbo di personalità è un modello inflessibile e pervasivo di personalità che affligge un soggetto nell’età adulta in modo permanente, quindi tale disturbo avrebbero dovuto già diagnosticarmelo nel corso degli esami neuropsichici cui mi hanno sottoposto i vigili del fuoco in precedenza. Signor Giudice, non crede anche lei che qualcuno si sbagli?
Non si sbaglia la procura a pensare che Elena fosse guarita pur senza fare alcuna terapia e che io mi sia invece improvvisamente ammalato di un disturbo di personalità che rende coloro i quali ne sono affetti capaci di uccidere?”.

“Sono stanco Signor Giudice di lottare contro le ingiuste accuse che mi sono mosse, sono più di 9 mesi che mi trovo in carcere accusato di un infamante omicidio che non ho commesso, le chiedo di porre fine a questo strazio per i miei figli,
per me e per Elena che non avrà pace finché tutta la verità non verrà fuori.
Signor Giudice, sono stato privato senza motivo della libertà e sottoposto ad impensabili umiliazioni.

Lei crede che coloro che mi hanno condotto qui, di fronte a lei,  ignorando la verità e qualsiasi giustizia saranno mai in grado, una volta che sarò fuori, di ridarmi la mia vita passata?
Come potrò Signor Giudice, dopo la distruzione che i responsabili di questo errore giudiziario hanno aggiunto al dolore per la perdita della loro madre, ricostruire il rapporto con i miei figli ormai violato per sempre dalle calunnie e dal sospetto?
E’ con profondo rispetto che glielo chiedo: Non si renda complice, Signor Giudice, di questo errore giudiziario, sia il primo rappresentante di questo sistema, che garantista non è, a guardare i fatti dalla giusta prospettiva, non aggiunga dolore al dolore, non rallenti l’esplosione della verità e della giustizia, non permetta che un solo giorno in più di carcere scontato da un innocente pesi sulla sua coscienza, mi faccia tornare a crescere i miei figli, ne ho il diritto”.




ELENA CESTE: SI DIPANANO LE OMBRE A POCHI GIORNI DALLA SENTENZA

di Domenico Leccese

Sul caso di Elena Ceste abbiamo chiesto alla criminologa dott.ssa Ursula Franco, consulente di Michele Buoninconti, a pochi giorni dalla sentenza di chiarirci alcuni punti dell’inchiesta che lo vede accusato dell’omicidio della moglie Elena Ceste.

E’ vero che Michele, ha chiesto ai nonni di andare a vivere nella sua casa, per risparmiare?

Buoninconti ha pensato che sarebbe stato, meno traumatico per i bambini, continuare a vivere nella loro casa, ed inoltre egli ha il timore che il nonno, essendo anziano, possa fare e/o subire, un incidente stradale, accompagnando i bambini a scuola, percorrendo una lunga distanza, mentre da casa sua sono solo pochi chilometri.

E’ vero che Michele Buoninconti era geloso e "controllava" sua moglie?
Buoninconti non era geloso, lo era piuttosto sua moglie Elena, che anzi si lamentava del fatto che lui non lo fosse. Per quanto riguarda il controllo su di lei, Elena era libera di relazionarsi con chi voleva, Michele si disinteressava completamente alle sue attività al computer ed al telefonino, tanto che non lesse i messaggi sul telefonino della Ceste, nonostante l’avesse avuto in uso in precedenza, se non quando lei glieli mostrò. E’ con il meccanismo della proiezione, caro agli psicologi, che si spiegano certi malintesi, malintesi che hanno contribuito all’errore giudiziario.

Lei chiama, questa carcerazione preventiva, errore giudiziario, perché?

Una carcerazione preventiva di 9 mesi, l’aver reso pubblici gli atti giudiziari, permettendo uno strazio mediatico senza precedenti nei confronti di un uomo non ancora giudicato ed infine la decadenza della patria potestà sono nell’insieme un osceno errore giudiziario che ha provocato danni irreversibili, non solo a Buoninconti ma a tutta la sua famiglia, compresi i nonni materni.

