Mafia Capitale, Massimo Carminati è tornato libero

Massimo Carminati, uno dei principali protagonisti dell’inchiesta Mafia capitale, ha lasciato oggi il carcere di massima sicurezza di Massama, a Oristano, ed è tornato libero. A quanto apprende l’Adnkronos, dopo tre rigetti da parte della Corte d’Appello, l’istanza di scarcerazione per scadenza dei termini di custodia cautelare, con il meccanismo della contestazione a catena, presentata dagli avvocati Cesare Placanica e Francesco Tagliaferri, è stata accolta dal Tribunale della Libertà. Carminati esce dal carcere dopo 5 anni e 7 mesi di detenzione.

“Deve ritenersi che in relazione ai due capi di imputazione (capo 2 e 23 del secondo decreto di giudizio immediato) il termine complessivo massimo di custodia cautelare è scaduto, con la conseguenza che va disposta la scarcerazione dell’appellante”, scrivono i giudici. “In definitiva – aggiungono – non può dirsi che nel procedimento in esame siano sospesi i termini di durata della misura cautelare, trattandosi dì procedimento rientrante tra quelli per i quali non opera la sospensione”.

“Nel caso specifico, il rinvio disposto dalla Suprema Corte di Cassazione per la rideterminazione della pena, anche in considerazione della esclusione dell’aggravante ad effetto speciale, originariamente contestata in relazione ai due reati di corruzione, di cui all’articolo 416 bis C.p. impedisce di ritenere irrevocabile la statuizione”. “La Suprema Corte ha affermato, in proposito, che ‘qualora venga rimessa dalla Corte di cassazione al giudice di rinvio la sola determinazione della pena, la formazione del giudicato progressivo riguarda esclusivamente l’accertamento del reato e la responsabilità dell’imputato; pertanto la detenzione dell’imputato deve essere considerata custodia cautelare e non come esecuzione dì pena definitiva’. Dunque, per concludere questo segmento del discorso, non può ritenersi che la statuizione nei confronti di Carminati in relazione ai due capi di incolpazione per cui è cautelato sia divenuta irrevocabile nei termini sopra detti”, scrivono ancora i giudici.
“In tal senso depone anche la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione che in relazione ai due titoli in esame non statuisce la definitivita. Riprendendo il discorso che ci occupa, va osservato che la pronuncia di annullamento della Suprema Corte, in parte limitatamente al trattamento sanzionatorio, in parte in punto di responsabilità, ha comportato la regressione del procedimento alla fase di Appello, con evidenti conseguenze sia sotto il profilo dell’allungamento dei tempi processuali sia sotto il profilo strettamente cautelare”, concludono.

Carminati è accusato dalla procura di Roma di essere a capo di una associazione per delinquere di stampo mafioso che avrebbe condizionato gare d’appalto tra il 2011 e il 2015, corrompendo imprenditori, funzionari pubblici, esponenti politici. Ex componente della banda della Magliana, Carminati si trovava a Massama dal 2017, trasferito dal carcere di Parma. “Siamo soddisfatti che la questione tecnica che avevamo posto alla Corte d’Appello e che tutela un principio di civiltà sia stata correttamente valutata dal Tribunale della libertà’”, dice alll’Adnkronos l’avvocato Placanica.




Processo d’appello, Mondo di mezzo: chiesti 430 anni di condanne per gli imputati

La procura generale ha chiesto una condanna a 26 anni e mezzo nei confronti dell’ex Nar, Massimo Carminati e a 25 anni e 9 mesi per l’ex ras delle cooperative romane, Salvatore Buzzi nell’ambito del processo di secondo grado al Mondo di mezzo.

In primo grado Carminati e Buzzi sono stati condannati rispettivamente a 20 e a 19 anni di carcere per associazione a delinquere e detenuti dal dicembre del 2014.

