Giulio Regeni, inizia il processo agli 007 egiziani: palazzo Chigi parte civile

Si apre il processo a carico dei quattro 007 egiziani accusati del sequestro e dell’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore italiano morto in Egitto nel febbraio del 2016. Nella prima udienza, davanti alla terza Corte d’Assise, verrà subito affrontato il nodo dell’assenza in aula degli imputati: il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif.

I giudici dovranno valutare, così come già fatto dal gup nell’ambito dell’udienza preliminare, se la sottrazione degli imputati dal procedimento è stata volontaria. In tal senso il processo potrà andare avanti con i quattro in contumacia, altrimenti i giudici potrebbero chiedere una sospensione del procedimento. Il gup, su questo punto, aveva affermato nel decidere per il rinvio a giudizio che “la copertura mediatica capillare e straordinaria ha fatto assurgere la notizia della pendenza del processo a fatto notorio”. Nella lista testi presentata dai genitori di Giulio, Paola e Claudio, anche i presidenti del consiglio che si sono succeduti in Italia dal 2016, oltre che ministri degli Esteri e i sottosegretari con la delega ai servizi segreti, così come anticipato da alcuni quotidiani. Nei confronti degli imputati la Procura di Roma contesta i reati di sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti di un imputato i pm contestano anche il concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato.

La presidenza del Consiglio ha deciso di costituirsi parte civile nel processo sull’omicidio di Giulio Regeni.

“Si svolgerà la prima udienza in Corte di Assise sul sequestro, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni. Se ci voltiamo indietro negli anni, e pensiamo alla fatica enorme che ci è voluta per arrivare fin qui, per ricostruire una trama nonostante depistaggi e resistenze di ogni tipo da parte dell’Egitto, comprendiamo quanto importante e carica di significato sia la giornata di oggi. Voglio inviare un abbraccio a Paola Deffendi e Claudio Regeni, per la loro tenacia e la loro umanità. Restiamo tutti uniti, istituzioni e comunità, per la ricerca di questa verità”. Lo afferma il presidente della Camera Roberto Fico.

Ieri alla vigilia dell’apertura del processo sulla tortura a morte di Giulio Regeni in Egitto prosegue il sostanziale silenzio sul caso osservato dai media egiziani fin dal giugno scorso, quando ci fu la trasmissione all’Italia delle inchieste del Cairo, incluso l’esito negativo di una rogatoria in Kenya. Lo stesso rinvio a giudizio, segnalato dal sito di opposizione Mada Masr e dall’anglofono Egypt Independent, aveva avuto poco risalto. Maggiore evidenza, anche sul sito del principale quotidiano egiziano, Al Ahram, era stata data invece alla chiusura delle indagini da parte egiziana annunciata dalla Procura generale del Cairo il 30 dicembre: la tesi cui erano giunti gli inquirenti era che Regeni fu soltanto monitorato, e non rapito e tantomeno ucciso, dai servizi segreti egiziani.




Omicidio Regeni, il Pm di Roma: su Giulio una “ragnatela egiziana” già prima del rapimento

“Intorno a Giulio Regeni è stata stretta una ragnatela dalla National security egiziana già dall’ottobre prima del rapimento e omicidio. Una ragnatela in cui gli apparati si sono serviti delle persone più vicine a Giulio al Cairo tra cui il suo coinquilino avvocato, il sindacalista degli ambulanti e Noura Whaby, la sua amica che lo aiutava nelle traduzioni”. Lo afferma il pm Sergio Colaiocco ascoltato, assieme al procuratore Michele Prestipino, davanti alla commissione di inchiesta sulla morte di Regeni.( “Una ragnatela – aggiunge Colaiocco – che si è stretta sempre di più è in cui Giulio è finito al centro”.
“La Procura – ha aggiunto Prestipino – continuerà con determinazione a compiere tutte le attività per continuare ad acquisire elementi di prova per accertare quanto accaduto”, il quale ha sottolineato che “grande è stata l’azione portata avanti dalla famiglia che ha costantemente esercitato un’attività finalizzata alla ricerca della verità”.




Omicidio Regeni, Guido D’Ubaldo: “Tenere alta l’attenzione e la scorta mediatica”. Per la famiglia i sospettati sono almeno 20

Il segretario del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Guido D’Ubaldo, ha ribadito la necessità di «tenere alta l’attenzione e la scorta mediatica». Lo ha detto nel corso della conferenza stampa convocata in Fnsi dopo le ultime rivelazioni sul caso del giovane ricercatore italiano ucciso ormai quasi tre anni fa. D’Ubaldo ha portato il saluto di tutto l’Ordine professionale e ringraziato i rappresentanti dell’Ordine del Lazio presenti in sala.

