La Marina Militare ambasciatrice d’eccellenza alla Med Blue Economy

Dal 26 al 28 aprile, a Gaeta, la Marina Militare prende parte alla 12ª edizione della ‘Med Blue Economy’. L’evento, che pone al centro della propria attività il tema dell’economia del mare, risorsa strategica di importanza vitale per un Paese rivierasco come l’Italia, promuove iniziative tese ad una sempre maggiore collaborazione internazionale anche oltre il bacino Mediterraneo.

Per l’occasione a Gaeta,
presso il porto commerciale, alla banchina Salvo d’Acquisto, sarà ormeggiato il
cacciatorpediniere Caio Duilio che verrà aperto alle visite a bordo della
popolazione nei seguenti giorni e orari:

–         
venerdì   26 aprile: dalle 14.30 alle 19.00;

–         
sabato 27 aprile: dalle 14.30 alle 19.00;

–         
domenica 28 aprile: dalle 09.30 alle 13.00.

cacciatorpediniere Caio Duilio

Il cacciatorpediniere Caio Duilio, al comando del capitano di vascello Pietro Alighieri, è uno dei due cacciatorpediniere lanciamissili della classe ‘Orizzonte’, frutto di una cooperazione italo-francese. Il cacciatorpediniere Duilio è la quarta nave della Marina italiana a portare questo nome; varata il 23 ottobre 2007 presso i cantieri navali di Riva Trigoso è stata consegnata alla Marina Militare il 3 aprile 2009. Con un equipaggio di 196 uomini e donne, una lunghezza di oltre 150 metri e un dislocamento a pieno carico superiore alle 7.000 tonnellate, nave Duilio è l’espressione di tecnologie di ultima generazione, impianti missilistici e di artiglieria all’avanguardia. Fiore all’occhiello dell’industria nazionale, specificatamente progettata per la difesa aerea, la nave può svolgere ruoli di comando e controllo anche in operazioni a supporto della comunità essendo dotata di numerosi apparati di comunicazione tradizionale e satellitare nonché di una infermeria con capacità medico-sanitarie di primo soccorso.




Davide Cervia, un mistero custodito negli abissi della Marina Militare: parte l’inchiesta de L’Osservatore d’Italia

Molto difficile trovarsi di fronte ad un foglio bianco con la volontà di fare chiarezza su uno tra i numerosissimi misteri italiani: la scomparsa di Davide Cervia. Una vera e propria impresa dopo oltre 27 anni di silenzio a cui non intendiamo esimerci ma che non vorrei affrontare in solitario.

Un silenzio e solitudine che ha vissuto soprattutto la famiglia di Davide Cervia, la moglie Marisa e i figli Erika e Daniele alle prese con muri di omertà e con tentativi di depistaggio. Un dolore grande con il quale convivere e proprio questo ho per loro il massimo rispetto perché si tratta di una famiglia che cerca di sapere dove è finito Davide. Se è vivo o se non c’è più e chi lo ha fatto sparire strappandolo alla sua famiglia.

 

La scomparsa

Davide Cervia è scomparso misteriosamente nel 1990 dopo un turno di lavoro alla Enertecnel Sud di Ariccia, a circa 15 minuti dalla sua abitazione a Velletri, nella zona dei Castelli Romani in provincia di Roma.

La mattina del 12 settembre del 1990 è uscito di casa presto per recarsi alla Enertecnel Sud di Ariccia, l’azienda dove lavora come perito elettronico, a circa un quarto d’ora di auto. Alle 17, finito il turno, ha salutato i colleghi ed è salito sulla sua Volkswagen Golf bianca per tornare a casa, dove non è mai arrivato. Gli inquirenti hanno parlato subito di allontanamento volontario, anche quando, circa due mesi dopo, un vicino di casa ha dichiarato di aver visto alcuni uomini caricare a forza Davide Cervia su un’auto di colore verde scuro. Posizione mantenuta anche dopo la testimonianza dell’autista di un autobus, che il giorno della scomparsa fu costretto a effettuare una brusca frenata a causa di una Golf bianca e di un’auto verde che non avevano rispettato lo stop e gli avevano tagliato la strada a forte velocità, provenendo da via Colle dei Marmi, dove si trova casa Cervia.

 

La lettera anonima e il ritrovamento dell’auto

Il 1 marzo 1991, una lettera anonima recapitata a “Chi l’ha visto?” ha permesso di ritrovare l’auto di Cervia, parcheggiata a Roma nei pressi della stazione Termini. Un ex commilitone del periodo in cui Cervia era arruolato nella Marina Militare, contattato dalla moglie, ha ipotizzato che la scomparsa sia da mettere in relazione con le conoscenze sulle armi elettroniche che lui aveva acquisito. Dopo il diploma di perito elettronico, nel 1978, all’età di 19 anni, si era arruolato come volontario entrando a far parte come sottufficiale degli addetti agli armamenti tecnologici della nave Maestrale. Nel 1980, inoltre, aveva frequentato il corso di specializzazione che lo aveva qualificato esperto in guerra elettronica con la sigla ETE/GE.

 

La sentenza che non arriva

Il 5 aprile 2000 il caso è stato archiviato dalla magistratura come “sequestro di persona a opera di ignoti” per l’impossibilità di rintracciare i responsabili. I figli Erika e Daniele insieme alla madre Marisa a settembre del 2102 hanno citato a giudizio i Ministeri della Difesa e della Giustizia davanti al Tribunale civile di Roma, chiedendo il risarcimento dei danni subìti “per la violazione di ciò che può definirsi il diritto alla verità”. E ora si attende la sentenza che avrà non pochi colpi di scena ma che forse, proprio per questo motivo, tarda ad arrivare.

Quando si riprende un “cold case” bisogna sempre azzerare la propria mente e scansare tutte le tesi finora costruite. Cercare di andare a fondo alla questione provando a suscitare una reazione in qualcuno che sa o che ha visto qualcosa.

 

Il ruolo della Marina

Ciò che è certo è che la Marina Militare non è stata fin da subito trasparente, neppure nel rivelare. La Marina Militare ha negato per anni la specializzazione di Davide, esperto in guerra elettronica con la sigla ETE/GE. Davide era esperto di un sistema di puntamento Teseo Otomat che veniva installato sulle principali fregate italiane che venivano vendute all’estero, come la Lupo o la Maestrale, dove lo stesso Davide Cervia era stato addestrato e aveva partecipato all’istallazione del Teseo Otomat.

Il fatto è che a negare è stato lo stesso reparto che ha rilasciato all’uomo la specializzazione

Per la Marina Davide era un semplice elettricista ma la famiglia dell’uomo a quel punto, il 12 settembre del 1994, occupò per una decina di ore le stanze del ministero della Difesa, allora diretto da Cesare Previti, ottenendo, dopo un paio di giorni, il foglio matricolare con le specializzazioni dell’uomo. Nel 1998 la Procura generale di Roma  ottenne dal Sismi (Servizio per le informazioni e la sicurezza militare) le note informative, che ipotizzavano il rapimento da parte di stati mediorientali e nordafricani. Per i servizi segreti della Marina militare (Sios), il caso era irrilevante: “I responsabili non ritennero l’episodio più di pertinenza di quell’ufficio”, si legge nella richiesta di archiviazione del fascicolo del 1999.

 

Lo scoraggiamento

Si riparte ad analizzare il caso di Davide Cervia da un sottile scoraggiamento avvenuto da persone senza volto e senza nome. Per loro Davide era un giovane molto buono ed ingenuo, si faceva voler bene. La sua specializzazione all’epoca non sarebbe stata di grande valore e il sistema di puntamento sul quale aveva lavorato Cervia era una roba che conoscevano tutti, forse anche superata. In fondo è stato arruolato solo per un breve periodo. Non conosceva chissà che segreti e noi saremmo degli esaltati a fantasticare su una dietrologia che ci lascia pensare che un organizzazione criminale sia l’artefice della scomparsa di Cervia, sequestrato sei anni dopo il congedo, a poca distanza dall’invasione del Kuwait e dallo scoppio della prima Guerra del Golfo. Insomma c’è un’entità invisibile che tenta di proporre una tesi meno complottistica e invita a seguire altre piste come quella familiare in cui c’era un presunto uomo che avrebbe prelevato chissà che cifra di denaro prima di morire. Insomma dovremmo seguire una pista di usura e problemi familiari. Ma noi preferiamo andare controcorrente.