Come spiega certi atteggiamenti di Buoninconti e certe intercettazioni che vengono di continuo fatte ascoltare agli italiani come prova dell’omicidio?
Buoninconti è stato accusato di essere una specie di padre padrone, insensibile e scorbutico. Di sicuro, la sofferenza per la scomparsa della moglie, il non aver compreso i suoi disturbi psichici, una pressione mediatica senza precedenti, i ‘tradimenti’ di familiari, amici e giornalisti, la percezione dei sospetti su di sé, l’essere il capro espiatorio di un paese intero, il rischio che i servizi sociali gli togliessero i bambini, lo hanno esasperato e condotto a provare, a volte, sentimenti di rabbia ed a perdere la pazienza con i giornalisti ed i figli.
In questo clima, in alcune rare intercettazioni, rispetto a quelle dove Michele usa solo belle parole quando parla di Elena, Buoninconti usa parole forti riferite alla sua ormai ex compagna di vita e perde la pazienza con i propri figli.
Tali intercettazioni vanno contestualizzate temporalmente, risalgono tutte a prima del ritrovamento della Ceste, all’epoca Michele poteva avere tutte le ragioni di sentirsi e comportarsi come un uomo tradito ed abbandonato ed è allo stesso modo comprensibile, che egli, in questo clima, a volte perdesse la pazienza con i quattro figli, di cui doveva occuparsi da solo. C’è da notare che in due intercettazioni, che vengono usate contro di lui, egli si fa domande sulle sorti della moglie, mostrando evidentemente di non sapere dove sia, si chiede: ‘vai a capire cosa ha visto!?’ e ‘chissà dove…’ quesiti che non appaiono rivolti ai figli, ma piuttosto sue intime riflessioni e non certo quelle di un assassino che conosce perfettamente il destino cui è andata incontro la sua vittima. In una intercettazione, risalente al 28 febbraio 2014 (circa un mese dopo la scomparsa), che viene spesso tagliata ad hoc, durante una struggente conversazione con i figli Michele dice ai bambini: "Alla sera quando vi raccontavo la storia di me e mamma, non l’abbiamo mica finita quella storia, vero!?", mostrando di avere la speranza che Elena torni per continuare a condividere la vita con lui.

Come giudica il comportamento di Michele Buoninconti nei confronti dei giornalisti e dei figli?
Buoninconti è stato sottoposto, ad una pressione mediatica intollerabile, da parte di giornalisti o cosiddetti tali che non hanno avuto alcun rispetto né per lui, che era un semplice indagato, né per i suoi quattro figli, tutti minorenni, che egli ha semplicemente cercato di proteggere da gente senza scrupoli, che dell’odio, nei suoi confronti, ha fatto una ragione di vita. La lettura, delle reazioni di Michele nei confronti dei giornalisti, fatta dai media e dalla procura, è faziosa e viziata dal convincimento che Elena sia morta per mano sua.

Dott.ssa Ursula Franco che cosa pensa della ricostruzione del presunto omicidio di Elena Ceste da parte dell’accusa?
La ricostruzione dell’accusa è quantomeno fantasiosa ed illogica, avevo previsto, in interviste precedenti, che sarebbe stato impossibile per l’accusa ricostruire un omicidio che non c’è stato. La PM ha sostenuto in udienza durante la sua requisitoria che Michele ha ucciso Elena con le mani, soffocandola, tale tecnica omicidiaria è estremamente difficile da mettere in pratica nei confronti di un giovane adulto sano quale era la Ceste. Un recente fatto di cronaca ci conferma quanto sia difficile uccidere in questo modo, un uomo di ottant’anni, cardiopatico e con pacemaker pochi giorni fa ha reagito ad un uomo molto più giovane di lui che intendeva soffocarlo ed è sopravvissuto, eppure l’anziano non era al meglio della propria forma fisica. Ancora riguardo alla ricostruzione della PM, la stessa ha sostenuto che, dopo aver trovato Elena nuda in casa e dopo averla uccisa soffocandola con le mani, Michele l’ha avvolta in uno dei lenzuoli del letto matrimoniale, l’ha condotta in auto al Rio Mersa ed ivi abbandonata e tornato a casa ha rifatto il letto con lo stesso lenzuolo. Sarà stato, alquanto difficile, da parte dell’accusa spiegare al Giudice Amerio come i vestiti rimasti a casa si siano sporcati di terra e non il lenzuolo. Tra l’altro nessun lenzuolo avrebbe mai impedito alle tracce del cadavere di Elena di depositarsi nel bagagliaio dell’auto, dove le ricordo non sono mai state riscontrate.

