Frascati, Alessandro Mulieri ha presentato il suo libro “Contro la democrazia illiberale”

Non è facile raccontare l’Europa a poche ore dalle elezioni che hanno visto impegnate le 27 nazioni che la compongono.
Ed è ancora più difficile farlo quando, per la prima volta in Italia, il numero dei votanti è minore di quelli chiamati ad esercitare il proprio diritto/dovere al voto.
Nella splendida cornice della Sala degli Specchi di Palazzo Marconi a Frascati provano a chiarire questo apparente mistero Alessandro Mulieri, autore del libro “Contro la democrazia illiberale, storia e critica di un’idea populista”, Francesca Sbardella, sindaca di Frascati, Daniele Archibugi, economista del CNR, assieme a Lisa di Giuseppe, giornalista; moderatore dell’incontro Stefano Milano, direttore di Collettiva.
I primi ringraziamenti per questa iniziativa provengono dal consigliere comunale della città di Frascati, Michele Arganini, organizzatore della settimana dell’Europa che presenta una commossa Elisa Longobardi, neodelegata dalla sindaca Sbardella alle Relazioni con le Istituzioni Europee.
“Il mio ruolo riveste una importanza focale: un ponte tra l’amministrazione locale e l’Europa in seno alla più grande Assemblea Democratica al Mondo” sono le sue parole commosse ed aggiunge “tante lingue, tante culture ma c’è un pensiero a cui tengo moltissimo UNITI NELLE DIVERSITÀ ed oggi essere europei non è più una scelta come avvenne decenni orsono, ma un dato di fatto portatore di una serie di diritti di cui l’Europa è garante”.
C’è un pensiero estremamente attente nelle parole della dottoressa Longobardi circa l’importanza dell’Europa che è oggi lo spunto vivo a circa il 60% delle leggi approvate dal nostro parlamento.
L’ Europa, spiega, non è solo PNRR, è diritti, è agricoltura, è una intuizione che ci permette di poter vivere all’interno della più grande area di sviluppo e di pace dell’occidente.
Ed, aggiunge, quello che diventa necessario per noi italiani è far si che la nostra rappresentanza parlamentare europea non venga più utilizzata come un “cimitero degli elefanti”
Poi la parola passa ad Alessandro Mulieri, docente all’università Ca’ Foscari di Venezia, autore del libro “Contro la democrazia illiberale, storia e critica di un’idea populista” che dapprima ringrazia l’amministrazione di Frascati per questo evento e ricorda di essere legato a Frascati, sede del primo lavoro di suo padre.
Il suo pensiero è lucido e diretto “Democrazia illiberale è un termine abusato e super ambiguo in quanto non esiste una democrazia liberticida”
“Una democrazia illiberale, spiega, uccide i fondamenti stessi che la compongono” ed in più aggiunge “una democrazia al 50% è una democrazia in crisi e quindi diventa necessario recuperare il valore autentico che la caratterizza”.
Un attenzione “attenta”, la sua, alla necessità di coinvolgere, in questa iniziativa, sia gli intellettuali, sia i docenti che gli insegnanti, ruoli che sappiano mostrare e far comprendere l’importanza vera della parola “democrazia”.
Poi la parola passa a Daniele Archibugi, economista italiano e studioso dell’economia e delle politiche dell’innovazione e della teoria politica delle relazioni internazionali.
Spiega in modo semplice e diretto che le ultime elezioni europee “hanno punito i governi dell’austerità”.
Quello che i cittadini europei hanno recepito in questo ultimo quinquennio è stata una “Europa distante ed assente alle problematiche che investono molti cittadini europei”, parla, insomma, di “un’assenza di risposte” .
Bisogna ricordarci, spiega, che “la democrazia è un sistema fragile e minacciato” e propone, come prima soluzione a questa “Europa distante, un politica dei redditi capace di un aumento degli stipendi ed in grado di lavorare ad una attenta politica salariale”.
Cita poi Benjamin Costant con la “Libertà degli Antichi e la Libertà dei Moderni”:
i primi vivono la virtù nella partecipazione ed è li, quindi la libertà.
I moderni
, invece, delegano nella democrazia rappresentativa per poter avere “più tempo, dice, per il loro privato”.
La virtù quindi non è solo il votare ma riaffermare questa libertà degli antichi nella partecipazione e si sofferma, con estrema attenzione, al mondo dei giovani capace ancora di “partecipare e, quindi, essere libero”.
Una lectio suprema quella che arriva in questa ora di narrazione lucida e soprattutto in grado di centrare, con estrema attenzione, i problemi che l’Europa porta nel proprio DNA.
E poi, Lisa di Giuseppe, in un video trasmesso agli organizzatori dell’incontro, compie una analisi del voto che dimostra, oltre la buona tenuta del governo, un ottimo risultato del Partito Democratico di Elly Schlein che mettendoci la faccia ha garantito la tenuta ma soprattutto ha messo in campo una forte pattuglia di amministratori del PD che hanno conseguito ottimi risultati.
Perdono i centristi ma nel contempo perde quel Movimento Cinque Stelle che ancora oggi non ha una sua collocazione all’interno delle correnti in cui è diviso il parlamento europeo.
La forte affermazione di Giorgia Meloni dimostra che il voto giunto a Fratelli d’Italia è principalmente un voto alla leader che dimostra di essere un valore aggiunto.
Interessante la valutazione compiuta dalla sindaca Francesca Sbardella “il PD che ha governato in Italia non vincendo le elezioni in quel frangente si è, purtroppo, allontanato dal paese reale”.
Una analisi attenta che fa comprendere come oggi essere all’opposizione nel paese consenta alla segreteria di Elly Schlein di misurarsi con le difficoltà reali della nazione e, la riprova, è il risultato ottenuto in queste Elezioni Europee.

nella foto da sinistra il professor Daniele Archibugi, l’autore del libro, Alessandro Mulieri, il direttore di Collettiva, Stefano Milano, e la sindaca di Frascati, Francesca Sbardella

Infine la Francia di Macron: è pur vera l’onda lunga del Rassemblement National, spiega Alessandro Mulieri, ma se si somma tutta la cosiddetta destra francese si ritrova quel 41% di consensi che la pone ancora oggi come minoranza del paese.
Lo scioglimento del Parlamento Francese da parte di Macron, aggiunge Mulieri, è un appello alle forze progressiste e liberali del paese.
La riflessione che giunge da questo incontro è chiara: “occorre tornare ad una partecipazione attiva all’azione politica ove le forze politiche stesse debbono ancorarsi, dice il professor Archibugi, ai problemi locali”.
Quindi alla fine, conclude “parlare di Democrazia illiberale”, conclude Mulieri, è sottolineare un ossimoro, una contraddizione piena, che oggi, i regimi autocratici elettorali, come quello di Orban, vogliono trasmettere al mondo per ricreare quel principio di democrazia che invece non gli appartiene.




