Quale futuro per i diritti dei lavoratori? intervista al professor Alberto Lepore, professore associato di diritto del Lavoro

Alberto Lepore classe 1972, professore associato in Diritto del Lavoro presso l’Università di Roma 3, membro del Labour Law Group presso l’University College of London. Decine di pubblicazioni in ambito del Diritto al Lavoro ma, principalmente, un grande amico.

Alberto ci diamo del tu, ovviamente: ieri, 1° Maggio, Festa del Lavoro e dei Lavoratori mi è venuta spontanea l’idea di rivolgerti qualche domanda in merito al Diritto al Lavoro proprio per comprendere se, ancora oggi, quelle conquiste sociale figlie dell’800 hanno ancora valore.

La prima domanda prende spunto dall’articolo 1 della nostra Carta Costituzionale: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Quanto valore ha, ancora oggi, questa affermazione nel nostro Paese?
Quanto affermato dall’articolo 1 della nostra Costituzione ha ancora un grande valore e una portata fondamentale perché a seguito della promulgazione della Costituzione del 1948 vengono superati quell’insieme di privilegi, di retaggio aristocratico e feudale che caratterizzavano l’ordinamento monarchico preesistente.
Secondo l’articolo 1 della Costituzione il cittadino si qualifica all’interno della società non più attraverso quello che ha, ma attraverso quello che fa. Il lavoro quindi diventa da un lato ciò che qualifica la persona, nel contempo il lavoro è anche lo strumento attraverso cui la persona trova la sua collocazione all’interno della società.
Il lavoro diventa in forza dell’articolo 1 il collante tra cittadino e corpo sociale; senza l’esecuzione di una prestazione lavorativa il cittadino non può partecipare al corpo sociale, non può avere una collocazione nella società e non può neanche ricoprire una determinata posizione economica; rimane sostanzialmente emarginato; tagliato fuori dalla società. Quindi l’articolo 1 ha ancora un ruolo fondamentale all’interno della nostra Repubblica, tant’è che si è detto appunto che la Repubblica italiana è una Repubblica lavorista. Ma il principio da questo espresso va protetto perché i privilegi possono sempre, in altra forma, rinascere e, pertanto, bisogna stare sempre in guardia.

Lo sai, sono nato il 20 maggio 1971 ad un anno esatto dalla promulgazione dello Statuto dei Lavoratori. Qualcuno dice che sia stata profondamente scardinata dal Job Act di Matteo Renzi.
Cosa di buono mantiene questa intuizione di cui fu padre putativo Gino Giugni?

Il Jobs Act di Matteo Renzi ha colpito al cuore lo Statuto dei lavoratori (Legge 20 maggio 1970 n.300 n.d.s.), perché ha abrogato una norma di civiltà e cioè l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che prevedeva, a certe condizioni, qualora il licenziamento fosse illegittimo la reintegrazione nel posto di lavoro, in altri termini, il ritorno nello stesso posto di lavoro come se il licenziamento non fosse mai stato intimato.
Con il decreto legislativo n. 23 del 2015 il Jobs Act ha sostanzialmente modificato la tutela prevista in caso di licenziamento illegittimo sostituendola con la tutela indennitaria: la reintegrazione è stata conservata soltanto in casi marginali, mentre nella maggior parte dei casi nelle ipotesi di licenziamento illegittimo al lavoratore verrà pagata un’indennità monetaria commisurata alla durata del rapporto.
La cancellazione della reintegrazione nel posto di lavoro come tutela generale rende la posizione del lavoratore nel rapporto di lavoro molto più debole.
Il Jobs Act di Renzi poi ha colpito un’altra norma molto importante che tutela la professionalità del lavoratore e cioè l’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori introduttivo del 2103 del codice civile sulle mansioni: ha previsto che è oggi possibile demansionare in ipotesi molto ampie tra cui anche per ragioni economiche legate alle esigenze dell’impresa. Anche questa norma che colpisce la professionalità e la progressione di carriera lede un’altro dei patrimoni del lavoratore e rende molto più debole la sua posizione; anche la norma sul divieto dei controlli sul posto di lavoro (art.4 dello Statuto dei lavoratori n.d.s.) è stata riformata nel senso di consentire controlli molto più pervasivi sul posto di lavoro.
Lo Statuto conserva ancora norme importanti soprattutto nella dimensione collettiva come gli articoli 19 e seguenti che introducono i diritti sindacali; l’articolo 28 sulla repressione della condotta antisindacale; l’articolo 15 sulla non discriminazione.
C’è quindi ancora molto nello Statuto di buono e di protettivo per il lavoratore ma certamente la cancellazione dell’articolo 18 ha creato un vulnus notevole perché ha sostanzialmente monetizzato il posto di lavoro: il datore di lavoro oggi può anche intimando un licenziamento illegittimo sapere che anche se perde in causa dovrà pagare solo una somma di denaro commisurata alla durata del rapporto di lavoro per togliersi dai piedi un lavoratore non più desiderato.