Condanne per un totale di 430 anni sono state chieste dal pg Antonio Sensale nel processo di secondo grado al Mondo di Mezzo. In totale sono 43 gli imputati. Oltre alle richieste di condanna a 26 anni e mezzo per Carminati e 25 anni e 9 mesi per Buzzi, il pg ha sollecitato, tra gli altri, 24 anni per Riccardo Brugia, 18 anni per Matteo Calvio, 17 anni e mezzo per Paolo Di Ninno, 16 anni e 10 mesi per Agostino Gaglianone, 18 anni e mezzo per Luca Gramazio, 17 anni per Alessandra Garrone, 14 anni e mezzo per Franco Panzironi. La sentenza è prevista per settembre. Sensale, nel corso della requisitoria ha chiesto inoltre di “ripristinare il 416 bis nelle forme pluriaggravate nelle quali viene contestato”. “Riteniamo sussistente l’aggravante mafiosa per le estorsioni e gli episodi corruttivi contestati” ha aggiunto il pg.




MAFIA CAPITALE, IL PROCESSO: SI PREPARANO I "COLPI DI SCENA"

Redazione

Roma – "Ci stiamo organizzando affinché nel processo non manchino colpi di scena. Carminati non conosce Alemanno. Sto facendo di tutto per convincerlo a parlare nel corso del processo, in cui vorrebbe essere presente". Giosué Bruno Naso, avvocato difensore di Massimo Carminati, considerato dalla Procura il deus ex machina di Mafia Capitale, è intervenuto questa mattina ai microfoni di Radio Cusano Campus, l'emittente dell'Università degli Studi Niccolò Cusano, ed ha rilasciato una intervista fiume a Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, coduttori del format ECG Regione.

Il processo, che vede imputato, tra gli altri, Massimo Carminati, prenderà il via con rito immediato il prossimo 5 novembre, nell'aula bunker di Rebibbia. La scelta di procedere con rito immediato non ha meravigliato Naso, anzi: "E' una cosa che davamo per scontata. Questo processo sta seguendo un copione che noi abbiamo immaginato immediatamente dopo l'adozione della misura cautelare. Davamo per scontato che si sarebbe arrivati al giudizio immediato allo spirare dei termini utili voluti dalla legge e così è stato per la prima tranche. Si è aggiunta un'altra parte di accusa con la seconda tranche e lo si è fatto anche per questa quasi allo spirare dei sei mesi. Sono espedienti con cui si allunga il brodo, si allunga la carcerazione preventiva, che diviene più pesante da sopportare, e si confida in un allentamento della tenuta psicologica degli imputati. E' una strategia dal punto di vista formale assolutamente legittima, forse lo è un po' meno dal punto di vista sostanziale".

Carminati vorrebbe essere presente in aula: "Carminati è sottoposto al regime di 41bis, per i detenuti sottoposti al regime di carcere duro è prevista la videoconferenza e questa situazione ci crea delle grosse difficoltà, rendendo un po' meno diritto il nostro diritto di difesa. Lui vorrebbe esserci, noi vorremmo che ci fosse, perché la cosa renderebbe la sua difesa meno difficoltosa, più efficace e agevole. Invece ci dovremo accontentare di un contatto telefonico, per altro non riservato".


La decisione del Ministro degli Interni in merito al non scioglimento di Roma per infiltrazioni mafiose, può rivelarsi, in qualche modo, un assist per chi nel processo legato a Mafia Capitale è indagato per 416bis.
Naso ne è convinto: "Diciamo che può essere, nel senso che sarebbe singolare che a Roma esistessero tante associazioni mafiose infiltrate nei gangli amministrativi ed economici del comune senza che il comune ne abbia risentito. La verità è che anche questo noi ce lo aspettavamo e lo davamo per scontato, sarebbe stato veramente un autogol delle autorità, non solo Capitoline, sciogliere il comune di Roma per mafia. Stiamo parlando della Capitale d'Italia. La legge, però, non si pone problemi di questo genere, non può pensare all'immagine, quindi se infiltrazioni mafiose ci fossero state il comune sarebbe stato sciolto. Questo a noi conferma che questo processo è una colossale montatura, mi riferisco alla sussistenza di associazioni di stampo mafioso, non al malaffare e alla corruzione che caratterizzava la vita del comune di Roma, non da uno o due anni, ma da qualche decennio. Carminati e Alemanno? Voi non ci crederete, ma Carminati non conosceva Alemanno. Pochi giorni fa sono stato a trovarlo, mi ha parlato proprio di questo".