Europa alle urne: ecco gli scenari che si potrebbero aprire nel post elezioni

L’Europa si prepara a uno degli eventi più significativi del suo calendario politico: le elezioni europee. In tutti i 27 Stati membri, i cittadini sono chiamati alle urne per eleggere i rappresentanti al Parlamento Europeo, un’istituzione che gioca un ruolo cruciale nel processo decisionale dell’Unione Europea. Quest’anno, con una partecipazione attesa di centinaia di milioni di elettori, queste elezioni potrebbero ridefinire il futuro politico del continente.

Quante persone sono chiamate al voto?

Si stima che circa 400 milioni di cittadini europei abbiano diritto al voto nelle elezioni del 2024. Questo rappresenta uno dei più grandi esercizi democratici al mondo, con una partecipazione che copre una vasta gamma di culture, lingue e contesti socio-economici. La varietà degli elettori riflette la diversità dell’Europa stessa, con sfide e priorità che variano notevolmente da un paese all’altro.

Gli scenari post-elezioni

Le elezioni europee non solo determinano la composizione del Parlamento Europeo, ma possono anche influenzare significativamente la direzione politica e le priorità dell’Unione Europea nei prossimi anni. Ecco alcuni scenari possibili che potrebbero emergere dal voto:

1. Ascesa della destra liberista

Come accennato in articoli precedenti, un’importante vittoria per i partiti di destra liberista potrebbe portare a un cambiamento radicale nelle politiche economiche dell’UE. Questi partiti spingono per una maggiore liberalizzazione del mercato, la riduzione delle regolamentazioni e una diminuzione del ruolo dello Stato nell’economia. Se queste forze dovessero ottenere una maggioranza significativa, ci si potrebbe aspettare un’ondata di riforme economiche volte a stimolare la crescita e la competitività.

2. Rafforzamento dei partiti verdi e progressisti

Negli ultimi anni, i partiti verdi e progressisti hanno guadagnato terreno in molte parti d’Europa, spinti da una crescente preoccupazione per il cambiamento climatico e le questioni ambientali. Se questi partiti dovessero aumentare significativamente la loro rappresentanza, l’UE potrebbe vedere una maggiore enfasi sulle politiche di sostenibilità, transizione energetica e giustizia sociale. Questo potrebbe includere misure più severe per ridurre le emissioni di carbonio, investimenti in energie rinnovabili e politiche per ridurre le disuguaglianze sociali.

3. Un ritorno al nazionalismo e al populismo

Un altro scenario possibile è l’ascesa dei partiti nazionalisti e populisti, che hanno già mostrato una notevole forza in alcuni paesi membri. Questi partiti spesso criticano l’integrazione europea e promuovono un’agenda politica che favorisce l’autonomia nazionale rispetto alle decisioni comunitarie. Se queste forze politiche dovessero ottenere un successo significativo, l’UE potrebbe affrontare nuove tensioni interne e una maggiore difficoltà nel raggiungere consenso su questioni chiave come la politica migratoria e la cooperazione economica.

4. Stabilità e continuità

Un risultato che vede una combinazione equilibrata di forze pro-europee potrebbe garantire una maggiore stabilità e continuità nelle politiche dell’UE. Questo scenario potrebbe favorire la cooperazione tra diversi gruppi politici per affrontare le sfide comuni, come la ripresa economica post-pandemica, la sicurezza comune e il rafforzamento delle relazioni internazionali dell’Europa.

Le elezioni europee del 2024 rappresentano un momento cruciale per il futuro dell’Unione Europea. Con circa 400 milioni di elettori chiamati alle urne, il risultato determinerà non solo la composizione del Parlamento Europeo, ma anche la direzione politica e le priorità dell’UE nei prossimi anni. Mentre l’Europa si prepara a questo importante appuntamento democratico, l’attenzione è rivolta agli scenari che potrebbero emergere e alle implicazioni che avranno per il continente e per il mondo intero.




Europa, via libera ai viaggi in estate per chi è vaccinato

“Col certificato vaccinale puntiamo ad aiutare gli Stati membri a ritornare” a mobilità in sicurezza e coordinata. Così la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in conferenza stampa per la presentazione di un nuovo pacchetto di misure per revocare le limitazioni ai viaggi.

I cittadini europei potranno tornare a viaggiare quest’estate fornendo la prova di essersi sottoposti alla vaccinazione, oppure di essere risultati negativi a un test o di essere guariti dal Covid-19 ed avere sviluppato gli anticorpi. Sono i contenuti chiave del nuovo pass Covid. Il certificato, che dovrebbe essere disponibile da giugno in formato digitale o cartaceo, sarà interoperabile e legalmente vincolante per gli Stati membri e ammetterà tutti i vaccini disponibili sul mercato, ha spiegato il commissario europeo per la Giustizia, Didier Reynders.

“La situazione epidemiologica sta peggiorando. L’Ue sta cercando di collaborare con le esportazioni ma le strade corrono in entrambe le direzioni, ci deve essere reciprocità e proporzionalità. Se la situazione non cambia, dovremo riflettere di far dipendere l’export sul livello di apertura dei Paesi” riceventi. E “rifletteremo se con i Paesi che hanno tassi più alti di vaccinazioni c’è proporzionalità”, ha detto von der Leyen.