Spesso non si coniuga il diritto al lavoro con i doveri che scaturiscono dal lavoro stesso. A tuo avviso dove sta il punto di rottura tra queste due situazioni?
Il diritto al lavoro come anche il dovere di lavorare sono enunciati dall’art. 4 della Costituzione. Questi due principi sono tra loro complementari, perché la repubblica deve far sì che sia garantito il diritto al lavoro, d’altro canto il cittadino deve fare tutto il possibile per poter trovare un’occupazione.
L’articolo 4, però, è una norma programmatica cioè detta praticamente un programma, un progetto che deve essere realizzato attraverso leggi ordinarie e infatti abbiamo assistito nel corso degli anni all’introduzione una serie di leggi per realizzare il diritto al lavoro.
Dalla introduzione degli uffici di collocamento fino alla creazione delle agenzie accreditate per attuare concretamente il diritto al lavoro. Ma essendo l’art. 4 una norma programmatica il diritto al lavoro e’un principio tendenziale, anche perché non vi è una sanzione se il lavoro non è garantito a tutti tant’è che siamo in un’epoca nella quale la disoccupazione è molto elevata, nonostante gli sforzi che la Repubblica ha fatto, la piena occupazione non è stata mai raggiunta.
D’altro canto il dovere di lavorare è fondamentale perché si lega all’art. 1: il cittadino partecipa al corpo sociale e acquisisce una posizione sociale ed economica nella società soltanto se lavora. Indirettamente la Costituzione stessa sanziona colui che non vuole lavorare: l’articolo 38 prevede prestazioni previdenziali, quindi provvidenze economiche di sostegno al reddito o quando il lavoratore è inabile al lavoro oppure quando il lavoratore è disoccupato, quindi abbia già lavorato ma ha perso il lavoro oppure sia subentrato un evento che abbia reso impossibile lavorare. Quando invece non vuole lavorare il sistema previdenziale non lo supporta, essendo il reddito di cittadinanza una parentesi anomala nel nostro ordinamento, se non addirittura incostituzionale, e, infatti, è stato rapidamente espunto dall’ordinamento previdenziale.
È evidente però che se non è garantito il diritto al lavoro, il cittadino non potrà’ nonostante i suoi sforzi adempiere al dovere di lavorare.

Un’ultima domanda: quale è il futuro stesso dei diritti dei lavoratori ai giorni nostri?
A fronte della globalizzazione dei mercati e della competizione mondiale il futuro dei diritti dei lavoratori non mi pare roseo. Già negli ultimi anni abbiamo assistito, come accennato, ad una riduzione notevole dei diritti a tutela dei lavoratori e probabilmente nei prossimi anni assisteremo a un’ulteriore riduzione dai diritti. Oggi, oltretutto, il lavoro è minacciato dalla informatizzazione e dalla meccanizzazione dei processi produttivi. Il lavoro digitale è eseguito attraverso strumenti elettronici e sicuramente ridurrà ulteriormente le chance di trovare lavoro. Quindi le sfide future per i diritti dei lavoratori sono grandi e molto difficili, ma quale lavorista sono pronto ad affrontarle.
Ringraziamo il professor Alberto Lepore per la sua disponibilità e per averci fatto comprendere, con le sue parole, l’alto senso istituzionale della giornata di oggi Primo Maggio Festa del Lavoro e dei Lavoratori.