Il 4 dicembre 2018 la Procura di Roma ha iscritto i nomi di cinque persone nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla scomparsa, sulle torture e sulla morte di Giulio Regeni.

Si tratta di Sabir Tareq, del maggiore Magdi Abdlaal Sharif, del capitano Osan Helmy, del suo stretto collaboratore Mhamoud Najem, e del colonnello Ather Kamal. (qui i loro profili)

Il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il pm Sergio Colaiocco hanno iscritto per concorso in sequestro di persona cinque ufficiali appartenenti al Dipartimento Sicurezza nazionale e all’Ufficio dell’investigazione giudiziaria del Cairo. Il ruolo dei cinque era stato già confermato nell’informativa di un anno fa di Ros e Sco.

«Ci sono cinque indagati, appartenenti alle alte sfere dello Stato egiziano, ma noi abbiamo i nomi di venti persone che, secondo i documenti in nostro possesso, sono coinvolti nel sequestro, nelle torture e nell’omicidio di Giulio Regeni al Cairo». Lo dice la legale della famiglia, Alessandra Ballerini la quale fa nomi e cognomi, «grazie ai nostri consulenti in Egitto, che sono degli eroi, perché mettono a repentaglio la sicurezza loro e delle loro famiglie per ottenere i documenti che provano quanto denunciamo. Abbiamo venti nomi, ma sono necessariamente coinvolte molte più persone. Devono avere paura. Confidiamo che siano abbastanza avveduti da parlare per primi, che si facciano avanti. E ci affidiamo alla coscienza di chi ha torturato Giulio perché parli», incalza.

I nomi noti sono quelli dei responsabili delle indagini condotte su Giulio prima della sua morte. Tra questi, il generale a capo della National Security egiziana. «Non sappiamo se Al-Sisi sia stato informato delle indagini, ma sarebbe inusuale se così non fosse», risponde Ballerini al giornalista che le chiede fin dove arriva il coinvolgimento delle autorità egiziane. «Tra i venti nomi ci sono generali, colonnelli. Vogliamo che oggi loro sentano di non essere al sicuro. Devono sapere che se lasciano l’Egitto possono essere arrestati perché sono coinvolti nel sequestro, nelle torture e nell’omicidio di Giulio», ribadisce la legale.

Claudio Regeni ringrazia i giornalisti italiani per la loro vicinanza e i consulenti della famiglia in Egitto e poi ricorda la vicenda di Amal Fathy, da mesi in carcere per il suo sostegno alla causa dei diritti umani in Egitto, moglie di Mohamed Lotfy, «che ci aiuta a cercare verità e giustizia e per questo sta pagando un caro prezzo. Una ricerca che perseguiamo per Giulio e per tutti i Giulio e le Giulie d’Egitto e del mondo», dice il padre di Giulio.

«Grazie a tutta la squadra, perché è questo che siamo diventati: una squadra, con i legali, le associazioni, la scorta mediatica, i cittadini che ci sostengono, la Procura che ha continuato a indagare», dice Paola Deffendi, mamma di Giulio. «Continuate a starci vicino siamo in una fase importante. Non molliamo. Che lo sappiano in Egitto», ammonisce, e poi ringrazia dell’ospitalità e del sostegno la Fnsi.

Il presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana, Giuseppe Giulietti, ringrazia a sua volta la famiglia Regeni per aver scelto la sede del sindacato per la conferenza stampa e, esortando la categoria a continuare a impegnarsi per fornire la scorta mediatica a Giulio e a tutti coloro che chiedono verità e giustizia, anticipa: «Domattina saremo all’udienza del processo Cucchi per fare da scorta mediatica anche a chi non è giornalista».

Il segretario generale Raffaele Lorusso rivolge un appello ai colleghi «a raccontare tutta la verità su questo caso» e alle autorità italiane «a non voltare la testa dall’altra parte in nome di rapporti economici, commerciali e politici con l’Egitto», e poi ricorda la vicenda del giornalista pakistano Syed Saleem Shahzad, ucciso sette anni fa, sulla cui sorte non è ancora stata fatta chiarezza. E i casi di Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Andrea Rocchelli e Andrej Mironov, «che vedono la Fnsi impegnata anche in tribunale nella ricerca della verità».

E Luigi Manconi, direttore dell’Unar, che garantisce: «Nonostante i rapporti tra il governo italiano e quello egiziano siano sfociati in una indecorosa promiscuità, la battaglia per ottenere verità e giustizia prosegue».