L’Ue è la regione che ha esportato di più, 41 milioni di dosi a 33 Paesi, ma vogliamo vedere reciprocità. Non sta tornando niente verso l’Ue”, ha aggiunto. 

“Dall’Ue abbiamo esportato dieci milioni di dosi” alla Gran Bretagna, “è il primo Paese per l’export dall’Ue“, senza contare che il Regno Unito produce il vaccino AstraZeneca. “Stiamo ancora aspettando che arrivino dosi dal Regno Unito in modo che ci sia reciprocità”, ha spiegato la presidente della Commissione. “Con gli Stati Uniti c’è reciprocità: non ci sono export da Ue a Usa e viceversa di vaccini, ma c’è un flusso intenso dei precursori, degli ingredienti, e di tutte le materie che servono per fare i vaccini”.

“AstraZeneca ha annunciato che purtroppo nel secondo trimestre consegnerà all’Unione europea 70 milioni di dosi rispetto ai 180 milioni che aveva contrattualmente promesso di fornire”, ha detto la presidente della Commissione Ue. Nonostante il mancato rispetto degli impegni di consegna delle dosi di vaccino da parte di AstraZeneca, “con l’arrivo delle prime dosi del vaccino Johnson&Johnson da aprile possiamo raggiungere l’obiettivo di avere il 70% degli adulti vaccinati entro fine estate“, ha aggiunto von der Leyen, sottolineando che, al contrario dell’azienda anglo-svedese, BionTech-Pfizer e Moderna hanno rispettato gli impegni. Von der Leyen ha spiegato che nel secondo trimestre arriveranno da Pfizer-BioNTech 200 mln di dosi, 55 da Johnson&Johnson e 35 da Moderna. Le prime vaccinazioni J&J sono attese per aprile.

“Ho fiducia nel prodotto AstraZeneca ed ho fiducia negli scienziati dell’Ema. Dobbiamo dare loro il tempo di cui hanno bisogno per valutare la frequenza degli eventi tromboembolici” rispetto alla cittadinanza vaccinata. “Bisogna rispettare procedure e rispettare il fatto che scienziati abbiano bisogno” di qualche giorno per condurre le loro analisi. Sono contenta che non si siano prese scorciatoie” nell’approvazione dei vaccini, “ma si sia affrontata la strada più lunga”, ha detto von der Leyen




Summit Europa, 209 miliardi all’Italia: raggiunto l’accordo sul Recovery Fund e il bilancio

I leader europei hanno raggiunto l’accordo sul Recovery Fund e il Bilancio Ue 2021-2027 al termine di un negoziato record durato quattro giorni e quattro notti, nel summit più lungo della storia dell’Unione Europea. ‘Una giornata storica per l’Europa’, secondo i protagonisti. Il fondo ha una dotazione di 750 miliardi, di cui 390 di sussidi. Il bilancio è stato fissato a 1.074 miliardi. ‘Con 209 miliardi l’Italia ha migliorato l’intervento a suo favore rispetto alla proposta originaria della presidente von der Leyen’, ha detto il premier Conte, aggiungendo che la costruzione di una task force per le riforme è la priorità, ‘perché dovrà partire al più presto’.

“Siamo al lavoro per elaborare un programma di rilancio incisivo che affronti anche i problemi storici dell’Italia e per far crescere gli investimenti” fra cui quelli “in infrastrutture, digitalizzazione”, risponde il ministro Gualtieri a chi gli chiede come l’Italia spenderà i fondi decisi al Vertice Ue. “Stiamo definendo un piano preciso e dettagliato già a ottobre per partire” con il piano di “rilancio dell’economia italiana” ha aggiunto. Gualtieri ha sottolineato che “Il governo ne esce rafforzato” e il ” presidente del Consiglio Conte “ha giocato un ruolo decisivo” aggiungendo che “è stato un negoziato duro e difficile, ha prevalso non la posizione italiana ma la ragionevolezza e il diritto europeo”. “Un’altra novità – ha proseguito il ministro – è che è passato un articolo che consente di anticipare il 10% delle risorse” del Recovery and Resilience facility come pre-finanziamento nel 2021 e un altro che consente di “considerare per questo progetto anche le spese fatte a partire da febbraio di quest’anno, purché coerenti con il programma generale, e questa è una novità assoluta”.

“Apprezzamento e soddisfazione per l’importante esito del Consiglio Europeo, che rafforza il ruolo dell’Unione e contribuisce alla creazione di condizioni proficue perché l’Italia possa predisporre rapidamente un concreto ed efficace programma di interventi”. Questo è quanto ha espresso il presidente Sergio Mattarella nel corso dell’incontro odierno al Quirinale con il premier Giuseppe Conte. Lo si è appreso da fonti del Quirinale.

I leader europei hanno raggiunto lo storico accordo sul Recovery Fund ed il Bilancio Ue 2021-2027 al termine di un negoziato record durato quattro giorni e quattro notti. Si tratta del summit più lungo della storia dell’Unione Europea. Il Recovery Fund ha una dotazione di 750 miliardi di euro, di cui 390 miliardi di sussidi. Il bilancio è stato fissato a 1.074 miliardi.




Ce lo dice l’Europa e… “ho detto tutto!”

Quante volte si è sentito rispondere alle domande dei cittadini “ce lo dice l’Europa”. Ognuno avrà da raccontare la propria storia citando un caso specifico. Quanti avranno capito cosa abbia detto precisamente l’Europa con quel detto?Certamente pochi sono rimasti soddisfatti dalle risposte ricevute.

Noi abbiamo aggiunto “…e ho detto tutto”. Famosa frase recitata dal grande Peppino De Filippo nell’immortale film “Totò, Peppino e la malafemmina” che poi nel film segue l’altrettanto famosa risposta stizzosa di Totò, al fratello Peppino: “ … ma che dici co st’ho detto tutto che non dici mai niente”. Queste due frasi tratte dal film dei “fratelli” Totò/Peppino chiariscono meglio di qualsiasi altra cosa il contenuto ed il messaggio che si vuole trasmettere con questo scritto.