LinkedIn, arriva l’assistente IA per trovare lavoro

LinkedIn punta ancora di più sull’IA e la mette in campo per aiutare le persone a trovare un posto di lavoro ideale in base alle competenze. Il social di proprietà Microsoft, proprio grazie ai recenti investimenti del colosso americano su OpenAI, sta introducendo periodicamente funzionalità basate sull’intelligenza artificiale. L’ultima permette di beneficiare di un chatbot in qualità di assistente alla ricerca di un lavoro. L’IA aiuterà i candidati a trovare il posto migliore per le loro competenze, fornendo suggerimenti su come ottimizzare il proprio profilo e apparire più “attraenti” ai responsabili delle risorse umane. La nuova funzionalità arriva in giorni in cui Microsoft ha annunciato il raggiungimento di 1 miliardo di iscritti a LinkedIn. All’inizio di quest’anno, la piattaforma ha introdotto la possibilità di utilizzare l’intelligenza artificiale generativa per scrivere descrizioni della propria biografia e messaggi di accompagnamento all’invio del curriculum, sotto forma di lettera di presentazione. Tutte opzioni disponibili per chi ha un abbonamento a LinkedIn Premium. Visto il ricco database informativo del social network, i suggerimenti che l’IA può fornire sono personalizzati e più precisi rispetto a quelli che potrebbe fornire un altro assistente artificiale, usato su un browser invece che su una piattaforma specifica. “Ciò è reso possibile dall’intelligenza artificiale generativa, ma anche dai set di dati che riuniscono tutto questo” ha detto a Engadget Rohan Rajiv, product manager di LinkedIn. “Sono il tuo profilo e le tue connessioni tutto ciò che essenzialmente può aiutarti a portare avanti la tua ricerca di lavoro”. La funzionalità verrà lanciata in versione beta per un gruppo limitato di abbonati ma la società ha segnalato che intende rendere l’intelligenza artificiale una parte centrale del suo servizio in futuro. Riuscirà l’Intelligenza Artificiale a diventare il partner ideale per la ricerca di un lavoro stabile e più affine alle competenze di chi lo cerca? Lo scopriremo nei prossimi mesi.

F.P.L.




Lavoro: cresce la richiesta delle imprese. Il 48% non trova risposte

Sono 531mila i lavoratori ricercati dalle imprese a settembre, settemila in più rispetto a un anno fa, secondo il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere con Anpal.

Tra settembre e novembre, le assunzioni previste superano di poco 1,4 milioni, in aumento dell’1,9% rispetto all’analogo periodo del 2022. Continua a crescere al tempo stesso, la difficoltà di reperimento che coinvolge il 48% delle assunzioni programmate delle imprese, in aumento di 5 punti percentuali rispetto a dodici mesi fa. Per molte figure tecnico-ingegneristiche e di operai specializzati tocca quote comprese tra il 60% e il 70%. 

Il quadro delle difficoltà

Le imprese dichiarano difficoltà di reperimento per oltre 252mila assunzioni a settembre, confermando come causa prevalente la “mancanza di candidati” con una quota del 31,7%, mentre la “preparazione inadeguata” si attesta al 12%. Mancano operai specializzati (il 64,2% delle entrate è difficile da reperire), i conduttori di impianti fissi e mobili (53,2%) e le professioni tecniche (49,5%).