 

Le intenzioni

Quello che si farà, qui sulle colonne dell’Osservatore d’Italia è raccontare tutto ciò che è possibile. Snocciolare il fascicolo Cervia, scrivere ogni sensazione e particolare che può e deve essere utile per avvicinarci alla verità. Sarà un lavoro lungo ma inizia proprio con questo articolo dopo un primo tentativo di scoraggiamento che ci fa intendere che la volontà di riparlare del caso Cervia è la strada giusta a prescindere dall’esito.

 

Il pezzo di carta

Altro elemento che aggiungiamo in questo pezzo, oltre alla volontà di scoraggiamento, è un documento importante che non possiamo non citare e che inizia a smontare ciò che gli “invisibili” vorrebbero farci credere. Il 4 marzo del 1991 l’allora capitano della compagnia dei Carabinieri di Velletri Marcello Galanzi rilasciò una dichiarazione firmata e timbrata dove scriveva che Davide Cervia dal 22 febbraio 1981 al 9 aprile 1982 ha frequentato presso la società “Elettronica” di Roma in via Tiburtina un “corso di istruzione di secondo livello per personale tecnico della Marina Militare su apparati MM/SçR – 4, MM/SLQ-D e pannello interfaccia. Detto corso frequentato dall’allora Sergente della Marina Militare Italiana abilitava i frequentatori all’uso di sottosistemi di guerra elettronica installati sulle fregate della classe “Maestrale” della Marina Militare Italiana. Il livello di classifica del corso era riservatissimo. Il Cervia, sempre presente alle lezioni aveva superato il corso. Personale dell’Elettronica non hanno saputo specificare se le informazioni acquisite dal Cervia siano o meno appetibili ad organizzazioni segrete o simili precisando che gli apparati della classe Maestrale citati, sono ancora installati sulle navi della Marina Militare Italiana”. Questo è solo un atto dei tanti. Difficile poter credere che Davide era un semplice elettricista. Chi sa parli!

Chiara Rai

VIDEO

Marisa Gentile moglie di Davide Cervia ospite a Officina Stampa del 16/11/2017 per parlare del caso che ha riguardato il marito




Marina Militare Italiana, tragedia di Lampedusa: quando la verità naufraga in una fiction

di Tiziana Bianchi

L’ 11 ottobre 2013, alle ore 17:07, si ripete l’ennesima tragedia del mare: il naufragio di un barcone nel quale perdono la vita 26 persone con un numero di dispersi, ancora oggi, indefinito. Sulle circa 300 persone stimate a bordo, 212 sono tratte in salvo da nave Libra della Marina Militare Italiana e da un pattugliatore maltese.

Ma dalle accuse di alcuni sopravvissuti si aprono ben tre inchieste, all’esito delle quali vengono indagati sette ufficiali della Marina Militare italiana.

Come troppe volte osservato, in questo Paese, in barba alla verità e al rispetto del lavoro della magistratura, la macchina del fango si mette in moto, dando vita al solito teatrino della corsa al linciaggio mediatico, senza alcuna reale contezza dei fatti e delle reali circostanze di cui si parla. La verità è oramai un’esigenza di secondo piano, d’altronde le indagini sono inesorabilmente lunghe e, allora, bisogna trovare in fretta “il mostro” da dare in pasto all’opinione pubblica.

 

Ma esaminiamoli questi fatti, così come riportati in atti e non semplicemente “raccontati” ad arte in una fiction, da chi, come il pilota dell’aereo militare maltese, ha dichiarato, senza alcun pudore, che di queste dichiarazioni risponde soltanto al suo Paese. Afferma, il pilota, di aver chiesto aiuto immediato per l’imbarcazione avvistata sul canale 16, quando, invece, come riportato in atti, Roma apprendeva da Malta solo alle 16:44 che l’aereo aveva riferito che l’imbarcazione era ferma. Com’è noto a chi naviga, se avesse chiesto aiuto sul canale 16, la richiesta sarebbe stata senz’altro captata e rilanciata da altre imbarcazioni. Afferma, inoltre, di aver scattato foto (mai prodotte da Malta) e di aver abbassato la quota per vedere meglio, proprio quando il natante si è fermato, per ribaltarsi pochi minuti dopo, alle 17:07 (dalle 14:35 Malta aveva assunto formalmente il coordinamento delle operazioni). Ancora, dalle 16:22, momento in cui Malta chiede intervento per “assess status”, cioè per valutazione ed informazione, senza imminenza di pericolo incombente si passa rapidamente a ruolo “SaR”, cioè ricerca e salvataggio per ribaltamento imbarcazione (17:07). Come ipotizzato dal PM “la causa del ribaltamento del natante deve essere molto probabilmente individuata nel movimento dei migranti a bordo dell’imbarcazione, che sbracciandosi per chiedere aiuto all’arrivo dell’aereo maltese, possono aver determinato il peggioramento delle già precarie condizioni di stabilità e navigabilità del mezzo”. Il pilota dell’aereo, nel filmato confessa che dopo il naufragio ha lasciato le forze armate e gli incubi non lo abbandonano.

Una ricostruzione degli eventi quelli della fiction senz’altro limitata ed artificiosa che, anzitempo, “condanna” sette ufficiali della Marina Militare Italiana alla gogna mediatica, addirittura un mese prima del pronunciamento dell’esito dell’indagine da parte del PM.

Ma nei titoli di coda non passa inosservato che la produzione è a cura di “Malta 24 field producer Ivan M. Consiglio”, guarda il caso, ex ufficiale per 25 anni delle forze armate maltesi, esperto di media, nella fiction in cui un pilota militare maltese, accusa gravemente gli italiani.

 

Una fiction nella quale, insieme con l’imbarcazione di migranti, è inequivocabilmente naufragata anche la verità. Ma quel che stride e sorprende sono le dichiarazioni del Ministro della Difesa Pinotti che, ospite d’onore all’anteprima della fiction, rivolgendosi ai familiari delle vittime ha dichiarato: “da persona e da cittadina italiana io mi sento in dovere di chiedere a loro scusa” mentre il presidente del Consiglio del tempo del naufragio, Enrico Letta ha dichiarato a Repubblica: “dall’inchiesta giornalistica emergono responsabilità evidenti. Uno Stato non può archiviare una tragedia del genere senza garantire piena giustizia. Un lavoro giornalistico di denuncia, che dovrebbe essere presentato in tutte le scuole”. Ma, in quelle stesse scuole, andrebbe anche spiegato e sottolineato come qualsiasi esternazione di un Ministro della Repubblica o di un ex premier, si riflettano sull’immagine dell’Italia nel mondo e, forse, non proprio positivamente, quando intervengono su fatti ancora oggetto d’indagine da parte della magistratura.

 

L’interpellanza Parlamentare

Dello stesso avviso, probabilmente, anche i Senatori Giovanardi, Quagliariello Gasparri che, insieme con altri otto colleghi, il 29 novembre scorso hanno presentato un’interpellanza al Presidente del Consiglio ed al Ministro della Difesa per “per conoscere se il Governo italiano non intenda astenersi dal promuovere ed avvallare fiction cinematografiche senza doverosamente attendere che su quanto accaduto di pronunci la magistratura.”

 

La richiesta di archiviazione del Pm

Il PM, intanto ha chiesto l’archiviazione per tutti e sette gli ufficiali indagati; il GIP accogliendone quattro, ha disposto per il comandante di nave Libra, Catia Pellegrino, un supplemento d’indagine e la richiesta di formulazione di un’imputazione precisa per altri due ufficiali sulla quale si riserverà di decidere per il rinvio a giudizio o sul non luogo a procedere.