Una plastica dimostrazione

Una plastica dimostrazione di quello che si sta dicendo la offre la Regione Siciliana. Il 15 gennaio scorso l’Ispettorato centrale per la qualità e la repressione delle frodi agroalimentari della sede distaccata di Catania e del Corpo forestale , ha svolto un controllo presso un’azienda importatrice di prodotti ortofrutticoli di Siracusa. Durante il controllo sono stati sequestrati oltre ventimila chili di limoni varietà Meyer di provenienza Turca. Gli agrumi sequestrati non presentavano le caratteristiche idonee all’immissione al consumo, come stabilito dalla normativa comunitaria prevista dal regolamento Ue.

Facciamo un passo indietro. A Siracusa si producono tra i migliori limoni del mondo. Il paradosso è che nei mercati locali ci si smercia quelli esteri. Perché può accadere questo, domandano tanti. Ma è facile spiegarlo. Perché ce lo dice l’Europa.

Alea iacta est – Prodi e la resa di Roma all’euro

Il dado fu tratto precisamente il 1 gennaio 2002 quando Prodi sbagliò barattando il cambio lira/euro e Berlusconi non aveva vigilato sui prezzi.
Per poter partecipare alla nuova valuta, gli stati membri avrebbero dovuto rispettare, fra l’altro, un deficit pari o inferiore al 3% del prodotto interno lordo e un rapporto debito/PIL inferiore al 60%. L’Italia non era certo in grado di rispettare quei parametri, sta di fatto che qualcuno avendo truccato i conti fece sì che la lira passasse il Rubicone dell’euro. Mentre sei paesi membri di questa Europa, aderendo, scelsero di mantenere la convertibilità fra la vecchia valuta e l’euro, l’Italia, più realista del re, la convertibilità la effettuò subito. La vicina Spagna fu più prudente, prese tempo, volendo sondare, analizzare e solamente dopo decise che le sue banconote e monete potessero comunque essere cambiate in euro presso il Banco de España fino al 31 dicembre 2020, privilegio non concesso alla lira. Forse è bene ricordarlo che il marco tedesco non “scade”, come non hanno nessuna scadenza le valute dell’Austria, Irlanda, Lettonia, Estonia e Lussemburgo. Se allora, a Prodi fosse stato chiesto il perché la Bundesbank non aveva smesso di accettare il cambio del vecchio conio e, a differenza di quanto accade con la lira, può essere ancora scambiato gratuitamente senza limiti di tempo, senza alcun dubbio avrebbe risposto : perché ce lo chiede l’Europa. Per capire le origini delle difficoltà che incontra oggi l’Italia con l’Europa attuale, cerchez Romano Prodi, e ho detto tutto!

In Italia l’evento euro – i suoi vizi e le sue virtù

Quante discussioni e dibattiti accesi intorno al tema “povertà percepita e povertà reale.” Fior fiore di analisti, economisti e sociologi dibattono per ore e ore. Per esempio il ben noto Guido Carli e la sua opinione sulla moneta unica : “I vizi italiani si superano importando le virtù dell’Europa”. Come controcanto si citano i dati ufficiali tra il 1999 e il 2009 per l’andamento dei prezzi dei nostri manufatti in confronto a quelli prodotti nel resto d’Europa evidenziando un aumento del 7,5% contro un aumento del 5% in Francia e zero in Germania. Ad osannare l’evento euro non poteva naturalmente mancare Mario Draghi che, secondo il suo autorevole parere “grazie alla moneta unica siamo più forti, perché uniti”. Lascio a chi legge valutare quanto siamo più forti e più uniti. Ci sono quelli del politically correct. Questi non contraddicono alcuno ma si fanno sentire e dicono cose a sproposito. Per esempio dicono che non sono cambiati più di tanto i prezzi di beni più costosi, come le macchine. Per capirci, il prezzo della Bmw non è raddoppiato di colpo.

Contenti? Le fasce deboli e “l’ambaradan” dei prezzi di consumo

Per dirla con Totò, è la somma che fa il totale. Il pensiero comune è: con un milione di lire ( euro 500 ca.) prima si riusciva a fare la bella vita, ora con 1000 euro non si arriva a fine mese.

Altro che il raddoppio del prezzo della BMW!

Un quadro approssimativo dell’impoverimento della busta paga, che poi non ha subito alcun adeguamento all’euro, lo forniscono i dati Istat, registrando che la variazione dei prezzi al consumo tra il 31 dicembre 1998, quando venne introdotto il cambio, e il 2002 – anno in cui l’Euro sostituì effettivamente la Lira – ha superato di poco il 10 per cento. Uno studio fatto da Luca Piana e pubblicato su L’Espresso indicava valori di ben altro tenore. Nel periodo a cavallo tra il periodo 2001/2014 molti articoli di largo consumo hanno subito impennate intorno al 42%. Il pane, per esempio, si è visto aumentare del 43% al kg, gli spaghetti aumentati del 42% al kg, il cappuccino più cornetto si è visto lievitare con un aumento del 45%, il parrucchiere- messa in piega è schizzato con un aumento del 67%, un lavaggio di un paio di pantaloni in lavanderia è aumentato del 68% e via dicendo. Solo la busta paga è rimasta fedele ai valori di sempre, faticando di reggere il peso degli aumenti che secondo uno studio dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano di allora, nel 2002, anno della conversione dalla Lira all’Euro, i prezzi sono aumentati di pochi punti percentuali ,di circa il 2,5 per cento e solo un leggero effetto è stato stimato per l’introduzione della nuova moneta comune. Come spiegare questa eterna dicotomia tra il 2,5% percepito e il 43% vissuto sulla propria pelle? Di certo non ce lo dice l’Europa. Viene in aiuto il sommo Dante al Canto XVII del Paradiso :“Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale“. E ho detto tutto.