Naso, poi, dichiara di aver affrontato, da difensore di Carminati, processi ben più delicati di questo:
"Ho affrontato il processo in cui Carminati era accusato dell'omicidio del giornalista Pecorelli, su mandato addirittura del Presidente Andreotti. Ho affrontato il processo in cui Carminati era imputato per la strage di Bologna. Se dicessi che questo mi preoccupa più degli altri direi una bugia. Ciò che è davvero singolare, e invito tutti a riflettere su questo, è che la fama di Carminati si basa su quello che lui non ha fatto, non su quello che ha fatto. La fama di Carminati si basa su accuse da cui è stato assolto fin dal primo grado di giudizio per non aver commesso il fatto".

Sul presunto rapporto tra Carminati e i servizi segreti:
"Se noi fossimo strumenti dei servizi segreti non ci troveremmo al 41bis. I servizi lo avrebbero scaricato? Rischiando che poi Carminati parlasse e rivelasse cose? E' assurdo pensare che Carminati sia stato pedina dei servizi segreti. E' un argomento risibile".

Un commento sulle attuali condizioni di Carminati: "Ha una tempra morale notevole ed è una persona di superiore intelligenza. Riesce a trovare un equilibrio per affrontare anche il carcere duro. Ma la gente non sa che il carcere duro è una forma di persecuzione e tortura psicologica".

Come sono state prese da Carminati le dichiarazioni di Buzzi? Naso non le manda a dire: "Non mi permetto di sindacare la strategia difensiva del collega Diddi, avvocato di primissimo piano. Io avrei scelto un momento diverso per parlare. Se il processo di tipo accusatorio è un processo di parti, l'imputato, cioè una parte, non deve parlare all'altra parte, cioè al ministero, ma al giudice".

Poi la vera bomba, la notizia che potrebbe cambiare le carte in tavola. Carminati parlerà: "Questa volta sto cercando di convincere Massimo Carminati a parlare e a rispondere alle domande del giudice. A differenza delle altre volte, quando ci siamo sempre avvalsi della facoltà di non rispondere, quindi, Carminati parlerà. Farò di tutto per convincerlo a parlare e a dire quello che sa.  Questa volta ritengo sia nel suo interesse rispondere.  Un atteggiamento di chiarimento e apertura da parte di Carminati sarà più utile per l'accertamento della verità dei fatti e per l'identificazione delle sue responsabilità, che non sono certamente quelle di aver dato vita ad una associazione di stampo mafioso".

Nel processo, dunque, non mancheranno colpi di scena: "Non mancheranno i colpi di scena? Me lo auguro, ci stiamo organizzando".
 




MAFIA CAPITALE: MASSIMO CARMINATI USAVA LA COOP COSMADA PER INCASSARE IL DENARO "SPORCO"

di Angelo Barraco

Roma – Mafia Capitale – Il Gip Flavia Costantini, in un passaggio che si trova in una delle 428 pagine dell’inchiesta denominata “Mafia Capitale” parla di: “Gli esiti delle investigazioni esperite hanno consentito di appurare che la Cooperativa Servizi manutenzione società Cooperativa sociale Onlus a responsabilità limitata (Cosmada) è di fatto uno strumento utilizzato da Massimo Carminati per il recupero delle illecite somme a lui dovute e una società 'cartierà priva di consistenza aziendale e sostanzialmente inattiva, fiscalmente domiciliata presso lo studio commercialista di un sodale di Carminati, Paolo Di Ninno, il quale è risultato curare la contabilità della gran parte delle società riconducibili a Salvatore Buzzi”.
 