A chiudere la conferenza stampa il consulente egiziano della famiglia Regeni, Ahmed Abdallah, che promette: «Chi ha rapito, torturato e ucciso Giulio pagherà per quello che ha fatto».




Caso Giulio Regeni, la Procura di Roma pronta alla svolta decisiva

Sono i sospettati del sequestro e dell’omicidio di Giulio Regeni. Sono gli uomini che hanno messo in atto il depistaggio per complicare la ricerca della verità su quanto avvenuto tra il 25 gennaio e il 4 febbraio del 2016 al Cairo. Ne sono convinti gli inquirenti della Procura di Roma che è pronta a dare una svolta decisiva all’indagine sul ricercatore italiano procedendo con le prime iscrizioni nel registro degli indagati.

Un atto che verrà formalizzato nei prossimi giorni e che riguarderà poliziotti e appartenenti al servizio segreto civile egiziano, che erano stati nei mesi scorsi identificati dagli uomini del Ros e Sco.
Il lavoro degli investigatori italiani era finito in una informativa poi consegnata alle autorità egiziane nell’incontro svolto nel dicembre dello scorso anno. La volontà di imprimere un colpo di accelerazione al fascicolo aperto quasi tre anni fa a piazzale Clodio è stata comunicata al Cairo dalla delegazione di inquirenti, guidata dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco, nel corso del decimo vertice con gli omologhi nordafricani.

Un atto che rappresenta un passaggio formale e necessario in base al nostro tipo di ordinamento, a differenza di quello in vigore in Egitto.
Uno scatto in avanti che però, spiega chi indaga, non avrà ripercussioni sull’attività congiunta svolta in questi anni tra le due autorità giudiziarie e che durerà anche nei prossimi mesi. Nel corso dell’incontro bilaterale è stato riaffermata la determinazione ad individuare i colpevoli del sequestro, tortura e omicidio del 28enne. La delegazione italiana ha depositato gli esiti degli approfondimenti investigativi svolti sulle attività condotte da Regeni nell’ambito del dottorato di ricerca.

Dal canto loro la squadra investigativa egiziana ha presentato gli esiti degli accertamenti tecnici condotti sulle registrazioni video delle telecamere del circuito di videosorveglianza della metropolitana del Cairo del 25 gennaio 2016, e in particolare ha riferito in ordine alle ragioni delle mancate registrazioni rilevate quella sera.

In particolare, su questo punto, gli inquirenti egiziani hanno sostenuto che secondo i loro tecnici i buchi riscontrati nel ‘girato’ sono dovuti ad una sovrascrittura. Resta il fatto che dall’analisi dei video non è stato possibile individuare alcuna immagine di Regeni. I filmati analizzati rappresentano il 5% del totale ripreso il 25 gennaio 2016 dalle telecamere posizionate all’interno della metropolitana del Cairo (il restante 95% non è risultato utilizzabile). Il lavoro ha riguardato i video di tutta la linea 2 della metro e non soltanto quelli presenti nelle stazioni El Bohoth e Dokki nell’orario compreso tra le 19 e le 21.




Giulio Regeni: al vaglio le telecamere della metro del Cairo

Punterà a recuperare le immagini delle telecamere di tutte le stazioni della linea 2 della metropolitana del Cairo il team di esperti russi nominati nell’ambito dell’inchiesta sul sequestro e la morte di Giulio Regeni, trovato privo di vita il 3 febbraio del 2016. Oggi nella capitale egiziana, alla presenza degli inquirenti e tecnici italiani e cairoti, è iniziata l’attività di recupero delle immagini. La procura generale di Egitto ha recepito la rogatoria firmata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone e dal sostituto Sergio Colaiocco del febbraio 2016, stabilendo che l’attività di estrapolazione delle immagini non si limiterà alle stazioni El Bohoth e Dokki (in quest’ultima fu agganciato per l’ultima volta il cellulare di Regeni ndr) ma riguarderà l’intera linea.
Obiettivo di chi indaga è individuare la presenza nelle stazioni di poliziotti o agenti della National security coinvolti nelle indagini tra le 19 e le 21 del 25 gennaio del 2016, giorno in cui si sono perse le tracce di Regeni.




Caso Regeni: quella manfrina consapevole

 

di Roberto Ragone

 

Fin dall’inizio di questa triste e dolorosa vicenda è stato evidente che gli assassini del giovane Giulio Regeni andavano cercati nei servizi di sicurezza egiziani, e la richiesta di chiarezza da parte dell’Italia – governo Renzi – era soltanto una manfrina consapevole.