Le figure più difficili da trovare sono, secondo il rapporto di Unioncamere, gli attrezzisti, operai e artigiani del trattamento del legno (74,1% e un picco dell’87,7% nel Nord Ovest), gli operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni (73,6%), i meccanici artigianali, montatori, riparatori, manutentori macchine fisse e mobili (73,1%) e i fabbri ferrai costruttori di utensili (72%). E’ arduo reperire anche i tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi, i tecnici in campo ingegneristico, i tecnici della salute e i tecnici della distribuzione commerciale.

A livello territoriale evidenziano maggiori difficoltà di reperimento le imprese delle regioni del Nord Est, dove il 53,4% del personale ricercato è difficile da trovare, una quota notevolmente superiore a quella registrata nel Sud e Isole (43,5%) e nel Centro (45,9%), mentre il valore nel Nord Ovest (47,4%) si mantiene vicino alla media.

Le assunzioni programmate e la manodopera

Tornando alle assunzioni programmate, il tempo determinato si conferma la forma contrattuale maggiormente proposta con 284mila unità, pari al 53,4% del totale. Seguono i contratti a tempo indeterminato (108mila), i contratti di somministrazione (57mila), gli altri contratti non alle dipendenze (32mila), i contratti di apprendistato (26mila), gli altri contratti alle dipendenze (14mila) e i contratti di collaborazione (11mila).

Tra i settori è in crescita la domanda per servizi alle persone e logistica, mentre aumenta l’incertezza per commercio e turismo. Sale infine il ricorso alla manodopera straniera che passa da 95mila ingressi dello scorso anno, pari al 18,2% del totale entrate, agli attuali 108mila ingressi, pari al 20,4% del totale entrate (+13mila contratti; +13,6%). A ricorrere maggiormente alla manodopera straniera sono i servizi operativi di supporto a imprese e persone (il 35,2% delle entrate programmate è riservato a manodopera straniera), i servizi di trasporto, logistica e magazzinaggio (32,7%), le industrie metallurgiche e dei prodotti in metallo (25,8%), i servizi di alloggio ristorazione e turistici (25,7%) ed infine le industrie alimentari (25,1%).




Lavoro: l’occupazione cresce grazie alle donne. +390mila sull’anno

Gli occupati ad aprile crescono di 48mila unità rispetto a marzo (+0,2%) e di 390mila unità rispetto ad aprile 2022 (+1,7%).

Lo rileva l’Istat spiegando che il tasso di occupazione sale al 61%.

L’occupazione cresce tra i dipendenti permanenti e gli autonomi e cala per i dipendenti a termine

La crescita porta gli occupati a 23milioni 446mila unità. Su base mensile, il tasso di occupazione sale al 61,0%, mentre quelli di disoccupazione e di inattività calano al 7,8% e 33,6% rispettivamente

L’occupazione cresce ad aprile grazie alle donne. A fronte di un aumento di 48mila unità nel complesso su marzo si registra un calo di 4mila unità tra gli uomini e un aumento di 52mila unità per le donne.

Anche su base annua le donne registrano il risultato migliore con 217mila occupate in più a fronte di un aumento di 173mila unità tra gli uomini. Il tasso di occupazione femminile arriva ad aprile al 52,3% con un aumento di 0,3 punti su marzo e una crescita di 1,4 punti su aprile 2022 (+0,6 punti sull’anno per gli uomini).

Il tasso di disoccupazione cala al 7,8% con una riduzione di 0,1 punti rispetto a marzo e di 0,4 punti su aprile 2022. Le persone in cerca di lavoro scendono sotto quota due milioni e sono 1 milione 986mila, in calo di 14mila unità su marzo e di 72mila unità su aprile 2022. Nel mese il tasso di occupazione sale al 61% mentre, quello di inattività cala al 33,6% (-0,1 punti sul mese, -0,9 sull’anno).