Dott.ssa Franco, lei è stata l’unica a spiegarsi le circostanze della morte della Ceste e non ha avuto alcun timore a mettersi contro tutti, non credo sia stato facile, si può parlare di coraggio?

Addivenire alla verità, grazie alle proprie competenze ed allo studio approfondito del caso, non è difficile, è il sistema che non è facilmente permeabile e non mi riferisco alla Procura. Non credo che sia stato il coraggio a sostenermi in questa lotta quanto piuttosto una forza inarrestabile quale è la certezza della verità.
Mi dispiace soltanto che i molti ed inaspettati ostacoli che ho trovato di fronte a me abbiano allungato i tempi della giustizia.

Mi sembra ottimista per quanto riguarda la sentenza dei primi di novembre
Non ho certezze a parte il fatto che, dopo che la verità è stata rivelata ed è stata ribadita con forza in udienza, durante la sua requisitoria dall’avvocato Giuseppe Marazzita, questa VERITÀ prima o poi trionferà.

Il caso è risolto, la difesa ha chiarito come andarono i fatti?

La mia ricostruzione, (N.d.r. contenuta nella Super Perizia) si accorda perfettamente con tutte le risultanze investigative e nulla potrà mai cambiare i fatti accaduti il 24 gennaio 2014. La mia speranza è che il Giudice Amerio sia il primo Giudice ad interrompere il corso di questa grave ingiustizia.




ELENA CESTE: ECCO GLI STRALCI DEI VERBALI DEL PROCESSO A MICHELE BUONINCONTI

di Domenico Leccese

Il consulente medico legale della procura dottor Romanazzi ha riferito al Giudice Amerio: ‘L’assideramento è una causa che abbiamo, non escluso, non abbiamo ritenuto di assumere in considerazione immediatamente per il contesto… non risultava agli atti che la Ceste potesse avere dei fatti psicopatologici di entità tale che la inducessero ad un allontanamento da casa, repentino e nuda oltretutto. Poi… i resti sono stati ritrovati proni, con quindi il torace e il volto adagiati sul letto… del Rio Mersa…’.

La consulente medico legale della procura dott.ssa Gugliuzza ha detto: ‘Gli arti superiori erano perfettamente addossati al tronco, né discosti, né estesi, né flessi…’.

Gli avvocati della difesa di Michele Buoninconti hanno contestato il dato ritenuto fondante dai medici legali, ovvero che il corpo fosse in una posizione tale da escludere l’assideramento come causa di morte. Le foto fatte al momento del ritrovamento dei resti di Elena smentiscono clamorosamente ciò che la dott.ssa Gugliuzza ha sostenuto in aula, le braccia della povera Ceste non erano addossate al tronco. Per quanto riguarda il fatto che i resti fossero proni, la consulente della difesa dott.ssa Ursula Franco ha sostenuto in aula che Elena dopo la sua morte semplicemente cadde a faccia in giù e così rimase fino al suo ritrovamento. Per la consulente Franco, Elena era molto stanca a causa del delirio che durava da ore, dopo essersi nascosta nel tunnel di cemento si addormentò e passò dal sonno all’ipotermia senza accorgersene, per questo motivo non assunse la posizione rannicchiata. In altre interviste la criminologa Ursula Franco ha ricordato che la presenza dell’acqua nel piccolo rio accelerò il processo di assideramento, dato che sembra sia stato ignorato dai medici legali dell’accusa.

Il consulente medico legale delle parti civili dottor Testi ha riferito al Giudice Amerio: ‘Ci sono gli elementi emersi dall’autopsia che dimostrano, credo inequivocabilmente, che quel corpo è stato trasportato… quella posizione non è la posizione di una persona che cade e muore. E’ una posizione che fa pensare, ripeto, non si può dire con certezza, ma che fa pensare ad un corpo che viene adagiato e lasciato in una posizione estremamente composta’.