Il Comandante Catia Pellegrino, prima italiana al comando di una nave militare, nell’ottobre 2015 ha ricevuto dal Presidente Mattarella l’onorificenza di Ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica proprio “Per la competenza e la sensibilità con le quali ha coordinato numerosi drammatici salvataggi in alto mare nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum”. Dalla sua esperienza nell’ottobre 2014 è stata tratta la serie televisiva trasmessa su Rai 3 “La scelta di Catia”. Oggi, invece, viene presentata in tutt’altra veste.

È indescrivibile il dolore e la tristezza che si provano ascoltando le testimonianze dei sopravvissuti di questa ignobile tragedia: hanno perso quanto di più caro al mondo, la famiglia, i figli. Ma il doveroso rispetto di questa condizione, non può e non deve esimerci dalla ricerca della verità. Una verità che deve, necessariamente, incardinarsi tra le parole di questi genitori ed i fatti di coloro che, ogni giorno, nello svolgimento del proprio dovere, mettono costantemente al servizio del prossimo la propria vita.

Le dichiarazioni di Malta che non vuole rendere pubblici i documenti del naufragio, sostenendo che “potrebbero danneggiare le relazioni internazionali tra Malta e l’Italia” e l’assordante silenzio del Governo italiano, rendono ancor più triste ed avvilente i contorni di questa tragica vicenda.

Sequenza degli eventi (La sintesi)

Il primo contatto telefonico
Sono le 12:26 del’11 ottobre 2013 quando Roma IMRCC (Italian Maritime Rescue Coordination Centre, Capitaneria di Porto) riceve la richiesta di soccorso da parte dell’imbarcazione, è il dott. Jammo al telefono. Si susseguono telefonate fino alle 12:40 mentre, attraverso la società per la gestione delle comunicazioni satellitari, viene acquisita la posizione del natante in difficoltà ad inizio e fine comunicazioni, rivelando che, contrariamente a quanto affermato nel colloquio telefonico, era in movimento e non ferma. Alle ore 13:00 Roma informa Malta della situazione in quanto l’imbarcazione si trova in zona SaR (Search and Rescue) di competenza maltese.

Gestione operazioni da parte di Malta
Alle 13:05 Malta conferma a Roma l’assunzione del coordinamento (richiesto successivamente anche per iscritto da Roma). Alle 13:15 IMRCC avvisa il Comando in Capo della Squadra Navale (CINCNAV) che più tardi (alle 13:23) emette un messaggio diretto a tutte le unità in navigazione nella zona. Alle 13:34 l’Ufficiale superiore in servizio presso la Centrale Operativa Aeronavale (COAN) del Comando in Capo della Squadra Navale, il C.F. Nicola Giannotta chiede al collega capo sezione delle attività reali, il C.F. Licciardi se nave Libra potesse dirigersi sulla posizione. Il collega risponde “ancora no” perché il Comando Generale delle Capitanerie aveva passato a Malta e alla Libia i nominativi di due mercantili nelle vicinanze che avrebbero dovuto essere inviati sul posto. Ore 14:35 Roma riceve il fax di formale assunzione coordinamento delle operazioni da parte di Malta. Alle 15:31 IMRCC informa CINCNAV che Malta aveva assunto il coordinamento e che stava inviando una motovedetta. A questo punto (15:34) il C.F. Giannotta avendo adempiuto all’obbligo ricognitivo ed informativo, contatta il comandante di nave Libra, l’ufficiale Catia Pellegrino ordinandole di rimanere a circa un’ora dall’imbarcazione.

Prima richiesta di intervento “Assess status”
Ed è soltanto alle 16:22 che Malta, informando Roma dell’avvistamento dell’imbarcazione da parte di un aereo militare chiede il supporto di nave Libra – ad una distanza di 19 miglia nautiche – per valutare ed informare sulla situazione.

Alle 16:44 l’aereo riferisce che l’imbarcazione si era fermata. Scende di quota per migliorare l’osservazione.

Alle ore 17:04 C.F. Licciardi viene informato del fatto che Malta aveva inviato fax con richiesta di dare ordine di “assess the status”, cioè valutare e riferire.
Pochi minuti dopo tale richiesta, alle 17:07 Malta informa del rovesciamento dell’imbarcazione.

Alle 17:16 nave Libra assume ruolo Controllo Flussi Migratori inviando, in pochi minuti, l’elicottero verso l’imbarcazione, grazie al quale si sono potute salvare un maggior numero di persone.

Com’è evidente, Malta, diversamente da casi analoghi precedenti, assumendo il coordinamento delle operazioni, pur informata che in zona fosse presente la nave italiana, invia un suo pattugliatore per intercettare la nave di migranti, chiedendo supporto soltanto alle 16:22, a circa due ore dall’assunzione formale del coordinamento e oltre tre dalle prime comunicazioni con Roma.

 

 




MARINA MILITARE, "OLTRE IL FIUME OCEANO": L'ULTIMO LIBRO DELL’AMMIRAGLIO CRISTIANO BETTINI

GALLERY IN FONDO ALL'ARTICOLO [CLICCARE SULLE FOTO PER INGRANDIRLE]

 

di Tiziana Bianchi

La brillante carriera dell’Ammiraglio di Squadra Cristiano Bettini (già autore di La formazione etica e di Processi decisionali in ambiente complesso), si caratterizza per alcuni particolari elementi dai quali, nel tempo, sembrano essere maturate le motivazioni che lo hanno condotto verso la stesura del suo ultimo lavoro, Oltre il fiume Oceano. Prime, fra tutti, la formazione classica con gli studi umanistici, successivamente l’ingresso in Accademia Navale e, certamente non meno importante, l’amore per la navigazione a vela che lo ha visto al Comando delle Unità STELLA POLARE e CORSARO II, con cui ha effettuato due navigazioni transatlantiche, dopo alcune altre su imbarcazioni d’altura, dal Mar Nero ai mari del Nord, oltreché in Mediterraneo. Per completare il quadro, negli anni dal 2002 al 2005, ha assunto l’incarico di Addetto Navale e per la Difesa presso l’Ambasciata Italiana a Londra, con accreditamento per l’Irlanda, ove rappresentava gli interessi nazionali in materia di difesa e sicurezza. Non ultime le sue conoscenze di architettura navale e di yacht design.

Man mano che ci s’immerge nella lettura di Oltre il Fiume Oceano, si può distintamente percepire quanto l’esperienza dell’autore si sia tradotta in preziosi approfondimenti apportati da diverse discipline quali l’archeologia, la storia, la filologia, la nautica, la geografia e persino la numismatica. Un lavoro eccezionalmente documentato che, ricostruendo le tre spedizioni del 55 e 54 a.C. di Giulio Cesare, del 43 d.C. di Claudio e del 296 d.C. di Costanzo Cloro, offre una dettagliata testimonianza della grandezza dell’impresa dei Romani nella conquista della Britannia, sfidando l’ignoto di una navigazione ‘oltre il fiume oceano’; si tratta di quel fiume che secondo le pagane credenze dell’epoca, circondando le terre emerse, separava il mondo dei vivi da quello dei morti, l’Ade. Un’impresa titanica, considerando che il potere militare dei Romani trovava la sua massima espressione per la via terrestre e non anche per quella navale ma che, grazie alla superiorità` tecnologica e logistica, e` riuscita a sostenere le proprie forze combattenti. In tal senso il libro fornisce anche una dettagliata ricostruzione dell’attuale modello “expeditionary”, cioe` di logistica integrata, intesa come capacita` delle forze armate di proiettarsi rapidamente ed operare con continuità in teatri esterni e distanti. Un modello che, ripreso dalla Gran Bretagna nella fase imperiale e perfezionato dagli Stati Uniti dopo la II Guerra Mondiale e`, ancora oggi, scelto dalle forze armate di tutti i maggiori Paesi occidentali.