Il magistrato prosegue ancora asserendo che la Cosmada è presieduta dall’avvocato Antonio Esposito, dal 30 giugno 2012 e risulta essere un prestanome al servizio di Massimo Carminati. Il Gip scrive anche che “Secondo quanto affermato da Buzzi la Cosma veniva utilizzata come stabile metodo per permettere a Carminati di rientrare del proprio credito acquisito mediante investimenti passati (nelle attività delle cooperative) e successivi guadagni ottenuti dalle attività illecite perpetrate dal sodalizio per il tramite delle opere svolte dalle cooperative poste sotto l'influenza dell'organizzazione”.
Buzzi sottolineava più volte, quando parlava con i collaboratori, la necessità di “dover retribuire l'espletamento di lavori fittiziamente condotti dalla cooperativa Cosma” per far avere a Carminare quanto dovuto in base alla propria quota partè. In un’intercettazione Buzzi discute della “possibilità di fatturare l'espletamento di lavori per guardiania di bagni e spurgo di bagni” fatturando 359mila euro in favore della Cosma sottolineando “perché è ora che se…alleggerimo…dovevo da un milione a Massimo eh”.



MAFIA CAPITALE: MASSIMO CARMINATI DA ANNI DA ANNI IN AFFARI COL CLAN MANCUSO

Redazione

Roma – L'ex militante dei Nar, Massimo Carminati, "e' da anni in affari con il clan Mancuso di Limbadi". Il tribunale del riesame di Roma, nel confermare il carcere per Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, i calabresi di Gioia Tauro indicati dalla procura come il tramite tra il clan 'ndranghetista e Salvatore Buzzi, presidente della Cooperativa '29 giugno', fa proprio un passo dell'informativa dei carabinieri del Ros che attribuiscono a Carminati un ruolo decisivo nella costituzione della 'Santo Stefano – onlus', destinata a gestire l'appalto per la pulizia del mercato Esquilino, "a conferma del rapporto tra l'associazione mafiosa romana e il clan Mancuso che aveva gia' portato a proficui affari in Calabria". Rotolo e Ruggiero – scrivono i giudici – "nella veste di referenti della cosca Piromalli, risultano essere stati accreditati, su richiesta di Buzzi, presso la famiglia Mancuso la quale indica come proprio referente per le attivita' a Roma l'imprenditore Giovanni Campenni'". E stando al riesame, "l'accordo per i nuovi affari nella Capitale dell'associazione calabrese legata ai Mancuso e' stato esplicitamente approvato da Carminati", come emergerebbe da diverse intercettazioni telefoniche e ambientali.




MAFIA CAPITALE: CARMINATI TRASFERITO NEL CARCERE DI TOLMEZZO

Redazione

Udine – Massimo Carminati, l'ex estremista nero arrestato per associazione di stampo mafioso nei giorni scorsi, e' stato trasferito presso il carcere di Tolmezzo. La conferma viene dal suo difensore, l'avvocato Giosue' Bruno Naso che cosi' commenta: "Prendiamo atto di questo trasferimento che inevitabilmente finisce per limitare il diritto di difesa perche' rende difficile il dialogo tra un indagato e il suo avvocato". Quello di Carminati, comunque, non e' stato l'unico trasferimento. Nei giorni scorsi, infatti, Salvatore Buzzi, presidente della Cooperativa 29 Giugno, era stato trasferito in un carcere della Sardegna. Su disposizione del Dap anche il manager Fabrizio Franco Testa e' stato portato nel carcere di Voghera.




ROMA: CATTURATO MASSIMO CARMINATI L'ANIMA NERA DEL CRIMINE ROMANO

Redazione

Roma – Arrestato Massimo Carminati considerato  l’anima nera della criminalità romana  più spietata e ramificata. Sembrava un'operazione impossibile fino a quando oggi i Ros gli hanno messo le manette ai polsi con l’accusa di associazione mafiosa.

"Lo abbiamo bloccato, lo abbiamo bloccato". Così uno dei militari che hanno partecipato all'operazione di cattura di Massimo Carminati, comunica alla centrale operativa via radio, confermando l'arresto. "Scendi, scendi da questa c… di macchina". Grida un carabiniere del Ros urla a Massimo Carminati nel momento della cattura ripresa in un video. "Signora vada fuori, ferma la macchina", dice un altro militare rivolgendosi anche ad una donna che era in auto con Carminati.