Non esiste alcun dato nella casistica criminologica che possa confortare l’affermazione del dottor Testi, ritrovare un corpo adagiato in una posizione estremamente composta non prova assolutamente che sia stato trasportato. Non esiste una specifica tecnica di occultamento nei cadaveri come si evince quotidianamente dalla cronaca.

Ad un certo punto dell’udienza il consulente medico legale delle parti civili dottor Testi ha avuto un Perry Mason Moment, ha infatti affermato, mettendo clamorosamente in crisi ciò che aveva fino a quel momento sostenuto: ‘… quando si fa in un sopralluogo su un morto assiderato normalmente, insieme alla polizia giudiziaria, la prima cosa che si pensa è un omicidio….’.

Ancora a favore della tesi sostenuta dalla difesa è l’affermazione del consulente medico legale delle parti civili dottor Testi: ‘Noi ci troviamo molto spesso nell’impossibilità di affermare una causa della morte perché la causa della morte è un dato anatomico e qua di anatomico avevamo veramente poco… la consulenza.. non afferma una precisa causa della morte, perché è difficile farlo, è impossibile con i dati a disposizione…’ .

Ed ecco perché la consulente della difesa dott.ssa Ursula Franco ha detto in udienza: ‘.. è chiaro che da un punto di vista medico legale è difficile trovare la causa di morte per l’assenza di questi elementi oggettivi su questa presunta scena del crimine. Ma analizzando tutti i dati delle indagini non è difficile… Io parlo di criminologia perché i risultati dell’esame medico legale ci dicono che non c’è una causa di morte… le ipotesi probabilistiche su un’autopsia che non mi da la causa di morte si fanno con le indagini… quindi il piano non è quello medico legale… le inferenze sono criminologiche in questo caso’.

Come tutti ormai sanno la consulente della difesa dott.ssa Franco non ha mai sostenuto che Elena fosse schizofrenica, bensì fosse in piena crisi psicotica il giorno in cui si allontanò da casa, ma il consulente medico legale delle parti civili dottor Testi ha voluto comunque affrontare il tema della schizofrenia: ‘Una persona su 1000 può avere un episodio psicotico acuto oltre i quarant’anni… La fuga dissociativa è un evento che molto raramente si verifica nei casi di schizofrenia… una piccola parte di coloro i quali manifestano nella vita degli episodi psicotici diventano schizofrenici… un episodio psicotico di per sé non è una cosa eccezionale il fatto che sia il preludio ad una manifestazione di schizofrenia è raro’.
Al dottor Testi sembra essere sfuggito che la difesa non ha mai definito Elena schizofrenica ma piuttosto affetta da una crisi psicotica acuta, chiamata in gergo semplicemente ‘esaurimento nervoso’, quindi le sue statistiche sulla schizofrenia non sono pertinenti rispetto al caso in esame.

Riguardo alla causa asfittica sostenuta dall’accusa la consulente della difesa dott.ssa Ursula Franco ha affermato in udienza: ‘La soffocazione diretta è rara specialmente in un soggetto giovane che si difende…così dice (il libro) Clemente Puccini’.
Vediamo cosa le ha risposto il consulente medico legale delle parti civili dottor Testi: ‘Non, non dice così, tanto per chiarezza, non dice così’.

Ci siamo presi la briga di andare a leggere il testo di medicina legale citato in udienza dalla criminologa della difesa dott.ssa Franco sulla soffocazione diretta per vedere cosa realmente dice, lo riportiamo integralmente. Nel libro Istituzioni di Medicina Legale di Clemente Puccini, libro più volte citato in aula e nella perizia dai medici legali dell’accusa, alle pag. 431 e 432 si legge: ‘La soffocazione diretta, si vede raramente negli omicidi di soggetti adulti sani in quanto è difficile mantenere la compressione degli orifizi aerei nell’individuo che si difende vigorosamente’. Evidentemente nel libro è scritto ciò che la consulente della difesa ha sostenuto in aula e che il dottor Testi ha tentato di contrastare.