Come largamente riconosciuto, questo libro colma un vuoto nella letteratura accademica internazionale laddove l’autore, senza sacrificare l’impianto divulgativo, fornisce una descrizione degli eventi integrata dalle diverse discipline e, in maniera particolare, per le spedizioni successive a quella di Giulio Cesare ben documentata nel De Bello Gallico comunque “…da leggere anche tra le righe, nelle sue apparenti omissioni ed in un’ottica di propaganda per i successi ottenuti in nove anni di presenza di Cesare in Gallia..”. Infatti, grazie a tale approccio, andando controcorrente, nel capitolo IV si evidenziano molte reticenze e cose, militarmente, poco verosimili di Cesare sugli eventi preliminari alla prima spedizione (55 a.C.) che, solo a posteriori, giustificano mancanze o errori di valutazione, con cui supplì con la “pristina fortuna” che egli stesso si attribuiva. Inoltre, sempre Cesare, per la seconda spedizione (54 a.C.), come ben dimostrato, impose modifiche di configurazione alle navi che risultarono tutte dannose alla stabilità e sicurezza della navigazione.

Una lettura ricca, affascinante e coinvolgente; un tuffo a tutto tondo in un lontano passato che si lega, incredibilmente, alle odierne criticità della nostra Europa. Un’Europa certamente piu` simile alla società dell’impero Romano del III e IV secolo che, dopo una rapida espansione, si avviava alla decadenza, causata da quelli che Polibio (Historie, VI, 57), definiva imprevedibili fattori esterni, come ad esempio gli attuali flussi migratori, o da fattori interni, come potrebbe considerarsi l’innalzamento dei muri di confine da parte di alcuni Stati Membri protagonisti dell’allargamento dell’UE nel 2004.

Ammiraglio Bettini, la grandezza dell’Impero Romano nell’espandersi alla fine ne ha decretato la decadenza. Corriamo lo stesso rischio, oggi, in Europa?
La storia ci ha insegnato come una società troppo aperta comporti, inevitabilmente, una perdita di compattezza nella propria identità collettiva; l’identità europea oggi appare ancora molto fragile e quindi è opportuno trattare la società odierna con la logica del rischio, essere, cioè consapevoli della quantità di rischio che vogliamo e siamo in grado di accettare (risk managment) e, quindi, sviluppare le conseguenti strategie sociali.

Lei ha avuto una vita densa di impegni professionali e non, legati al mare. Da dove nasce l’esigenza di misurarsi con quest’ultimo lavoro?

Negli anni di permanenza a Londra in qualità` di Addetto per la Difesa e la Marina, ho potuto constatare quanto il modello politico, sociale e militare Romano sia ancora oggi rilevante nella cultura britannica. Gli interrogativi più ricorrenti dei miei interlocutori riguardavano molto di più la conquista dell’Isola e la successiva decadenza da parte dell’Impero Romano, che non la visione nazionale in tema di Difesa e Sicurezza. Quegli anni sono stati senz’altro da stimolo, ed ho così iniziato ad approfondire, anche attraverso letteratura inglese e la visita e conoscenza diretta dei luoghi archeologici.

Per quale ragione il mondo anglosassone rimane cosi legato a quello Romano?

Probabilmente perché il modello di vita del cittadino romano, pienamente immerso nella vita quotidiana delle lontane province, era retto da un architrave di regole che riusciva a tenere insieme etnie diverse, senza distruggere la comunalità della governance interna. In tal senso, solo l’impero britannico dell’era moderna ha ereditato la visione romana nella modalità di governo dei popoli assoggettati.

Oltre il fiume oceano e` ricco di approfondimenti che abbracciano diverse discipline, dalla geografia alla nautica, storia, archeologia, filologia fino alla numismatica. Quanto tempo ha dedicato alla ricerca delle fonti e per la redazione?

Lo studio comincia nel 2005 e per scriverlo sono stati necessari due anni.  Ho cercato di operare una ricostruzione degli eventi legati all’impresa navale e non a quella terrestre, se non quando strettamente rilevante per la comprensione del ruolo operativo o logistico della flotta, incrociando, quindi, dati di varie fonti e discipline.

I Romani non erano di certo una potenza navale, come sono riusciti a portare a termine una simile impresa?

L’impresa e` stata davvero enorme, ed è soltanto collegando la storia al mondo della navigazione romana che si puo` comprendere la grandezza dei romani. 45.000 uomini partiti verso aree ancora poco conosciute, volendo mantenere una totale autonomia logistica  (soprattutto approvvigionamento di acqua e viveri). Misure spropositate per l’epoca. Sono riusciti a portarla a termine per diversi fattori: la tempra degli uomini, la tecnologia e la logistica. I legionari erano uomini fedeli all’imperatore e fidelizzati con i loro comandanti, pronti a seguirli oltre ogni dovere; più che un’istituzione, i soldati erano una classe sociale. Inoltre, rispetto alle altre popolazioni erano tecnologicamente avanzati nella costruzione delle imbarcazioni e con un pragmatismo attraverso il quale imparavano rapidamente dall’esperienza concreta. Per tali ragioni non dobbiamo sorprenderci del fatto che, in uno studio del 1908, preparato per lo Stato Maggiore dell’Esercito britannico, le tabelle di marcia e carico utilizzate, facessero ancora riferimento a quelle redatte dai romani nel corso delle spedizioni per la conquista della Britannia.

Il tema di questo suo terzo libro e` molto diverso da quelli dei precedenti. A quale dei tre si sente piu` legato e perché?

Certamente Oltre il fiume Oceano! Attraverso questo lavoro ho condotto un mio personale viaggio nelle passioni di sempre, quelle che hanno segnato la mia vita da marinaio.

 




MARINA MILITARE: LA PIU` AMATA DAGLI ITALIANI

di Tiziana Bianchi

Il Rapporto Italia 2016 di Eurispes certifica l’aumento della fiducia nei confronti di tutte le Forze Armate.

Ma è la Marina Militare, con il 75,4% dei consensi, (+1,9% rispetto al 2015), a raccogliere il maggior apprezzamento degli italiani.
Davvero una grande soddisfazione per tutti i marinai italiani!

Ricevuta la bella notizia, gli equipaggi hanno risposto “Siamo felici, siamo happy"!




MARINA MILITARE, ANALISI SULL'ACQUA PER CONSUMO UMANO: IL DIPARTIMENTO MILITARE DI MEDICINA LEGALE LA SPEZIA ROMPE IL SILENZIO

Red. Interni
Il 5 settembre 2012, a seguito della segnalazione sulla presenza di sostanze contaminanti e cancerogene disciolte nell'acqua destinata al consumo umano (trialometani e idrocarburi) su una unità navale della Marina militare, il deputato radicale Maurizio Turco, cofondatore del Partito per la tutela dei diritti di militari e forze di polizia (Pdm), depositò una interrogazione al Ministro della difesa ed al Ministro della salute (5/07724) per conoscere lo stato di efficienza degli impianti di potabilizzazione e sulla tipologia e frequenza dei controlli delle acque di bordo, impiegate sia per uso lavanda che per scopi alimentari militari, nonché per valutare la necessità di promuovere una azione di informazione, in tutela del personale militare, sui rischi derivanti da contaminanti disciolti nelle acque da destinare al consumo umano e sui rischi di carcinogenesi ad essi attribuibili alla luce delle evidenze scientifiche nazionali ed internazionali.

Sin da subito il riscontro di sostanze cancerogene avrebbe dovuto destare l'interesse del personale militare, di ogni ordine e grado, al fine di verificare, anche attraverso i propri rappresentanti, la corretta applicazione delle norme vigenti nello specifico settore (d. lgs. n. 31 del 2001), nonché quelle in materia di tutela della salute e salubrità degli ambienti di lavoro (d.lgs. n. 81 del 2008).

All'interrogazione parlamentare sull'acqua data a bere ai marinai seguì l'immediata risposta dell'allora Ministrro della difesa, Ammiraglio Giampaolo Di Paola, che per voce del suo sottosegretario, Filippo Milone, rispose, pur ammettendo il riscontro casuale delle sostanze cancerogene nell'acqua di bordo, che «sulle unità navali della Marina militare sono effettuati controlli dell'acqua periodici – di massima, con cadenza semestrale – presso i laboratori militari certificati».
In riferimento all'accaduto, il Ministero della salute non ritenne necessario realizzare ulteriori specifiche d'informazione e comunicazione sui rischi derivanti da contaminanti disciolti nelle acque.