Cliccare qui per vedere il video della cattura

Massimo Carminati nasce nell'ambiente dell'estremismo di destra come amico e compagno di scuola di Valerio Fioravanti, al quale si lega in modo forte, e di Franco Anselmi. In breve diviene un personaggio carismatico di uno dei gruppi fondanti dei Nar: quello cosiddetto dell'Eur. Pur partecipando solo marginalmente a scontri, sparatorie ed episodi della miniguerra che ha insanguinato la capitale intorno al 1977 fra estremisti di destra e di sinistra, Carminati gode di grandissimo prestigio. Probabilmente perché è la persona dell'ambiente di destra maggiormente legata già allora alla malavita romana, alla nascente Banda della Magliana. 

Valerio Fioravanti, che lo considera come "uno che non voleva porsi limiti nella sua vita spericolata, pronto a sequestrare, uccidere, rapinare, partecipare a giri di droga, scommesse, usura"  ritiene quindi, il suo profilo criminale, adatto per un percorso di lotta armata che i suoi NAR intendono seguire, tanto da coinvolgerlo in molte azioni criminose, oltre che utilizzarlo come intermediario con la malavita romana, grazie alle diverse conoscenze che nel corso degli anni Carminati aveva accumulato, alla sua dimestichezza con gli ordigni esplosivi e alla disponibilità di materiale esplodente che poteva vantare in quegli anni.

Il 27 novembre 1979 partecipa, assieme a esponenti dei NAR e di Avanguardia Nazionale come Valerio Fioravanti, Domenico Magnetta, Peppe Dimitri e Alessandro Alibrandi, alla rapina ai danni della filiale della Chase Manhattan Bank di piazzale Marconi all'EUR. Successivamente parte del bottino, consistente in traveller cheque, verrà riciclato da Carminati e Alibrandi i quali lo affidarono nelle mani di Franco Giuseppucci, boss della Banda della Magliana che, nell'organizzare l'operazione di ripulitura, venne poi arrestato con l'accusa di ricettazione, nel gennaio del 1980.

Sempre nel 1979, Carminati assieme ad altri militanti neri, si attivò per la liberazione di Paolo Aleandri, un giovane neofascista orbitante nella galassia dei Nar a cui Franco Giuseppucci, boss della Banda della Magliana, aveva affidato in custodia un borsone pieno di armi mai riconsegnate che, utilizzate da vari esponenti della destra eversiva, erano andate disperse. Aleandri, più volte sollecitato, non era più stato in grado di restituirle ed era stato quindi rapito, il 1º agosto, dagli uomini della Magliana. A quel punto Carminati e altri militanti si attivarono rimediando altre armi (due mitra MAB modificati e due bombe a mano) in sostituzione delle originali andate perdute e dopo 31 giorni di prigionia, Aleandri venne liberato.

Quei due mitra modificati entrarono poi far parte dell'arsenale che la banda della Magliana nascose nei sotterranei del Ministero della Sanità e uno dei due venne addirittura riconosciuto, dal pentito Maurizio Abbatino, tra quelli rinvenuti sul treno Taranto-Milano, nel tentativo di depistaggio legato alla strage alla stazione ferroviaria di Bologna del 2 agosto 1980.

Il 13 gennaio 1981, infatti, in una valigetta rinvenuta su quel treno, contenente un fucile da caccia, due biglietti aerei a nome di due estremisti di destra, del materiale esplosivo T4 dello stesso tipo utilizzato per la strage di Bologna venne rinvenuto anche un mitra Mab proveniente dal deposito/arsenale della banda all'interno del Ministero della Sanità. Analizzando proprio quell'arma, gli inquirenti poterono risalire ai legami tra la Banda e la destra eversiva dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Per questa vicenda, il 9 giugno 2000, nel processo di primo grado, Carminati venne condannato a 9 anni di reclusione assieme al generale del Sismi Pietro Musumeci, al colonnello dei carabinieri Giuseppe Belmonte, al colonnello del Sismi Federigo Mannucci Benincasa e a Licio Gelli. Dell'episodio vennero infine ritenuti responsabili, con sentenza definitiva, i soli Musumeci e Belmonte, mentre Carminati verrà poi assolto in appello.