E la chiamavano Europa unita: fallimento e aborto di un sogno

La chiamavano Europa Unita. Sognavano un comune sviluppo economico e quindi il benessere. Tutti solidali nel ripudiare la guerra. Sani principi, eroici propositi ma, ahinoi, onirici traguardi, miseramente disattesi affidati a mediocri statisti, sconosciuti che si spostano tra Bruxelles e Strasburgo. Così del nobile progetto non è rimasto che un indigeribile e puro monetarismo

Il naufragio del sogno dei padri fondatori nel mare del vuoto politico

Qualora ci fosse stato bisogno di dare prova della mancanza di unità tra gli Stati membri, la guerra del dazio di Trump sarebbe bastata. Questa volta la leggendaria ricchezza del vecchio continente rischia veramente. Come ha reagito a questa minaccia la così detta “Europa Unita? Autonomamente ed in ordine sparso i leader di ciascun Paese si sono recati a Washington, ognuno a curare il proprio orticello. Molti si domandano come mai i paesi di Visegrad e i vecchi alleati non risultano ostili e non sono critici verso questa “Unione Europea”. Si capisce perfettamente. Prima perché in molti non hanno aderito alla moneta unica e poi perché l’europeismo di Orban, Kurz ed altri a loro vicini gli fa comodo nel tenere in piedi il mercato unico e più importante perché beneficiano generosamente della spartizione dei fondi di sviluppo.

L’agenda del “poi poi” e la politica immigrazione del “mai mai” europea

Capifila ostili a una vera politica dell’emigrazione, sono sempre i paesi Visegrad, quelli stessi a favore e fruitori della spartizione dei fondi di sviluppo. Poi ci sono i paesi del nord che molto egoisticamente si sentono abbastanza lontani dagli sbarchi e chiudendosi bene dentro le frontiere proprie si sentono al sicuro. Francia e Germania fanno coppia e pretendono di dire agli altri quello che non vogliono che altri dicano a loro. Intanto l’emigrato africano sogna di integrarsi in questa società europea così “moderna”, così “opulenta”, i barconi continuano a partire dalle coste libiche e le Ong fanno la spola tra un barcone e l’altro, poi fanno rotta, destinazione Lampedusa, mentre l’Europa sta a guardare. Ultimo episodio del comportamento scorretto che gli Stati commettono l’uno contro l’altro lo abbiamo letto giorni fa: Poliziotti belgi fermati in Francia con autobus pieno di migranti irregolari. Gli agenti volevano semplicemente riaccompagnare i profughi al confine ma per errore lo hanno superato di cinquanta metri.

L’ambiguità e il paradosso del ripudio della guerra

A questa “Europa Unita” due terribili guerre mondiali non hanno insegnato niente. Forze armate dei suoi singoli Stati si trovano attualmente stanziate in zone dei peggiori conflitti come Siria, Iraq, Afghanistan, Libia e non solo. Li chiamano “peace makers”, portatori di pace. Sarà ma molte armi di distruzione in quelle zone sone di fabbricazione di paesi europei. I commercianti e quindi i fornitori ai paesi in guerra, sono di cittadinanza europea. Come si può coniugare ripudio della guerra e fornitura di armi di distruzione? Solo in un modo. L’Europa Unita non è unita e i vari Stati operano in ordine sparsa.

Continuano a chiamarla “Europa Unita”

Ventotto Stati quasi sovrani, sfilano a testa bassa davanti a una Commissione europea, come i capponi di Renzo, presi da una furibonda litigiosità, non fanno altro che beccarsi l’un l’altro, senza rendersene conto che senza il reciproco aiuto, tutti rischiano di finire in pentola come i capponi manzoniani.

Fra gli Stati membri una concorrenza senza quartiere

Così tutti i 28 aggiustano i loro comodi e non sdegnano di fare concorrenza l’un l’altro. Si citano alcuni esempi: Le retribuzioni nazionali minime sono una rappresentazione plastica di quanto siano distanti i paesi membri della tanto osannata Unione. Per fare chiaro il concetto secondo dati Eurofound/Eurostat, al primo gennaio 2019 queste retribuzioni minime variano dall’1,62 euro all’ora della Bulgaria alle 11,97 euro l’ora di Lussemburgo. Altro vulnus in questa Europa Unita è rappresentato dai differenti regimi fiscali adottati in piena autonomia dagli Stati membri. Spicca la pressione fiscale della Lituania al 20,9%, quella dell’Albania al 22,9%, la Croazia al 26,6%, così via per finire a sbattere in Italia che secondo l’Ufficio Studi della Cgil, nel 2019 rischia di sfiorare ed andare oltre il 43%. Onestà intellettuale vuole che si dica che l’Italia non è il Paese più tassato d’Europa. La Danimarca, la Svezia, la Finlandia e la Norvegia superano l’Italia ampiamente però garantiscono servizi efficientissimi, cosa che non sempre si può dire dell’Italia. Comunque tutto questo conferma che l’unione è solo una chimera.

Non finisce qui, si può andare ancora avanti

Sebbene l’Iva venga imposta in tutta l’Unione, sempre per non smentirci, ogni Stato membro fissa le proprie aliquote. L’osare a sindacare i vari sistemi dell’istruzione scolastica diventa un’impresa. A che età i bambini dei singoli Stati cominciano la scuola primaria? Quanto dura l’istruzione secondaria in Spagna, in Svezia, in Irlanda ed in Portogallo? Quali sono le materie obbligatorie? Le università? Andare avanti non conviene se non si vuole entrare in un labirinto. Il percorso diventa più arduo se si intraprende la strada del Welfare state, il benessere sociale. Se poi si vuole informarsi sul sistema pensionistico dell’Unione bisogna interpellare ogni singolo Stato. Non c’è un sistema comune. In Germania il sistema varia secondo categoria e settore produttivo. In Spagna c’è un unico regime, statale e obbligatorio, con pensione minima che sostituisce la vecchia “assistenza sociale”. In Italia un altro sistema ancora. Sempre un‘Europa che marcia disorganizzata in ordine sparso.

Nota dolente è la gestione dei sistemi sanitari negli Stati membri dell’Unione

Questi, del resto come ogni altra gestione, nell’Unione sono gestiti in modi molto diversi. Per fare un esempio basti dire che l’assistenza sanitaria tedesca non è gratuita ed è obbligatoria dal momento in cui si registra come residente nel Paese. Questo solleva il caso di immigranti non registrati come residenti! Cosa succede? Al lettore l’ardua risposta. Paese che vai usanza che trovi. Stato membro che vai sistemi autonomi che trovi. Così è se vi pare. Aveva più che ragione Bartali: L’è tutto sbagliato… l’è tutto da rifare.




