MAFIA: BUSINESS DA 14 MLD A TAVOLA, DA OLIO A FRUTTA

Redazione

Il volume d'affari complessivo dell'agromafia è salito  14 miliardi di euro, in netta controtendenza rispetto alla fase recessiva del Paese perché la criminalità organizzata trova terreno fertile proprio nel tessuto economico indebolito dalla crisi. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare il blitz dei Carabinieri e della Guardia di Finanza contro il patrimonio della 'famiglia' mafiosa del boss latitante Matteo Messina Denaro con il sequestro di attività anche nell’olio di oliva.  Secondo l’analisi dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare promosso dalla Coldiretti con il comitato scientifico presieduto da Gian Carlo Caselli, le mafie stanno approfittando della crisi per penetrare anche nell’imprenditoria legale poiché è peculiarità del moderno crimine organizzato estendere, con approccio imprenditoriale, il proprio controllo dell’economia invadendo i settori che si dimostrano strategici ed emergenti, come è quello agroalimentare. Si tratta di aree prioritarie di investimento della malavita che ne comprende la strategicità in tempo di crisi perché – precisa la Coldiretti – consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana della persone in termini economici e salutistici. Mettendo le mani sul comparto alimentare le mafie hanno infatti la possibilità di affermare il proprio controllo sul territorio, dalla intermediazione nel commercio della frutta alla produzione di olio di oliva.  Potendo contare costantemente su una larghissima e immediata disponibilità di capitale e sulla possibilità di condizionare parte degli organi preposti alle autorizzazioni e ai controlli, si muovono con maggiore facilità rispetto all’imprenditoria legale.  Per raggiungere l’obiettivo i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni. Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza ed il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma – conclude Coldiretti – compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy.


MAFIA, SOSTITUTO PROCURATORE DI PALERMO NINO DI MATTEO: "UNA SOLA MANO DIETRO LE MINACCE"

di Angelo Parca

Palermo – La lettura delle minacce di mafia ai giudici di Palermo hanno provenienza "istituzionale o para – istituzionale". La mafia continua ad esercitare il proprio potere con una politica del terrore in cui la sola soluzione al problema vorrebbe essere quella dell'"eliminazione del problema", basta voltarsi indietro e guardare le stragi che questo cancro tutto italiano ha prodotto. Stragi dove a perdere la vita sono stati uomini e donne essenzialmente lasciati soli dalle istituzioni a lottare contro un malessere diffuso e ramificato anche in una parte marcia dello Stato. "Sono convinto che ci sia una sola mano dietro le ripetute minacce ai danni di diversi magistrati palermitani. Una sola matrice, riferibile a qualcuno che intenda destabilizzare la nostra serenita' e attivita', generando in noi una percezione di vulnerabilita'". Lo ha detto il sostituto procuratore di Palermo Nino Di Matteo, ai microfoni di Radiouno Rai. "Nell'arco di due anni – ha aggiunto – episodi del genere hanno riguardato me e altri magistrati che si occupano di indagini e processi importanti che toccano i rapporti tra Cosa nostra e apparati dello Stato. Non credo che sia una coincidenza". Conclude Di Matteo: "Assistiamo a una saldatura in tali minacce e avvertimenti che da una parte hanno provenienza e modalita' tipicamente mafiose, dall'altra una orgine apparente e dichiarata istituzionale o para-istituzionale".




MAFIA; SEQUESTRO BENI PER 25 MILIONI DI EURO

Redazione

La lotta alla criminalità organizzata passa sempre più attraverso la strategia dell'aggressione ai patrimoni illegali.

Proprio in questa direzione si orienta l'operazione "Funaro&Funaro" portata a termine dagli uomini della Divisione anticrimine della questura di Trapani, in collaborazione con il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza.

Gli agenti hanno eseguito un provvedimento emesso dal Tribunale della provincia siciliana, su proposta del Questore; la misura ha portato al sequestro anticipato di beni ai fini della confisca, nei confronti di imprenditori operanti principalmente nel settore degli appalti pubblici, per un valore stimato di circa 25 milioni di euro.

Il sequestro riguarda tre beni immobili, 38 tra autovetture, furgoni e mezzi meccanici, 11 tra società e imprese, 22 partecipazioni in altre società, 82 tra conti correnti e rapporti bancari di altra natura.