A distanza di più di tre anni, però, a smentire clamorosamente la Difesa in merito alla rassicurante disponibilità di idonei laboratori militari certificati preposti ai controlli periodici sulle acque ai sensi della normativa vigente, è lo stesso Dipartimento Militare di Medicina Legale di La Spezia, presso il quale è presente il laboratorio analisi militare di riferimento per le unità navali e per gli enti della Marina militare sotto la sua giurisdizione. Con messaggio telegrafico in data 23 gennaio 2016 il Dipartimento Militare di Medicina Legale La Spezia ha finalmente deciso di rompere il silenzio sull'annosa questione, comunicando al comando Nave Virginio Fasan (F 591) – la seconda delle fregate classe FREMM (Fregate Europee Multi Missione) – che "il laboratorio analisi militare – quello per il quale il Ministro della Difesa aveva dato precise rassicurazioni – non possiede le attrezzature per effettuare le analisi chimico-fisiche sulle acque di bordo". "Non è la prima volta, ne sarà l'ultima che, nel silenzio dei vertici militari e quello ancora peggiore delle Rappresentanze del personale militare (Cocer), ci  vediamo costretti ad intervenire per portare all'attenzione dell'opinione pubblica e degli stessi interessati e delle autorità giudiziarie le gravi e inaccettabili carenze che minano la salute e la sicurezza dei lavoratori con le stellette " – Lo dichiara Luca Marco Comellini, Segretario del Partito per la tutela dei diritti di militari e Forze di polizia (Pdm)  "Ritengo – prosegue Comellini – che l'indisponibilità di idonee attrezzature di laboratorio per le analisi delle acque nella sede di La Spezia e, presumibilmente anche nelle altre sedi della forza armata, sia l'ennesima conferma della situazione di pericolo a cui, nel corso di questi anni, sono stati, e sono, costantemente esposti i marinai imbarcati sulle unità navali della Marina militare. Per questo motivo – chiosa Comellini – è necessario che il Ministro della difesa Roberta Pinotti, nonché il Ministro della Salute Beatrice Lorenzìn, riferiscano urgentemente al Parlamento sugli immediati provvedimenti che intenderanno adottare per garantire la massima tutela della salute del personale che opera a bordo delle unità navali della Marina militare. È altresì indispensabile – precisa il Segretario del Pdm – che le competenti autorità giudiziarie dispongano l'avvio delle necessarie indagini per accertare l'eventuale esistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e le eventuali responsabilità del datore di lavoro e, nel contempo, provvedano ad adottare ogni possibile provvedimento per prevenire ulteriori rischi per la salute del personale operante a bordo delle unità navali della Marina militare, anche disponendo, ove ciò si renda necessario, il sequestro preventivo delle stesse unità navali. Occorre inoltre – conclude Comellini – che il Ministro della salute attui, con la massima urgenza consentita, una supervisione dei risultati dei controlli di laboratorio disposti sulle acque di bordo, per una tempestiva analisi dei rischi per la salute del personale militare imbarcato e le conseguenti azioni di prevenzione".
 




MARINA MILITARE: IL CAPO DI STATO MAGGIORE DE GIORGI RITIRA IL PREMIO. SUCCESSO PER IL VIDEO DI TIZIANA BIANCHI

LEGGI ANCHE: MARINA MILITARE: EROI SILENZIOSI, EROI OGNI GIORNO – IL VIDEO REPORTAGE DI TIZIANA BIANCHI

 

Redazione

Alla sua XIII edizione, nella serata di sabato 23 gennaio 2016, presso l’Auditorium Parco della Musica, si e` svolto il Gran Galà della Solidarietà, condotto, come di consueto da Fabrizio Frizzi, accompagnato dal dr. Ivo Pulcini, Presidente della Onlus “Tutti per un cuore…un cuore per tutti” che promuove l’evento.

Nel corso della serata molti gli artisti che, in favore dell’ “Associazione Bambini Cardiopatici nel Mondo e dell’ “Associazione Bambini Tibetani nel Mondo” si sono esibiti, offrendo ai numerosi intervenuti un elegante spettacolo di varietà.
Emanuela Aureli, Orietta Berti, Sergio Cammariere, Marco Capretti, Olen Cesari, “Il Grande Coro di Roma”, Sergio Friscia, Antonio Giuliani, Loretta Goggi, Mago Lupis, gli Opera Pop e Cinzia TH Torrini, tutti insieme, hanno testimoniato il proprio sostegno alle benefiche cause promosse dalla Onlus.

Ed in tema di solidarietà, grande successo è stato riscosso dalla presentazione del video-reportage della dott.ssa Tiziana Bianchi sull’Operazione Mare sicuro, girato in prossimità delle coste libiche a bordo di due unità della Marina Miliare, che ha testimoniato la professionalità ed il grande cuore dei marinai, nell’assolvimento dei propri doveri ed in particolare per il salvataggio di vite in mare.

“Agli “EROI SILENZIOSI, EROI OGNI GIORNO” della Marina Militare Italiana che tra il 2014 ed il 2015, con la loro instancabile opera, hanno tratto in salvo 191.407 persone” questa la motivazione del “Premio Gran Galà della Solidarietà” che con evidente commozione il dr. Pulcini ha voluto attribuire alla forza armata. Il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, l’Amm. Giuseppe De Giorgi nel ritirare il Premio, dopo aver ringraziato il Presidente della Onlus per l’iniziativa e Tiziana Bianchi per la realizzazione del video-reportage, ha confermato l’impegno della Marina Militare a tutela della sicurezza dei Mari circostanti l’Italia, ribadendo che su una nave, a prescindere dalla lamiera da cui e` costituita, grazie agli eccezionali equipaggi, pulsa un cuore pronto a continuare a salvare chi intraprende la navigazione per fuggire dalle atrocità e dal terrore dei Paesi di origine.

 




MARINA MILITARE: EROI SILENZIOSI, EROI OGNI GIORNO – IL VIDEO REPORTAGE DI TIZIANA BIANCHI

Redazione

Una chiacchierata davanti a un caffè con la giornalista Tiziana Bianchi che ci ha raccontato una esperienza emozionante. Bianchi dal 27 novembre al 5 dicembre scorsi, con specifica autorizzazione del Ministero della  Difesa, è stata imbarcata su due  unita` della Marina Militare (il Bergamini ed il Cigala Fulgosi) impegnate nell’operazione “Mare Sicuro” nel mare prospiciente la Libia . Dopo gli attentati di Parigi, “Mare sicuro”, iniziata nel marzo di quest’anno e` stata implementata. La Marina Militare, oltre a sottrarre da morte certa le vite di migranti, svolge anche attività` di polizia di alto mare per la sicurezza delle  navi, trasposto merci e pescherecci.Durante questo periodo Tiziana Bianchi ha vissuto a stretto contatto con l’equipaggio: “Sono stata trasferita da una nave all’altra in elicottero trovandomi, tra l’altro, a trascorrere la festività di Santa Barbara, patrona della Marina Militare, che a bordo si vive in maniera del tutto singolare. Insieme con i militari, sono stata calata su un’idrobarca, avendo l’opportunità` di osservare e vivere in prima persona il salvataggio di migranti. Nell’arco di 5 ore da notte fonda all’alba, in 3 diversi eventi, ne sono stati salvati 301”. Buona visione


