YARA GAMBIRASIO: 9 MILA EURO A FIKRI, L'OPERAIO ACCUSATO INGIUSTAMENTE

di Daniele Rizzo

Ricordate Mohamed Fikri? Nel dicembre 2010 fu arrestato e detenuto un paio di giorni perché ritenuto il responsabile della sparizione e quindi della morte di Yara Gambirasio. Ad incastrare l’operaio del cantiere di Mapello all’epoca fu un’intercettazione tradotta male. Benché la detenzione fosse durata solo pochi giorni, Fikri è stato oggetto di inchiesta fino all’agosto 2013, mese in cui i carabinieri archiviarono definitivamente le indagini sul suo conto. Ieri la Corte d’Appello di Brescia ha accolto l’istanza di risarcimento per ingiusta detenzione, stabilendo inoltre per il manovale un risarcimento di 9 mila euro, viste le pesanti ripercussioni che l’indagine ha avuto nella sua vita privata.
Intanto non ci sono novità sull’omicidio della tredicenne di Brembate di Sopra. Il 14 ottobre sarà discussa l’istanza di scarcerazione presentata dai legali di Massimo Bossetti al Tribunale della libertà di Brescia, dopo che il gip di Bergamo aveva sentenziato la non scarcerazione.
Per motivare la nuova istanza i legali di Bossetti, Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni, hanno preso in prestito un estratto della relazione dei RIS sulla traccia genetica rilevata sul corpo di Yara: “Una logica prettamente scientifica, che tenga conto dei non pochi parametri che si è tentato di sviscerare in questa sede, non consente di diagnosticare in maniera inequivoca le tracce lasciate da Ignoto 1 sui vestiti di Yara”. Per gli avvocati di Bossetti sarebbero dunque gli stessi carabinieri a porsi delle domande sulla validità delle tracce rinvenute. Inoltre all’istanza è stato allegato anche un documento della Vodafone del 25 gennaio 2011 dal quale emergerebbe che l’ultimo aggancio della vittima sia stato a Brembate, e non a Mapello come invece sostengono gli inquirenti. Infine gli avvocati di Bossetti contestano il fatto che le famose tracce di calce ritrovate nell’apparato respiratorio della ragazza non sarebbero evidenti dalla perizia Cattaneo.
Insomma, ancora pochi giorni e sapremo se queste motivazioni saranno abbastanza forti per far scarcerare Bossetti, ormai recluso da oltre 100 giorni.




YARA GAMBIRASIO: MASSIMO BOSSETTI E LA SUA SALDA PRESUNZIONE D'INNOCENZA

di Alessandra Pilloni

Sono trascorsi più di tre mesi dal fermo di Massimo Bossetti, accusato dell’omicidio della piccola Yara Gambirasio, e tra i tanti dubbi che si  impongono nell’analisi di questa triste vicenda, l’unico vero punto fermo sembra essere una condanna di piazza senza precedenti.
Il verdetto mediatico di colpevolezza nei confronti di quest’uomo è stato pressoché unanime, ma il muratore di Mapello non sembra vacillare nel proprio continuare a proclamarsi innocente, e ad occhio attento non possono sfuggire molti punti oscuri della vicenda, a partire dalle risultanze dell’esame autoptico, che nel descrivere le ferite riscontrate come “relativamente superficiali e insufficienti da sole a giustificare il decesso”, presumibilmente concausato da ipotermia,  sembra stonare con la figura di un agente adulto e avvezzo, per lavoro, all’uso di armi bianche da punta e taglio.
Negli ultimi giorni, a ridosso dell’istanza di scarcerazione presentata al GIP dagli avvocati di Bossetti, che a seguito del rigetto ricorreranno al Tribunale del Riesame, si è tornati a parlare di una serie di presunti elementi a carico dell’uomo che, se analizzati in maniera scevra di posizioni precostituite, non sembrano però essere tali.
Un’assenza dal lavoro in data 26 novembre 2010, dichiarata da Bossetti nel corso dell’ultimo interrogatorio e non in precedenza, è stata presentata come una contraddizione sospetta, un giudizio che tuttavia non trova spazio nell’ambito di una valutazione critica dell’elemento, in quanto difficilmente si potrà ritenere sospetta una confusione relativa ai propri spostamenti in una data specifica di ben quattro anni prima.
La stessa lettura dell’ordinanza di custodia cautelare del 19 giugno mostra in effetti come i ricordi di Bossetti fossero sin dall’inizio soggetti al naturale disorientamento dovuto al troppo tempo trascorso, con una probabile confusione in prima battuta sugli spostamenti relativi ai giorni immediatamente successivi all’omicidio, associati dall’uomo alla presenza, nei pressi della palestra di Brembate, di una serie di furgoni con grosse parabole relativi presumibilmente a mezzi di telecomunicazioni presenti sul luogo proprio per la scomparsa di Yara.
Un elemento, quello della contraddizione relativa all’assenza dal cantiere, che oltre a trovare delle logiche spiegazioni, rischia di risultare intrinsecamente vuoto di qualsivoglia valore probatorio, in quanto l’orario in cui si colloca l’aggressione alla piccola Yara sarebbe comunque incompatibile con i normali orari di lavoro di un muratore: così, se il fatto che Massimo Bossetti quel pomeriggio fosse stato al lavoro non avrebbe potuto costituire un alibi in suo favore, è del tutto illogico ritenere che il fatto contrario possa costituire un indizio a suo carico.
Per contro, questo elemento potrebbe essere perfino rivelarsi favorevole al Bossetti: infatti, tra i presunti indizi che deporrebbero contro di lui vi sono le polveri di calce rinvenute nell’albero bronchiale della piccola Yara, la cui presenza sarebbe, secondo l’ordinanza del GIP, dovuta alla permanenza in ambienti saturi di calce ovvero “ad un contatto con parti anatomiche (più facilmente mani) o indumenti indossati da terzi imbrattati di tale sostanza”.