L'operazione è frutto della cooperazione tra poliziotti e finanzieri che, dal gennaio 2011, fanno parte di un gruppo di lavoro specializzato in indagini su patrimoni e società. La Squadra ha già portato a termine cinque importanti operazioni antimafia ("Salus Iniqua" nel 2011; "Panoramic" e "Araknos" nel 2012; "Corrupti Mores" e "Niceta – Guttadauro" nel 2013).

I sequestri sono stati effettuati a Trapani, in alcuni comuni della sua provincia (Campobello di Mazara, Santa Ninfa, Alcamo e Castellammare del Golfo) e a Santa Venerina (Catania).

Gli imprenditori colpiti dal provvedimento sono Domenico Furnaro e suo figlio Pietro, che dalle indagini sono risultati in stretta collaborazione con alcune famiglie mafiose.

In particolare gli investigatori, grazie anche alle rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia e all'intensa attività di intercettazioni telefoniche e ambientali, hanno fatto luce su un comitato d'affari.

Tale "strumento" era nato con lo scopo di controllare e gestire gli appalti illeciti attraverso attività di turbativa d'asta, falso e corruzione; le condotte criminose erano commesse, tra gli altri, dai due imprenditori della famiglia Funaro, su "autorizzazione" delle principali cosche mafiose locali, che in questo modo avevano costituito un vero e proprio cartello.

Il raggio d'azione del comitato era molto esteso e comprendeva gran parte del territorio regionale grazie anche a un reticolo di imprenditori compiacenti; questi ultimi agivano per l'aggiudicazione della gestione dei lavori e delle forniture di beni e servizi, relativi alla realizzazione delle opere pubbliche appaltate.




LA NASCITA E L'EVOLUZIONE DELLA CORRUZIONE IN ITALIA – 3° PUNTATA "L'ORIGINE DELLA MAFIA"