Di seguito l’articolo – reportage redatto da Tiziana Bianchi
Il 2015 nel mondo e, in particolare, per noi italiani, sarà certamente ricordato per due straordinari eventi: l’EXPO e l’apertura dell’anno giubilare. Si tratta di eventi di natura molto diversa, al centro dei quali si pone l’uomo in relazione alla propria vita terrena da un lato e spirituale dall’altro. L’essere umano che oggi, proprio su questi aspetti, è chiamato a difendersi dall’espressione di un’involuzione di se stesso verso un cinico individualismo o, peggio, egoismo, teso ad alterare il rapporto tra gli uomini di culture diverse. Un vero e proprio declino di valori, che nella realtà, lo scorso anno, si è tradotto in trentacinque attacchi terroristici commessi dal Daesh e costato la vita ad oltre 890 persone. Ciò che è accaduto a Parigi il 13 novembre scorso, poi, ha definitivamente segnato i confini tra un’Europa aperta, culla dei valori di civiltà e pacifica convivenza, e l’Europa pervasa dalla paura che, in nome della sicurezza dei propri cittadini, si è sbilanciata verso pericolosi nazionalismi a dispetto di azioni comuni e coordinate tra gli Stati membri. L’innalzamento di muri di confine e la chiusura delle frontiere contro l’ingresso dei migranti ha, d’un colpo, rinnegato i principi cardine sui quali questa Europa affonda le proprie radici.
Come sottolineato anche dal Presidente Mattarella il 14 dicembre scorso, “limitare gli ambiti di libertà equivarrebbe a cedere al terrorismo e tradire i principi di democrazia e tolleranza”. Per il Capo dello Stato, infatti, “chiudere le porte di fronte a queste masse di esseri umani che fuggono da guerre, fame ed oppressione, equivale a cancellare conquiste civili e sociali faticosamente raggiunte”. In linea con le parole del Presidente, bisogna dar atto che l’Italia, oltre a non chiudere le proprie frontiere, perseguendo sempre la linea del dialogo, nel rispetto della sacralità della vita umana, non ha atteso il verificarsi dei tragici eventi per predisporre adeguate misure di prevenzione a tutela della sicurezza. Infatti, dal 12 marzo scorso, dispiegando quattro unità navali della Marina Militare, quattro elicotteri, e circa mille uomini e donne costantemente nel mare prospicente la Libia, ha dato inizio all’operazione Mare Sicuro.
Ed, invero, alla luce dei numerosi attacchi successivi, quasi due terzi dei quali concentrati nella cintura nord africana, tra Libia, Tunisia ed Egitto, la decisione di vigilare proprio quel tratto di mare che ci separa da questi Paesi ha, certamente, sottratto all’illegalità un’importante via di accesso all’Italia e, attraverso essa, all’Europa intera. Peraltro, dopo Parigi e gli altri attentati in Mali e in Libia, Mare Sicuro è stata implementata e, oggi, il Gruppo Navale si compone, di cinque unità.

L’operazione si caratterizza per l’attività di polizia di Alto Mare su una vasta area di 80.000 miglia nautiche quadrate, tutelando la sicurezza dei cittadini e gli interessi economici del Paese. Tenuto conto che il traffico nel Mediterraneo Centrale negli ultimi 13 anni è aumentato del 123%, il Gruppo Navale svolge attività di tutela sia del traffico di merci che della flotta peschereccia italiana, (la terza dei Paesi europei). Un settore che in Italia produce 43 miliardi di valore aggiunto, dando lavoro a 800mila persone. In quel tratto di mare, inoltre, la Marina Militare protegge i siti italiani di estrazione energetica, non solo per esigenze di approvvigionamento, vista la nostra scarsità di risorse, ma anche a tutela di possibili danni ambientali derivanti da un eventuale attacco. Si tratta, insomma, di proteggere specificatamente rilevanti interessi nazionali, di considerevole valore per l’intera economia italiana. Inoltre, le nostre navi contrastano le organizzazioni criminali dedite ai traffici illeciti, compreso lo sfruttamento del traffico di migranti, provvedendo alla sottrazione dei mezzi e all’arresto dei responsabili.
Ma sono i numeri a testimoniare il positivo esito di questa intensa attività, grazie alla quale, nel 2015 sono stati assicurati alla giustizia ben 502 scafisti e tratte in salvo circa 35 mila persone, senza considerare le oltre 151 mila salvate nel 2014 nell’operazione Mare Nostrum. Sì, “persone”, è cosi che preferisco ricordare a me stessa che l’aggettivo “migrante”, altro non riguarda che un essere umano che, esattamente come me, prova dei sentimenti, delle emozioni e condivide gli affetti familiari….Salvare una vita in mare, per un marinaio, è un obbligo morale. “Nessuno può essere lasciato morire in mare”, mi ha rammentato il Comandante Francesco Laghezza a bordo del Cigala Fulgosi.

Ci troviamo a largo del canale di Sicilia, ed è proprio il Comandante Alberto Tarabotto, al comando della Fregata Bergamini, al quarto turno dell’Operazione che, con disarmante naturalezza, mi racconta dell’abbordaggio di un peschereccio che trainava un’imbarcazione con oltre 250 persone: l’intervento del team della Brigata Marina San Marco e degli incursori di Marina (COMSUBIN) hanno consentito di mettere in salvo i natanti in difficoltà e, contestualmente, assicurare alla giustizia 5 malviventi.
Ma chi sono questi speciali uomini e donne della Marina Militare che, non dimentichiamo, analogamente ai militari delle altre forze armate, giurando fedeltà alle istituzioni repubblicane, mettono a disposizione la propria vita, fino all’estremo sacrificio?

Lo domando al Contrammiraglio Pierpaolo Ribuffo, a bordo di nave Bergamini, al comando dell’operazione Mare Sicuro. Ci troviamo in zona operazioni, proprio davanti alle coste libiche, raggiunte dopo circa due giorni di navigazione.
D. Ammiraglio, lei è rimasto a bordo con i suoi uomini per oltre 6 mesi consecutivi, ci può spiegare quali sforzi comporta per un marinaio svolgere questo genere di attività?
R. Si tratta, da un lato, di saper dosare le proprie emozioni, le proprie forze, il proprio stato d’animo e riuscire ad affrontare situazioni di pericolo, contro agguerriti criminali, per sventare tentativi di sequestro ai danni dei nostri pescherecci o a soccorrere con mare agitato i migranti. Dall’altro, di far fronte alla mancanza protratta nel tempo dei propri affetti, ma in questo le nostre famiglie ci sono di conforto, abbiamo delle famiglie consapevoli e molto speciali.
D. La Marina Militare si caratterizza per un elemento non comune ad altre forze armate, l’equipaggio. Che cosa significa far parte di un equipaggio e cosa significa comandarlo?
R. L’Equipaggio è un gruppo di persone direi straordinarie, all’interno del quale, quando si va per mare, si creano delle dinamiche virtuose, si condividono le stesse emozioni, le avversità del momento, la lontananza dai propri cari. Comandarlo significa avere la capacità di essere immersi in questo gruppo, a stretto contatto per percepirne gli umori ma, allo stesso tempo esserne distaccato per poterlo condurre senza che nessuno abbia mai la percezione o il dubbio che un ordine possa essere discusso.
D. Il 28 dicembre 2014, lei è stato protagonista di uno dei più importanti salvataggi nella storia della Marina, della navigazione in generale, per numero di vite tratte in salvo. Al termine delle operazioni, svolte in coordinamento con la Guardia Costiera e l’Aeronautica Militare, sono state salvate 427 persone e anche 2 cani. Una Marina Militare più vicina e al servizio della popolazione?
R. La Marina Militare appartiene alla popolazione ed è al servizio della popolazione nella quotidianità. Siamo orgogliosi di aver fatto bene il nostro lavoro.
D. Nella società odierna la Marina Militare si fa portatrice di valori per così dire, d’altri tempi, di passione, di lavoro, di condivisione?
R. È cosi, basiamo il nostro modo di vivere sui valori, sulle nostre tradizioni. Devo dire che i giovani sono assetati di valori, ne hanno bisogno per crescere e scoprire loro stessi. Abbiamo dei giovani straordinari che, quotidianamente, ci sorprendono in positivo. Siamo davvero ottimisti, è bello averli con noi.