 

Questo elemento è stato correlato alla professione svolta da Massimo Bossetti, ma se quel pomeriggio Massimo Bossetti non era al cantiere diventa difficile sostenere che potesse avere mani e abiti imbrattati di calce, ed allo stesso modo è problematico sostenere che possa definirsi ambiente “saturo” di calce il furgone, ancor più se nel furgone non risulta essere stata trovata traccia alcuna della piccola Yara.
Anche la notizia relativa ad un furgone simile a quello di Massimo Bossetti ripreso dalle telecamere di sorveglianza di una banca alle ore 18,01 di quel maledetto 26 novembre sembrerebbe essere un buco nell’acqua: infatti, un esperimento effettuato già a inizio luglio, a fini didattici, dal Dott. Ezio Denti, proprio in via Rampinelli e con le medesime condizioni di luce, ha mostrato un’evidente incompatibilità tra la fanaleria del furgone ripreso, che emette un fascio di luce a losanga arrotondata, e quella rettangolare di un Iveco Daily del modello in uso a Massimo Bossetti, tanto da spingere il criminologo, videosimulazione alla mano, a dichiarare che non solo il furgone ripreso non può essere quello di Massimo Bossetti, ma addirittura che è molto probabile non si tratti neppure di un Iveco Daily d’altro modello, ma di un Ford Transit.
L’impressione che si ricava da un’analisi attenta degli elementi noti, tenuto conto della evidente insufficienza del solo DNA, che non può provare di per sé colpevolezza di un delitto, sembra essere, in definitiva, molto lontana dalle certezze apodittiche incautamente propagandate.
Il diritto alla presunzione d’innocenza non dovrebbe mai essere dimenticato, ed ancor meno quando un’attenta analisi dei fatti sembra lasciare spazio a dubbi e discrasie evidenti.
Il rischio intrinseco del lasciare che la presunzione d’innocenza si riduca ad inutile grida secentesca, è infatti il ripetersi della dinamica che portò i falsi untori della “Storia della Colonna Infame” del Manzoni ad un’ingiusta condanna dettata dall’esecrazione della pubblica piazza e culminata con l’innalzamento di una colonna simbolica in memoria dell’infamia dei condannati.
La stessa colonna che sarebbe poi diventata, ahimè, emblema dell’infamia di chi troppo avventatamente aveva scelto di erigerla.

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 YARA GAMBIRASIO | AGGREDITA SORELLA BOSSETTI | MASSIMO BOSSETTI 




YARA GAMBIRASIO: AGGREDITA LA SORELLA DI MASSIMO BOSSETTI

Redazione

 Terno d'Isola – Un terribile episodio. La sorella di Massimo Bossetti e' rimasta vittima di un'aggressione a Terno d'Isola, nel Bergamasco. Letizia Laura Bossetti, gemella dell'uomo accusato dell'omicidio di Yara Gambirasio, e' stata avvicinata da tre uomini mentre stava salendo in auto nei garage del condominio dove abitano i genitori. I tre l'avrebbero presa a calci e pugni dando dell'assassino al fratello, fino a farle perdere i sensi. Ora e' ricoverata al policlinico di Ponte San Pietro.
  Pare che una prima aggressione, limitata a spintoni e insulti al fratello, fosse gia' avvenuta qualche settimana fa, mentre precedentemente le era stata fatta trovare la pagina di un giornale dedicata al delitto di Yara.
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YARA GAMBIRASIO: MASSIMO BOSSETTI RIMANE IN CARCERE

Tutto resta sospeso e Bossetti rimane in carcere. Solo il giorno dopo la richiesta di scarcerazione, il giudice Ezia Maccora ha dichiarato inammissibile la richiesta degli avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni che non inviarono la notifica, come previsto dal codice penale, dell’istanza ai legali della famiglia Gambirasio.

di Cinzia Marchegiani


Bergamo – Novità o forse nulla all’orizzonte per Giuseppe Bossetti che si trova rinchiuso ancora nel carcere di Bergamo. Accusato dal PM Letizia Ruggeri dell’assassinio di Yara Gambirasio ritrovata in un campo di Chignolo d’Isola il 26 febbraio 2011 solo tre mesi dopo la sua scomparsa. Bossetti è l’indiziato numero uno dell’omicidio, agli occhi attenti dell’opinione pubblica viene dipinto come un uomo di ghiaccio capace di azioni di crudele ferocia, come giustificato dallo stesso Gip che ne ha convalidato il fermo. Un’Italia sempre più giustizialista forse perché è importante dare in pasto il mostro di turno, mentre non sono tutelati i diritti sanciti dalla stessa legge, che vuole il colpevole solo a condanna definitiva. Bossetti, indipendentemente dalla realtà dei fatti, è l’Enzo Tortora di turno, un monito che sembra non abbia gettato alcun seme. Proprio nei giorni scorsi, il 10 settembre 2014, i legali di Giuseppe Bossetti, la dottoressa Silvia Gazzetti ed il dottor Claudio Salvagni avevano presentato l'Istanza di scarcerazione del presunto colpevole per la giustizia italiana, ma il giudice non ha accolto la richiesta. Un delitto come tanti altri avvolto da misteri imperscrutabili, dove emergono con tutte le conseguenti fragilità, quelle prove inizialmente schiaccianti che con il tempo diventano troppo spesso labili, non databili e quelle stesse tracce nella scena del delitto anche  con tutte le tecnologie a disposizione per la ricerca scientifica, spesso rimangono fini a se stesse, poiché nel crimine perpetrato si cela molto di più di una macchia di sangue che non ha scritto nel suo codice genetico a che data e ora è stata prodotta. Così gli indizi forti e prova regina che ora hanno trovato solo un presunto colpevole, sono le tracce di DNA nei leggins e slip di Yara. Potrà essere questa unica prova a dimostrare la colpevolezza di Bossetti?