Il mercato del lavoro tira e per assicurarsi il personale necessario le aziende fanno più contratti stabili. I dipendenti permanenti nel mese sono cresciuti di 74mila unità sul mese e di 468mila unità sull’anno. I dipendenti a tempo determinato ad aprile sono diminuiti di 30mila unità su marzo e di 149mila unità su aprile 2022.

Nel complesso gli occupati sono cresciuti di 48mila unità su marzo e di 390mila su aprile 2022. I dipendenti complessivamente sono circa un milione in più dell’aprile 2021.




Occupazione, ISTAT: tasso occupazione raggiunge quota -500 mila

“Da febbraio 2020 il livello dell’occupazione è sceso di quasi 500 mila unità e le persone in cerca di lavoro sono cresciute di circa 50 mila, a fronte di un aumento degli inattivi di quasi 400 mila”. Lo scrive l’Istat nelle statistiche flash su occupati e disoccupati a luglio. “In quattro mesi, – continua l’Istituto – il tasso di occupazione perde oltre un punto, mentre quello di disoccupazione, col dato di luglio, torna sopra ai livelli di febbraio”.

L’ultimo anno ha visto un’emorragia di dipendenti a termine (calati del -16,2% a luglio sui 12 mesi, -498mila) e lavoratori indipendenti (-4,5% pari a -239 mila). Il calo degli occupati registrato dall’Istat, non riguarda invece i lavoratori permanenti, che sono tutelati anche dal blocco dei licenziamenti per il Covid-19 e sono cresciuti dell’1,2% (+181 mila).

Aumentano in modo “consistente” a luglio 2020 le persone in cerca di lavoro, mentre calano gli inattivi. Così il tasso di disoccupazione registrato dall’Istat sale al 9,7% (+0,5 punti da giugno, +0,1 punti da luglio 2019). I disoccupati aumentano del 5,8% (+134mila unità) mentre gli inattivi diminuiscono dell’1,6% (-224mila unità) con una contrazione che riguarda uomini, donne e tutte le classi d’età. Il tasso di inattività diminuisce, attestandosi al 35,8% (-0,6 punti).

DISOCCUPAZIONE GIOVANILE – Il tasso di disoccupazione giovanile torna sopra il 30%, a luglio, per la prima volta da oltre un anno, a partire da aprile 2019. L’Istat lo attesta al 31,1% per la fascia di età 15-24 anni, in aumento di 1,5 punti da giugno e di 3,2 punti da luglio 2019. “Su base annua – sottolinea l’istituto di statistica – il disoccupazione cresce tra i minori di 35 anni e cala nelle altre classi”. Tra i 25 e i 34 anni, il tasso di disoccupazione è del 15,9%, quasi il triplo di quello nella fascia di età 50-64 anni, ed è cresciuto di 0,9 punti nell’ultimo mese e di 1,4 punti nell’ultimo anno. 

RISALE L’OCCUPAZIONE – A luglio, dopo quattro mesi di flessioni consecutive, l’occupazione “torna a crescere”. L’Istat registra un aumento dell’occupazione su base mensile (+0,4% pari a +85mila unità) che coinvolge le donne (+0,8% pari a +80mila), i dipendenti (+0,8% pari a +145mila) e tutte le classi d’età, ad eccezione dei 25-34enni. Gli uomini occupati risultano sostanzialmente stabili, mentre diminuiscono gli indipendenti. Nel complesso, il tasso di occupazione sale al 57,8% (+0,2 punti percentuali). Rispetto a luglio 2019 gli occupati diminuiscono di 556.000 unità e il tasso di occupazione perde 1,3 punti percentuali.




Cassazione, lavoro: chi abusa della 104 può essere licenziato

L’ordinanza della Corte di Cassazione è del 18 febbraio scorso. È la numero 4670/2019. Con questo provvedimento si conferma il rigore nei confronti di chi fa un uso improprio dei permessi per assistere i familiari disabili.