Sul Bergamini incontro anche, il Comandante Catia Pellegrino, Capo Servizio Operazioni,
recentemente insignita dal Presidente Mattarella con il titolo di Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana per il salvataggio di numerose vite in mare, autrice del libro edito da Mondadori, "La scelta di Catia", scritto a bordo di nave Libra. La Marina rappresenta per lei una vera e propria scelta di vita che con orgoglio e fierezza le consente di svolgere il lavoro che ama. “Le persone che operano in Marina sono persone che sacrificano tutte se stesse per gli altri senza risparmiarsi, a dispetto della stanchezza, della fatica…”, ha tenuto a precisare. Secondo il Comandante Pellegrino, il vero appagamento, “arriva dagli uomini che lavorano con te tutti i giorni, che ti riconoscono quello che fai con un sorriso o uno sguardo fiero dritto negli occhi”.
Qualche giorno dopo, restando davanti alle coste libiche, a bordo di un elicottero mi trasferisco sul pattugliatore Com.te Cigala Fulgosi, che vigila un diverso quadrante di mare. È una nave più piccola, diversa, ma è proprio grazie a questa diversità che posso verificare quanto l’equipaggio e la nave siano in simbiosi. La nave non è solo lamiera assemblata, ma è un’entità che riesce a influenzare il proprio equipaggio, esattamente come nell’ippica è il rapporto cavallo e cavaliere. È il binomio che vince o che perde. Sul Cigala Fulgosi, 80 uomini circa, condividono piccoli spazi che obbligano ad una continua e forzata convivenza anche nelle ore di riposo dal servizio.

Ma ciò che di certo ha segnato questa esperienza, è accaduto nel cuore della notte del 3 dicembre scorso. Non avevo sonno e mi trovavo in plancia, dove di notte c’è un’atmosfera magica, indescrivibile, e puoi di certo trovare qualcuno disposto a scambiare qualche parola. Non c’è alcuna illuminazione se non quella del riflesso della luna e della strumentazione elettronica che, grazie alla pazienza ed alla generosità di nocchieri e radaristi (che ho tormentato di domande), ho iniziato anche a comprendere. Ecco, arriva la segnalazione di probabili natanti in difficoltà.

Li troviamo, sono visibili sul monitor dello SVIR, il sistema di rilevazione ad infrarossi.
“Aggiornamento situazione: l’imbarcazione si trova a circa 3 miglia, probabile gommone con migranti a bordo…”. Ci dirigiamo verso di loro per soccorrerli, sono avvolti dalla totale oscurità, appena visibili dal bordo bianco del gommone, già in pessime condizioni di galleggiamento. Le due idrobarche con a bordo la Brigata Marina San Marco, cominciano il trasferimento di 103 persone. A distanza di un’ora arriva una seconda segnalazione, intorno alle 5:00 ne troviamo altre 118.

È l’alba, ci segnalano un ulteriore gommone, andiamo a salvare anche loro.
Mi calo a bordo dell’idrobarca per seguire da vicino le operazioni di salvataggio. Ci siamo, davanti a noi un centinaio di persone disperate che con il terrore negli occhi, vorrebbero, tutte insieme, salire sull’idrobarca che forse, al massimo, può trasportarne 15.Mi rendo conto che la situazione è delicata e potenzialmente pericolosa.
È in quelle condizioni che ho potuto comprendere quanto sottile fosse il confine tra un salvataggio ed un disastro marittimo, tutto era letteralmente nelle mani del nostromo e del componente la Brigata Marina San Marco. Qui la comunicazione verbale è sostanzialmente irrilevante ma, questi uomini, con preparazione ed esperienza, attraverso pochi gesti, comunicano loro che,mantenendo la calma e l’ordine,sarebbero stati tutti salvati. È difficile da spiegare, ma in pochi minuti, improvvisamente, le assordanti grida di disperazione si arrestano.
Loro ci guardano, immobili, senza neanche tendere più le braccia verso di noi. È allora che il nostromo sporge le proprie verso di loro e, uno dopo l’altro, inizia a trarli bordo.
Ed è in quel momento che si compie il miracolo, quegli enormi occhi neri, pieni di paura e tristezza, s’illuminano di speranza. Le persone sottratte alla morte salgono a bordo sul ponte di volo che, nel frattempo, si è trasformato in un vero è proprio centro di accoglienza galleggiante, con tanto di assistenza sanitaria, supportata anche da due eccezionali infermiere volontarie della Fondazione Francesca Rava.
Durante i due giorni di navigazione per rientrare a terra non si risparmia nessuno, giorno e notte. I marinai sono infaticabili, la stanchezza non sembra segnare i loro volti dai quali, invece, puoi leggere, come in un libro aperto, l’orgoglio e la soddisfazione di aver svolto il proprio dovere fino in fondo.

Ma chi sono questi uomini e donne? Sono gli eroi silenziosi, gli eroi di ogni giorno, coloro ai quali non esiterei ad affidare la vita, che ti fanno sentire al sicuro, quelli che, incredibilmente, ti riconciliano con il mondo quando ti sembra di appartenere ad un pianeta diverso.A bordo di una nave militare si respira professionalità, lealtà, rispetto, orgoglio, senso di appartenenza, un ambiente caratterizzato da valori umani e professionali di elevato spessore. Sono i valori che nutrono lo spirito, quelli che solo le persone speciali possono essere in grado di accogliere nel proprio animo.
Questi mille eroi nel Mediterraneo, e tutti gli altri impegnati in diverse missioni nel mondo, sono i nostri eroi silenziosi che ogni giorno rendono migliori le nostre vite. “Il mondo militare deve aprirsi a quello civile”, perché “la Difesa non è un costo ma una risorsa per la collettività”. Parole facilmente attribuibili ad un militare ma, in questo caso, invece,appartengono al nostro Ministro della Difesa, Roberta Pinotti e non possono che essere condivise.
 




MARINA MILITARE: AL GRAN GALÀ DELLA SOLIDARIETÀ IL REPORTAGE DI TIZIANA BIANCHI

Redazione

Sabato, 23 gennaio alle ore 18:00, presso l’Auditorium Parco della Musica, si terrà la XIII edizione del “Gran Galà della Solidarietà” organizzato dal “Tutti per un cuore…un cuore per tutti” Onlus e condotto, come di consueto, da Fabrizio Frizzi.

Alla manifestazione, dedicata alla illustrazione di alcune attività benefiche, parteciperanno Emanuela Aureli, Orietta Berti, Sergio Cammariere, Sergio Friscia, Antonio Giuliani, Loretta Goggi e molti altri, offrendo agli intervenuti una piacevole serata di varietà all’insegna della solidarietà.

Nel corso della serata sarà conferito il “Premio Gran Galà della Solidarietà” alla Marina Militare Italiana per le 191.407 vite salvate in mare tra il 2014 ed il 2015. A testimonianza di tali attività, alla presenza del Capo di Stato Maggiore della Marina, Ammiraglio Giuseppe De Giorgi e del Comandante in Capo della Squadra Navale, Ammiraglio Filippo Maria Foffi, verrà presentato un reportage della dottoressa Tiziana Bianchi, “Eroi silenziosi, eroi ogni giorno”, girato a bordo di due unità navali impegnate nell’Operazione Mare Sicuro: la fregata Bergamini e il Pattugliatore Cigala Fulgosi.
 




MORTE ALESSANDRO NASTA, AMMIRAGLI A PROCESSO: PARLA LA MAMMA DEL SOTTOCAPO

di Ivan Galea

Alessandro Nasta, muore il 24 maggio 2012 all'età di soli 29 anni precipitando dall'albero di maestra della nave scuola della Marina Militare Italiana "Amerigo Vespucci" da un'altezza di circa 15 metri. La morte di Alessandro Nasta poteva essere evitata ed è dipesa dall'inerzia della Marina militare, nonché dalle gravissime mancanze e violazioni di legge in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro.

Giovedì 10 dicembre 2015 il Gup di Civitavecchia ha rinviato a giudizio tutti gli imputati dall'ammiraglio Giuseppe De Giorgi, attuale capo di Stato maggiore della Marina militare, dell'ex capo di stato maggiore della difesa, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, dell'ammiraglio Bruno Branciforte, del comandante della nave scuola Amerigo Vespucci Domenico La Faia e del suo vice il capitano di fregata Marco Grassi. Il processo a carico degli imputati inizierà il prossimo 16 marzo 2016.