Ad oggi le notizie di questo giallo vedono  Bossetti in carcere,  il giorno dopo la richiesta di scarcerazione, il giudice Ezia Maccora ha dichiarato inammissibile la richiesta degli avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni, che come previsto dal codice penale, non hanno inviato la notifica dell’istanza ai legali della famiglia Gambirasio. Nell’ordinanza del GIP persistono i gravi indizi di colpevolezza e il pericolo di reiterazione del reato. Ora anche la seconda richiesta di scarcerazione è stata respinta.

Tutto è rimasto sospeso, ma non l’iter mediatico che spesso ha bisogno di essere alimentato per non far spengere la fiamma del sensazionalismo, nemico numero uno delle inchieste e del pudore che comunque dovrebbe essere difeso. E ora quelle stesse riflessioni del generale Luciano Garofano in un convegno dello scorso febbraio proprio sul femminicidio e la morte di una giovane ragazza riemergono con tutta la loro forza ad indicare la strada del monito che qui riportiamo: ”il legislatore nelle fasi d’investigazione deve porre attenzione sul ruolo invadente delle trasmissioni e giornali poiché le indagini preliminari vanno protette e non dibattute. L’art.5 inoltre rinnova la formazione degli operatori, errori umani fatti sui luoghi d’indagine in sede di primo intervento e anche successivamente non sono più tollerabili. L’omicidio di Serena Mollicone insegna che sono stati commessi troppi errori, tutti i processi dibattuti attendono ancora risposte dalle prove scientifiche, sciupate da un’anarchia investigativa, la scienza fa la differenza se la burocrazia, prima investigativa e poi processuale, sono nella giusta misura”. 

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YARA GAMBIRASIO: L'APPROFONDIMENTO DE L'OSSERVATORE D'ITALIA

A cura di Alessandra Kitsune Pilloni, di Sashinka Gorguinpour, di Laura Clemente di S. Luca

Ecco una approfondita analisi degli elementi probatori a carico di Massimo Bossetti. Diverse firme per una attenta analisi e un commento dopo circa 4 anni anni di indagini sulla morte della piccola Yara Gambirasio. 

 

La svolta alle indagini è ancora lontana

di Chiara Rai


Oggi verrà presentata l'istanza di scarcerazione per Massimo Bossetti da parte dei suoi due legali Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni. Sappiamo bene che questa può essere anche concessa quando sostanzialmente viene a cessare il pericolo di fuga e la reiterazione del reato. Di fatto senza volerci sostituire alla competenza del pm che valuterà gli atti depositati dai legali, ci limitiamo a constatare che Massimo Bossetti ha trascorso oltre 80 giorni in una cella d’isolamento senza che ci fosse nessuna prova che possa essere considerata “Regina” a sostegno della tesi d’accusa. Ad oggi possiamo asserire che non si conosce il volto dell’assassino di Yara Gambirasio e nonostante ci si attorcigli in voli pindarici per attribuire a Bossetti la piena colpevolezza di un omicidio commesso con l’aggravante della crudeltà, di fatto si è di fronte ad indagini costellate di incertezze.

L’arresto di Massimo Bossetti avviene dopo quasi 4 anni di indagini serrate, in cui la pista dell’esame scientifico è stata quella privilegiata. E’ stato giusto concentrarsi maggiormente su prove scientifiche la cui integrità è opinabile, soprattutto alla luce del fatto che il cadavere di Yara è stato trovato in un campo all’aperto di Chignolo d’Isola in avanzato stato di decomposizione?

Il corpo è stato ritrovato a febbraio del 2011 quando la ragazza è scomparsa il 26 novembre del 2010. Può essere stato spostato, può essere successo di tutto. La bambina è stata riconosciuta solo grazie ai vestiti che indossava e all’apparecchio ai denti.
In tutto questo tempo Bossetti, il muratore di Mapello, non ha mai lasciato la sua casa e i suoi tre figli Nicolas, Alice e Aurora. Contro di lui una traccia di Dna trovato sugli slip della vittima oltre a “coincidenze” ed elementi da considerarsi poco influenti. Insomma di certo sappiamo che Dna di Massimo, 44 anni, padre di tre figli, coincide con quello di "Ignoto uno", e cioè con il presunto assassino della tredicenne Yara Gambirasio. Sembrerebbe che per la Procura il movente dell’omicidio sia di natura sessuale e forse per questo si continua a scavare nella vita privata di Bossetti e nel suo rapporto con la moglie. Ma quali indizi di colpevolezza si cercano? La coppia Bossetti – Coma non ha mai dichiarato di avere problemi ma anche se ci fossero, dove sarebbero le prove per mezzo delle quali si potrebbe narrare la presunta follia omicida di Bossetti?

Da non sottovalutare, è il fatto che dai computer di casa Bossetti sia stato visionato materiale pedopornografico. L’accesso a pedoporno e la ricerca di parole chiave come “tredicenni” certo non volgono a favore del muratore di Mapello ma questo non significa che sia lui l'assassino di Yara.
In Italia migliaia di persone, purtroppo, hanno visionato questo genere di materiale e la polizia postale è continuamente al lavoro per scovare questi malati morbosi che adescano minorenni o scaricano infinità di materiale che le riguarda. Le indagini potrebbero concentrarsi piuttosto su eventuali casi precedenti che vedono coinvolto Bossetti in questa sfera. Ma finora non sembra esserci niente di più di circa cinque visualizzazioni di materiale pedopornografico.

Bossetti frequentava le vie di Brembate di Sopra dove Yara andava a prendere il bus e andava dal dentista. Il furgone Iveco di Bossetti è inquadrato dal benzinaio davanti alla palestra frequentata da Yara. Di fatto la svolta nelle indagini ancora è da ritenersi lontana. Il corpo di Yara è stato soggetto ad intemperie, contatto con animali e quant’altro in quel maledetto campo di Chignolo d’Isola. Si deve cercare l’assassino e non costruirlo. 

