DELITTO YARA GAMBIRASIO: MASSIMO BOSSETTI NON PATTEGGIA

 

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di Chiara Rai

In carcere Bossetti ripete di "aver fiducia nella giustizia", resta ad aspettare per capire se la giustizia è pronta a credere che non sia lui l'assassino di Yara Gambirasio. Il muratore di Mapello non intende affatto patteggiare a 16 anni, ma convinto della sua innocenza dice di essere disposto a rischiare l'ergastolo. "La Procura vuole farmi patteggiare (…) fa 'lei Bossetti è ancora in tempo, se lei mi patteggia, prende 16 anni' (…) io siccome continuo a dire che sono innocente, innocente e lo dirò fino alla fine, prendo quella strada qua lo so che rischio grosso (…) rischio l'ergastolo". Sono le parole di Massimo Bossetti, accusato dell'omicidio di Yara Gambirasio, intercettate lo scorso 23 dicembre durante un colloquio in carcere con suo fratello Fabio Bossetti e la cognata Monica Esposito.
 
Bossetti a colloquio con l'avvocato:
"Non mi ammazzo perché ho una moglie e tre figli che mi credono".  E sul momento dopo il fermo 'si passavano i telefoni a farmi selfie come essere fieri che hanno preso…' ."Visto che non credo più a nessuno di evitare di fare il processo…tanto se…m'impicassi qua in cella così…sa quanto…che favore farei a tanta di quella gente! Ma sa perché non lo faccio…perché c'ho una moglie e tre figli che mi credono, vivo per loro e basta…se non avrei avuto voi, giuro, guarda, tutto quello che mi viene detto e tutto, l'avrei fatta finita". Così Massimo Bossetti, in carcere con l'accusa di aver ucciso la 13enne Yara Gambirasio, racconta alla moglie un colloquio con il suo avvocato. È il 24 ottobre scorso quando il 44enne muratore spiega, come farà nel corso dei successivi incontri, la difficoltà della vita in carcere fin dal momento del fermo quando in caserma l'hanno messo in una cella "buttato dentro, in un locale in una cella, nella casella di …come un cane, con accanto tutti gli altri, si passavano i telefoni a farmi il selfie, selfie tutti a mandarli in Facebook come essere fieri che hanno preso…". In un'altra intercettazione contenuta nei 59 faldoni dell'inchiesta, racconta: "Ora voglio che la Procura, che loro sono stati, sono stanchi è quattro anni che va avanti sta indagine, non hanno trovato nessuno e sono stanchi e vogliono farla pagare, perché solo coincidenze mi hanno trovato…" e con la madre, Bossetti aggiunge: "Ormai il mio caso non è più mediatico è politico, ormai nessuno andrà contro il ministro della Giustizia".
 
Yara uccisa in pochi minuti.
Un'agonia durata a lungo rispetto a un'aggressione durata solo pochi minuti. Le lancette dell'orologio avranno un ruolo di primo piano nel processo che vedrà alla sbarra Massimo Bossetti, in carcere dal 16 giugno scorso con l'accusa di aver ucciso con crudeltà Yara Gambirasio. Nella ricostruzione degli inquirenti, se si consultano i 59 faldoni della chiusura indagine, si può immaginare cosa sia davvero successo la sera del 26 novembre 2010 quando la giovane ginnasta, una volta uscita dal centro sportivo di Brembate di Sopra (Bergamo), non farà più ritorno a casa. Ed emerge una novità: l'azione omicida è durata solo qualche decina di minuti, circa 28-29 minuti nell'ipotesi più favorevole all'accusa. Una deduzione che emerge sfogliando e confrontando le quasi 60 mila pagine dell'indagine.
Partendo dall'inizio e usando solo dati certi, tutto appare chiaro: la 13enne la sera della scomparsa va a consegnare uno stereo in palestra, e se "fino ad oggi nessuno ha visto Yara raggiungere la strada all'esterno del centro sportivo, né tantomeno vi è certezza sulla porta di uscita dalla stessa palestra", per l'accusa "alle 18.44.14, Yara si trova (secondo testimonianze e deduzioni sul suo cellulare, ndr) probabilmente – pur con qualche margine di approssimazione – all'interno della palestra intenta ad uscirne; oppure all'interno del cortile del centro sportivo intenta a raggiungere la strada". Dalla palestra all'abitazione della giovane in via Locatelli il percorso – secondo quanto riprodotto dagli stessi investigatori – ci vogliono circa 9 minuti, ma Yara non farà mai quel tragitto. "Esattamente alle 18.49.53, il tabulato del traffico telefonico" della 13enne mostra che ha ricevuto l'ultimo sms dall'amica: "in questo momento il ponte ripetitore che aggancia l'utenza di Yara è quello di Mapello, via Natta, in località opposta rispetto alla via che la ragazzina avrebbe dovuto percorrere per rientrare a casa». A partire dalle 19.11.33 "e fino ad oggi l'utenza di Yara risulta spenta e pertanto non 'agganciatà da alcun ponte ripetitore".

