#TempoDiGiocare, un video virale per spingere i genitori a giocare di più con i figli

Il gioco è un elemento fondamentale nelle fasi di crescita dei bambini, con un importante valore educativo che si esprime al suo massimo nei momenti di condivisione, tanto più se in compagnia di un genitore, un parente o meglio ancora di tutta la famiglia al completo. Ma quali sono le abitudini degli italiani in materia di gioco? Quanto tempo dedicano ad attività ludico-ricreative in compagnia dei loro cari? Sono più di mille gli adulti e i bambini coinvolti da Pepita Onlus, cooperativa sociale specializzata nel progettare e realizzare interventi educativi, che hanno risposto a queste e a tante altre domande. E il responso non è affatto confortante: durante la settimana in famiglia si gioca meno di un’ora al giorno. E per più di tre quarti del totale degli intervistati non è sufficiente. A pagarne le conseguenze i più piccoli: solo il 15% condivide momenti di gioco con mamma o papà, registrando un calo del 2% rispetto al già basso dato del 2015, mentre il 22% gioca completamente da solo. È quindi giunto il #TempoDiGiocare. O di ritornare a farlo, soprattutto perché il confronto con il passato è impietoso: quasi il 40% degli adulti confessa di trascorrere meno tempo con i figli di quanto facessero i loro genitori. Sono esattamente 507 i bambini tra i 5 e gli 11 anni (55% femmine, 45% maschi) che, insieme a 643 genitori (51% donne, 49% uomini), hanno partecipato attivamente all’indagine che Hasbro, azienda leader nell’intrattenimento per tutta la famiglia, ha commissionato a Pepita Onlus. Sono proprio i più piccoli a lanciare un grido d’allarme: il 76% vorrebbe infatti avere più tempo a disposizione per giocare. Ma non da soli, bensì in compagnia di mamma e papà, come sostiene il 78%. A maggior ragione se per il 94% dei bambini coinvolti “giocare vuol dire anche imparare”. Ed è proprio per questo che oltre il 60% chiede quotidianamente ai genitori di divertirsi con loro. Le risposte sono per lo più evasive e circostanziali, mamma e papà accontentano i figli, ma spesso lo fanno controvoglia e con scarso interesse. Nonostante ciò, il 43% dei genitori si ritiene soddisfatto della quantità di tempo dedicata a giocare con i figli, ma solo il 31% lo reputa di qualità. Eppure, il 67% è consapevole del valore relazionale del gioco e il 69% riconosce appieno il suo valore educativo. E allora perché solo il 26% ammette di giocare con propri figli? E perché appena il 28% si limita alla mera osservazione dei bambini durante i momenti di gioco? Agli esperti l’ardua sentenza… Secondo il Ludologo Andrea Ligabue, “i fattori sono molteplici, dare la colpa solo ai genitori sarebbe troppo facile e riduttivo. È la cultura del gioco in sé che necessita di un’ulteriore spinta, a cominciare dalle scuole. Agli adulti basterebbe accettare che il gioco è un momento di svago e di divertimento di qualità anche per loro. Tutti hanno diritto a giocare, l’età non conta. Il segreto quindi è imparare a ritagliarsi del tempo per giocare tutti insieme in famiglia, come se fosse un appuntamento al quale nessuno può mancare”. Per l’esperto Toy Designer Spartaco Albertarelli, invece, “è tutta una questione di giochi, basta scegliere quelli più adatti che incontrino esigenze e gusti di adulti e bambini. I giochi in scatola, ad esempio, sono una validissima alternativa proprio perché nella maggior parte dei casi accontentano tutti, nonni compresi. Oltre a essere uno dei pochi strumenti di svago che consentono di riempire di qualità il tempo trascorso con i propri figli o nipoti”.

Ispirati dai dati emersi dalla ricerca, il team creativo di Ciaopeople ha realizzato un video emozionale non a caso intitolato “Giochi spesso con mamma e papà?”. A telecamere accese, ad alcuni bambini è stato chiesto con che frequenza giocano in compagnia dei loro genitori. Tutti hanno lamentano il poco tempo passato in loro compagnia, adducendo varie giustificazioni ed esprimendo il desiderio di avere più occasioni di gioco con mamma e papà. Dietro le telecamere, nascosti, i genitori hanno ascoltato le riflessioni spontanee dei figli e sono stati messi di fronte a una loro forte carenza, dovuta per lo più dalla frenesia del tran tran quotidiano. Naturalmente, soprattutto sul finale, non mancano momenti di sorpresa che sfociano poi in una commovente dimostrazione d’affetto. A seguire, finalmente, si gioca tutti insieme appassionatamente. Vederlo è d’obbligo, soprattutto se si è genitori: aiuta anima e corpo! Con la bella stagione alle porte, il 76% dei bambini vorrebbe tanto giocare all’aperto, ma si scontra con il 52% dei genitori che di contro preferisce giocare “al chiuso”. L’unico punto che accomuna grandi e piccini sono proprio i giochi di società: nel 45% dei casi i grandi classici del divertimento in scatola mettono d’accordo tutta la famiglia, forti del fatto che per il 52% dei genitori coinvolti sono utilissimi all’apprendimento mnemonico, logico-matematico, strategico, intellettivo e non solo. Imparare a perdere o a rispettare le regole, sono la base per crescere in modo sano nella società attuale. Adulti e bambini hanno quindi una piena consapevolezza del gioco e del suo valore positivo, ma il tempo dedicato al gioco, benché ritenuto a malapena sufficiente dagli adulti, sembra non esserlo affatto per i bambini, che tendono a giocare soprattutto con i fratelli o i coetanei e molto più raramente con gli adulti. È dunque arrivato il momento di riscoprire ed esaltare la passione e la voglia di giocare in modo sano, utile e coinvolgente, per tornare a condividere momenti di vero divertimento tra genitori e figli: insomma, è #TempoDiGiocare.