 

DNA: la prova scientifica nel processo penale

di Alessandra Kitsune Pilloni

Mai come negli ultimi tempi il DNA è stato al centro della cronaca. Sebbene si sia parlato nei primi giorni di prova regina, fuor di retorica, la questione della prova scientifica, ed in particolare del DNA, nel processo penale, è molto più complessa di quanto comunemente si creda.
Nell’indagine sull’omicidio della piccola Yara Gambirasio, la pista del DNA ha finito per essere l’unica direttrice seguita.
Dopo anni di ricerche si è giunti ad un nome, quello di Massimo Bossetti, il cui DNA coinciderebbe con quello di Ignoto1, fonte del materiale genetico rinvenuto sul corpo di Yara, in un’area “attigua ad uno dei margini recisi” dei leggings e degli slip.
Un nome giunto al culmine di un’indagine per molti aspetti irrituale, che potrebbe rivelare molti colpi di scena.
Se è vero, infatti, che il DNA costituisce un indizio forte, è altrettanto vero che ben difficilmente una singola traccia di DNA, per giunta di natura biologica incerta, potrà essere considerata una prova regina, soprattutto se avulsa da un corollario di indizi univoci che possano confortarne la valenza probatoria.
Un indizio forte, ma insufficiente, da solo, a fare di un uomo un assassino.
Non è certo un caso che dopo l’entusiasmo dei primi giorni, nei quali si ventilò perfino l’ipotesi di una richiesta di giudizio immediato, la realtà abbia rivelato spesso un’indagine che sembra arrancare ed arenarsi su elementi di dubbia rilevanza.
L’inappellabile condanna mediatica potrebbe, in buona sostanza, non rispecchiare una realtà fattuale.
Si è parlato tanto di DNA, ma ciò che in pochi si sono presi la briga di dire all’opinione pubblica è che il DNA, al netto di (pur possibili e concretamente verificatisi, specie in ambito statunitense in cui si fa un grande uso del DNA nei processi) errori di laboratorio, serve unicamente ad identificare un individuo.
Nel caso di Massimo Bossetti, è quasi certo che il test genetico non sarà ripetibile dalla difesa, in quanto è altamente probabile che non vi sia più materiale da estrarre dalla traccia originale, ma anche qualora procedure di estrazione, campionamento ed analisi si rivelassero impeccabili, la questione non sarebbe affatto risolta: una traccia di DNA indica appartenenza, non colpevolezza.
La confusione della probabilità statistica che una traccia di DNA appartenga ad un determinato soggetto con la probabilità che il soggetto sia colpevole è comunemente detta “fallacia dell’accusatore”, espressione che designa una fallacia logica che abbraccia tutti quei casi nei quali una probabilità statistica viene attribuita ad una classe di fatti diversa da quella alla quale si riferisce.
La domanda, dunque, qualora non vi fosse alcuna contestazione di ordine scientifico, sarebbe come il DNA è arrivato nel punto e sul corpo in cui è stato trovato.
Potrebbe sembrare una domanda retorica, ma non lo è: tra i due più evidenti limiti del DNA nell’accertamento processuale vi sono infatti non databilità e facile trasportabilità, due elementi che portano come inquietante corollario la possibilità che la fonte del materiale genetico rinvenuto sulla scena del crimine non sia implicato nel crimine stesso.
Un gran numero di studi scientifici dimostra che il trasferimento secondario di DNA, che si verifica quando il DNA depositato su un elemento o una persona viene trasferito su un altro oggetto o su un’altra persona senza che vi sia stato alcun contatto fisico tra il depositante originale e la superficie finale è ipotesi scientificamente possibile.
In assenza di certezza sull’origine biologica della traccia, si potrebbe perfino ipotizzare che possa avere un’origine tale da facilitare ulteriormente il trasferimento secondario.
Anche qualora la traccia fosse certamente ematica, inoltre, una possibilità di questo tipo non potrebbe essere esclusa.
La nota genetista forense Marina Baldi ha più volte spiegato che in presenza di un’unica traccia di DNA l’ipotesi di un trasferimento secondario verificatosi, ad esempio, attraverso un’arma del delitto precedentemente contaminata è scientificamente possibile.
Viepiù che astrattamente possibili, ipotesi analoghe risultano essere già incluse nella casistica giudiziaria: il criminologo Ezio Denti, ad esempio, ha illustrato un caso concretamente verificatosi in cui il DNA di un uomo fu trovato sul corpo della vittima, uccisa a colpi di cacciavite.
L’uomo al quale era riconducibile il DNA, tuttavia, non era l’assassino: era semplicemente stato ferito in una rissa due giorni prima dell’omicidio con lo stesso cacciavite poi usato come arma del delitto, ed il suo aggressore risultò essere il vero colpevole.
E come nel delitto di dostoevskijana memoria confessò la sua colpa.
In fondo gli antichi, sia pure senza le indagini all’insegna della genetica forense, lo avevano capito meglio di noi, eternandolo nell’annoso brocardo regina est confessio probationum.
La confessione è la regina delle prove.
Il DNA invece, per quanto utile, potrebbe essere spodestato.

 

Gli elementi indiziari: tracce, prove e smentite

di Sashinka Gorguinpour

Nonostante non si sappia granché dell'autopsia, perché anche i risultati di questa sono secretati e nemmeno i familiari hanno potuto accedervi, i pochi elementi a disposizione si possono reperire dall'ordinanza di custodia cautelare a carico di Massimo Bossetti, nella quale si evidenzia che il corpo ed alcuni indumenti di Yara Gambirasio, riportano polveri riconducibili a calce e che nelle scarpe e in alcune sedi dei vestiti sono state repertate delle piccole sfere di ferro-cromo-nichel, i cosiddetti “tondini”. La ragazzina, quindi, deve avere presumibilmente soggiornato in ambienti saturi di tali sostanze o deve essere entrata in contatto con qualcuno che aveva parti anatomiche e/o indumenti imbrattati dalle stesse. Per “parti anatomiche” si intendono con molta probabilità “le mani”. Se così fosse, il fatto di aver colpito la povera Yara con crudeltà, avrebbe necessariamente lasciato delle tracce, dato l’elemento delle parti del corpo e degli indumenti pregni delle sopracitate sostanze. Le polveri sembrerebbero simili ai materiali analizzati nel cantiere di Mapello (quello dove inizialmente si erano concentrate le indagini e dove risiede anche l'accusato), ma non perfettamente corrispondenti. Inoltre, la scarsa quantità del materiale sul corpo di Yara, non ha permesso di stabilirne dei dettagli precisi. E malgrado nel documento della Procura si dica che gli elementi rinvenuti sulla piccola tredicenne non si ritrovino nella stessa forma nei luoghi controllati (casa, palestra, piscina, sterrato vicino al Campo di Chignolo d'Isola), le indagini naturalistiche arrivano a concludere che, con alta probabilità, il corpo sia rimasto nel campo di Chignolo d'Isola dal momento della sua morte, poche ore dopo la sua scomparsa, fino al ritrovamento. A partire da tali elementi si genera il collegamento con Massimo Bossetti che di mestiere fa il carpentiere, quindi lavora nell'edilizia.