I cani molecolari e le celle telefoniche.
La pista dei cani molecolari, inizialmente usati nell'inchiesta per ritrovare la giovane ginnasta, hanno "evidenziato un percorso differente rispetto a quello supposto inizialmente. ln condizioni di normalità Yara, uscendo dal centro sportivo, avrebbe dovuto dirigersi immediatamente alla sua sinitra (…). I cani specializzati nella ricerca e ricostruzione del percorso molecolare hanno disegnato un cammino esattamente opposto a quello prima ritenuto logico". Hanno lasciato la palestra "da una porta secondaria e poi, raggiunta la strada, hanno preso a destra aggirando lo stabile e dirigendosi sul retro dello stesso", fino al famoso cantiere di Mapello al cui interno i cani «hanno puntato con insistenza, 'fiutandò una possibile pregressa presenza della ragazzina".
La zona "è 'copertà telefonicamente dal ponte ripetitore di Mapello", l'ultimo agganciato dal telefonino di Yara. Ma se Bossetti è in carcere è anche perché il suo cellulare aggancia la stessa cella di Mapello (alle 17.45 per l'esattezza, ndr) e il suo furgone sarebbe stato inquadrato, più volte, dalla telecamera di un distributore di benzina e di una società vicino alla zona di Brembate di Sopra. Una sorta di 'girotondò intorno al centro sportivo che dalle 17.42 si ripete a intervalli quasi frenetici – sei passaggi fino alle 18.19 – per un totale di 17 volte se si lasciano scorrere le lancette dell'orologio fino alle 18.55 (resta da verificare se quello immortalato nei fotogrammi è il furgone bianco dell'indagato, ndr); per poi tornare a passare davanti alla palestra alle 19.47 e alle 19.51, di fatto allungando il ritorno a casa e ripassando davanti al luogo della scomparsa di Yara
Se il cellulare di Yara, per deduzione, è stato spento alle 18.50 e Bossetti ripassa di nuovo davanti alle telecamere di Brembate alle 19.47 (la distanza tra via Mapello e Chignolo d'Isola dove è stata uccisa la 13enne non è percorribile in meno di una dozzina di minuti e per tornare al centro sportivo di Brembate di Sopra la strada non è percorribile in meno di 15 minuti, consultando online le mappe stradali), a Bossetti restano circa 28-29 minuti nell'ipotesi più favorevole all'accusa, oppure poco più di 20 se si calcola il traffico. Una "manciata di secondi" per la difesa se si considera che Yara avrebbe tentato la fuga su quel campo, si sarebbe difesa dal suo aggressore, è stata colpita più volte con un'arma da taglio e da punta prima di morire per le ferite e l'ipotermia. Un tempo sufficiente a dire dell'accusa e compatibile con l'orario della morte della giovane ginnasta avvenuto con "elevata probabilità, tra le 19 circa e le 24, e comunque nelle poche ore successive al momento in cui è stata vista o sentita viva". Se si considera che il presunto assassino si è dovuto anche disfare dei propri abiti sporchi di sangue "prima di rimettersi alla guida del suo furgone, come sostiene chi punta il dito contro di lui, diventa una tesi difficile da sostenere", sostiene la difesa

Quel messaggio di papà Fulvio a Yara.
Il messaggio lasciato nella segreteria telefonica della 13enne quattro giorni dopo la sua scomparsa. Non un'inchiesta unilaterale, ma a tutto tondo che non esclude pregiudicati, piste legate a traffici di sfruttamento della prostituzione minorile, agli ambienti vicini alla vittima Yara Gambirasio. Nei 59 faldoni dell'inchiesta chiusa di recente dalla procura di Bergamo, emerge anche un'annotazione dei carabinieri in cui si evidenzia un messaggio telefonico lasciato da papà Fulvio il 30 novembre 2010, a quattro giorni esatti dalla scomparsa della 13enne da Brembate di Sopra (Bergamo). "Fulvio Gambirasio – si legge nell'annotazione – è stato captato in una frase che desta qualche perplessità, rivolta alla figlia Yara e evidentemente ad altri il 30 novembre alle ore 9.16 quando, dopo aver accompagnato i suoceri, compone il numero di telefono di Yara e lascia in segreteria telefonica, con voce bassa e roca, il seguente messaggio: 'sono passati quattro giorni eh … devo cominciare a preoccuparmi? .. Fatti sentire .. . fatevi sentire … '". Una frase che, probabilmente, indica la paura di un padre di un possibile rapimento. La vita della famiglia Gambirasio è stata passata al setaccio e nessuno risulta coinvolto in alcun modo con il delitto della giovane ginnasta di cui è accusato Massimo Bossetti, in carcere dallo scorso 16 giugno.