di Angelo Parca

Non può pensarsi che la mafia non nasca da una perfetta incapacità dei governanti di soddisfare la propria popolazione. L'antistato si è sempre proposto come concreta alternativa ad un sistema che prima dell'unità d'Italia, tra la fine del '700 e la prima metà dell' '800, ha visto crescere la discrminazione tra i ceti più abbienti e meno, tra i proprietari terrieri e i contadini ai quali non restava nulla in mano dopo aver lavorato per pagare le terre sulle quali lavoravano ai latifondi. E mentre il nord faceva "affari" il sud s'indebitava in nome anche di uno scellerato protezionismo e tasse che si rivelarono più tardi come un letale boomerang. Il termine mafia deriva da màha, che in arabo volgare significava cava di pietra. Le “mafie”erano le cave in cui si erano dati convegno segretamente i garibaldini ed i campieri.
Per questo da allora furono chiamati mafiosi. Se il brigantaggio fu dettato dalla fame, dalla necessità di sottrarsi all’obbligo di leva istituito dal governo Sabaudo e può essere, almeno in parte, addebitato ai “piemontesi”, la mafia percorre altri sentieri. La mafia Diventò un mezzo di crescita sociale, economica e politica. Ad essa si aggregarono i rappresentanti più spregiudicati della borghesia agraria emergente (quella che si era comprata le terre dei feudi o della chiesa) e i rappresentanti più rozzi e conservatori della vecchia nobiltà. Ovviamente furono assoldati, come manovalanza le classi subalterne (contadini e braccianti) accecati dal miraggio di una facile ricchezza. E’ chiaro che l’unità d’Italia non è una causa ma un punto di riferimento temporale per il proliferare sia del brigantaggio che della mafia. Due fenomeni antecedenti a questa storica data del 1861, un periodo in cui è evidente come i piemontesi, impotenti a governare direttamente il territorio, ritennero più semplice mettere a capo dei municipi i "capi-rais" o personaggi indicati da questi favorendo il dilagare della corruzione e della guerra tra bande criminali. E’ proprio dall’Unità d’Italia che comincia a crearsi quell’inestricabile intreccio fra mafia e politica che nessun governo finora ha saputo districare nonostante gli intenti e i non intenti. l'assenza di una classe dirigente valida e ben determinata, che sapesse comprendere e soddisfare le esigenze ed il malcontento del popolo, ha contribuito a far nascere una profonda sfiducia e diffidenza nei confronti dello Stato centrale che ancora oggi è facile percepire. Il nuovo governo piemontese si sovrappose, infatti, ad una struttura sociale meridionale già profondamente radicata nel tessuto sociale, senza riuscire ad interagire positivamente con essa. Nel 1892 in Sicilia i braccianti, i minatori ed alcuni gruppi di operai si organizzarono nei “fasci dei lavoratori” che diedero vita ad una serie di lotte che durò fino all’anno successivo quando fu dichiarato lo stato d’assedio: i fasci furono sciolti e i capi incarcerati.
La distruzione dei “fasci dei Lavoratori” fece ricadere i contadini in quasi pieno Medioevo; lo stato italiano si stava dimostrando peggiore di quello Borbonico. Nelle campagne i grossi latifondisti, che avevano detenuto interamente il potere fino a quel tempo, cominciarono ad aver bisogno sempre più di qualcuno che garantisse loro un controllo effettivo delle proprietà, sia per difendersi dal brigantaggio, sia per resistere alle nascenti pretese delle classi contadine per una più equa distribuzione del prodotto del loro lavoro. Questo ruolo, anziché affidarlo alla classe borghese imprenditoriale con l’aiuto dallo stato, venne può comodo demandarlo ai "campieri" (perché controllavano i campi) o "gabelloti", in quanto riscuotevano, per conto del padrone, le "gabelle".
Quindi, fin dal principio, la mafia si delinea come un'organizzazione che assume dei ruoli pubblici per eccellenza, che altrove sono di competenza dello Stato. Dopo l’unità d’Italia le squadre furono sciolte, senza concedere loro nessun altro riconoscimento. Ciò spinse i mafiosi a passare sul terreno
dell’illegalità. La mafia nasce dunque nel 1861. Mussolini volle stroncare la mafia
e lo fece attraverso il prefetto Mori con migliaia di arresti e grandi processi, dal 1923 al 1933.
La mafia fu apparentemente sconfitta, ma rimase un fenomeno latente. Gli americani utilizzarono l’aiuto della mafia durante lo sbarco in Sicilia, per cui la favorirono nell’amministrazione provvisoria dell’isola. In un contesto internazionale di guerra fredda la mafia riuscì a rinascere anche perché fu utilizzata per controllare il voto in funzione anticomunista, ed in cambio fu protetta. Nel nuovo contesto di boom economico iniziato alla fine degli anni ’50, si ha il passaggio dalla mafia del latifondo a quella della città. La mafia si arricchisce aggiudicandosi gli appalti pubblici e con speculazioni edilizie. Gli anni ’60 e ’70 furono intensi e prolifici per il dilagare della mafia. Gli eventi mafiosi nella prossima puntata.  




ITALIA: MAFIA, SPAGHETTI, PIZZA E MANDOLINO….E BASTA CON QUESTO LUOGO COMUNE!

Redazione

Il 65 per cento degli italiani non sopporta il luogo comune diffuso all’estero che porta gli stranieri ad assimilare l'Italia alla mafia oltre alla pizza o alla pasta ma c’è tuttavia una minoranza del 12 per cento che è rassegnata e lo considera normale, visto che l'abbiamo esportata in tutto il mondo, e un 19 per cento che pensa addirittura che faccia parte dell'immaginario collettivo anche grazie film come Il Padrino, La Piovra ed altri. E’ quanto emerge dall’indagine Coldiretti /Ixe” per ‘Osservatorio sulla criminalità agroalimentare che fotografa l’indignazione per il danno all’immagine e perché si ritiene che la gran arte dei cittadini non ha niente a che fare con i criminali. A preoccupare è invece il fatto che il 67 degli italiani pensa che – sottolinea la Coldiretti – in certe zone d'Italia dove c'e' molta disoccupazione e poverta', la criminalita' organizzata ha saputo creare opportunita' di lavoro. La crisi economica ha anche un impatto negativo sulla solidarietà, con un crescente numero di persone che non riesce piu’ a permettersela come dimostra il fatto che – precisa la Coldiretti – la maggioranza del 58 per cento degli italiani che non sarebbe disposto a pagare il 20 per cento in piu' per un prodotto alimentare ottenuto da terre o aziende confiscate alla mafia. “Bisogna spezzare il circolo vizioso che lega la criminalità alla crisi, con interventi per favorire, soprattutto tra i piu’ giovani, l’inserimento nel mondo del lavoro, e l’impegno delle istituzioni, della scuola e delle organizzazioni di rappresentanza per scongiurare il pericolo che legittime aspirazioni ad avere un’occupazione possano essere sfruttate per alimentare l’illegalità” ha dichiarato il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo.