Nel periodo in cui Yara scompare, però, Bossetti è impegnato nel cantiere di un altro paese, Palazzago. Per quanto riguarda gli altri elementi indiziari relativi ai reperti, nel corso della vicenda si sono susseguite moltissime notizie discordanti, ma una delle più note riguarda i peli e i capelli ritrovati sul corpo.

Tra le tracce rinvenute, circa 200, vi sarebbero sia peli animali che umani. In data 27 giugno, il direttore del Dipartimento di Medicina Legale di Pavia sembra riferire ad alcuni organi di stampa che i peli e i capelli ritrovati appartengono a Massimo Bossetti. Poco dopo arriva la smentita di colui che realmente stava analizzando i reperti, perché incaricato dalla Procura, seguito più tardi anche dagli inquirenti, i quali fanno sapere che quei peli non sono di Bossetti. Stessa musica per le analisi sul furgone e sull’auto, setacciati con il luminol da cima a fondo: a fine luglio, stando alle fonti della difesa – i cui consulenti avevano svolto l'accertamento a fianco dei RIS -, le conclusioni sentenziano che non esiste alcuna traccia di Yara.

Non è valso nemmeno il tentativo di indagare su un cambio di tappezzeria, perché non ne esiste prova. Il legame di queste “fughe di notizie” è che sono lanciate apparentemente senza criterio e smentite velocemente, facendo diventare così la “verità” un elemento avulso del suo significato. In questo intricarsi di false informazioni, suona difficile capire, analizzare gli elementi e costruire un’idea sul caso. Sia per le tracce pilifere che per gli esiti dei test sui veicoli viene rimarcato il fatto che, in ogni caso, le perizie saranno depositate dopo l’estate, quindi probabilmente siamo vicini all'esito ( settembre/ottobre) e non è una coincidenza che alla luce di tutte queste smentite, la difesa di Massimo Bossetti stia presentando in questi giorni l’Istanza di scarcerazione.

 

Bossetti e quella confessione che non è mai arrivata
 

di Laura Clemente di S. Luca

Dal 16 giugno di quest'anno un nome riecheggia da Trieste a Pantelleria. E' il nome di un uomo come tanti, cittadino italiano, lavoratore e padre di tre figli. Massimo Giuseppe Bossetti, arrestato in diretta tv sul luogo di lavoro, è stato accusato dalla Procura di Bergamo, nella persona del P.M. Letizia Ruggeri, di essere l'assassino di Yara Gambirasio. Il gip di Bergamo Ezia Maccora, tre giorni dopo, ha deciso che Massimo Giuseppe Bossetti doveva rimanere in carcere, pur non convalidandone il fermo perchè insussistente la motivazione del pericolo di fuga, giustificando la sua decisione di trattenerlo vista la "gravità intrinseca del fatto, connotato da efferata violenza". Si legge ancora nell'ordinanza che il G.I.P. prende in esame la personalità del Bossetti, cit. «dimostratosi capace di azioni di tale ferocia, posta in essere nei confronti di una giovane ed inerme adolescente abbandonata in un campo incolto dove per le ferite ed ipotermia ha trovato la morte».La motivazione,che sembra annunciare una sicura condanna, risulta, ad un occhio attento, alquanto bizzarra e discutibile poiché implica una preparazione in materia psichiatrica da parte del G.I.P., che anche laddove fosse, esulerebbe comunque dalle sue funzioni. Dalla sua cella d'isolamento della C.C. di Bergamo l'uomo, però, contrariamente alle pubbliche aspettative, si professa innocente. La tanto attesa confessione non arriva. Per quanto sia pacifico che una delle colonne portanti della nostra Costituzione è la presunzione d'innocenza, secondo la quale un imputato è considerato non colpevole sino a condanna definitiva, e per quanto sia risaputo che l' onere della prova spetta alla pubblica accusa, rappresentata nel processo penale dal pubblico ministero, e quindi, in soldoni, che non è l'imputato a dover dimostrare la sua innocenza, ma è compito degli accusatori dimostrarne la colpa, una cecità medioevale è calata sulla penisola in seguito ad uno dei fatti di cronaca nera più intricati e oscuri degli ultimi anni. Si va incontro alla più grande arrampicata libera sugli specchi del secolo se si pretende di dare una parvenza di credibilità, anche solo indiziaria, ad un eventuale processo, che per inciso sulle prime doveva addirittura essere celebrato per direttissima. Forse gli indizi non erano poi così "gravi, precisi e concordanti" tant'è che per ora il processo si è tenuto solo al livello mediatico. C'è chi ha sfoderato immediatamente la baionetta e chi ha riflettuto abbastanza da capire che la morte di Yara, rimasta un mistero per così tanti anni, rappresenta una ferita talmente profonda da trasformare l'esigenza di trovare un perché e sopratutto un colpevole, la cui cattura metta a dormire i nostri "demoni", in una folle sete di sangue. Oggi, 10 settembre, ci sarà una svolta nel fatto giudiziario più controverso degli ultimi anni. I legali del sig. Bossetti, la dottoressa Silvia Gazzetti ed il dottor Claudio Salvagni rimasti fedeli alla loro linea discreta e mantenutisi al di fuori di ogni battibbecco televisivo, presenteranno l'Istanza di scarcerazione. Non ci sarà dato sapere, nell'immediato, come verrà accolta. Non sappiamo se il sig. Massimo sarà scarcerato perchè prosciolto da ogni accusa a suo carico, se verrà sottoposto al regime degli arresti domiciliari in attesa del processo o se l'istanza verrà respinta e lui rinviato a giudizio. Una cosa è certa, in principio era Alfano e Alfano dovrà rinnovare la nostra Fede liberando nell'etere un nuovo "tweet"…dopotutto si sa "una notizia un po' originale non ha bisogno di alcun giornale come una freccia dall'arco scocca vola veloce di bocca in bocca."

