RAUL CASTRO, LA VISITA AL PAPA E LE SPERANZE PER IL FUTURO

di Silvio Rossi

La visita di Raul Castro a papa Francesco è stato certamente l’evento di politica internazionale più importante di questi giorni. Il viaggio a Roma del presidente cubano è una sorta di ringraziamento, così come ha detto lo stesso Raul, per il lavoro svolto dal pontefice nel solco di un progetto di riconciliazione tra l’isola caraibica e gli stati occidentali, USA in testa. Per analizzare meglio il significato di questo passo, abbiamo cercato di approfondire l’argomento con un illustre collega, firma storica di Messaggero e Repubblica, attualmente vaticanista de Il Fatto Quotidiano, Marco Politi, che ci ha onorato della sua preziosa opinione.


Raul Castro ha ringraziato papa Francesco per il suo ruolo nelle trattative con gli USA. Si può affermare che papa Francesco è per il Sudamerica ciò che Woytjla fu per l'Europa orientale, inteso nel senso di un processo di pacificazione?
Io non farei questo parallelo, perché Woytjla è stato molto attivo nel sostenere le forze che si battevano contro il regime comunista in Polonia, e quindi di riflesso nell’Europa dell’est. La Chiesa Cattolica a Cuba ha invece esercitato un forte ruolo di mediazione, e proprio questo ruolo di mediazione ha permesso di sbloccare la situazione. Il papa, anche Giovanni Paolo II ha sempre sostenuto l’azione del cardinale di Cuba, che si è sempre battuto per i diritti della chiesa, quindi per la presenza della chiesa nella società, e anche per la libertà di espressione dei cittadini, senza però schierarsi.


Quindi diciamo, mentre in Woytjla era più partigiano, a Cuba la chiesa è stata più arbitro?
Diciamo che a Cuba anche Woytila ha preso una posizione differente. Proprio nel 1998, alla fine del suo incontro con Fidel Castro, durante la visita all’Avana lanciò questa parola d’ordine: “Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba”. Quindi Woytjla contemporaneamente chiedeva la fine dell’embargo americano e l’apertura di un processo di democratizzazione del regime cubano. In tutti questi anni la chiesa cattolica ha continuato a lavorare in questa posizione, e ciò ha culminato col ruolo di mediazione di papa Francesco tra Castro e Obama nei mesi passati. Questo da una parte ha terminato positivamente un lavoro, ma si apre una pagina nuova, perché il regime cubano nel momento in cui si apre sia alla democratizzazione, sia anche all’economia privata, ha bisogno di non essere travolto dall’economia privata, e di mantenere quelle che sono state le conquiste sociali della sanità e dell’istruzione, che lo stesso Giovanni Paolo II aveva riconosciuto. L’incontro di domenica, quindi, non è solo un ringraziamento per il passato, ma cerca nella chiesa un alleato per il futuro.


La dichiarazione di Castro, durante l’incontro con Renzi, quando ha detto: “Se papa Francesco continua così, tornerò a pregare”, è l’elemento che si può ricordare di questo incontro?
Sì, certamente è una frase che dimostra quanto papa Francesco riesca personalmente a influire sulle persone, e quanto forte sia l’impressione che lui lascia sulle persone. In questo senso Raul Castro è stato veramente a cuore aperto durante la conferenza stampa, perché finora aveva sempre sottolineato l’identità di vedute tra la dottrina sociale della Chiesa e le preoccupazioni sociali del regime cubano, qui invece è andato sul personale, e questo è lo specchio di come Francesco riesca a colpire anche gli agnostici e gli atei. Proprio con quello che Raul Castro ha detto molto bene in due parole: “la sua saggezza e la sua modestia”, quindi da un lato un intelletto acuto, e dall’altro una grande umiltà.


Quando venne Fidel Castro nel 1996, chiese al papa di andare a Cuba, e ci volle più di un anno per organizzarla, ora in tre mesi si dovrebbe concretizzare la visita di Bergoglio a Cuba. Sono veramente cambiati i tempi da allora?
Sì. Allora Fidel Castro venendo a Roma, incontrando il papa e invitandolo, chiuse un lungo periodo di ideologizzazione del regime cubano, per cui la Chiesa era tollerata, ma sostanzialmente i militanti e i dirigenti del Partito Comunista Cubano dovevano essere atei. La mossa di Fidel coincideva col fatto che, essendo caduta l’Unione Sovietica, ed essendo la Russia concentrata sui problemi della propria economia, e non potendo quindi aiutare Cuba, Fidel Castro si era reso conto che doveva guardare all’Europa, e quindi anche alla Chiesa Cattolica per rientrare nel concerto internazionale.


Con quella visita è iniziato il cambiamento anche di Fidel Castro persona, oltre che di Cuba? Prima della visita, era comunque un personaggio più inquietante, e l’incontro col Papa l’ha restituito più umano?
È cambiato il passo del regime cubano, però tenga presente che Fidel Castro in America Latina non è stato visto come una persona inquietante, in fondo ha sempre colpito, in qualche modo, anche persone che non erano d’accordo con lui. Non dobbiamo dimenticare che prima della rivoluzione cubana, L’Avana era un grande bordello, proprio nel senso vero della parola, era veramente un regime corrotto e anche moralmente drammatico. Però certamente, nel momento in cui si chiude la lunga fase filosovietica, e Cuba deve camminare con le gambe proprie, Fidel capisce che papa Woytjla, crollata l’Unione Sovietica, diventa anche una voce e un allarme contro il neoliberismo selvaggio, cioè contro un capitalismo radicale, che non ha più una preoccupazione per il bene comune, per una giustizia sociale.


Forse l’ha capita più Castro di molti regnanti occidentali.
Varo, e infatti il vero momento di svolta è stato il contatto proprio fisico tra i due, perché Fidel Castro teneva spesso per mano Giovanni Paolo II, è nata una vera simpatia, allora il papa era già vecchio, aveva bisogno di essere sostenuto, e Fidel Castro lo teneva per mano. Ricordo che il Papa in volo disse a noi giornalisti: “voglio sentire la sua verità”. Tutti e due si sono raccontati la loro verità, e lì è nato un rapporto personale molto forte. Nel caso di Raul Castro c’è stata un’accelerazione, perché lui è arrivato al potere proprio con la decisione del Partito Comunista di aprire una nuova fase economica.


Raul Castro è una figura più moderata del fratello, o il cambio è dovuto solamente a un cambiamento della situazione internazionale?
No, possiamo dire che era una figura di secondo piano, lui oggi agisce dietro la necessità di una spinta storica, per tanti anni è stato all’ombra del fratello, e non ha mai preso iniziative personali. Oggi è sotto a una necessità storica che Cuba faccia una transazione, e quando è arrivato al potere il suo primo discorso faceva intravvedere che sarebbe incominciato un nuovo corso.