Abbiamo finto di credere all’incidente stradale, poi al sequestro da parte di una banda di criminali, alcuni dei quali uccisi durante una finta operazione di polizia. Ma quello che è stato il colmo dell’ingenuità, non tanto da parte italiana, quanto da parte egiziana, è stato il far ritrovare in casa dei pretesi sequestratori i documenti di Giulio Regeni. Soltanto chi l’aveva sequestrato e torturato fino alla morte avrebbe potuto averne la disponibilità. Pian piano s’è anche scoperto il Giuda della situazione, quel personaggio che ha denunciato Giulio Regeni soltanto per averne un vantaggio, magari anche economico. Come sempre accade nei regimi totalitari, e noi, italiani, che abbiamo messo fuori legge il fascismo e la sua apologia, siamo in questo modo complici di un regime di polizia, dal quale dovremmo, per costituzione, prendere le distanze.
 
Ma troppi, e troppo ingarbugliati sono i rapporti fra Italia politica ed Egitto, rapporti che implicano anche interessi economici legati all’energia. Ora le rivelazioni del New York Times, a parte ogni strumentalizzazione che i commenti dei nostri politici vogliano farci ingoiare, sono, appunto, rivelatrici. Fin dall’amministrazione Obama sapevamo per certo che ad uccidere Giulio Regeni erano stati uomini appartenenti ai servizi egiziani, cioè in prima persona il governo egiziano. Ma nessuno, è normale, accusa sé stesso. È vigliacco nascondersi dietro il classico dito, per cui il commento di Renzi & C. è stato che non c’erano ‘prove di fatto’ o ‘prove esplosive’.

Cosa volevano, un selfie dei torturatori con Giulio Regeni legato ad una sedia, sanguinante e tumefatto? O il solito filmato di un telefonino? Che parte hanno avuto in tutto questo i nostri servizi, che rispondono direttamente al premier? Oppure, come al solito, – non si da’ ad un bambino un incarico da adulto, come più volte accaduto nei suoi tre disgraziatissimi anni di governo a Renzi – il nostro ex premier ha avuto paura per la sua leadership, stante il fatto che magari l’intelligence aveva ipotizzato una rottura con Al Sisi che avrebbe portato ad una crisi energetica? Meglio il gas, della nostra dignità, della giustizia, della vita di un cittadino italiano, che era in Egitto non certo per spionaggio?
 
Siamo il ventre molle dell’Europa, anzi, del mondo, e tutti si sentono in diritto di saltarci addosso. E la farsa delle indagini del Tribunale di Roma, bloccate dalla politica? Un’altra bufala, che traspariva dai servizi giornalistici in TV. E ora hanno ragione i genitori di Giulio a protestare per il ritorno del nostro ambasciatore; il cui ritiro è stato, anch’esso, una presa per il fondo della schiena. Questa vicenda ce ne ricorda un’altra, che si è conclusa – speriamo – nel nulla più assoluto: i nostri due marò trattenuti in India, dei quali non è mai stata proclamata ufficialmente – con ‘prove esplosive’ – la colpevolezza, né è stata mai dichiarata l’innocenza, lasciandoli in un limbo indegno che dimostra ancora una volta che la politica italiana, o coloro che ne fanno parte, oltre ad essere per la maggior parte ‘ladri come prima di Mani Pulite, anzi di più, ma non si vergognano più’, come dichiara il giudice Piercamillo Davigo, oltre ad essere schiavi delle lobby multinazionali, come è evidente nel parlamento europeo, oltre ad ospitare propaggini mafiose, come dichiarato da Falcone e Borsellino – proprio da Roma partì l’ordine di lasciare solo il generale Dalla Chiesa, e proprio da quegli ambienti l’indicazione del viaggio di Falcone a Palermo – sono anche affetti da una forma di vigliaccheria politica, che l’Italia non merita.
 