L’avvocato della difesa Massimo Tortoroglio nel controinterrogatorio ha chiesto ai medici legali dell’accusa se fosse possibile come causa di morte l’assideramento in un soggetto nudo a gennaio, il dottor Testi ha risposto: ’In astratto sì, perché sennò non esisterebbero le morti per assideramento… oltre a un certo tempo in cui il soggetto è esposto a temperature ma anche superiori a quella che ci interessa.. può essere sufficiente a determinare il decesso di una persona’.
Mentre il dottor Romanazzi sempre incalzato dall’avvocato Tortoroglio che gli ha chiesto quale dato scientifico lo abbia fatto propendere per una morte asfittica ha detto: ‘E’ vero che non sono stati trovati segni di lesione ma ciò non esclude che originariamente il cadavere potesse averne…non esiste un dato scientifico, esiste un criterio di esclusione…’.

La criminologa della difesa dott.ssa Ursula Franco in un’intervista redatta da Chiara Rai, direttore de L'Osservatore d'Italia, subito dopo l’udienza ha affermato: ‘Nel caso ci si trovi ad esaminare un cadavere e non ci siano elementi oggettivi che avvalorino una causa di morte piuttosto che un’altra, evidentemente si tenderà a ritenere più probabile la causa che non lascia segni se non ce ne sono, non si può infatti supporre che siano scomparsi quanto piuttosto che non ci siano mai stati. Il fatto che il cadavere della Ceste si sia naturalmente decomposto e siano in tal modo scomparse le parti molli e cartilaginee del collo è naturale, è una forzatura imperdonabile collegare l’assenza dell’osso ioide e del resto delle strutture molli del collo ad un evento asfittico’.




ELENA CESTE: LA VERITA' CHE NON PIACE AL POPOLO

di Domenico Leccese

In una nuova intervista Ursula Franco, medico criminologo, consulente di Michele Buoninconti ci spiega che l’errore giudiziario e le odiose lungaggini del nostro sistema hanno cause comuni.


A cosa attribuisce le lungaggini del nostro sistema giudiziario?

Innanzitutto nel nostro paese manca la cultura della verità, il fatto che non interessi agli addetti ai lavori rallenta inesorabilmente il corso della giustizia. E’ molto triste che la cerchino solo i diretti interessati.

Ciò che stupisce la gente comune sono le risultanze delle cosiddette consulenze tecniche di parte, spesso contrastanti tra loro, perché?

I consulenti spesso non dicono il vero o dissimulano, purtroppo tutto nasce dall’idea errata di chi fa le indagini, che una consulenza possa essere la chiave di volta di un caso e gli permetta di chiuderlo rapidamente, mentre invece accade raramente che una consulenza sia probatoria. In quest’ottica i consulenti finiscono per manipolare i risultati delle proprie analisi in modo da avvallare il convincimento di chi gli ha commissionato la consulenza, ciò obbliga il giudice a chiedere ulteriori analisi da parte di periti da lui nominati e ritarda il raggiungimento della verità. Inoltre contro ogni protocollo di tutela di un indagato spesso ai consulenti non criminologi vengono forniti atti che non dovrebbero visionare, un errore madornale, in questo modo la loro consulenza perde il proprio valore scientifico, non è più super partes, l’aver letto documenti non inerenti il loro specifico quesito inficia completamente le loro risultanze e spesso conduce all’errore giudiziario. Un consulente non criminologo non è chiamato per esprimere un suo giudizio generico sui fatti ma ha semplicemente il dovere di redarre una perizia inerente le sue competenze specifiche. Per fare un esempio, se un medico legale fa un autopsia, è sul cadavere che deve lavorare non sulle testimonianze agli atti di un’indagine o sull’autopsia psichiatrica della vittima o sulla perizia psichiatrica di un sospettato, lo stesso vale per uno psichiatra che analizza un sospettato, non può avere un’idea preconcetta del soggetto in esame. Probabilmente ciò che le dico, nonostante sia logico, in Italia è ritenuto ancora fantascienza mentre in America vengono annullati processi per questa ragione.

Quali sono, a suo avviso, oltre a questi, gli errori più comuni fatti dagli inquirenti?