 




OSTIA, E' ALLARME ALLEANZA TRA MAFIA, CAMORRA ED EX BANDA DELLA MAGLIANA.

Redazione

Ostia (RM) –  "Gli ultimi episodi violenti legati al clan Spada ad Ostia sono solo la punta dell'iceberg perche' e' ormai evidente che nel litorale romano ci sono pesantissime infiltrazioni criminali, frutto di un'alleanza fra Mafia, Camorra e la ex Banda della Magliana. 

A Ostia, ormai da anni, operano clan camorristici e mafiosi in un equilibrio che e' stato garantito dall'ex boss della Banda della Magliana ed ex Nar Carmine Fasciani. Stiamo parlando di clan camorristici di spicco come quello legato a Senese (detto 'O' Pazzo') oppure dei clan mafiosi dei Cuntrera, dei Capuano e Tiassi: in poche parole di Cosa Nostra". Lo dichiara il Presidente dei Verdi Angelo Bonelli che aggiunge: "Ad attirare gli appetiti criminali sono i lucrosi affari che si possono fare con le concessioni balneari. 

A Ostia, e non solo, gli stabilimenti balneari sono sottoposti alle attenzioni e alle infiltrazioni delle organizzazioni criminali che hanno fiutato un grosso affare ed hanno la liquidità  per impossessarsi delle spiagge. 

Avere in gestione una spiaggia non solo consente di fare alti profitti con canoni irrisori (ricordiamo che il canone di uno stabilimento balneare di 8000 metri che rende milioni di euro costa un canone di 1,20 euro a metro quadro. Circa 10mila euro annui: ossia 800 euro al mese) ma anche fare il riciclaggio dei proventi delle altre attività  criminali".

"Già  nel 2005 nello stabilimento dove oggi è stato trovato l'ordigno il ristorante è stato distrutto da un incendio. Nel luglio del 2007 fu necessario un sit-in di fronte la spiaggia gestita dalla cooperativa Social Beach per attirare l'attenzione sul fenomeno criminale legato alla gestione della spiaggia: quella spiaggia era stata strappata alla criminalità  organizzata – continua il leader ecologista -. Chi l'aveva in gestione fu oggetto di violenze e intimidazioni con la scarcerazione di presunti affiliati alla Banda della Magliana: in sintesi la malavita rivoleva indietro ciò che riteneva suo. 

Sempre ad Ostia la Procura di Roma dopo alcune operazioni fra cui quella Anco Marzio sottopose a sequestro uno stabilimento, il Village, finito nelle mani di una persona arrestata e definita dai Carabinieri come terminale di interessi criminali".

"L'elenco degli attentati in stile racket agli stabilimenti balneari – racconta il leader dei Verdi – è impressionante: 1 gennaio 2007 incendio allo stabilimento MED; 18 Luglio 2007 incendio allo Stabilimento Happy Surf; 18 marzo 2009 incendio allo stabilimento Buco Beach; 22 novembre 2009 incendio al chiosco dello stabilimento Punto Ovest; 19 luglio 2010 cento (100) ombrelloni e sdraio andati a fuoco sempre nello stabilimento Punto Ovest; 14 maggio 2010 incendiata la veranda del CaffÀ¨ Salerno; 3 gennaio 2011 incendiati 3 canotti dello stabilimento Anima e Core; 11 aprile 2011 incendio allo stabilimento Chiosco Bianco".

"I segnali che arrivano dal litorale romano sono chiari: la situazione è sfuggita di mano – conclude Bonelli -. E' urgentissimo che si potenzi la vigilanza delle forze dell'ordine e chiediamo che si avvii un immediato monitoraggio delle attività  economiche del litorale romano che ormai in larghi settori sono diventati preda dell'inedita alleanza fra ex Banda della Magliana, Cosa Nostra e Camorra: solo così sarà  possibile tutelare gli imprenditori onesti e l'economia sana".

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