“Oggi – dichiara Luca Marco Comellini, Segretario del Partito per la tutela dei diritti di militari e forze di polizia (Pdm) – ci saremmo aspettati di avere al nostro fianco, costituito come parte civile, anche il ministro della Difesa. Così non è stato, per questo motivo invitiamo il ministro Pinotti ad adottare ogni iniziativa per garantire al personale della Marina e alle forze armate la serenità di una guida che non sia implicata in un processo penale per un reato che reputiamo grave".

La redazione de L'Osservatore d'Italia ha voluto sentire la mamma di Alessandro Nasta chiedendogli di commentare il rinvio a giudizio per i vertici della Marina Militare Italiana.

Ecco la lettera della signora Marisa Toraldo mamma di Alessandro Nasta 
"In merito al rinvio a giudizio degli imputati per la morte di mio figlio Alessandro, ciò che mi preme ribadire è che, durante questa attesa, sia io che la mia famiglia, abbiamo deciso di non voler dar spazio unicamente alla rabbia, ma di voler seguire la strada migliore per poter capire le reali circostanze e le responsabilità che hanno determinato la morte di Alessandro.
La conferma del rinvio a giudizio è un momento importante, attraverso il quale, in base a quanto emerso dalle  indagini ed agli atti che verranno messi in luce, sarà possibile poter fare chiarezza sugli effettivi scenari che hanno portato al tragico evento.

Sono convinta che, in linea con la normativa sulla tutela della salute nei luoghi di lavoro, si possa promuovere il rispetto della legalità, condizione indispensabile affinchè drammi di questa portata non si debbano riproporre. Durante il periodo delle indagini avrei voluto urlare al mondo ciò che realmente provavo ma non l'ho fatto,  per profondo rispetto di chi si stava occupando del caso e perchè solo chi ha vissuto la perdita del proprio figlio può comprendere realmente il mio tormento.

Alessandro aveva solamente 29 anni quando, comandato ad effettuare lavori in quota sull'albero di maestra della nave Amerigo Vespucci della Marina Militare, morì precipitando da un'altezza di circa 15 metri schiantandosi sul ponte di coperta. Mi sono sempre sforzata di decifrare tutte quelle mancate giustificazioni di una morte che, sin da subito, avendo visitato il luogo nel quale si era verificata, mi era apparsa drammaticamente prevedibile ed evitabile.

Per un lungo periodo ho continuato ad interrogarmi sul perchè un dispositivo anticaduta non  fosse riuscito ad evitargli quel tragico schianto, ma più mi tormentavo con le mie domande, più le risposte convergevano su una sconvolgente presa di coscienza, e cioè che la nave Amerigo Vespucci, il rinomato vanto della marineria italiana, di sicurezza non ne avesse affatto per salvare la vita di Alessandro.

E' mai possibile che nel ventunesimo secolo esistano ancora realtà così distanti dai principi di tutela della salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro, imposte ai lavoratori, in assoluto contrasto con i riferimenti normativi e militari, in nome di una assurda "tradizione"?

Da madre che piange il proprio figlio, morto per quell'assurda tradizione, non posso far finta di nulla e non pretendere di conoscere la verità. Mio figlio non è morto in guerra, è morto durante una ordinaria esercitazione alle vele, una esercitazione straordinariamente lontana dalle condizioni minime di sicurezza stabilite dallo Stato, e durante la quale, nelle operazioni di salita e di discesa, avrebbe dovuto contare prevalentemente sulle proprie braccia e sulle proprie gambe.

Mio figlio è stato ucciso da chi, incurante della legge, ha deciso scientemente di non attuarla, stabilendo che il rischio dei lavori in quota fosse marginale e che un ragazzo di 29 anni non avesse bisogno di un idoneo dispositivo anticaduta, di una formazione adeguata e tantomento di una idoneità espressa da un medico del lavoro. Tutto ciò non è ammissibile, non si può soprassedere.

Alessandro ha prestato servizio in marina militare con profonda dedizione e con professionalità, a confermarlo ci sono i suoi colleghi,  quei servitori dello Stato di cui purtroppo non si fa adeguata menzione e a cui costantemente rivolgo il mio pensiero.

In questo momento è anche per loro che sento il bisogno di condividere il pensiero che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano scrisse nella prefazione del libro “Angeli senza ali, morti bianche e sicurezza sul lavoro”, Edizioni Lavoro 2008:

"In nessun luogo i lavoratori possono essere trattati come numeri. Il più delle volte, tuttavia, le vittime degli infortuni sul lavoro sono quasi anonime, i loro nomi restano solo un giorno nelle pagine interne dei giornali di provincia, quasi fossero morti naturali. Solo di rado, nei casi di incidenti eclatanti, che coinvolgono più lavoratori, i grandi mezzi di comunicazione paiono assumere consapevolezza di un fenomeno drammatico e, quasi sempre, evitabile."

Mi auguro che la morte di mio figlio possa essere motivo di riflessione per tutti e che, nella ricerca della giustizia, la sicurezza nei luoghi di lavoro, in particolar modo nei lavori in quota,  possa diventare una delle priorità assolute per la tutela dei lavoratori.
Solo perseguendo la via della legalità si sarà fatto tanto per far sì che principi fondamentali, come quello della sicurezza sul lavoro, possano finalmente essere oggetto di condivisione, specie tra chi, come sancito anche dai regolamenti militari, per dovere proprio ha il compito di dover salvaguardare l'integrità fisica del personale dipendente.
Per contrastare l’idea dell’inevitabilità di questi incidenti occorre una diversa cultura del lavoro, fondata sul rispetto della vita e sul primato di chi, con il proprio impegno e nel rispetto delle leggi, rende realmente onore al nostro Paese.

Chiedo semplicemente giustizia e rispetto per chi, come Alessandro, nel compiere il proprio dovere, convinto di essere tutelato dalla propria forza armata, ha perso la vita lasciando un vuoto incolmabile. Sono una madre italiana che continua a credere nello Stato, convinta dell'importanza della legalità e della Magistratura, lo devo a mio figlio ed ai valori che gli avevo trasmesso.

La sicurezza è, e deve diventare, la migliore delle tradizioni: è una questione di giustizia e di rispetto del diritto di tutela della salute nei luoghi di lavoro."




MARINA MILITARE: AMMIRAGLI A PROCESSO PER LA MORTE DI ALESSANDRO NASTA

Redazione

Civitavecchia (RM) – Rinvo a giudizio per tutti gli imputati del processo per la morte di Alessandro Nasta. La decisione è stata presa dal Gup di Civitavecchia la mattina di giovedì 10 dicembre nei confronti dell'ammiraglio Binelli Mantelli, dell'ammiraglio Branciforte, dell'ammiraglio De Giorgi, oltre al comandante ed al vice comandante della Amerigo Vespucci.Gli imputati dovranno ora presentarsi in aula per il processo il prossimo 6 marzo 2016 davanti al Giudice dr. Mangiante. Luca Marco Comellini segretario del Partito per la tutela dei diritti di militari e forze di polizia che si è costituito come parte civile ha così commentato: "Mi sarei aspettato di vedere al nostro fianco anche il cocer della Marina  e il ministro della difesa costituiti anche loro come parte civile per tutelare gli interessi dei marinai (che i primi dicono di rappresentare) e della Forza armata. Come era facilmente immaginabile erano entrambi assenti."

Alessandro Nasta muore sulla nave scuola della Marina Militare italiana Amerigo Vespucci dopo un volo da un’altezza di 25 metri. Alessandro stava scendendo dal pennone di 56 metri dove era salito per spiegare la vela, un’operazione che aveva fatto tantissime volte. Aveva terminato il turno di guardia, rimasto in piedi tutta la notte ed era di comandata. La mamma di Alessandro, Marisa Toraldo, vuole conscere la verità sulla morte di suo figlio. “Non accuso nessuno, mi faccio solo tante domande – afferma la donna – tra questi interrogativi c’è quello sui dispositivi di sicurezza, se fossero sufficienti per quella manovra. Mio figlio era attaccato a due moschettoni, ma alcuni suoi colleghi mi hanno riferito che a un certo punto bisogna sganciarli perché non è possibile utilizzarli, lì proprio dove sarebbe caduto Alessandro. Stiamo parlando di 56 metri!”.