 

F.P.L.




ESSERE GENITORI: QUEL RUOLO DIFFICILE

A cura della Dottoressa Francesca Bertucci, Psicologa – Mediatore familiare

La genitorialità rappresenta una funzione complessa che incorpora in sé, sia aspetti individuali relativi quindi alla nostra idea (in parte conscia e in parte inconscia) di come un genitore deve essere e sia aspetti di coppia, della modalità relazionale che i partner condividono nell’assolvere questo specifico compito. Questa complessità spiega come la genitorialità produca significativi cambiamenti individuali e relazionali che, saranno presenti ed in continua evoluzione lungo tutto il resto del ciclo vitale degli individui coinvolti. Non si può essere genitori sempre allo stesso modo, perché sarà necessario assolvere impegni differenti e adottare modalità comunicative e interattive diverse secondo l’età dei figli. Tutto ciò implica, quindi, la capacità dinamica di rivedere continuamente il proprio stile educativo, affrontando in modo funzionale i cambiamenti che la vita può portare. L’ingresso di un nuovo membro modifica ampiamente le relazioni nell’ambito della famiglia nucleare e allargata comportando, quindi, l’inizio di una nuova storia generazionale.

La famiglia e il rapporto con i genitori rimane il luogo primario all’interno del quale si realizza la crescita e lo sviluppo del bambino.

Assistiamo oggi alla compresenza di diverse forme familiari (coppie di fatto, legalizzate, single, genitori biologici e non, famiglie ricostituite, ecc.), ma costante rimane la necessità che si crei fra il bambino/ragazzo e i genitori una relazione positiva che permetta una crescita armonica dei piccoli.

Non è scontato che ciò si realizzi con facilità, in quanto essere genitori ed educare è un compito molto complesso. Esso si modifica durante tutto l’arco della vita perché è inserito all’interno di un percorso evolutivo fisiologico influenzato da fattori personali (dell’adulto e del bambino), familiari (modifica del nucleo familiare, lutti, separazione e divorzio, ecc…) e sociali che variano nel tempo.

Non è raro quindi che, durante questo articolato viaggio, ci si trovi ad attraversare momenti in cui il cammino appaia troppo faticoso, ci si senta molto disorientati o si incappi in qualche problematica di un certo rilievo.

Proprio per questo, sempre più frequentemente si sente parlare di sostegno alla genitorialità.

Che cos’è il sostegno alla genitorialità? E’ un intervento psicologico di accompagnamento per gli adulti che, per motivi diversi (cambiamenti fisiologici legati alle varie fasi del ciclo di vita dei figli, eventi critici, separazione, problematiche personali o dei figli ecc…) vivono delle difficoltà nel loro ruolo genitoriale. Tali percorsi di sostegno, si prefiggono di supportare i genitori nel loro ruolo, di promuovere la consapevolezza dell’importanza di tale compito, di accrescere e rafforzare le competenze educative dei genitori stessi, in modo da acquisire uno stile educativo efficace ed individuare strategie che influiscano positivamente sullo sviluppo dei figli e ne favoriscano l’autonomia personale.

Tutto ciò passa attraverso una maggiore comprensione del figlio, i suoi bisogni, le sue paure, il suo modo di comunicare, di se stessi e della relazione con lui, portando ad una riflessione sugli atteggiamenti educativi e comunicativi messi in gioco nel rapporto.

Questi percorsi, non sono destinati solo a famiglie problematiche in situazioni particolarmente traumatiche, ma può essere un cammino utile a qualsiasi genitore per migliorare la relazione con i figli, le dinamiche familiari e la crescita di ogni membro della famiglia.

Non è solo un luogo in cui si ricevono consigli e tecniche. Le strategie generiche possono diventare, infatti, poco efficaci di fronte all'unicità che contraddistingue ogni singolo essere umano. Il sostegno alla genitorialità è un percorso di crescita dei genitori stessi, che, con l’aiuto dell’esperto, acquisiscono la capacità di affrontare e risolvere quei problemi, che fanno parte del processo di sviluppo dei loro figli o che subentrano in particolari momenti di passaggio nelle fasi del ciclo vitale (la nascita del primo figlio, i passaggi di scuola, la nascita del fratellino, la separazione, ecc…). Inoltre, può essere un percorso di aiuto, utile ai genitori che hanno figli con particolari difficoltà (iperattività, disturbo di apprendimento, disturbi del comportamento, immaturità, ecc…), per non sentirsi soli, per imparare a gestire il problema nel miglior modo possibile e a rispondere a bisogni educativi e affettivi un po’ speciali. Gli incontri, a seconda delle necessità, possono essere individuali, di coppia o di gruppo. Quest’ultima modalità consente, più di ogni altra, il confronto e la condivisione.

 

Dott.ssa Francesca Bertucci

Psicologa – Mediatore familiare

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