La legge 104 insomma. Il caso specifico è quello di un dipendente licenziato perché invece di impiegare le ore di permesso ai sensi di legge per assistere il familiare bisognoso, le dedica ad attività personali ledendo il vincolo fiduciario che è alla base di un rapporto di lavoro.

Né vale, per rendere illegittimo il licenziamento, il fatto che il datore di lavoro avesse ottenuto conferme dell’atteggiamento del dipendente avvalendosi di servizi di investigazione privata.

L’ordinamento permette l’intervento del detective per il controllo di condotte extralavorative che sia rilevante al fine del corretto adempimento delle obbligazioni del lavoratore.
Enrico Pellegrini




Lavoro in Italia: a 30 anni 4 su 10 sono senza occupazione

L’Italia non è un Paese per giovani (laureati): a 30 anni infatti, 4 su 10 sono senza lavoro o sottoccupati. E’ quanto risulta dai dati dell’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro secondo il quale nel 2017 degli oltre 1,7 milioni di trentenni con la laurea, il 19,5% (344.000) è privo di occupazione, e un ulteriore 19% (circa 336.000) opera in posizioni professionali che non richiedono laurea.

Fra i giovani laureati della Penisola, invece si evidenzia nel dossier c’è un 61,5%, che riesce a lavorare mettendo a frutto il titolo di studio conseguito. Nel 2017, il tasso di occupazione dei trentenni laureati (81,3%) è superiore di 8 punti percentuali rispetto ai giovani diplomati di pari età ed arriva a 24 punti percentuali rispetto ai trentenni con la sola licenza media. Le prospettive d’inserimento nel mercato occupazionale, spiega quindi lo studio, “migliorano per coloro che hanno raggiunto almeno un titolo secondario superiore”, e si rivelano “massime per chi giunge a conseguire un titolo universitario”. Il vantaggio nel possedere un livello di istruzione più elevato (e poterlo ‘spendere’, esercitando un’attività professionale) è più marcato, si legge, “per le donne trentenni, specie nel Mezzogiorno”.




Lavoro e pensioni, Di Maio: “Da oggi lo Stato siamo noi”

Rivedere il Jobs Act e superare la legge Fornero. E’ l’impegno preso dal neo ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio dal palco della manifestazione M5S del 2 giugno. “Nulla sarà semplice”, premette, ma ora “abbiamo il potere di cambiare le cose”. “Dobbiamo metterci a lavoro – sottolinea – per creare lavoro e dare una pensione a chi ha lavorato una vita”.
Parlando di lavoro, il neo ministro dice: “Deve esistere un salario minimo orario”. E ancora: “Il lavoro non può essere un lavoro iperprecario , il Jobs Act va rivisto. Dobbiamo dare la possibilità alle persone di crearsi un futuro”.

Riguardo alle pensioni, Di Maio sottolinea: “Dare una pensione a chi ha lavorato una vita significa superare la legge Fornero. Mi ci metterò a lavoro con tutte le mie forze – promette – con quota 100”. Poi l’omaggio a Sergio Bramini, “un imprenditore che in questi anni vantava un credito con lo Stato, che non lo ha pagato. Questo ha causato il fallimento della sua azienda. Lo Stato gli ha pignorato anche la casa”. Alla folla che fischia mentre lui racconta la storia dell’imprenditore, il neo ministro dice: “Non c’è bisogno di fischiare, da oggi lo Stato siamo noi”. “Sergio – annuncia poi Di Maio – verrà a lavorare con me per elaborare una legge per aiutare tutti gli imprenditori di questo Paese”.

“Senza Grillo – sottolinea Di Maio – non saremmo mai arrivati fino a qui… Ieri c’è stato dato un potere nelle mani, quello di cambiare le cose. Il potere di utilizzare il potere per i cittadini e non per se stessi. Non sarà semplice. Non saremo quelli che si autocertificheranno i risultati. Non dovremo perdere il contatto con le persone, voi – conclude Di Maio – ci dovrete dire se avremo migliorato la qualità della vostra vita”.