I genitori di Yara non conoscevano Bossetti. Di fronte al nome di Bossetti 'mi sono tranquillizzato poichè il nominativo non era a me noto. "Io ho sempre avuto il terrore che un giorno potesse essere arrestata una persona magari da me conosciuta e frequentata, poiché tale situazione mi avrebbe creato un fortissimo disagio e sconforto che volevo assolutamente evitare. Quando ieri mia moglie mi ha comunicato il nome della persona arrestata ovvero di Bossetti Massimo, mi sono tranquillizzato poiché il nominativo non era a me noto". Si rivolge così Fulvio Gambirasio ai carabinieri che il pomeriggio del 17 giugno scorso, a 24 ore dall'arresto del 44enne muratore accusato dell'omicidio di sua figlia Yara Gambirasio, lo ascoltano per avere notizie su un possibile legame tra la vittima e il presunto assassino. Se Fulvio Gambirasio riconosce la foto di Bossetti perché vista in tv, ammette di avere "un ricordo vago della sua immagine, naturalmente molto più ringiovanita, risalente a circa 25 anni fa e me lo ricordo come un ragazzo che girava per Brembate con un motorino. Non mi aveva colpito particolarmente (…) ma ricordo che era una persona abbastanza schiva, taciturna, un tipo tranquillo. Preciso di non averci mai avuto a che fare direttamente, l'avevo visto qualche volta girare in paese". E aggiunge: "Visto che era un muratore ho provato a pensare se l'avessi potuto mai incontrare in cantiere o in giro per lavoro, ma non mi viene alla mente nulla", cosi come il cognome Bossetti "non mi dice nulla nemmeno in relazione ad eventuali frequentazioni della piscina o del centro sportivo di Brembate o di altre attività riconducibili alla nostra vita familiare". E il medesimo giorno, negli stessi uffici dei carabinieri di Ponte San Pietro, viene ascoltata anche Maura Panarese, mamma della 13enne Yara. "No Bossetti – risponde la donna ai militari – mi è assolutamente sconosciuto, non ho mai conosciuto nessuno nè a Brembate nè in altri posti ove sono stata". La donna, a conoscenza dell'età dei figli del presunto autore dell'omicidio, ipotizza che i figli possano aver frequentato l'asilo nido a Brembate o che una figlia di Bossetti possa aver frequentato qualche corso di ginnastica all'interno del palazzetto di Brembate. Ipotesi mai confermate nel corso delle successive indagini: a mamma Maura e papà Fulvio il volto di Massimo Bossetti continuerà a non dire nulla.

La morte di Yara. E' il 26 novembre 2010 quando Yara esce dalla palestra che dista poche centinaia di metri da casa e di lei si perdono le tracce. Tre mesi dopo, il suo corpo viene trovato in un campo abbandonato a Chignolo d’Isola, distante solo una decina di chilometri da casa. L’autopsia svela una ferita alla testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessun colpo mortale: era agonizzante, incapace di chiedere aiuto, ma quando chi l’ha colpita le ha voltato le spalle lei era ancora viva. Il decesso è avvenuto in seguito, quando alle ferite si è aggiunto il freddo.Un delitto che porta, in pochi giorni, all’arresto di Mohamed Fikri, rilasciato per una traduzione sbagliata. Su di lui si riaccendono i riflettori e cambia ancora la scena: per Fikri cade l’accusa di omicidio e si profila quella di favoreggiamento. Il giudice delle indagini preliminari Ezia Maccora archivia il fascicolo con la prima ipotesi, ma rimanda gli atti al pm di Bergamo Letizia Ruggeri perchè indaghi sulla seconda.

Una mezza vittoria per mamma Maura e papà Fulvio che, attraverso l’avvocato Enrico Pelillo, si erano opposti all’archiviazione. Il gip ricorda che dalle analisi e dagli esami sui vestiti e nei polmoni di Yara c’erano polveri riconducibili a calce, sostanze “simili ai materiali campionati nel cantiere di Mapello”, dove lavorava il tunisino. Inoltre, la zona in cui le celle telefoniche agganciano il cellulare della ragazza, nell’arco di tempo che va dalle 18.30 alle 19, “coprono anche l’area del cantiere, “rendendo plausibile in quel range temporale la presenza di Yara e di Fikri in un territorio circoscritto”. Ma l’operaio non l’ha uccisa.
Due gli elementi che lo scagionano: il suo Dna non corrisponde con quello trovato sugli slip e sui leggings della 13enne, l’analisi delle celle telefoniche dimostrano che il tunisino non è andato nel campo di Chignolo d’Isola, dove la vittima è stata uccisa e abbandonata. Tuttavia secondo il giudice ci sono delle “incongruenze” nelle telefonate di Fikri e “in assenza di una plausibile ricostruzione alternativa”, queste “incongruenze” potrebbero far ritenere che la sera del 26 novembre 2010, l’uomo “ha visto o è venuto a conoscenza di circostanze collegate alla scomparsa e all’ omicidio di Yara “. Per il gip appare verosimile che sia stato spinto a nascondere quello che ha visto, “per proteggere o favorire la persona che ritiene in qualche modo coinvolta nel delitto”. Nei mesi scorsi la sua posizione è stata archiviata e il sospettato numero uno esce di scena. E le indagini proseguono ripartendo dalle analisi genetiche sulle tracce trovate sugli abiti della vittima, circa 18mila i Dna prelevati e analizzati da carabinieri e polizia che lavorano fianco a fianco nell’inchiesta.

Chi è Massimo Bossetti.
Originario di Clusone, Massimo Giuseppe Bossetti ha 44 anni, è sposato e ha tre figli. L’uomo, senza precedenti penali, lavora nel settore dell’edilizia ed ha una sorella gemella. Il Dna lasciato sul corpo della vittima sarebbe sovrapponibile a quello di Giuseppe Guerinoni, l’autista di Gorno morto nel 1999 e ritenuto in base all’analisi scientifica il padre dello sconosciuto assassino al 99,9%.
Il profilo genetico del presunto assassino è in parte noto. Per questo era stata riesumata la salma di Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999, che secondo gli esami scientifici risulta essere il padre del presunto assassino di Yara. Avere la certezza che l’autista è il padre dell’uomo che ha lasciato il proprio Dna sui vestiti di Yara non risolve il problema: trovare il killer, un presunto figlio illegittimo di cui non c’è traccia. L’ultima conferma sull’analisi scientifica arriva nell’aprile scorso contenuta nella relazione dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo, la stessa esperta che aveva eseguito l’esame sulla salma della giovane vittima.