L’Europa alla prova di maturità

Quella che comunemente molti chiamano
Europa unita non è altro che lo strumento per un patto tra Stati e mai, come si
vuole fare credere, un atto fondativo di qualsivoglia entità sovranazionale.

Da questa dicotomia nascono i vari punti controversi

Quel “ patto tra Stati” contempla
Competenze esclusive, Competenze concorrenti e 
Competenze di supporto.

Le prime riguardano l’Unione, le seconde
gli Stati membri e le terze sono competenze di sostegno dell’Unione verso i
vari  Stati membri.

L’adesione a questo patto non si può dire
essere stata plebiscitaria.

Segni di  rigetto da parte dei cittadini non sono mancati

Alcuni paesi hanno apertamente dichiarato il loro dissenso  tramite referendum costituzionali.

Molti hanno ratificato l’atto  con sofferte procedure  parlamentari, qualche paese ha ratificato il
patto senza consultare la cittadinanza. Se poi a tutto questo si aggiungono
l’allargamento e gli aggiornamenti vari ai regolamenti  susseguiti dal 2007 a oggi e i vari trattati
aggiuntivi, tranquillamente si può concludere che il progetto costituzionale
sognato dai padri fondatori  sia stato
stravolto e nulla rimane di quello originale.

Le modifiche al patto originario

Al patto Spinelli/De
Gasperi/Schuman/Adenauer, sono stati aggiunti tanti orpelli rendendo
l’applicazione di ogni direttiva macchinosa e difficilmente applicabile.  Il risultato di ciò è stato l’aumentata
disuguaglianza tra gli stessi Stati membri. I vari regimi fiscali, i contratti
salariali e le condizioni lavorative vigenti in ogni paese membro, tutti concorrenziali
fra di loro, sono la prova della politica fallimentare di questa Unione.

L’aggiunta di competenze

Ci sono organizzazioni che operano per
ridimensionare le competenze che nel tempo sono state  aggiunte e che causano tanto disagio e
malumore tra le popolazioni.

Una di queste organizzazioni indipendenti
che promuove idee per le riforme politiche ed economiche di questa Unione
europea,  è la Open Europe, un think tank
con uffici a Londra e Bruxelles. Uno degli scopi prefissi di questa
organizzazione è la riduzione dell’accentramento dei poteri in Unione.

Molti sono i  punti controversi che si possono riscontrare
nel patto  sottoscritto fra gli Stati.
Forti critiche al testo  arrivano da
opinioni diametralmente opposte. Ci si è preoccupati di fare una  sintesi delle diverse politiche degli Stati
membri partecipanti  senza
minimamente  prevedere  che così facendo si stava creando un
“documento debole”, troppo burocratizzato e lontano dagli interessi reali dei
cittadini.

Una controversia che si poteva evitare,
se non fosse per la forte resistenza della Francia, riguardava ogni
riferimento, in quel patto, alle radici giudaico-cristiane della coscienza
europea. Seguendo incautamente la molto discussa scelta della Francia, i
firmatari svuotavano  la comunità europea
da ogni e qualsiasi radice, rendendola senza identità alcuna.

Hanno ingenuamente scambiato “cultura” con “religione”

Essendo poi la gran parte dei paesi del nord , come la laica Francia , allergici alla sola parola “cattolicesimo”, hanno reso questo continente,  terra rasa, candidata per “un’altra cultura”.  Tutto ciò spiega la massiccia ondata di immigrazione che sta mettendo in ginocchio la tenuta dello stesso “patto europeo”. Quanto sopra spiega la forte critica che arriva da parte di tante personalità , contrari alla ratifica del Trattato Comunitario europeo. Alcuni , come i Federalisti Europei, arrivano al punto tale da bollare come inganno il solo chiamare Costituzione un documento che tale non è.

Al “patto” viene contestata, e non a
torto, l’eccessiva attenzione ai temi economici e agli interessi capitalistici.
Tutto ciò si fa  a scapito di politiche e
a danno e svantaggio  della  garanzia e la difesa dei lavoratori. Un caso
fra tanti è l’assenza del tema “welfare state” un argomento che è stato
completamente  trascurato in quel
“patto”. 

Mentre gli europeisti usano tirare fuori,
a buona ragione,  che grazie ai trattati,
l’Europa ha potuto godere questi ultimi 70 anni di pace, rimane tuttavia  inspiegabile l’assenza di riferimento al
ripudio alla guerra. Non è certo facile spiegare, anche se tanti la vogliono
fare  passare per operazione di
pace,  il fatto che gli eserciti europei
ora possono essere  intercettati in
diversi scenari di guerra in giro per il mondo.

Come se tutto quanto su esposto non bastasse a spiegare le ragioni degli euroscettici, ci sono altre  ragioni ben diverse seppure ugualmente valide.

Le modifiche apportate negli anni al
patto originale hanno così stravolto gli scopi a tale punto,  tanto da originare un  “patto europeo”ex novo , che si vuole
chiamare Costituzione. Ora c’è  il
rischio che i firmatari di questa nuova cosiddetta Costituzione, pretendendo di
disporre di  poteri sufficienti tentino   di svuotare di significato e di autorità i
singoli Stati.

Qualche lettore potrebbe giudicare tutto
ciò solo pura fantasia.

Dopo la seria minaccia all’Italia di
essere sottoposta alla procedura d’infrazione di questi giorni, dopo  il cartellino rosso da parte della
Commissione Ue, detentrice di quel patto stravolto, tanta pura fantasia non dovrebbe
essere.

Dal braccio di ferro con l’Europa, l’Italia oggi è uscita  leccandosi  le ferite

 Il 
rinnovatore “Macron” costretto a 
calare le braghe davanti alla voce del suo paese, ha costretto i
burocrati a Bruxelles  a scoprire le loro
nudità.  Sia l’Europa che l’Italia sono
state sottoposte  alla prova di maturità.
I risultati non sono facilmente prevedibili.