Anguillara Sabazia: riapre lo sportello di orientamento al lavoro

ANGUILLARA SABAZIA (RM) – Il giorno 10.04.2018 alle ore 11.00 presso l’aula consiliare del Comune di Anguillara Sabazia si è tenuto l’incontro informativo sull’attività svolte dallo Sportello avviato nel mese di giugno 2017 in collaborazione con l’Agenzia per il Lavoro Umana con l’obiettivo comune di creare sinergie di sviluppo all’ occupazione, aumentare le competenze professionali, raccogliere le esigenze di cittadini ed imprenditori. All’incontro sono intervenuti il presidente dell’ASCOM, il Responsabile della Caritas Inter parrocchiale di Anguillara ed il Parroco Don Paolo Quatrini, con l’intenzione di creare una rete attiva sul territorio.
Nell’occasione il vicesindaco Sara Galea, Assessore alle politiche sociali, ha tenuto a sottolineare che grande è l’importanza dell’attivazione di una rete in sinergia tra il pubblico ed il privato, per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e contestualmente la crescita del territorio, e che la centralità della persona in un’ottica di empowerment sarà oggetto di una stretta collaborazione tra diversi assessorati.

Lo Sportello di orientamento al lavoro di Anguillara Sabazia ha riaperto il 10.04.2018, in Via Rossini 1 (presso sede AVIS) ed è gestito da una consulente di Umana che ha lavorato in sinergia con il Comune e nello specifico con i Servizi Sociali. Lo sportello è aperto tutti i martedì dalle ore 14.00 alle ore 18.00 previo appuntamento tramite il seguente indirizzo email rita.norcia@umana.it oppure telefonando al numero 0699600047.

Continua ad essere un servizio innovativo e cucito sulle esigenze del territorio, che contribuisce a dare una risposta concreta e gratuita ai giovani che cercano il primo impiego, ai disoccupati e inoccupati, alle imprese e alle famiglie che chiedono un aiuto per l’assistenza ai loro cari. Nell’ottica di empowerment superando cosi la logica del mero assistenzialismo ma promuovendo l’autodeterminazione.

Lo Sportello si pone come punto di riferimento territoriale per supportare le persone nell’individuazione e nella realizzazione del proprio progetto formativo e professionale, favorendo incontro fra domanda e offerta di lavoro. E per tale motivo è in previsione un incontro con l’ASCOM e con la rete imprenditoriale del territorio ed un incontro informativo presso la Biblioteca Comunale con i giovani, perché i giovani sono e devono essere seguiti ed instradati in un processo di valorizzazione dei propri talenti e delle proprie capacità con delle vere competenze e qualifiche.




Lavoro, a luglio 59 mila occupati in più rispetto a giugno. Donne in calo

A luglio 2017 la stima degli occupati cresce dello 0,3% rispetto a giugno (+59 mila), confermando la persistenza della fase di espansione occupazionale. Negli ultimi due mesi il numero di occupati ha superato il livello di 23 milioni di unità, soglia oltrepassata solo nel 2008, prima dell’inizio della lunga crisi. Il tasso di occupazione sale al 58,0% (+0,1 punti percentuali).

La crescita congiunturale dell’occupazione interessa tutte le classi di età ad eccezione dei 35-49enni ed è interamente dovuta alla componente maschile, mentre per le donne, dopo l’incremento del mese precedente, si registra un calo. Aumentano sia i lavoratori dipendenti sia gli indipendenti.

Nel periodo maggio-luglio si registra una crescita degli occupati rispetto al trimestre precedente (+0,3%, +65 mila), determinata dall’aumento dei dipendenti, sia permanenti sia, in misura prevalente, a termine. L’aumento riguarda entrambe le componenti di genere e si concentra esclusivamente tra gli over 50.