 




YARA GAMBIRASIO: AL VAGLIO DEI MAGISTRATI LE INTERCETTAZIONI DI BOSSETTI CON GLI ALTRI DETENUTI

di Angelo Barraco

I Magistrati stanno analizzando le intercettazioni ambientali effettuate in carcere tra Massimo Bossetti, in carcere per l’omicidio della 13enne Yara Gambirasio, e gli altri detenuti. Bossetti dice: “Rischierò l’ergastolo, ma non confesso per la mia famiglia”. L’Avvocato di Bossetti, Claudio Salvagni dice a tal proposito: “Non confessa, perché non ha fatto nulla. Non crolla, perché vuole dimostrare la sua innocenza”. Queste dichiarazioni potrebbero compromettere la già complessa e compromessa situazione giudiziaria di Massimo Bossetti che, pochi giorni fa, ha avuto un ulteriore elemento compromissorio; . L’analisi dei ris ha stabilito che i fili di stoffa trovati nella parte esterna dei leggings di Yara appartengono proprio  ai sedili dell’Iveco Daily di Massimo Bossetti. Questo importante indizio complica la posizione di Bossetti, in carcere dal 16 giugno scorso e accusato di omicidio. Il difensore dell’avvocato aveva incentrato dubbi sul dna ma il gip aveva spiegato all’avvocato che il dna era di Bossetti, questo tassello, oltre a complicare la posizione dell’accusato, mette in luce una posizione che veniva messa in ombra senza reali elementi. Ricordiamo che Yara sparì il 26 novembra 2010 e il suo corpo venne trovato tre mesi dopo in un campo di Chignolo D’Isola. Il 25 febbraio in un’udienza di Cassazione, la difesa di Bossetti farà una nuova richiesta di scarcerazione.




YARA GAMBIRASIO: SI AGGRAVA LA POSIZIONE DI MASSIMO BOSSETTI

di Angelo Barraco
Un esame effettuato dai Ris ha portato dei risultati che potrebbero dar un ulteriore conferma che ha un’importanza elevatissima sull’iter giudiziario di tutta la vicenda. La novità è che delle tracce di sedile del veicolo di Massimo Bossetti, unico indagato per l’omicidio di Yara, avrebbero avuto riscontro con quelle trovate nel corpo di Yara.  Il 26 novembre 2010 Yara sarebbe salita sul furgone di Massimo Bossetti. L’analisi dei ris ha stabilito che i fili di stoffa trovati nella parte esterna dei leggings di Yara apparterrebbero proprio  ai sedili dell’Iveco Daily di Massimo Bossetti. Questo importante indizio complica la posizione di Bossetti, in carcere dal 16 giugno scorso e accusato di omicidio. Il difensore dell’avvocato aveva incentrato dubbi sul dna ma il gip aveva spiegato all’avvocato che il dna era di Bossetti, questo tassello, oltre a complicare la posizione dell’accusato, mette in luce una posizione che veniva messa in ombra senza reali elementi. Ricordiamo che Yara sparì il 26 novembra 2010 e il suo corpo venne trovato tre mesi dopo in un campo di Chignolo D’Isola. Il 25 febbraio in un’udienza di Cassazione, la difesa di Bossetti farà una nuova richiesta di scarcerazione.
 




YARA GAMBIRASIO: NON SONO DI MASSIMO BOSSETTI I PELI RITROVATI SUL CORPO

Redazione

Colpo di scena nel caso dell'omicidio della piccola Yara. Non appartiene a Massimo Bossetti nessuno dei 200 peli ritrovati sul corpo di Yara Gambirasio. Lo sostiene la relazione fatta eseguire ai tecnici dell'Universita' di Pavia sulle tracce pilifere rinvenute sulla ragazzina e sul furgone del muratore. Del resto solo una decina di peli sono umani (e due della stessa persona, ma e' impossibile stabilire a chi appartengono). Intanto l'avvocato di Bossetti, Claudio Salvagni, dice di essere stato contattato da una persona di un'altra regione, la quale ha raccontato che due mesi prima del rapimento della tredicenne aveva avuto delle trattative per affittare un appartamento di sua proprieta' a uno straniero che gli aveva raccontato di avere una fidanzata a Bergamo, che era minorenne, si chiamava Yara e faceva la ginnasta




