Accadde all’Idroscalo – L’Ultima notte di Pier Paolo Pasolini: intervista esclusiva a Fabio Sanvitale

 
di Angelo Barraco
 
 
“Accadde all’Idroscalo – L’Ultima notte di Pier Paolo Pasolini” è un libro scritto da Fabio Sanvitale e Armando Palmegiani che ripercorre l’omicidio di Pasolini e le dinamiche avverse che nella notte che va tra il 1 e il 2 novembre 1975 hanno portato alla brutale uccisione del celebre artista sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia, Roma. Il libro verrà presentato Mercoledì 7 dicembre 2016 alle ore 16,00 presso la Sala Rubino del Palazzo dei  Congressi-Roma EUR. La morte di Pier Paolo Pasolini è ancora avvolta da una fitta cortina di dubbi e sono numerosi misteri che attanagliano da tempo giornalisti, ex investigatori dell’epoca o semplici curiosi che hanno seguito la fama e le lodi del promettente ed eclettico artista che attraverso una trasposizione visionaria della realtà ha raccontato il mondo impregnandolo sulle bobine e tergiversando su fogli ingialliti e corrosi dal tempo leggiadre note di disincanto e poesia che hanno ammaliato giovani menti e acceso la luce del sapere nella mente di chi non ha mai voluto conoscere. Ma a Ostia non si sono accese le luci del sapere ma senza esitazione e con iraconda veemenza si è scatenata sul poeta la violenza di chi ha deciso la sua fine. Il suo corpo fu trovato alle 6.30 da una donna. Pino Pelosi fu incriminato per il delitto e quella stessa notte fu fermato alla guida dell’auto di Pasolini, dichiarò agli inquirenti che quella sera fu avvicinato da Pasolini presso la Stazione Termini, precisamente al Bar Gambrinus, in Piazza dei Cinquecento, e inviato a salire in macchina dietro promessa di lauto compenso di denaro. I due avrebbero cenato presso la trattoria Biondo Tevere e poi si sarebbero diretti verso l’Idroscalo di Ostia dove Pasolini avrebbe avanzato delle richieste di natura sessuale che Pelosi non sarebbe stato però disposto a soddisfare, sarebbe poi nato un diverbio e il giovane sarebbe stato minacciato con un bastone fino a quando non se ne impossessò e lo percosse fino a lasciarlo inerme per terra. Gli abiti di Pelosi non mostravano tracce di sangue, lo stesso salì a bordo dell’autovettura di Pasolini e schiacciando l’acceleratore salì più volte con le ruote sulla cassa toracica del poeta che morì poco dopo. L’uomo venne condannato in primo grado per omicidio volontario in concorso con ignoti. Due settimane dopo, un’inchiesta di Oriana Fallaci su “L’Europeo” ipotizzava premeditazione e il coinvolgimento di altre due persone. Un giornalista ebbe modo di colloquiare con un giovane che dopo tante esitazioni dichiarò di aver fatto parte del gruppo che cagionò la morte del poeta. Ma la collaborazione fu solamente iniziale poiché il giovane si rifiutò di proseguire la neonata collaborazione e non fornì ulteriori informazioni dichiarando che avrebbe rischiato la vita se avesse parlato e che non il gruppo d’azione non avrebbe avuto intenzione di uccidere Pasolini. Fabio Sanvitale e Armando Palmegiani hanno cercato risposte concrete alle innumerevoli domande che da anni risuonano nella mente di tutti coloro che hanno vissuto la vicenda o che la conoscono di riflesso. Hanno scritto un libro ricco di documenti inediti e che fornisce un movente dell’omicidio diverso rispetto a quello noto ai più. La scena del crimine è stata analizzata al microscopio, sono state rilette le carte da cima a fondo ed è stata offerta un’analisi dettagliata di uno dei delitti più misteriosi d’Italia. Non si tratta di un semplice racconto della vicenda ma di uno svisceramento storico avvenuto attraverso quei luoghi e quegli elementi che hanno reso l’evento in oggetto unico e caratteristico e attraverso i racconti di vecchi investigatori, testimoni dell’epoca, fascicoli mai aperti prima d’ora sono state portate alla luce le vicissitudini di un processo che trova contraddizioni concrete nelle tesi avanzate e non trova invece spiegazioni su elementi mai chiariti a fondo. Fabio e Armando raccontano quei luoghi, particolari inediti, parlano delle tante piste seguite per rendere giustizia ad un uomo che della vita voleva farne un film, ma non voleva essere lui il protagonista di quel triste epilogo. 
 
Noi de L’Osservatore D’Italia abbiamo intervistato Fabio Sanvitale, Giornalista investigativo, scrittore ed esperto di cold cases internazionali.
 