 

La morte di Yara – E' il 26 novembre 2010 quando Yara esce dalla palestra che dista poche centinaia di metri da casa e di lei si perdono le tracce. Tre mesi dopo, il suo corpo viene trovato in un campo abbandonato a Chignolo d’Isola, distante solo una decina di chilometri da casa. L’autopsia svela una ferita alla testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessun colpo mortale: era agonizzante, incapace di chiedere aiuto, ma quando chi l’ha colpita le ha voltato le spalle lei era ancora viva. Il decesso è avvenuto in seguito, quando alle ferite si è aggiunto il freddo.

Un delitto che porta, in pochi giorni, all’arresto di Mohamed Fikri, rilasciato per una traduzione sbagliata. Su di lui si riaccendono i riflettori e cambia ancora la scena: per Fikri cade l’accusa di omicidio e si profila quella di favoreggiamento. Il giudice delle indagini preliminari Ezia Maccora archivia il fascicolo con la prima ipotesi, ma rimanda gli atti al pm di Bergamo Letizia Ruggeri perchè indaghi sulla seconda.
Una mezza vittoria per mamma Maura e papà Fulvio che, attraverso l’avvocato Enrico Pelillo, si erano opposti all’archiviazione. Il gip ricorda che dalle analisi e dagli esami sui vestiti e nei polmoni di Yara c’erano polveri riconducibili a calce, sostanze “simili ai materiali campionati nel cantiere di Mapello”, dove lavorava il tunisino. Inoltre, la zona in cui le celle telefoniche agganciano il cellulare della ragazza, nell’arco di tempo che va dalle 18.30 alle 19, “coprono anche l’area del cantiere, “rendendo plausibile in quel range temporale la presenza di Yara e di Fikri in un territorio circoscritto”. Ma l’operaio non l’ha uccisa.
Due gli elementi che lo scagionano: il suo Dna non corrisponde con quello trovato sugli slip e sui leggings della 13enne, l’analisi delle celle telefoniche dimostrano che il tunisino non è andato nel campo di Chignolo d’Isola, dove la vittima è stata uccisa e abbandonata. Tuttavia secondo il giudice ci sono delle “incongruenze” nelle telefonate di Fikri e “in assenza di una plausibile ricostruzione alternativa”, queste “incongruenze” potrebbero far ritenere che la sera del 26 novembre 2010, l’uomo “ha visto o è venuto a conoscenza di circostanze collegate alla scomparsa e all’ omicidio di Yara “. Per il gip appare verosimile che sia stato spinto a nascondere quello che ha visto, “per proteggere o favorire la persona che ritiene in qualche modo coinvolta nel delitto”. Nei mesi scorsi la sua posizione è stata archiviata e il sospettato numero uno esce di scena. E le indagini proseguono ripartendo dalle analisi genetiche sulle tracce trovate sugli abiti della vittima, circa 18mila i Dna prelevati e analizzati da carabinieri e polizia che lavorano fianco a fianco nell’inchiesta.

Chi è Massimo Bossetti – Originario di Clusone, Massimo Giuseppe Bossetti ha 44 anni, è sposato e ha tre figli. L’uomo, senza precedenti penali, lavora nel settore dell’edilizia ed ha una sorella gemella. Il Dna lasciato sul corpo della vittima sarebbe sovrapponibile a quello di Giuseppe Guerinoni, l’autista di Gorno morto nel 1999 e ritenuto in base all’analisi scientifica il padre dello sconosciuto assassino al 99,9%.
Il profilo genetico del presunto assassino è in parte noto. Per questo era stata riesumata la salma di Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999, che secondo gli esami scientifici risulta essere il padre del presunto assassino di Yara. Avere la certezza che l’autista è il padre dell’uomo che ha lasciato il proprio Dna sui vestiti di Yara non risolve il problema: trovare il killer, un presunto figlio illegittimo di cui non c’è traccia. L’ultima conferma sull’analisi scientifica arriva nell’aprile scorso contenuta nella relazione dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo, la stessa esperta che aveva eseguito l’esame sulla salma della giovane vittima.

La testimonianza della moglie di Bossetti Marita Coma
"Non è stato Massimo perché era a casa": è questa la frase con cui esordisce difendendo a denti stretti la tesi del marito. Racconta inoltre di questi giorni di prigionia, descrivendo minuziosamente i loro incontri in carcere, sei per l'esattezza. Incontri tristi in cui spesso i discorsi sono stati interrotti dalle lacrime.
Bossetti, secondo i racconti della sua signora, continua a chiedersi il perché di quello che chiama accanimento nei suoi confronti. Altrettanto preciso è stato il racconto del giorno dell'arresto: venti carabinieri che all'improvviso piombano dentro casa ovunque,ma l'unico pensiero in quel momento la tutela dei bambini. Un attacco Marita lo sferra contro le televisioni e i giornali, non d'accordo con le ricostruzioni del profilo psicologico che la stampa in questi giorni ha diffuso riguardo Massimo Bossetti. Per quanto riguarda quel maledetto 26 Novembre 2010 invece, Marita sostiene che nell'ora in cui la piccola veniva uccisa, il marito fosse in casa e sarebbe proprio per questo motivo che continua a gran voce a sostenerne l' innocenza.
 