L’ingiusta detenzione in veste di ostaggi di Latorre e Girone, due militari della nostra eccellenza, pare sia stata tollerata dalla paura di perdere un’importante commessa presso la Finmeccanica, di una dozzina di elicotteri. Ora abbiamo davanti un altro caso, che già si prospetta viziato, chissà da che. Qui, infatti, non ci sono servizi segreti, né forniture militari, né interessi energetici internazionali: il massacro, a calci e pugni, del giovane Niccolò Ciatti, a Lloret de Mar, in Spagna. In questo caso abbiamo prove certe ed ‘esplosive’, con il filmato del pestaggio da parte di tre ceceni arrestati subito dopo, mentre cercavano di confondersi fra la folla della movida notturna. Due di essi sono stati immediatamente scarcerati, e sono tornati liberi in Francia, nonostante siano colpevoli non meno del loro compagno; il terzo – atleta di lotta libera, quindi passibile di accusa di omicidio volontario – è ancora detenuto, e si presume che dovrà rispondere davanti ad un tribunale spagnolo per quella morte: pare infatti che sia stato l’unico a sferrare a Niccolò il fatale calcio alla testa, anche se dubitiamo che sia stato l’unico colpo mortale che il giovane Niccolò abbia subito. Ma questo significa spaccare il capello in quattro. Il ragazzo è morto in ospedale, e magari qualche buon avvocato difensore argomenterà che il calcio non è stato la causa diretta della morte, ma soltanto indotta. Con prevedibile sconto di pena per il condannato. il nostro presidente del Consiglio Gentiloni non ha trovato di meglio che ‘telefonare’ in Spagna: una soluzione efficacissima ed energica che gli ha consentito anche di non interrompere i suoi 40 giorni di ferie: poveracci, lavorano tanto durante l’anno, che 40 giorni sono vitali, guadagnati, veramente irrinunciabili per la loro salute. Vuoi mettere lo stress? Allora, dopo la telefonata, il nulla.
 
Alla nostra politica non importa un beneamato cavolo dei cittadini italiani. Questo è già evidente guardando leggi, leggine, decreti, fiducie parlamentari e via così. Come per esempio la ‘truffa’ dell’esenzione di tributi ai terremotati: ora tiriamo – tirano – in ballo l’Unione Europea, che non consentirebbe quanto sacrosantamente promesso: quando poi Renzi si è sempre fatto un vanto delle sue finte liti con la Merkel, e degli sconfinamenti dal fido. Elezioni alle porte, campagna elettorale al calor bianco, coalizioni che si vanno formando e sciogliendo, nel mercatino estivo dei do-ut-des, il nostro magma politico è ben lungi dall’assumere una forma definitiva, assomigliando sempre più ad un’ameba: della quale ha anche la stessa coscienza, la stessa spina dorsale, la stessa fermezza, lo stesso orgoglio nazionale, la stessa dignità, davanti a Dio e agli uomini. 



Giulio Regeni: nuove informazioni dall'Egitto

 
di Angelo Barraco

IL CAIRO – Un importante incontro a Roma tra il procuratore generale Giuseppe Pignatore e il procuratore generale egiziano Nabil Ahmed Sadek con la delegazione che lo accompagna in merito all’inchiesta che riguarda la morte del giovane ricercatore Giulio Regeni scomparso dal Cairo il 25 gennaio scorso e rinvenuto successivamente in un fossato alla periferia della capitale egiziana. In un quotidiano egiziano si legge “Sadek presenterà nuove informazioni trovate nell'inchiesta per giungere alla verità sulla morte del ricercatore”.
 
Questo è il terzo incontro tra le parti, il primo si è tenuto al Cairo il 14 marzo scorso e il secondo il 7 aprile. Quest’ultimo durerà due giorni. La matassa che riguarda la morte di Giulio Regeni non  sembra affatto sbrogliata e tutte le presunte novità e il supporto che dovrebbe giungere da quel paese che lo ha accolto e che poi lo ha visto morire in modo inumano e in modo inspiegabile invece sembrano venir meno. Un supporto stentato, tanto cercato e voluto ma che sin dall’inizio ha visto l’innalzamento di barriere separatiste che hanno impedito di coadiuvare ai fini della risoluzione del caso. Il corpo di Giulio ha parlato e ha detto quanto abbia realmente sofferto prima di morire, ma le cause che hanno portato a quell’atroce morte rimangono ad oggi un mistero. Ultimamente ha fatto parlare molto Amnesty International in merito a quanto accaduto, riferendo in un nuovo rapporto che “La sparizione forzata di Giulio Regeni ha attratto l'attenzione dei mezzi d'informazione di ogni parte del mondo. Le autorità egiziane si ostinano a negare qualsiasi coinvolgimento nella sua sparizione e uccisione, ma Amnesty International rivela le similitudini tra i segni di tortura sul suo corpo e quelli sugli egiziani morti in custodia dello stato. Ciò lascia supporre che la sua morte sia stata solo la punta dell'iceberg e che possa far parte di una più ampia serie di sparizioni forzate ad opera dell'Nsa e di altri servizi d'intelligence in tutto il Paese” e ha denunciato la scomparsa di centinaia di persone e la tortura di altrettante di esse nei primi mesi del 2015. Amnesty punto il dito contro la NSA, Agenzia per la sicurezza nazionale che si rende responsabile che per incutere paura agli oppositori mette in atto rapimenti e torture. Il rapporto parla di studenti spariti nel nulla senza lasciare la benché minima traccia. Tale rapporto è stato intitolato “Egitto: 'Tu ufficialmente non esisti'. Sparizioni forzate e torture in nome del contrasto al terrorismo”. NSA agiscono facendo irruzione nelle case degli studenti e li portano via, trattenendoli per mesi, ammanettandoli e bendandoli. Il direttore Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International ha riferito “Questo rapporto rivela le scioccanti e spietate tattiche cui le autorità egiziane ricorrono nel tentativo di terrorizzare e ridurre al silenzio manifestanti e dissidenti”. Aggiungendo inoltre che “"Le sparizioni forzate sono diventate uno dei principali strumenti dello stato di polizia in Egitto. Chiunque osi prendere la parola è a rischio. Il contrasto al terrorismo è usato come giustificazione per rapire, interrogare e torturare coloro che intendono sfidare le autorità. Le autorità egiziane si ostinano a negare l'esistenza del fenomeno delle sparizioni forzate, ma i casi descritti nel nostro rapporto forniscono ampie prove del contrario”. Nel rapporto sono descritti 17 casi in cui persone sono sparite per causa terzi, sono state detenute per periodi medio lunghi, senza aver nessun contatto con l’esterno e sottoposte ad interrogatori estenuanti con il fine di usarli poi durante gli interrogatori ufficiali dinnanzi ai giudici che condanneranno costoro. Anche diversi minorenni sono stati sottoposti a torture di questo tipo.