Le aspettiamo agli scritti, però se  tanto ci dà tanto, c’è poco da sperare.

Emanuel Galea




Unione Europea, cresce l’apprezzamento in tutta Europa: l’Italia meno entusiasta

Secondo i dati dell’ultimo sondaggio Eurobarometro il 68% degli europei ritiene che il proprio paese ha tratto beneficio dall’appartenenza all’UE. Inoltre, il 62% degli intervistati considera positivamente l’adesione del proprio paese all’Unione europea (62%). Queste percentuali sono le più alte registrate negli ultimi 25 anni.

Fanno eccezione solo pochi Paesi, tra cui l’Italia. Il 43% degli italiani intervistati, difatti, pensa che l’Italia abbia tratto beneficio dall’essere membro UE, il dato più basso di tutti i paesi europei. Questo dato è comunque in crescita di 4 punti percentuali rispetto a settembre 2017, e mostra un trend positivo negli ultimi anni. La grande maggioranza degli italiani (65%) dichiara, inoltre, di essere favorevole all’euro, con una crescita di quattro punti rispetto a marzo 2018 e con una percentuale superiore alla media Ue (61%).

Commentando i risultati dell’Eurobarometro, il Presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha dichiarato:

“In quasi tutta Europa cresce l’apprezzamento per l’appartenenza all’Unione e per i benefici che ne derivano, con livelli record dal 1983. Anche la moneta unica piace alla grande maggioranza dei cittadini. In Italia il gradimento per l’Euro supera la media europea – 65% contro il 61% -, ed è cresciuto del 4% rispetto a marzo 2018.

Ma non possiamo certo cullarci sugli allori. In alcuni Stati membri, tra cui l’Italia, la percentuale di chi pensa che l’appartenenza all’Ue sia positiva è ancora troppo bassa. Dobbiamo raddoppiare gli sforzi per dimostrare che l’Unione sa dare risposte davvero efficaci ai principali problemi degli europei, come immigrazione, sicurezza e disoccupazione”.

Quasi tutti i dati che misurano il sostegno per l’UE mostrano una significativa ripresa dopo il referendum nel Regno Unito nel 2016, con una percentuale crescente di europei che si dimostra preoccupata per gli effetti della Brexit.

In caso di referendum nel proprio Paese, il 66% degli intervistati voterebbe per restare nell’UE, e solo il 17% per l’uscita.

In crescita anche gli europei che si dicono soddisfatti del funzionamento democratico dell’UE (49%, +3% rispetto ad aprile), mentre il 48% ritiene che la propria voce sia importante nell’Unione Europea.

Per quanto riguarda l’immagine del Parlamento, un terzo (32%) ha un’opinione positiva, un quinto (21%) esprime un parere negativo e una maggioranza relativa (43%) rimane neutrale. Il 48% degli intervistati vorrebbe che l’UE svolgesse un ruolo più significativo in futuro, mentre il 27% preferirebbe fosse ridimensionato.

Cresce la consapevolezza delle elezioni europee del prossimo anno, con il 41% che identifica correttamente la data nel Maggio 2019 – un aumento di nove punti percentuale rispetto ad un’indagine analoga di sei mesi fa, e il 51% degli intervistati si dichiara interessato alla tornata elettorale europea. Tuttavia, il 44% ancora non sa dire quando si voterà.

L’immigrazione è al primo posto nell’agenda dei temi prioritari per l’imminente campagna elettorale (50%), seguita dall’economia (47%) e dalla disoccupazione giovanile (47%), mentre la lotta al terrorismo scende al quarto posto con il 44%. Priorità simili anche per i cittadini italiani, anche se l’immigrazione è percepita come tema chiave da ben il 71% degli intervistati. Seguono l’economia con il 62% e la disoccupazione giovanile al 59%.




L’Europa: una candela nel vento

“Cos’è l’Europa?”, domanda una bambina alla mamma, forse incuriosita da tutto quello che si sente dire in giro al riguardo. Domanda semplicissima e nello stesso tempo difficile da spiegare a una ragazzina di otto/nove anni che si domanda cosa sia veramente l’Europa.

C’è da scommettere che di fronte a una domanda simile, tanti giovani ed altrettanti adulti piombino nel più acuto imbarazzo e non c’è nulla da meravigliarsi se si dice che persino alcuni pseudo “esperti” e commentatori dei vari talk show si troverebbero a disagio a rispondere adeguatamente al riguardo.

L’auspicio sarebbe che “l’Europa”, come tema di studio entrasse a fare parte del curriculum scolastico dei nostri studenti e la tv trasmettesse , al posto di qualche reality dozzinale, dei forum condotti da professionisti e studiosi della materia, evitando politici e giornalisti vari, spiegando il tema “Europa” nei suoi lati chiari e scuri.

Il Miur, anziché preoccuparsi della teoria gender e affini, farebbe cosa buona e giusta se si applicasse anche a questa branca d’istruzione in maniera tale da poter rispondere alla domanda: “Mamma, cos’è l’Europa?”

L’Europa fu un gran bel sogno

L’Europa non è altro che un sogno che fu tanto caro a dei veri leader, come Winston Churchill, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Altiero Spinelli, Jean Monnet ed altri visionari che prendendo atto dell’Europa degli anni cinquanta, dilaniata da una guerra fredda e una minaccia reale per la pace, situazione sfociata poi nella seconda guerra mondiale, decisero di unirsi nell’intento di porre in essere un accordo per unificare i paesi europei e mettere fine alle guerre frequenti e sanguinose tra paesi vicini. Il 25 marzo 1957, riunitisi a Roma, sei membri fondatori , cioè il Belgio, la Francia, la Germania, l’Italia, il Lussemburgo e i Paesi Bassi sancivano la costituzione della CEE.