YARA GAMBIRASIO – L'OSSERVATORE D'ITALIA YELLOW SUNDAY: MASSIMO BOSSETTI RICEVE LA VISITA DEI GENITORI IN CARCERE

di Christian Montagna

Continua ad essere ricca di colpi di scena la triste vicenda della piccola Yara. Bossetti l'unico indagato per omicidio è il protagonista delle cronache di questi giorni. Ogni giorno aggiunge un tassello a quella che sembra essere diventata una sit com: prove schiaccianti che lo incastrano e lui che continuamente si professa innocente. Quale sarà la verità? Le indagini sono ancora in corso e gli investigatori analizzano ogni minimo particolare interessante ed utile alla risoluzione del caso. In carcere dal 16 giugno con l'accusa di aver ucciso la piccola di Brembate, Massimo Bossetti, sostiene di essere il figlio di Giovanni Bossetti e non di quel signor Guerinoni, l'autista di Gorno morto nel 1999. Le analisi effettuati dagli investigatori dimostrerebbero però il contrario e sarebbero state proprio quelle a far scattare i sospetti e poi le manette verso Massimo Bossetti. Dopo circa due ore di colloquio, l'indagato numero uno ha concluso l'incontro con i familiari in carcere. Presso la casa circondariale di Via Glena a Bergamo, sono arrivate la madre Ester Arzuffi, il padre anagrafico Giovanni Bossetti e la gemella Laura Bossetti. Parole di conforto e speranza giungono dai legali della famiglia: i parenti sono tutti pienamente convinti dell'innocenza di Massimo. Sul contenuto dell'incontro non ci sono state rivelazioni ma indiscrezioni raccontano di momenti di commozione all'interno del carcere. Per altri particolari o possibili risvolti del caso bisognerà attendere il prossimo mese quando saranno pubblicati i risultati delle analisi sul corpo della piccola Yara. Potrebbero essere proprio quelle a mettere la parola fine, assicurando alla giustizia il colpevole di questo barbaro omicidio.




YARA GAMBIRASIO: NUOVO ESAME DEL DNA PER MASSIMO BOSSETTI

Redazione

Bergamo – Verrà ripetuto l'esame di Dna. E' durato circa tre ore l'interrogatorio in carcere di Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore arrestato per l'omicidio di Yara Gambirasio. E' stato lo stesso Bossetti a chiedere di essere interrogato. Il pm Letizia Ruggeri ha lasciato il carcere di Bergamo. Bossetti ha ribadito di essere innocente e non ha fatto nomi di altre persone. Quel che è certo è che verrà ripetuto l'esame del Dna. E' quanto hanno detto i suoi legali dopo l'interrogatorio. "Questa è una indagine pazzesca e non possiamo credere di poterla smontare in una settimana". Lo ha spiegato l'avvocato di Massimo Giuseppe Bossetti, Claudio Salvagni, al termine dell'interrogatorio in cui Bossetti "ha risposto a tutte le domande". "Voglio dimostrare che sono innocente", aveva ribadito prima dell'interrogatorio ai suoi legali Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni, continuando a dire: ''Io non ho mai visto Yara''. Bossetti avrà dovuto spiegare come mai il suo Dna sia stato trovato sul corpo della ginnasta tredicenne il 26 febbraio del 2011, a tre mesi esatti dalla scomparsa in un campo di Chignolo d'Isola. L'uomo ha frequenti perdite di sangue dal naso e potrebbe azzardare che qualcuno abbia usato dei suoi attrezzi da lavoro per tagliare i leggins e gli slip di Yara. In quel campo, qualche tempo dopo il ritrovamento della ragazza, tornò con la moglie. A dire della donna, per curiosità e senza conoscere la strada, tanto che faticarono a trovarlo. Bossetti è soprattutto intenzionato a smentire ciò che dai giornali ha appreso riguardo alcune testimonianze che gli inquirenti bergamaschi avrebbero raccolto. Qualcuno sostiene che si assentasse qualche volta dal lavoro con delle scuse e il muratore afferma che sia accaduto solo in rare occasioni e sempre per un motivo valido. Avrebbe una spiegazione anche per quella discrepanza che riguarda il centro estetico in cui andava a fare le lampade (raramente secondo lui, di frequente secondo la titolare). 




YARA GAMBIRASIO: ORE CRUCIALI PER MASSIMO BOSSETTI

di Angelo Parca

La difesa di Bossetti sul caso Yara sembrerebbe brancolare nell’incertezza. I legali potrebbero chiedere nuove analisi sul Dna in sede di incidente probatorio. Gli investigatori continuano a sentire testimoni e probabilmente convocheranno anche alcuni amici della vittima. Un esito importante e atteso sarà quello delle analisi con il luminol sui veicoli sequestrati e soprattutto sul furgone Iveco, che inizieranno martedì nei laboratori del Ris. Un mezzo che ha un "particolare unico" secondo gli investigatori. I legali, dopo aver annunciato di avere “elementi” per dimostrare la sua innocenza, lunedì potrebbero l’istanza ai giudici della Libertà per il muratore di Mapello, accusato dalla Procura di Bergamo di essere il l’assassino Yara Gambirasio.

E intanto emergono molte contraddizioni: la relazione dei periti sul materiale organico, fa capire che su quegli accertamenti si è creato un giallo nel giallo dopo le dichiarazioni del professore Fabio Buzzi dell’Università di Pavia che, in sostanza, ha rivelato che, oltre a tracce biologiche, anche “formazioni pilifere” di Bossetti erano presenti sul cadavere della ragazzina. Dalla Procura di Bergamo e dagli stessi esperti che stanno eseguendo la perizia, però, sono arrivate solo smentite, anche perché le analisi “sono ancora in corso”.