GIULIO REGENI: "LE SPARIZIONI FORZATE PRINCIPALI STRUMENTI DELLO STATO DI POLIZIA IN EGITTO"

di Angelo Barraco

 La misteriosa morte di Giulio Regeni non ha trovato chiarezza e risposte a seguito del ritrovamento del corpo, che invece avrebbe dovuto dare un incipit ulteriore alle indagini. Sembra quasi che dalle apparenti risposte, quasi alla portata di chi avrebbe dovuto coglierle avendo determinati elementi oggettivi a disposizione, sia sopraggiunta una mole di domande e di dubbi che ha soverchiato l’elemento chiave per risolvere il caso. Ma la strana morte dello studente friulano, scomparso dal Cairo il 25 gennaio scorso e rinvenuto successivamente in un fossato alla periferia della capitale, fa parlare molto e Amnesty International parla in merito a quanto accaduto, riferendo in un nuovo rapporto che “La sparizione forzata di Giulio Regeni ha attratto l'attenzione dei mezzi d'informazione di ogni parte del mondo. Le autorità egiziane si ostinano a negare qualsiasi coinvolgimento nella sua sparizione e uccisione, ma Amnesty International rivela le similitudini tra i segni di tortura sul suo corpo e quelli sugli egiziani morti in custodia dello stato. Ciò lascia supporre che la sua morte sia stata solo la punta dell'iceberg e che possa far parte di una più ampia serie di sparizioni forzate ad opera dell'Nsa e di altri servizi d'intelligence in tutto il Paese”. Denunciando la scomparsa di centinaia di persone e la tortura di altrettante di esse nei primi mesi del 2015. Amnesty punto il dito contro la NSA, Agenzia per la sicurezza nazionale che si rende responsabile che per incutere paura agli oppositori mette in atto rapimenti e torture. Il rapporto parla di studenti spariti nel nulla senza lasciare la benché minima traccia. Tale rapporto è stato intitolato “Egitto: 'Tu ufficialmente non esisti'. Sparizioni forzate e torture in nome del contrasto al terrorismo”. NSA agiscono facendo irruzione nelle case degli studenti e li portano via, trattenendoli per mesi, ammanettandoli e bendandoli. Il direttore Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International ha riferito “Questo rapporto rivela le scioccanti e spietate tattiche cui le autorità egiziane ricorrono nel tentativo di terrorizzare e ridurre al silenzio manifestanti e dissidenti”. Aggiungendo inoltre che “"Le sparizioni forzate sono diventate uno dei principali strumenti dello stato di polizia in Egitto. Chiunque osi prendere la parola è a rischio. Il contrasto al terrorismo è usato come giustificazione per rapire, interrogare e torturare coloro che intendono sfidare le autorità. Le autorità egiziane si ostinano a negare l'esistenza del fenomeno delle sparizioni forzate, ma i casi descritti nel nostro rapporto forniscono ampie prove del contrario”. Nel rapporto sono descritti 17 casi in cui persone sono sparite per causa terzi, sono state detenute per periodi medio lunghi, senza aver nessun contatto con l’esterno e sottoposte ad interrogatori estenuanti con il fine di usarli poi durante gli interrogatori ufficiali dinnanzi ai giudici che condanneranno costoro. Anche diversi minorenni sono stati sottoposti a torture di questo tipo. 