– Accadde all’Idroscalo: come nasce il libro e da dove nasce la volontà di ripercorrere l’argomento che riguarda la morte di Pasolini? 
Abbiamo scelto di indagare nuovamente sul caso Pasolini perché era evidente a tutti che ci fossero ancora molti punti oscuri. E poi perché credevamo e crediamo che alla sua morte si debba la verità di una soluzione, anche se sono passati più di quarant’anni. Tutte le ipotesi che circolano, gli scenari, le trame, sono stati uno stimolo in più, una sfida in più che ci ha stimolato a capire come erano andate le cose.

 – Cosa è emerso di nuovo rispetto a ciò che precedentemente era noto?
 Diverse cose. abbiamo analizzato la scena del crimine come mai prima era stato fatto e questo ci ha consentito di ricostruire l’esatta dinamica di chi ha fatto cosa quella notte all’idroscalo di ostia. Abbiamo capito se gli aggressori erano andati per uccidere o no. abbiamo individuato un movente alternativo rispetto a quelli che girano oggi. Abbiamo sottratto l’esame di petrolio ai letterati e a gli studiosi per riportarlo nella logica investigativa, per capire se davvero quell’abbozzo di libro è stato o no causa della morte di pasolini. Abbiamo trovato connessioni di parentela sorprendenti tra alcuni personaggi di questa storia, che nessuno ha approfondito davvero.abbiamo esaminato a fondo le indagini svolte dal carabiniere renzo sansone nel 1976, quelle che individuarono i fratelli borsellino, al punto da poter dire chi fu il suo informatore. Abbiamo trovato documenti inediti.

– Come reputa la tesi ufficiale in merito alla morte?
 Chiaramente lacunosa. Il pregiudizio culturale ha impedito all’epoca di considerare che ci potessero essere più persone coinvolte nel delitto. Quest’ultima versione è stata superata dall’ultima inchiesta, quella del 2010-15, che è invece giunta alla conclusione che assai probabilmente c’erano altri con pino pelosi, che è quello che tutti pensavano d’altronde. Ora almeno è scritto da un giudice.
 
 – Cosa non ha funzionato nel corso delle indagini?  
Non ha funzionato, appunto, la presenza di un pregiudizio culturale nei confronti di pasolini. Omosessuale, inviso a parte delle sinistra, a tutta la destra. Pasolini si sentiva isolato e in effetti si era posto in una posizione di solitudine, con le sue idee. Lo stato l’aveva incriminato e denunciato già una trentina di volte per i reati più vari prima della sua morte: come aspettarsi che avrebbero indagato serenamente quando morì? C’era un reo confesso, c’ero uno spiazzo squallido a fare da cornice a un incontro sessuale. Tutto tornava. Tornava talmente tanto che nonostante ci fossero ottimi investigatori (capo della mobile era  Masone, questore era macera) non riuscirono a vedere che pelosi non era solo. Ogni omicidio è anche un fatto culturale e qui questo dato ha agito in maniera potentissima. Pasolini era un corpo estraneo e fu espulso dal paese con la sua morte, dopo che tante volte si era tentato di farlo in vita, con polemiche e denunce.

– Pino Pelosi è da ritenersi il solo e unico responsabile? 
Naturalmente no. sappiamo che con lui c’erano i fratelli borsellino, mentre la presenza di johnny mastini era e resta indimostrabile, come lo è il fatto che avesse bisogno di un plantare, d’altronde…
 
 – Com’era l’ambiente che frequentava Pasolini in quel periodo?
 Pasolini frequentava tutti. Intellettuali, malavitosi di piccola tacca, sbandati, gente di periferia, grandi scrittori. Di tutti era curioso, da tutti era interessato. Tanti sono stati testimoni di questo: era uno che si sporcava le mani, non un intellettuale avulso dalla società.
 
 – Com’era Ostia in quegli anni? 
Ostia era un centro che si stava sviluppando. La parte dell’idroscalo si stava ripopolando dalla fine della seconda guerra mondiale. Si trattava di lottizzazioni abusive, intendiamoci. Quando parliamo dei baraccati dell’idroscalo non dobbiamo pensare che ci abitassero, all’idroscalo! Quella notte c’era pochissima gente nelle baracche, per quasi tutte quelle erano le case al mare, quindi edifici provvisori dove si veniva d’estate. L’idroscalo era già allora anche zona di malavita. E intorno si costruivano case popolari, si cercava di bonificare, processo che si accelerò dopo l’omicidio. 
 
– Quali sono le sue considerazioni sulla vicenda? 
Credo che negli ultimi anni si sia affermata una linea complottista che non convince né me né armando palmegiani. Oggi molti scrivono di questa teoria dandola per scontata, ma vorrei vedere quanti di quelli che ne parlano sul web hanno davvero letto petrolio o questo è cefis. Si parla per dire, non tutti intendiamoci! Poi bisogna analizzare i fatti e le prove con grande attenzione e lucidità. Noi crediamo che l’ultima inchiesta abbia fatto tanto e che ancora qualcosa si possa fare. ma sono passati più di quarant’anni ed è stato perso tantissimo tempo. Una persona che potrebbe dire com’è andata c’è: è pino pelosi. Ma non lo farà mai, perché così i giornalisti continueranno a cercarlo.