Gli investigatori sono anche al lavoro sull’immagine di un autocarro simile a quello del muratore ripresa da una telecamera di sorveglianza verso le 18 del 26 novembre 2010, quando Yara scomparve. Risposte utili, infine, potrebbero arrivare dalle ulteriori analisi sulla cella telefonica a cui si agganciarono quel pomeriggio sia il cellulare di Bossetti che quello di Yara. C’è da stabilire, con una sorta di ‘scomposizione’ della cella, dove si trovava esattamente Bossetti e a quale distanza dalla palestra di Brembate di Sopra. Massimo Bossetti ha incontrato più volte il papà di Yara. Lo ricorda anche un collega di Fulvio Gambirasio. "Ci sono stati, da quel che ricordo, sia prima che dopo la scomparsa della ragazza. Anzi, sicuramente". Mi ricordo che quando Gambirasio arrivava io ero a disagio, cioè mi piangeva il cuore per lui, ero un po’ scosso. Ma mi viene anche in mente che Bossetti non batteva ciglio, non una parola". Era davvero impassibile. Io l’ho conosciuto: quando l’ho visto in manette non ci credevo.

Nel frattempo si punta sui computer di Bossetti, un portatile e un fisso, partendo dalla reazione avuta dalla moglie Marita durante l’interrogatorio: quando gli investigatori hanno tentato di portarla sul materiale informatico era intervenuto l’avvocato Claudio Salvagni affermando: "Non rispondiamo".

YARA GAMBIRASIO: PARLA MARITA COMA, LA MOGLIE DI GIUSEPPE BOSSETTI

YARA GAMBIRASIO: IPOTESI DELL'IMPIANTO ACCUSATORIO E DI QUELLO DIFENSIVO PER MASSIMO BOSSETTI

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YARA GAMBIRASIO: IPOTESI DELL'IMPIANTO ACCUSATORIO E DI QUELLO DIFENSIVO PER MASSIMO BOSSETTI

di Domenico Leccese

Bergamo – Tutti gli indizi che sembrano confermare la colpevolezza, possono essere letti in modo diametralmente opposto. E soprattutto manca la confessione, l'arma del delitto e il movente. Che Massimo Bossetti sia davvero l'assassino di Yara Gambirasio l’opinione pubblica sembra averlo già deciso. E d'altra parte la prova del Dna si può considerare schiacciante, anche perché supportata dalla "prova del cellulare" (cioè la cella telefonica agganciato nello stesso luogo in cui si trovava Yara) e dalle polveri di calce trovate sul corpo della vittima. Se a questo si aggiunge che l'alibi ricostruito da Massimo Bossetti ("Sono andato a Brembate per vedere mio fratello e il commercialista") è stato in parte smentito, ecco che si chiarisce il quadro di quale sarà l'impianto accusatorio nei confronti del presunto omicida.

Sarà infatti solo il processo a determinare la colpevolezza o meno di Massimo Bossetti, e anche la difesa sembra avere dalla sua alcune buoni argomenti. Innanzitutto mancano i tre elementi che di solito sono cruciali per l'accusa: la confessione (Bossetti continua a dichiararsi innocente), l’arma del delitto e anche il movente . In particolare questi ultimi due sono fondamentali per incastrare l'omicida. Quindi: la confessione non c'è, il coltello con cui è stata uccisa non è mai saltato fuori e anche il movente vacilla; si pensa a una pista sessuale, ma sul corpo della piccola Yara non ci sono tracce di violenza carnale .

Queste quindi le mancanze investigative su cui la difesa potrebbe puntare. Difesa che però potrebbe anche scalfire quella che sembra una certezza granitica: la prova del DNA . Prova principe (che però in un processo ha un valore di indizio) e su cui gli inquirenti fanno affidamento totale, ma qualche dubbio potrebbe ancora emergere. Il test del DNA è stato replicato quattro volte (Ris di Parma, Statale di Milano, Istituto di medicina legale di Pavia, San Raffaele di Milano) dando sempre identici risultati. Ma la traccia di codice genetico era molto piccola e non è certo che ci sia ancora del materiale genetico con cui si possa fare una nuova perizia come vorrebbe la difesa nominando anche dei suoi periti. Anche la prova del cellulare presenta dei punti deboli soprattutto se la si vuole leggere a favore dell'indagato (come in un processo si deve fare in caso di possibile doppia lettura, stando alla Cassazione). Il telefonino di Yara si trova in via Natta di Mapello alle 18.49, quando riceve un sms dall'amica Martina. La stessa cella ha agganciato il cellulare di Massimo Bossetti alle 17.45. Questo significa che i due erano nello stesso luogo? Sì, ma a un'ora di distanza, secondo quanto si può provare. Inoltre il cellulare del presunto assassino non aggancia mai la cella di Chignolo d'Isola, dove il corpo è stato ritrovato.

C'è altro: la prova della calce. Gli abiti da lavoro, le scarpe e gli attrezzi di Massimo Bossetti sono stati sequestrati per compararli con le tracce di calce trovate nei bronchi di Yara. Secondo gli investigatori, quel tipo di calce è molto particolare e non risulta compatibile con quella presente negli altri luoghi frequentati da Yara. Secondo chi dovrà difendere Bossetti, invece, bisogna prendere in considerazione anche il fatto che il padre della piccola Gambirasio lavora nell'edilizia e che nella palestra da lei frequentata c'erano polveri di gesso e altri materiali simili.

E infine ci sarebbe il racconto del fratellino di Yara. Anche in questo caso si può notare come gli investigatori e la difesa possano leggere lo stesso indizio in modo diametralmente opposto. Il fratello infatti aveva ricevuto la confessione di Yara di sentirsi seguita e aveva anche indicato l'uomo, descrivendolo così: "Aveva una barbettina come fosse appena tagliata, e una macchina lunga grigia". È Bossetti, secondo gli investigatori. La difesa fa invece notare che il ragazzino non ha riconosciuto il presunto assassino e che era stato descritto come cicciottello.

Quello che sembrava essere un caso chiuso, potrebbe riservare ancora parecchie sorprese. A meno che nelle prossime ore gli inquirenti non riescano a ottenere una confessione che, a questo punto, renderebbe molto più semplice attribuire davvero la responsabilità dell'assassinio.

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