Dopo il calo di giugno, la stima delle persone in cerca di occupazione a luglio cresce del 2,1% (+61 mila). L’aumento della disoccupazione è attribuibile esclusivamente alla componente femminile e interessa tutte le classi di età, mentre si registra una stabilità tra gli uomini. Il tasso di disoccupazione sale all’11,3% (+0,2 punti percentuali), quello giovanile si attesta al 35,5% (+0,3 punti).

La stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni a luglio è in forte calo (-0,9%, -115 mila), confermando la tendenza in atto da metà 2013. La diminuzione nell’ultimo mese interessa principalmente gli uomini e in misura minore le donne, distribuendosi tra tutte le classi di età. Il tasso di inattività si attesta al 34,4%, in calo di 0,3 punti percentuali rispetto a giugno.

Nel trimestre maggio-luglio, rispetto ai tre mesi precedenti, alla crescita degli occupati si accompagna il calo sia dei disoccupati (-1,2%, -35 mila) sia degli inattivi (-0,3%, -35 mila).

Su base annua si conferma la tendenza all’aumento del numero di occupati (+1,3%, +294 mila). La crescita interessa uomini e donne e riguarda i lavoratori dipendenti (+378 mila, di cui +286 mila a termine e +92 mila permanenti), mentre calano gli indipendenti (-84 mila). A crescere sono gli occupati ultracinquantenni (+371 mila) e i 15-24enni (+47 mila), a fronte di un calo nelle classi di età centrali (-124 mila). Nello stesso periodo diminuiscono sia i disoccupati (-0,6%, -17 mila) sia, soprattutto, gli inattivi (-2,4%, -322 mila).

Al netto dell’effetto della componente demografica, su base annua cresce l’incidenza degli occupati sulla popolazione in tutte le classi di età.




Lavoro, 3 milioni di posti a rischio: tutta colpa dei robot

di Marco Staffiero

I robot prenderanno il posto degli esseri umani? Poco tempo fa poteva sembrare uno scenario da fantascienza, ma ad oggi questa idea si va delineando sempre di più. Poche menti lucide oltre 30 anni fa avevano previsto questo pericolo, proprio attraveso l’avvento della tecnocrazia. Anche allora qualcuno con eccessiva superficialità sorrise.  Fatto sta che, oltre 3 milioni di posti di lavoro a rischio in Italia nei prossimi 15 anni. Per ‘colpa’ dei robot. E’ lo scenario che delinea la ricerca ‘Tecnologia e lavoro: governare il cambiamento’, elaborata dall’Ambrosetti Club sulla base dell’articolo scientifico ‘The Future of Employment: How susceptible are jobs to computerisation?’ di C.B. Frey e M.A. Osborne, professori di Oxford, presentata ieri al Forum Ambrosetti in corso a Cernobbio.
“Con automazione si intendono tutte quelle tecnologie capaci di gestire sistemi meccanici e processi fisici o logici a complessità variabile, riducendo la necessità dell’intervento umano. Il continuo sviluppo della tecnologia genera un crescente timore verso l’effetto sostituzione uomo-macchina e le ricadute che questo fenomeno potrebbe avere su Paesi, imprese e persone”, si legge. La ricerca, utilizzando dati forniti dall’Istat, ha consentito di effettuare analisi su 129 categorie professionali e di calcolare il numero di posti di lavoro che potrebbero essere persi nei prossimi 15 anni: “I risultati delle elaborazioni effettuate indicano che il 14,9% del totale degli occupati, pari a 3,2 milioni, potrebbe perdere il posto di lavoro nell’orizzonte temporale di riferimento”. Quali categorie sono più al sicuro? “La non ripetitività del lavoro svolto, le capacità creative e innovative richieste per lo svolgimento delle mansioni, la complessità intellettuale e operativa delle attività svolte e le capacità relazionali e sociali sembrerebbero ridurre il rischio di automazione degli occupati”. In una situazione economica disastrosa con un tasso di disoccupazione che va oltre il 40%, quale sarà il ruolo dll’essere umano con l’avvento dei robot nel lavoro?