ROMA, OMICIDIO A PIAZZA BOLOGNA: UNA STORIA DI SICARI, MANDANTI E SERVIZI SEGRETI. TRA CRIMINOLOGIA E INDAGINI

di Cinzia Marchegiani

Roma – Alla Sala Rubino non c’era un posto libero, fans e appassionati di storia e cronaca erano tutti ad attendere la conferenza stampa con cui Armando Palmegiani e Fabio Sanvitale hanno presentato lo scorso 6 dicembre la loro new entry "Omicidio a Piazza Bologna", capolavoro inedito di un fatto storico che ha lasciato segni evidenti nell’immaginario collettivo.  Una serata dedicata non solo alla lettura, non solo al noir, ma ad atmosfere d’indagini storiche, sensazioni e sequenze logiche che hanno incantato l’ascolto.  In quella sala la complicità tra i due scrittori e il giornalista Igor Patruno si annusava a pelle… ed è stato come rivivere quei giorni del lontano 1958, quando in Via Monaci, nei pressi di piazza Bologna l’omicidio di Maria Martirano, ritrovata strangolata nella suo appartamento, accendeva riflettori su un giallo passato alla storia come il Caso Fenaroli.

Non vi è dubbio che a Palmegiani e Sanvitale piace l’enigma da scardinare, ma piace ancor di più raccontare le modalità d’investigazione. Come un ladro esperto piace sfidare imprese impossibili ecco che i due, ormai consolidati in questa tecnica investigativa, condividono con i presenti, frammenti, passaggi e particolari importanti… mirabili tecniche di esecuzione che nascono, maturano e si concretizzano durante il lavoro certosino di ricerca… Igor Patruno, giornalista e scrittore ispirato anche lui a delitti inquietanti e avvolti nel mistero, conduce e amalgama queste atmosfere con quella capacità formidabile di accendere il fuoco della curiosità. Non è un semplice caso se è stata affidata a lui la presentazione del nuovo libro.

Ed ecco che la storia di questo delitto alla fine degli anni ‘50 viene analizzando ripercorrendo e studiando carte processuali, giornali, interviste… come davanti ad uno specchio riemergono i volti dei protagonisti, le loro paure, le loro passioni, la loro vita setacciata e analizzata da una gigantesca lente d’ingrandimento. Armando Palmegiani nel dettaglio illustra come la metodologia di investigazione moderna ha dimenticato l’essenza della criminologia, una scienza che non può solo affidarsi alle analisi del DNA, ma che deve riscoprire lo studio del particolare, quell’elemento privo di impronta ma ricco di segnali, di informazioni che vanno rivalutati per chiarire la personalità dei protagonisti o anche semplicemente il sesso. Un mozzicone di sigaretta… prima non era importante per la prova del DNA, ma poteva suggerire indizio semplicemente dal modo cui era spenta…. rituali che affascinavano le indagini e che spesso danno ancora oggi, importanti strumenti logici. Invero, la perizia grafica, una tecnica analitica moderna, ha permesso di ritornare nel passato svelando i volti e le personalità dagli stessi  documenti in deposito, di fatto rendendo più cristallina la relazione anche tra gli stessi attori.  Fabio Sanvitale adora definire questa storia come il più bel delitto del Novecento italiano, poiché è la prima volta che appaiono la figura del sicario e del mandante, elementi di modernità e un intreccio e razionalizzazione del delitto.

Una serata suggestiva, che ha avvolto nel mistero un giallo già controverso, poiché se  esiste una verità processuale ne viene partorita un’altra, quella che gli scrittori fanno emergere dalla loro inchiesta. Non esiste solo il catalogo delle prove, ma prende forma l’abilità di intuizione  che riesce a osservare piccoli particolari che nessuno aveva catturato prima. Esiste una verità processuale agli atti, una storica forse mai accreditata e una in cerca di essere scoperta, quella che gli autori donano ai lettori, perché esiste il dubbio e la ricerca della soluzione dell’enigma perfetto.

Omicidio a Piazza Bologna, Una storia di sicari, mandanti e servizi segreti, riporterà alla memoria altre verità, dove si fa strada un’ipotesi che ha validi motivi per scardinare e condannare un errore giudiziario. Un opera piena di fascino, di mistero, scritta a due mani  dalla genialità di dialoghi che consacrano, per la terza volta con la Sovera Edizioni, Palmegiani e Sanvitale  protagonisti del noir….moderno, ma neanche troppo!

Una conferenza stampa che diventa anch’essa modernità, l’arcano è spiegato con deduzione  logica e premesse inaspettate. Chiudendo gli occhi, prende vita il racconto guidato dalle voci degli stessi scrittori, come un appuntamento alla radio si spalanca un mondo affascinante, dove i volti sono reali, gli ambienti descritti diventano quotidiani e quella storia di sospetti e inganni è la madre della curiosità che si impadronisce dei pensieri e inseguono il finale che, come anticipato anche dal titolo, promette incredibili rivelazioni.