MASSIMO BOSSETTI: E' IL SUO IL FURGONE PASSATO PIU' VOLTE AL CENTRO SPORTIVO DI BREMBATE

Redazione

Per gli inquirenti non ci sono dubbi: e' di Massimo Bosetti il furgone che e' stato filmato piu' volte passare nella zona del centro sportivo di Brembate Sopra la sera del 26 novembre 2010 in cui venne rapita Yara Gambirasio. L'Iveco Daily di Bossetti, che era ancora in suo possesso il giorno del suo arresto il 16 giugno, e' riconoscibile dalle bande catarifrangenti da lui stesso applicate. E questo ha reso piu' facile il riconoscimento del mezzo nell'analisi delle telecamere della zona nella sera del rapimento di Yara, sera nel corso della quale il mezzo sarebbe stato filmato mentre passava piu' volte in zona nelle ore precedenti a quelle in cui spari' la tredicenne. Mentre non si vede piu' nei momenti successivi. Che si tratti dello stesso furgone lo hanno anche confermato consulenti dell'Iveco. Del resto una donna aveva parlato di un furgone bianco che era stato visto sgommare in via Morlotti, strada dalla quale si transita per andare dal centro sportivo a via Rampinelli dove si trova la villetta dei Gambirasio. Bossetti ha sempre spiegato che quella era la strada che percorreva per andare dal cantiere in cui lavorava in quel periodo alla sua casa di Mapello, e dove si fermava a comperare le figurine per i figli all'edicola di fronte al centro sportivo di Brembate Sopra. Ma i colleghi avevano testimoniato che quel pomeriggio al lavoro l'artigiano non si era proprio presentato.




YARA GAMBIRASIO: NESSUNA TRACCIA SU FURGONE E AUTO DI MASSIMO BOSSETTI

Redazione

Bergamo – Sul furgone di Massimo Bossetti non c'e' alcuna traccia riconducibile a Yara Gambirasio. Lo dice la relazione conclusiva dei Ris di Parma sui veicoli di proprieta' dell'uomo in carcere da sei mesi per l'omicidio della tredicenne, appena consegnata al pm Letizia Ruggeri. I tecnici hanno smontato pezzo per pezzo il furgone Iveco Daily cassonato verde chiaro e la sua Volvo V40 sequestrati il 1 luglio, e hanno controllato tutto, senza pero' trovare alcuna traccia utile alle indagini




YARA GAMBIRASIO: NULLA DA FARE PER MASSIMO BOSSETTI

di Angelo Parca

 Massimo Bossetti resta in carcere. Il tribunale del riesame di Brescia ha respinto il ricorso, presentato dai legali del muratore arrestato per l'omicidio di Yara Gambirasio, contro il rigetto dell'istanza di scarcerazione deciso dal gip del Tribunale di Bergamo, Ezia Maccora. All'udienza, a porte chiuse, martedi' scorso, aveva voluto partecipare lo stesso Bossetti. I giudici di Brescia avevano tempo fino a domani per sciogliere la riserva.

La morte di Yara – E' il 26 novembre 2010 quando Yara esce dalla palestra che dista poche centinaia di metri da casa e di lei si perdono le tracce. Tre mesi dopo, il suo corpo viene trovato in un campo abbandonato a Chignolo d’Isola, distante solo una decina di chilometri da casa. L’autopsia svela una ferita alla testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessun colpo mortale: era agonizzante, incapace di chiedere aiuto, ma quando chi l’ha colpita le ha voltato le spalle lei era ancora viva. Il decesso è avvenuto in seguito, quando alle ferite si è aggiunto il freddo.

Perizie e analisi –  Le analisi effettuate in laboratorionon hanno avuto esiti interessanti: nessuna traccia rilevante a carico di Bossetti.  

La prova del DNA – La prova del DNA in un processo ha un valore di indizio. Il test del DNA è stato replicato ben quattro volte dai Ris di Parma, Statale di Milano, Istituto di medicina legale di Pavia, San Raffaele di Milano, dando sempre identici risultati. Ma la traccia di codice genetico era molto piccola e non è certo che ci sia ancora del materiale genetico con cui si possa fare una nuova perizia come vorrebbe la difesa nominando anche dei suoi periti. 

Chi è Massimo Bossetti – Originario di Clusone, Massimo Giuseppe Bossetti ha 44 anni, è sposato e ha tre figli. L’uomo, senza precedenti penali, lavora nel settore dell’edilizia ed ha una sorella gemella. Il Dna lasciato sul corpo della vittima sarebbe sovrapponibile a quello di Giuseppe Guerinoni, l’autista di Gorno morto nel 1999 e ritenuto in base all’analisi scientifica il padre dello sconosciuto assassino al 99,9%. 

Il profilo genetico del presunto assassino è in parte noto. Per questo era stata riesumata la salma di Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999, che secondo gli esami scientifici risulta essere il padre del presunto assassino di Yara. Avere la certezza che l’autista è il padre dell’uomo che ha lasciato il proprio Dna sui vestiti di Yara non risolve il problema: trovare il killer, un presunto figlio illegittimo di cui non c’è traccia. L’ultima conferma sull’analisi scientifica arriva nell’aprile scorso contenuta nella relazione dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo, la stessa esperta che aveva eseguito l’esame sulla salma della giovane vittima. 

Una situazione decisamente incredibile per come ci si è arrivati e che adesso pesa come un macigno su quest'uomo che apparentemente sembrerebbe una persona legata alla sua famiglia e amante degli animali. Insomma un uomo comune come tutti e non un presunto assassino di una ragazzina innocente barbaramente uccisa. Chiunque sia l'assassino, difronte ad un omicidio così efferato non bisogna provare compassione per nessuno  ma cercare di accertare la verità dei fatti con lucidità e prove inconfutabili. Non con elementi flebili perché la famiglia di Yara Gambirasio cerca giustizia, lo ha detto fin dall'inizio: la loro figlia è stata uccisa e loro vogliono sapere chi è il colpevole.