Secondo alcuni pentiti Carminati effettuò, per conto della Magliana, anche un altro omicidio affidato ai NAR, quello cioè del giornalista Mino Pecorelli, direttore del settimanale Osservatorio Politico O.P., iscritto alla loggia P2 e uomo vicino ai servizi segreti. Pecorelli fu assassinato con tre colpi di pistola calibro 7,65 a Roma, la sera del 20 marzo 1979 e secondo Antonio Mancini, pentito della Magliana interrogato l'11 marzo 1994: "fu Massimo Carminati a sparare assieme ad Angiolino il biondo (Michelangelo La Barbera, ndr). Il delitto era servito alla Banda per favorire la crescita del gruppo, favorendo entrature negli ambienti giudiziari, finanziari romani, ossia negli ambienti che detenevano il potere."

Dopo tre gradi di giudizio, però, nell’ottobre del 2003, la Corte di cassazione emanò però una sentenza di assoluzione "per non avere commesso il fatto" sia per i mandanti che per gli esecutori materiali dell'omicidio (Carminati e La Barbera), valutando le testimonianze dei pentiti come non attendibili e lasciando il caso (ancora oggi) irrisolto.

Massimo Carminati venne arrestato il 20 aprile 1981 quando, colpito da mandato di cattura per le azioni con i Nar, venne catturato nel tentativo di fuggire all’estero in compagnia dei due avanguardisti Domenico Magnetta e Alfredo Graniti. Arrivati nei pressi del valico del Gaggiolo (in provincia di Varese) e con l'intento di espatriare clandestinamente in Svizzera, i tre sono bloccati dalla polizia che li aspettava alla frontiera (probabilmente grazie ad una soffiata di Cristiano Fioravanti, fresco di pentimento) e che apre il fuoco su di loro, convinti che nell’auto ci fossero i capi superstiti dei Nar: Francesca Mambro, Giorgio Vale e Gilberto Cavallini. Mentre gli altri due se la cavano illesi, Carminati verrà ferito gravemente e perderà poi l'occhio sinistro e l'uso di una gamba.

Il 28 maggio 1982 viene rinviato a giudizio insieme ad altri 55 neofascisti del gruppo dei NAR a cui, il gruppo il giudice istruttore, contesta diversi capi di imputazione che vanno dalla strage alla rapina, all'omicidio, alla violazione della legge sulle armi, al danneggiamento doloso. Ad agosto di quell'anno viene però scarcerato per motivi di salute ma tornerà ben presto in carcere, il 6 ottobre, con altri 21 militanti neofascisti accusati di banda armata e associazione sovversiva.

I legami con la Banda della Magliana

Dopo gli anni della militanza politica e, successivamente, della commistione fra eversione politica e malavita comune, preferendo alla lotta ideologica obbiettivi legati all'utilità economica, Carminati finì per convogliare tutti i suoi sforzi nella criminalità organizzata che, in quella seconda metà degli anni settanta era contraddistinta, nella capitale, da una pressoché totale egemonia da parte della Banda della Magliana.

Già nel 1977, soprattutto frequentando il bar Subrizi in via Fermi o più spesso il bar di via Avicenna, nella zona di Ponte Marconi e ritrovo dei criminali della Banda della Magliana, Carminati entra in contatto con i boss Franco Giuseppucci e Danilo Abbruciati che, grazie anche alla sua fama di duro e per la sua spregiudicatezza ed il coraggio dimostrato nelle azioni, lo prendono sotto la loro ala protettiva sia per coinvolgerlo nelle proprie attività illecite che per la possibilità di ricercare un terreno comune di reciproco beneficio e di scambio di favori. Inizialmente alla base di questa cooperazione vi furono alcune attività di reinvestimento di proventi provenienti da rapine di autofinanziamento che gli estremisti effettuarono con Fioravanti e soci, in modo da poterli investire in altre operazioni illecite quali l'usura o lo spaccio di droga.

