MATTEO RENZI, QUIRINALE: IL PD VOTERA' SCHEDA BIANCA PER I PRIMI TRE SCRUTINI

Redazione

piovono dall'alto del premier le indicazioni sul voto per il Quirinale. Il Pd voterà scheda bianca alle prime tre votazioni. Lo ha annunciato il premier Matteo Renzi all'assemblea dei deputati alla Camera indicando il metodo per eleggere il capo dello Stato. "Chi non condivide il nome del candidato alla Presidenza della Repubblica – ha detto il presidente del Consiglio – dovrà dirlo apertamente".

Il premier ha spiegato ai presenti all'incontro disertato da Pier Luigi Bersani che il Pd proporrà agli altri partiti il nome di un solo candidato al Quirinale: niente terne, ma una proposta secca. E Chi non condivide il nome "dovrà dirlo apertamente". Anche perché, ha sottolineato Renzi, nel voto per il presidente della Repubblica "non c'è disciplina di partito".

Il premier ha quindi spiegato che il Pd ha ora la possibilità di riscattare lo scivolone del 2013 con il voto contro Prodi: "Il Pd – ha sottolineato – è l'antidoto e l'argine alla crisi della politica".

Dell'affossamento di Prodi ha parlato anche il capogruppo del partito alla Camera, Roberto Speranza: "Siamo in una settimana cruciale. Ciascuno di noi ha ancora sulla pelle le ferite del 2013. Ora è più che mai indispensabile un rapporto leale e franco per evitare le drammatiche vicende di due anni fa. Il rapporto e il confronto dentro i gruppi sarà comunque decisivo e io faccio appello a tutti voi: non perdiamo questa occasione per far emergere il nostro punto di vista".




MATTEO RENZI E QUEL PASTICCIACCIO DI SENATO E QUIRINALE

di Emanuel Galea

L’art. 83, titolo II della Costituzione italiana precisa che il Presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. Con l’abolizione del Senato, che fine farà quest’articolo?  Che valenza avrà, dopo, quella dicitura “ Parlamento in seduta comune”? 

In sostituzione dell’art.57 della Costituzione viene presentato il pasticciaccio di una bozza di disegno di legge costituzionale, datata 12 marzo 2014, con oggetto: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della seconda parte della costituzione”.

Il Senato andrebbe abolito e al suo posto subentrerebbe un nuovo assetto costituzionale con la nomenclatura di “Assemblea delle Autonomie” e avrebbe questa composizione:
 – I Presidenti delle Giunte regionali e delle Province autonome di Trento e di Bolzano,
 – Due membri per ciascuna Regione, eletti con voto limitato, dai Consigli regionali tra i propri componenti
 – Tre Sindaci eletti da un’assemblea dei Sindaci della Regione.
 – Ventuno cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario, a nomina del Presidente della Repubblica.

Il condizionale non è casuale, perché come tutte le riforme, di Matteo Renzi, entrano in Senato “sane e belle” ed escono “brutte ed incerottate”. Per questa riforma in particolare, e non osiamo pronunciarci per la revisione del titolo V della seconda parte della Costituzione, i partiti si sono scatenati e vanno all’arrembaggio. Rischiano di rendere questa “Alta Camera” simile ad un ospedale da campo dove restano ricoverate le proposte di Matteo Renzi.

Contro il giovane premier gioca il tempo e dopo quello perduto in trattative dentro il suo stesso partito, Renzi ora conta e spera di incassare il primo via libera in aula al ddl per la riforma del Senato e del titolo V entro “cinque o sei settimane”, ovvero entro il 10 giugno.
Il risultato non è però scontato. Calderoli è sempre in agguato. Quest’ultimo, infatti, ha chiesto e ottenuto, la convocazione per martedì 13 maggio, della giunta per il regolamento. Il vicepresidente leghista sostiene che il suo ordine del giorno votato in commissione, “rende nulla” l’adozione successiva del ddl del governo come testo base. La tesi di Calderoli non è pellegrina. Di fatti il primo contempla l’elezione diretta, mentre il secondo quella indiretta dei senatori.

Simili imboscate già si sono viste in passato. Allora correva l’anno 2004 e sullo scranno più alto del Senato sedeva Marcello Pera, anche lui agitandosi e facendo cenni ai commessi, gridava: “colleghi è inaccettabile! Togliete quei cartelli!”. Stesse scene già viste nei giorni della Cirami e del lodo Schifani. La riforma anche allora fu affossata a seguito di tre defezioni di An nel voto ai quali si era aggiunto quello dell’ex presidente della repubblica Francesco Cossiga e quello di Fisichella.

Questa non è la riforma che ci si aspettava. Pochi concordano che l’operazione possa portare a dei risparmi reali. La riforma sconvolge tutti. Ci si può otturare il naso per i Presidenti delle giunte regionali autonome, per i sindaci, ma non si può mandare giù i ventuno senatori scelti dal Presidente della Repubblica. Un vero pasticciaccio!

Si può comprendere la fretta di Renzi di fare del tutto per portare quantomeno un’apparenza di riforme nel semestre europeo, ma a forza di correre sta  inciampando in troppi pasticci.
 Il vecchio saggio “chi lascia la strada vecchia per la nuova….” dovrebbe pure aver insegnato qualcosa a Renzi. Forse non sarà per suo demerito, ma quello che s’intravede non è una riforma, è solo un pasticciaccio. Fermiamoci finchè  c’è tempo