"GIULIO REGENI? CHE VADA AL DIAVOLO"

di Angelo Barraco
 
Cairo – La morte di Giulio Regeni è una storia che è entrata dentro il cuore degli italiani che vogliono verità e giustizia per le sorti del giovane e brillante ricercatore. Una vita spezzata in modo barbaro, in balia di atroci torture che hanno preceduto una morte che ancora nasconde chissà quali motivi. Tutto è nebuloso in questa vicenda, dai silenzi alle mezze verità. Ma qualcuno parla di Giulio e lo fa dal fronte egiziano in modo aspro e critico nei confronti di una giovane vita spezzata barbaramente sotto le mani di torturatori senza pietà.
 
La presentatrice televisiva nonché ex attrice egiziana, Rania Yassen stava annuncianto l’apertura di un’inchiesta nei confronti dell’agenzia Reuters, in merito alla vicenda Regeni, davanti agli schermi della tv egiziana “Al Hahath al Youm” e su Giulio Regeni ha detto “Che andasse al diavolo!” e ha definito le pressioni internazionali per la mancanza di chiarezza “un complotto”. Ma le sue esternazioni non si sono di certo fermate qui poiché ha detto che Giulio “non è certo l’unico al mondo” (riferendosi alla morte). Parole forti che pesano come macigni, soprattutto alla luce dei rapporti tra Egitto e Italia. La presentatrice ha voluto precisare anche che secondo lei “tutto questo interesse per il caso Regeni a livello internazionale, come nel Regno Unito e negli Stati Uniti, rappresenta una sola cosa: siamo davanti ad un complotto. Come se Regeni fosse il primo caso di omicidio in tutto il mondo” aggiunge che vi sono tanti egiziani spariti al mondo, anche in Italia, USA. “Anche noi abbiamo un giovane egiziano sparito in Italia”. Inoltre ha definito le teorie in merito al delitto come “una provocazione”, aggiungendo anche che il giovane “potrebbe anche appartenere ai servizi segreti”. Il canale “Al Hadath al Youm” è stato lanciato due giorni dopo il ritrovamento del corpo di Regeni, il proprietario del canale è Mohamed Ismail, parlamentare. In merito alle sopracitate indagini su Reuters, gli inquirenti stanno tenendo sotto torchio Michael Georgy, capo d’ufficio di corrispondenza dell’agenzia. A rivelarlo è il Guardian. L’agenzia è accusata di aver pubblicato “notizie false che puntano a disturbare l'ordine pubblico» e di «diffondere indiscrezioni che danneggiano la reputazione dell'Egitto” poi, secondo fonti investigative, aveva rivelato che Regeni era stato arrestato la notte della scomparsa e poi trasferito in un compound. Nella giornata di ieri sono stati arrestati sette giornalisti nel corso di proteste in piazza Tahir contro il passaggio di sovranità delle isole del Mar Rosso di Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita. Una di esse si chiama Basma Mostafa ed è colei che intervistò la famiglia presso cui furono trovati i documenti di Regeni. 



GIULIO REGENI: MATTARELLA AL MEETING NAZIONALE DELLE SCUOLE "NON POSSIAMO DIMENTICARE LA SUA VITA ORRIBILMENTE SPEZZATA"