Franco Giuseppucci era un accanito scommettitore e, per tale sua passione, frequentatore di ippodromi, sale corse e bische, ambienti nei quali non disdegnava di prestare soldi "a strozzo", dietro interessi aggirantisi attorno al 20-25 per cento mensili. Il denaro che riceveva dal Carminati, consentiva ai due di ripartire tra loro il provento degli interessi: al Carminati veniva corrisposta una "stecca" del 10-15 per cento. Dal momento che il denaro riciclato in tal modo veniva conteggiato sulla base di lire 10 milioni per volta, il Carminati, per ogni dieci milioni di lire veniva a percepire mensilmente dal Giuseppucci, da un milione ad un milione e mezzo di lire, fermo restando che Franco Giuseppucci garantiva la restituzione del capitale. Sempre Franco Giuseppucci aveva messo il Carminati in contatto con Santino Duci, titolare di una gioielleria in via dei Colli Portuensi, il quale ricettava i preziosi provento di rapine ad altre gioiellerie ed orefici, liquidando al Carminati il contante che questi, col metodo sopra specificato, riciclava e reinvestiva mediante lo stesso Giuseppucci. 

Per contro, Carminati e gli altri, si adoperarono in azioni di recupero crediti, danneggiamenti e di vero e proprio killeraggio, nei confronti di alcuni personaggi entrati in conflitto con gli affari della Magliana.

 I contatti avvennero in epoca precedente alla morte di Franco Anselmi. Successivamente essi furono mantenuti dal gruppo che faceva capo ad Alessandro Alibrandi, Massimo Carminati e Claudio Bracci (…) e ricordo, in particolare, che quelli della Magliana davano indicazione dei luoghi e persone da rapinare anche al fine di dare il corrispettivo di attività delittuose compiute per loro conto dagli stessi giovani di destra. Ricordo infatti che Alibrandi e gli altri due avevano la funzione di recuperare i crediti di quelli della Magliana e di eliminare alcune persone poco gradite. Tali persone da eliminare gravitavano nell'ambiente delle scommesse clandestine di cavalli: in particolare il Carminati mi disse, presumibilmente intorno al febbraio '81, di aver ucciso due persone: una di queste era stata "cementata" mentre l'altra era stata uccisa in una sala corse 

Secondo le rivelazioni del pentito Walter Sordi, ad esempio, nell'aprile del 1980 Carminati, Alibrandi e Claudio Bracci uccisero con tre colpi di pistola calibro 7,65 il tabaccaio romano Teodoro Pugliese, omicidio ordinato dalla Banda perché d'intralcio nel traffico di stupefacenti gestito da Giuseppucci.

A uccidere Teodoro Pugliese sono stati Alessandro Alibrandi, Massimo Carminati e Claudio Bracci. Me l'ha raccontato proprio Alessandro, secondo il quale il delitto fu commesso per conto di Franco Giuseppucci, uno della banda della Magliana che era in stretti rapporti d'affari con loro, in particolare con Carminati. Entrarono in due, Alibrandi e Carminati, vestiti con degli impermeabili chiari, trovarono Pugliese e un'altra persona. Uno dei due chiese un pacchetto di sigarette, il tabaccaio si girò e loro spararono tre colpi di pistola, Alessandro mi ha detto che l'hanno colpito alla testa e al cuore. Poi sono saliti a bordo di una macchina, e durante la fuga hanno avuto un incidente, ma sono riusciti ad arrivare ugualmente al punto in cui si doveva fare il cambio auto. So che la pistola usata era una Colt Detective. 

Con il passare del tempo, poi, Carminati verrà affiliato definitivamente al gruppo criminale della Magliana e, durante questo periodo ottenne addirittura il controllo congiunto, per conto dei NAR, del deposito di armi della Banda nascosto negli scantinati del Ministero della Sanità, in Via Liszt, all'EUR e rinvenuto poi, dalla polizia nel corso di una perquisizione, il 25 novembre del 1981.

A Massimo Carminati venne consentito, in un secondo momento, di accedere liberamente al Ministero. La decisione di consentire l'accesso con maggiore libertà al Carminati, venne presa da me, nell'ottica di uno scambio di favori tra la banda e il suo gruppo. Le armi custodite nel deposito della Sanità appartenevano a tutte le componenti della banda, rispondeva pertanto unicamente a esigenze di sicurezza limitare alle persone che ho indicato il libero accesso al Ministero, anche per non creare dei problemi ulteriori all'Alesse.