YARA GAMBIRASIO: PARLA LA MOGLIE DI MASSIMO BOSSETTI

di Cinzia Marchegiani

Il giallo di Brembate approda a Matrix con un’intervista esclusiva di Luca Telese a Marita Comi, moglie di Massimo Bossetti, unico imputato dell’omicidio di Yara Gambirasio. Marita ha voluto dichiarare la sua verità per la prima volta in una trasmissione serale importante, e sin da subito ha voluto rilevare la sua ferrea convinzione sull’innocenza di suo marito, certa che quelle accuse sono il frutto di uno sbaglio e che il vero assassino di Yara è ancora a piede libero. Ma non solo, spiega che crede a sua suocera Ester Arzuff, quando sostiene che il padre di Massimo è Giovanni Bossetti e non invece Giuseppe Guerinoni indicato dagli inquirenti che si sono basati sulle prove del DNA:”Io le credo per adesso. Io le credo, anche per rispetto di mio marito, perché è sua madre, io le credo, poi vedremo”. La moglie di Bossetti spiegherà come gli inquirenti abbiano equivocato sul significato di quel foglietto sul quale il marito aveva appuntato dei numeri accanto a nomi di donne. Marita spiegherà convalidando la stessa dichiarazione del marito, che quelli non sono recapiti telefonici, bensì pin della carta di credito posti come memo. Questa intervista sarà sicuramente al vaglio degli inquirenti e stasera se ne parlerà alla trasmissione di Quarto Grado che ha sempre seguito l’evoluzione di questo giallo emblematico e a tratti hollywoodiano per le strategie d’indagini che ha saputo mettere in campo ed attuare. Pezzo per pezzo la storia di quel giorno infame che ha travolto Yara si sta delienando come un enorme puzzle dove i piccoli tasselli per ora non riescono a rendere nitida l’immagine di quel momento esatto in cui la piccola tredicenne Yara perse la vita, e che ancora ad oggi tiene col fiato sospeso molti italiani.
E nel mistero entra anche una missiva anonima sequestrata il 25 luglio dai carabinieri a casa del Bossetti oltre ad altri 33 indizi. Come in un film, con parole e lettere ritagliate dai giornali incollate sul foglio venivano fatte esplicite minacce di morte: "Ti impicco. La pagherai cara". Questa lettera è al vaglio di un’investigazione ad ampio raggio ma certosino dei reparti investigativi dei Ros e Sco che assieme agli altri elementi acquisiti costituiranno una relazione che entro novembre sarà presentate alla Procura di Bergamo, assieme ad un’intera valutazione di oltre tre di indagini partite dal 26 novembre 2010, data in cui scompare Yara, al 16 giugno 2014, giorno in cui è arrestato Massimo Bossetti e dei mesi successivi alla sua cattura. Stasera, venerdì 10 ottobre 2014, un importante puntata su Quarto Grado da non perdere.




YARA GAMBIRASIO: FORTI COLPI ALLA PORTA DELL'APPARTAMENTO DI ESTER ARZUFFI

di Cinzia Marchegiani

Bergamo – Una storia piena di misteri quella che avvolge il delitto della piccola Yara Gambirasio. Una trama costellata da tanti interrogativi, forse troppi e quegli elementi che emergono un passo alla volta come a riaprire una ferita troppo dolorosa. Massimo Bossetti è stato accusato dal PM Letizia Ruggeri dell’assassinio di Yara Gambirasio ritrovata in un campo di Chignolo d’Isola il 26 febbraio 2011 solo tre mesi dopo la sua scomparsa.

E Bossetti rimane a tutt’oggi l’indiziato numero uno di questo delitto di inaudita violenza. Ora a riaprire la notizia è l’ultima aggressione perpetrata a danno della madre di Bossetti, Ester Arzuffi. Dei colpi violenti sferrati alla sua porta dell’appartamento, hanno fatto tremare e allarmare subito la signora Ester che si trovava sola nella sua casa. Spaventata ha chiamato subito il 122, l’Arma intervenuta subito sul posto ha solo potuto constare che non vi era più nessuno fuori al suo appartamento. Un’aggressione molto sospetta che sembra seguire la scia di quelle avvenute lo scorso 18 settembre 2014 a carico di Letizia Laura Bossetti, la sorella gemella del Bossetti, quando fu avvicinata da tre uomini mentre stava salendo in auto nei garage del condominio dove abitano i genitori, i quali sferzando calci e pugni dando dell'assassino al fratello, le fecero perdere i sensi. Allora Letizia fu ricoverata al policlinico di Ponte San Pietro.

Il delitto di Yara sarà comunque ricordato come un intreccio seppur casuale di tante variabili degno di suspense all’altezza delle migliori sceneggiature americane, come lo studio del DNA dell’intera comunità di Brembate di Sopra, innescato dal ritrovamento di una traccia di DNA isolata sugli slip della ragazza, considerato dagli inquirenti come il dna dell’assassino. Gli esami che poi portarono all'individuazione di Massimo Bossetti sarà proprio la pista denominata Gorno, quando dalla marca da bollo di una vecchia patente di Giuseppe Guerinoni, presunto padre naturale di Massimo Bossetti, si isolò il dna che comparato aveva con caratteristiche simili a quelle sugli slip di Yara. Lì si apri la caccia al figlio illegittimo di Guerinoni.