di Angelo Barraco

Assisi (Perugia) – La morte di Giulio Regeni non trova ancora quelle risposte che possano dare un volto e un nome agli esecutori materiali di questa terribile e assurda morte. L’Italia chiede fermamente risposte ma tali risposte non arrivano e allora si battono i pugni sul tavolo, ci si chiede il perché di tanto velato silenzio dietro la vita spezzata ad un giovane e brillante ricercatore. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha parlato della vicenda nel corso del Meeting nazionale delle scuole per la pace, la fraternità e il dialogo che ha luogo ad Assisi. Ha riferito “Un apprezzamento particolare intendo esprimere per la scelta di dedicare a Giulio Regeni l'edizione di quest'anno del vostro Meeting. Non vogliamo e non possiamo dimenticare la sua passione e la sua vita orribilmente spezzata. Fare memoria è un atto di pace che, sono convinto, aiuterà queste giornate di Assisi a produrre nuovi frutti”. Ha rivolto un messaggio al Coordinamento nazionale degli enti locali e i diritti umani dicendo “Il mio augurio  l'esperienza di queste giornate aiuti la crescita dei giovani e li incoraggi a farsi costruttori di amicizia e di solidarietà. I luoghi e lo spirito di Assisi , , ci interpellano sui valori autentici della vita e ci sollecitano a rompere quell'involucro di indifferenza nel quale talvolta si pensa di trincerarsi. La pace e la fraternità cominciano dai nostri comportamenti e ci sfidano a procedere con coerenza nel percorso della distensione, della cooperazione tra i popoli, della tutela dei diritti fondamentali, della giustizia, del rispetto dell'ambiente, della solidarietà sociale, del contrasto allo sfruttamento, alle violenze e alle guerre, prosegue Mattarella “Agire nel concreto della nostra comunità e guardare lontano, pensare in grande: questi gli obiettivi del grande impegno educativo a cui tutta la società è chiamata per affrontare gli straordinari cambiamenti del nostro tempo. I giovani non sono soltanto il nostro futuro, ma indicano fin d'ora la direzione in cui si stanno muovendo i nostro paese, la nostra Europa, il nostro mondo. La scuola ha un compito importantissimo, ma ciascuno – famiglie, formazioni sociali, associazioni, agenzie informative e culturali – deve fare la propria parte per non lasciare la scuola da sola nella missione educativa”. Infine sottolinea “un apprezzamento particolare per la scelta di dedicare a Giulio Regeni l'edizione di quest'anno del vostro meeting. Non vogliamo e non possiamo dimenticare la sua passione e la sua vita orribilmente spezzata. Fare memoria è un atto di pace che, sono convinto, aiuterà queste giornate di Assisi a produrre nuovi frutti”. La presidenza della Commissione Diritti umani del Parlamento europeo ha invitato i genitori di Giulio Regeni all’Eurocameta. La notizia è emersa da fonti parlamentari. 



GIULIO REGENI: AL SISI. "NON E' STATO UCCISO DAI SERVIZI EGIZIANI"

Redazione
 
Roma – La morte di Giulio Regeni è ancora avvolta dal mistero, nessuna giustizia ha condannato i suoi assassini e sembra proprio che il confronto Italia-Egitto stia diventando un testa a testa sempre più evidente, ma tale scontro non sta portando a nulla di oggettivamente valido ai fini investigativi e risolutivi dell’inchiesta. Abdel-Fattah al Sisi, presidente egiziano, nega che nella morte di Regeni vi sia il coinvolgimento dei Servizi di Sicurezza egiziani e ha sostenuto invece che dietro il brutale omicidio vi sia “gente malvagia”, ma non ha aggiunto ulteriori dettagli. Ha precisato però che “Noi egiziani abbiamo creato un problema con l'assassinio”. Si è rivolto agli inquirenti italiani, invitandoli a tornare in Egitto “abbiamo detto loro, venite e diciamo ancora una volta: venite, siate con noi. Noi trattiamo le questione in tutta trasparenza”. Ha parlato poi delle menzogne pubblicate dai media egiziani che hanno creato non pochi problemi. Ha proseguito dicendo “Attribuiamo grande interesse a questo caso in particolare, in quanto abbiamo relazioni molto privilegiate con gli italiani. La dirigenza italiana si è posta al fianco dell'Egitto dopo il 30 giugno”. I deputati azzurri, Alberto Cirio, Fulvio Martusciello e Massimiliano Salini hanno riferito, al termine di un incontro con una delegazione di parlamentari egiziani a Strasburgo che “dopo un lungo pressing i deputati egiziani si sono assunti l'impegno formale a tenere una seduta pubblica del loro Parlamento dedicata specificatamente alla vicenda di Giulio Regeni” e hanno aggiunto inoltre “Vogliamo risolvere insieme a voi la tragedia Regeni. Vogliamo la verità per la famiglia ma anche per noi, per i rapporti storici tra Italia ed Egitto”. L’Italia è insoddisfatta per la collaborazione scarsa dal fronte egiziano e si è adoperata per ulteriori iniziative atte all’acquisizione di materiale investigativo. In primo luogo, il ministro Gentiloni ha incontrato l’ambasciatore al Cairo Massari e hanno valutato le nuove e ulteriori misure. La Gran Bretagna si è unita alla causa per la ricerca della verità sulla morte del giovane ricercatore e ha chiesto formalmente un’indagine trasparente all’Egitto. Il Cairo sembra propenso nel consegnare i tabulati telefonici che sono importanti ai fini investigativi ma anche l’oggetti delle incomprensioni. Come finirà?