I processi e le condanne

Il lungo curriculum criminale di Carminati maturato all'ombra dei NAR e della Banda della Magliana, anche in virtù della sua figura di anello di congiunzione tra la criminalità romana ed i gruppi eversivi di estrema destra, fu oggetto di diversi processi nei confronti dell'estremista nero, alcuni dei quali riguardanti i misteri più controversi della Repubblica Italiana e da cui, Carminati, uscì praticamente quasi sempre indenne.

Successe nel caso del procedimento per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli o in quello per il tentativo di depistaggio legato alla strage alla stazione ferroviaria di Bologna in cui, in entrambi i casi, venne assolto per non aver commesso il fatto.

Stessa sorte nel processo per l'omicidio di Fausto e Iaio (Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci), i due militanti di sinistra assassinati a Milano, la sera del 18 marzo 1978, con 8 colpi di pistola. Con Carminati vennero indagati altri due neofascisti romani, Claudio Bracci e Mario Corsi per i quali, il 6 dicembre 2000, il Giudice delle Udienze preliminari del Tribunale di Milano, Clementina Forleo decretò l'archiviazione del procedimento a loro carico mettendo così la parola fine a un’inchiesta durata 22 anni e indirizzata, sin dall'inizio, negli ambienti dell'estremismo neofascista ma che, come recitano le conclusioni di quel documento: "pur in presenza dei significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva ed in particolari degli attuali indagati, appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite appunto indiziario di questi elementi, e ciò soprattutto per la natura del reato delle pur rilevanti dichiarazioni."

Nel processo che, invece, vide alla sbarra l'intera Banda della Magliana, iniziato a Roma, il 3 ottobre del 1995 e in cui 69 appartenenti al clan furono chiamati a rispondere a reati quali traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni, riciclaggio, omicidio, rapina e soprattutto associazione a delinquere di stampo mafioso[22], il pubblico ministero Andrea De Gasperis chiese, per Carminati, una pena pari a 25 anni di carcere.[23] Istruito grazie alle rivelazioni del pentito Maurizio Abbatino che, la mattina del 16 aprile 1993, portarono in carcere boss, seconde linee e fiancheggiatori dell'organizzazione capitolina, nella maxi-operazione di polizia denominata "Colosseo", dopo due gradi di giudizio, il 27 febbraio 1998, Carminati venne condannato a 10 anni di reclusione.

Sviluppi recenti

Carminati è attualmente indagato per il furto al caveau della Banca di Roma interno al Palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio, a Roma, avvenuto il 17 luglio del 1999 e compiuto da una banda composta da circa 23 persone, compresi i complici interni, che trafugarono da 147 cassette di sicurezza di "proprietà" di dipendenti del palazzo, oltre a 50 miliardi di lire, anche documenti riservati che sarebbero serviti per ricattare alcuni magistrati.

Nel maggio del 2012 Carminati è di nuovo tornato alla ribalta delle cronache nell'ambito dell'inchiesta sul calcioscommesse per il quale vennero indagati e arrestati alcuni calciatori italiani.[27] Il suo nome è emerso nel corso delle indagini su Giuseppe Sculli, centrocampista del Genoa e nipote del boss Giuseppe Morabito, detto u tiradrittu e legato alla criminalità organizzata calabrese.

Il 2 dicembre 2014 viene arrestato insieme ad altre 36 persone con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso nell'ambito dell'inchiesta Mondo di Mezzo della procura di Roma riguardante le infiltrazioni della sua organizzazione mafiosa nel tessuto imprenditoriale, politico ed istituzionale della città, attraverso un sistema corruttivo finalizzato ad ottenere l’assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici dal Comune e dalle aziende municipalizzate, con interessi anche nella gestione dei centri di accoglienza degli immigrati e nel finanziamento di cene e campagne elettorali (tra cui quella dell'ex sindaco Gianni Alemanno che figura tra gli indagati).