YARA GAMBIRASIO: COLPI DI SCENA NEL GIALLO DELL'OMICIDIO DELLA GIOVANE GINNASTA

A.P.

Colpi di scena nel caso che tiene col fiato sospeso l'intera penisola: l'omicidio della piccola Yara Gambirasio. E' il 26 novembre 2010 quando Yara esce dalla palestra che dista poche centinaia di metri da casa e di lei si perdono le tracce. Tre mesi dopo, il suo corpo viene trovato in un campo abbandonato a Chignolo d’Isola, distante solo una decina di chilometri da casa. L’autopsia svela una ferita alla testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessun colpo mortale: era agonizzante, incapace di chiedere aiuto, ma quando chi l’ha colpita le ha voltato le spalle lei era ancora viva. Il decesso è avvenuto in seguito, quando alle ferite si è aggiunto il freddo. 

ILLEGITTIMO ANCHE TERZO FIGLIO DI ESTER

Anche il terzo figlio di Ester Arzuffi, madre di Giuseppe Bossetti, l'uomo accusato dell'omicidio di Yara Gambirasio, sarebbe stato illegittimo. Secondo "La Stampa" la prova arriva dal test del Dna, anche se la donna continua a negare. Questo ulteriore elemento farebbe crollare l'affidabilità della Arzuffi e ora gli inquirenti mettono in dubbio le sue dichiarazioni in merito al non aver avvertito il muratore di Mapello dopo il test. Il padre naturale del terzo figlio della Arzulli non è Giovanni Bossetti e neppure Giuseppe Guerinoni, l'autista di Gorno. Il pm letizia Ruggeri durante l'interrogatorio del 6 agosto aveva chiesto al presunto killer di Yara: "Ma lei lo sa che neppure suo fratello è figlio di Giovanni Bossetti?". E la risposta del muratore di Mapello era stata: "No, non so nulla e neppure ci credo.

LA FAMIGLIA GAMBIRASIO INTERVIENE NEI CONFRONTI DEI LEGALI DI BOSSETTI

Non può essere vero".Per la prima volta dopo molto tempo la famiglia Gambirasio interviene nel dibattito imperniato sulle indagini sull'omicidio della figlia Yara. E lo fa dopo che uno degli avvocati dell'arrestato Massimo Bossetti ha dichiarato durante una trasmissione di una tv locale: "Secondo noi non si tratta di un omicidio a sfondo sessuale, le indagini sono unidirezionali su Bossetti ma ci sarebbero da fare tanti altri accertamenti. Noi, con tutti i nostri limiti, li stiamo svolgendo e c'e' anche l'ipotesi di una vendetta contro la famiglia Gambirasio, ipotesi che non e' mai stata presa in considerazione seriamente". A questo ha risposto un comunicato dei Gambirasio: "Siamo da sempre convinti che i processi debbano essere celebrati nelle aule dei Tribunali e non nei salotti televisivi. Per questa ragione ci guardiamo bene dal partecipare ai dibattiti televisivi sul tragico caso di Yara. Usciamo, pero', oggi dall'abituale riserbo per dire che e' del tutto inaccettabile che uno dei difensori del sig. Massimo Bossetti, nel corso dell'ennesima trasmissione televisiva, abbia evocato nuovamente l'ipotesi di una presunta vendetta ritorsiva nei confronti della famiglia Gambirasio. Se il difensore del sig. Bossetti ha degli elementi concreti che vanno in quella direzione li porti non in televisione, ma in Tribunale ed in quella sede ci confronteremo. Se invece non li ha, e siamo convinti che sia cosi', si astenga dal rilasciare simili dichiarazioni. La famiglia Gambirasio ha sofferto fin troppo per dover anche sopportare sospetti ed illazioni fondate sul nulla"

MASSIMO BOSSETTI E L'INCONTRO CON IL FIGLIO

Primo incontro in carcere tra Massimo Bossetti e il figlio tredicenne Nicolas. Bossetti dal 16 giugno è detenuto nel carcere di Bergamo in quanto unico indagato nell’omicidio della tredicenne di Brembate di Sopra Yara Gambirasio. All’incontro in carcere il ragazzo è stato accompagnato dalla madre Marita Comi; qui un breve colloquio col padre, che alla fine della conversazione sembra aver detto al figlio “Tornerò presto a casa”. Che poi dipende dal significato che vogliamo dare a “presto”, dal momento che il Tribunale della libertà di Brescia – al quale i legali di Bossetti si sono appellati dopo il rifiuto del Gip di Bergamo – non deciderà prima del 14 ottobre. Comunque sia il figlio ha chiesto di essere presente all’udienza del 14: a prescindere dalla decisione del Tribunale sarà comunque un’altra occasione per vedere il padre, ormai giustamente/ingiustamente recluso da oltre 100 giorni.