Diciamo che più che di errori credo che il problema di chi indaga sia molto spesso la mancanza di una formazione scientifica, oggi fondamentale, in quanto ormai il risultato di un’indagine è una sorta di diagnosi, i dati peritali ritenuti più rilevanti si analizzano con il metodo logico scientifico, sconosciuto a chi non ha una specifica preparazione. I processi sono ormai dei veri e propri dibattiti scientifici. I risultati delle perizie non sono assoluti, né spesso risolutivi, chi cerca di risolvere un caso deve essere in grado di processare, criticare e valutare i dati consegnateli dai consulenti, prendere per buona un’inferenza come nel caso di Elena Ceste sulla causa di morte può voler dire sbagliare, mentre considerarla semplicemente per quel che è ovvero una semplice ipotesi, ma non l’unica, permette di arrivare alla verità.

Che cosa direbbe ad un giovane avvocato che vuole intraprendere la carriera di pubblico ministero?

Il mio consiglio ai giovani avvocati è di aprire le proprie menti al metodo logico scientifico, di non cercare le vie più facili ma piuttosto quelle certe nella ricerca della verità. Li consiglio di credere nella scienze criminologiche che sono scienze esatte, di non mettere in dubbio la psichiatria come sta succedendo nel caso di Elena Ceste, ciò che gli avvocati non conoscono o non vedono a causa della loro formazione, esiste comunque. La criminologia non è una scienza da salotti, ha invece una indubbia funzione pragmatica e spesso preventiva. Credo che purtroppo la figura del criminologo sia vissuta dalla maggior parte degli avvocati ‘old style’ come competitiva invece che come complementare.

Come si risolve un caso?

L’unico modo in cui si affronta un caso è raccogliendo la maggior quantità di dati possibili con le indagini tradizionali, analizzandoli, affiancando a questi dati consulenze mirate e traendo solo dopo uno studio approfondito di tutte le risultanze le conclusioni. Un caso, lo ripeto non si risolve magicamente con una o più consulenze di parte, si risolve applicandosi, studiando ogni possibile ipotesi alternativa, analizzando senza pregiudizio le dichiarazioni di un indagato, quelle dei familiari, quelle dei testimoni, valutando nel giudizio finale a quanti mesi di distanza dai fatti sono state raccolte ed in che clima mediatico. Come sappiamo la testimonianza è un processo delicato e nel caso Buoninconti Ceste, di cui mi sto occupando, molti testimoni sono stati sentiti tardivamente, le loro testimonianze pur non essendo assolutamente incriminanti, quanto piuttosto il contrario, sono cariche di emotività, un’emotività frutto di mesi e mesi di calunnie da parte dei media nei confronti di Buoninconti. Insomma il mio suggerimento è di cercare tutti i pezzi del puzzle ed aspettare a cantar vittoria se non prima di averli messi tutti, ma proprio tutti, insieme, a volte un cantar vittoria prematuro può trasformarsi in un boomerang.

Ci dice chi è in realtà Buoninconti?

Non è certo l’uomo dipinto dai media, è un buon padre di famiglia, religioso, non affatto rozzo, è un uomo che legge Etty Hillesum che credo sia sconosciuta alla massa dei ‘giornalai’ che lo infanga quotidianamente, ma soprattutto è una vittima del sistema, una vittima di un colossale errore giudiziario.

Mancano poche settimane alla sentenza che cosa può dirci?

Lo ripeto per l’ennesima volta, non esistono prove contro Michele Buoninconti in quanto non ha ucciso sua moglie, il castello accusatorio è un castello di carta velina. Buoniconti è stato indagato semplicemente perché gli inquirenti non sono stati in grado di spiegarsi la morte di Elena ed il ritrovamento dei suoi resti in quel rio se non con un omicidio, tale conclusione è il frutto di una ‘tunnel vision’ che ha colpito in primis i carabinieri della stazione di Costigliole d’Asti che si sono occupati della scomparsa della Ceste e che poi ha inesorabilmente infettato come un virus le conclusioni di tutti, degli inquirenti, dei giudici del riesame e del gup. Pierre Boulle, già nel 1953, nel suo straordinario libro ‘La faccia o Il procuratore di Bergerane’ sosteneva che: “L’inchiesta preliminare è generalmente la fonte di tutti gli errori giudiziari perché è il momento in cui l’emozione è al culmine e i pregiudizi sono fortissimi. Basta che l’accusato faccia prova di un’attitudine percepita come equivoca o sospetta, ed ecco che la macchina s’imballa". Nulla potrebbe essere più esplicativo.