YARA GAMBIRASIO: A CACCIA DI INDIZI PER PROVARE LA COLPEVOLEZZA DI MASSIMO BOSSETTI

di Alessandra Pilloni

Non ha mai vacillato Massimo Bossetti in oltre cento giorni di custodia cautelare nei quali notizie e smentite si sono susseguite senza soluzione di continuità.
La sete di sangue, che non sempre corrisponde al sacrosanto desiderio di giustizia, era tanta: così, non paghi per la condanna sommaria che, anticipando ogni tribunale, ha seguito il fermo, ci siamo anche imbattuti nelle scelte di un GIP che bolla l’indagato, incensurato, come persona dotata di “ferocia tale” da rendere “estremamente probabile la reiterazione di reati della stessa indole”, senza basarsi su alcuna evidenza concreta, ma su una sorta di condanna preprocessuale che presuppone che Bossetti sia colpevole del reato contestatogli.

Ci si aspetterebbe, a questo punto, che ci siano perlomeno delle prove dotate di un certo grado di attendibilità a suo carico.
Una tale aspettativa è però vanificata dalla semplice lettura del'ordinanza di custodia cautelare, che definisce ripetutamente i presunti fatti richiamati come "probabili", "non illogici" e "suggestivi".
Eppure non dovrebbe essere una mera “probabilità” e "non illogicità", né tantomeno una qualche forma di “suggestione” a poter costare, in uno stato di diritto, la privazione della libertà ad un cittadino.
A livello mediatico, si è parlato di DNA come prova schiacciante, poiché è stato detto che “il DNA non mente”; purtroppo, però, ci si è dimenticati di aggiungere che il DNA non dice ciò che ci si vuole sentir dire, e nello specifico non dice come e quando sia arrivato lì.
Il DNA, di per sé, non è prova di colpevolezza, e dal momento che non è databile, non vale neppure a collocare temporalmente un indagato sulla scena del crimine.
A questo può aggiungersi il fatto che il DNA può essere trasportato, non solo dolosamente, ma anche in via del tutto incidentale: la casistica giudiziaria internazionale contempla perfino casi di tracce biologiche rinvenute sotto le unghie delle vittime e rivelatesi esito di trasporto.
Insomma, sulla scena del crimine o sul corpo della vittima possono essere isolate tracce di DNA di persone non solo del tutto estranee al delitto, ma perfino che non hanno mai avuto neppure un contatto diretto con la vittima.
Anche un oggetto, come un'arma sporca, può veicolare sulla scena del crimine il DNA di un precedente utilizzatore del tutto estraneo all'azione omicidiaria.
Il DNA può dunque rivelarsi un elemento importante per le indagini, ma di per sé non è né prova di colpevolezza né, tantomeno, prova schiacciante, e se non contestualizzato in maniera critica rischia di condurre a tentativi grossolani di risolvere indagini sulla base di congetture che, puntualmente, finiscono per non reggere al dibattimento o per portare a sentenze di condanna che, lungi dalle certezze richieste al diritto, portano con sé dubbi che pesano come macigni.

E' notizia di pochi giorni fa che la Cassazione, nelle motivazioni alla sentenza di assoluzione nei confronti di Raniero Busco, per il delitto di Via Poma, ha stigmatizzato il fatto che la condanna di primo grado si fosse basata su mere congetture.

Nel caso di Massimo Bossetti, è difficile perfino distinguere indizi e congetture da quello che spesso appare come puro e semplice gossip.
Anche elementi in apparenza più concreti non sono scevri da dubbi.
Negli ultimi giorni, è emersa l'indiscrezione secondo la quale la Procura sarebbe convinta del fatto che il furgone ripreso a Brembate alle 18,01 da una telecamera di sorveglianza sia quello di Massimo Bossetti.
Stando a quanto emerso la convinzione della Procura si baserebbe sul fatto che il furgone ripreso abbia, come quello del carpentiere, un catarifrangente non di serie.
Al di là della discrasia cronologica, data dal fatto che la scomparsa di Yara si colloca ben più tardi, resta difficile credere che si possa basare con attendibilità l'identificazione di un furgone, del quale non si vede la targa, su un catarifrangente: non è inusuale, in effetti, trovare furgoni con catarifrangenti non di serie, e soprattutto una tale conclusione non sembra affatto sanare l'incompatibilità della fanaleria evidenziata dal criminologo investigativo Ezio Denti, e visibile a colpo d'occhio.

Resta un fatto: alla dubbia sussistenza ontologica dei presunti indizi di stampo congetturale, fa da contraltare un'inquietante assenza di riscontri proprio laddove sarebbero potuti emergere in modo univoco, ossia in ordine a tracce riconducibili a Yara sugli autoveicoli di Massimo Bossetti, non riscontrate, e reperti piliferi trovati sulla vittima, incompatibili con l'indagato.
Inoltre, la recente testimonianza di Iro Rovedatti, pilota della protezione civile che sorvolando il campo di Chignolo a bassa quota non vide mai il corpo di Yara, che ove presente si sarebbe dovuto vedere, sembra aprire nuovi interrogativi sul luogo del delitto stesso.
Un ennesimo sintomo del fatto che di questo omicidio si sappia davvero troppo poco per giungere a conclusioni affrettate.

In tempi di spending review, la possibilità di aver preso un abbaglio dopo una spesa di milioni di euro per seguire un’indagine basata su una traccia biologica di natura incerta e di altrettanto incerta valenza probatoria, non è uno degli eventi più auspicabili.
Ma se dinnanzi all'omicidio di una piccola vittima che attende giustizia una tale spesa è giustificata dalla ricerca della verità, non può esserlo invece dal presupposto che a tale verità si debba arrivare necessariamente né, tantomeno, in maniera forzata.