Progetti ambiziosi in parte disattesi ed in parte elusi

I padri fondatori sognavano in grande. Il Trattato di Maastricht prevedeva:

“Uno sviluppo armonico, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, una crescita duratura e non inflazionistica; un elevato livello di competitività e di convergenza dei risultati economici; un livello elevato di protezione e di miglioramento della qualità dell’ambiente, l’innalzamento del livello e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati membri”.

La maggiore parte dei progetti, con il passare dei tempi sono stati elusi e disattesi. Stiamo vivendo una delle clausole tanto care al Trattato di Maastricht, la solidarietà tra gli Stati membri. Si può toccare con mano, nel caso specifico dell’immigrazione, e parlare di solidarietà tra gli Stati membri offende tutto il trattato e dovrebbe far arrossire gli Stati membri.

La CEE è un gran bel sogno abortito

Oggi la CEE ha perso la faccia. E’ come una candela nel vento. Nel linguaggio cabalistico il sogno di una candela è spesso legato a fragilità e mai un’istituzione è stata così fragile come si presenta oggi la CEE. Se non si riforma ritornando al progetto dei suoi fondatori, si spegnerà come “una candela nel vento” per restare su Elton John.

La beffa della “pace duratura”

Qui sta la parte più ingrata da spiegare a quella ragazzina di otto/nove anni: “Perché in nome della pace si riempiono tante bocche?” Innanzitutto l’Unione si prefiggeva di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli . Orbene, ci si domanda, cosa significa promuovere la pace mentre i suoi Stati, come Svezia, Italia, Spagna, Regno Unito, Francia e Germania continuano ad alimentare il mercato delle armi, fra gli altri, verso l’Algeria, la Turchia, l’Iraq, il Pakistan ed il Vietnam? Si può considerare tra i valori di benessere per i popoli la manifattura di armi moderne come quelle che si fabbricano negli Stati europei e cioè: l’ Ungheria, l’Italia, l’Irlanda, i Paesi Bassi, la Norvegia, la Polonia,il Portogallo,la Romania, la Spagna, ed il Regno Unito?

Una tale assurdità sarebbe difficile farla capire ai grandi e diventa impresa impossibile farlo digerire ai piccoli che domani dovrebbero giudicare queste istituzioni.

L’Europa oggi è come una candela al vento e se non si decide per una riforma da cima a fondo sarà destinata a spegnersi inesorabilmente.

Il nostro augurio che ciò non avvenga e persone di buona volontà e capacità vadano avanti il prossimo maggio per riprendere i sogni dei visionari del 1957, fondatori della CEE. e portarli avanti.

Emanuel Galea




L’Europa si sfalda sotto i colpi della migrazione clandestina

La verità è soltanto una: nessuno vuole i migranti a casa propria. I paesi dell’Unione che si erano adagiati sulla acquiescenza del governo Renzi, o sulla sua complicità per portare tutti in Italia, oggi si risentono del fatto che l’Italia chiude i propri porti alle navi ONG in odore di traffici illeciti, come ha ribadito il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro. Al punto da interessare anche il Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho, secondo il quale ciò che rende difficile il contrasto alle organizzazioni che gestiscono il traffico dei migranti è il disordine degli interventi. Secondo il magistrato, questo rende impossibile avere a bordo delle navi agenti di Polizia Giudiziaria, il che non permette di avere immediate acquisizioni investigative, come era sempre avvenuto in passato, con grave pregiudizio per le indagini. Indegno di un organismo come l’Unione Europea è lasciare che un’organizzazione malavitosa, che si intravvede nello sfondo – tanto da interessare il Procuratore Nazionale Antimafia De Raho – possa continuare a lucrare, loro sì, sulla pelle di gente che per la maggior parte fugge da fame e miseria, e non da guerre. Per cui non ha, secondo la convenzione di Ginevra, il diritto allo status di rifugiato, e quindi va rimpatriato.

Sui rimpatri si gioca il destino dell’Unione Europea

Un rimpatrio costa soldi, e si fa prima a chiudere porti e frontiere, tacciando, al contrario, l’Italia, di poca o nulla umanità, e accendendo fuochi sui quali l’opposizione soffia, strumentalizzando la reazione di nazioni come la Francia, e di Macron, il quale tuona dal pulpito contro l’Italia, contro Salvini e questo governo, coprendoci di insulti. Mentre a Ventimiglia, dove i migranti africani hanno ristabilito i loro accampamenti a ridosso della frontiera, – e ogni giorno qualcuno viene ripreso e rimandato indietro, compreso un giovane rimasto per ore su di un costone di roccia, nel suo tentativo di arrivare dall’altra parte, per cui è stato necessario l’intervento di un elicottero per il suo recupero – chi passa il confine viene controllato meticolosamente, compresi i frontalieri italiani – non scuri di pelle – che da anni fanno avanti e indietro. Il che sa tanto di rappresaglia. Mentre a Bardonecchia i gendarmi francesi hanno sconfinato illegalmente e armati, per controllare la migrazione. Non contenti di questo, i poliziotti francesi hanno trascinato fuori dal treno una donna incinta, per evitare che lo stato di gravidanza diventasse un lasciapassare. Ancora il sindaco di Airole, Fausto Molinari, ha segnalato la presenza di un’auto della polizia francese in piazza, dalle 11 alle 16. Uno sconfinamento senza alcuna spiegazione. Macron, quindi, mentre da una parte ipocritamente insulta l’Italia, rea di avere eletto un governo che non ha le sue stesse idee, dall’altra spinge il controllo oltre confine, al di fuori della legalità. Ma nessuno, ancora, lo denuncia. Vorremmo vedere cosa sarebbe accaduto a parti invertite.

La stessa Spagna ha dichiarato, accogliendo i 629 dell’Aquarius, che i migranti economici verranno espulsi

Tanto da provocare la fuga immediata di almeno cento di loro, i quali sono spariti verso altri lidi, probabilmente più a nord. Dicevamo che nessuno vuole i migranti a casa propria, il classico ‘Not in my backyard’. A cominciare dalla Baviera, dove si svolgerà una consultazione elettorale fra circa sette mesi, e dove il neogovernatore bavarese Markus Soder ha istituito una nuova polizia di frontiera, per controllare gli ingressi dalle frontiere con Austria e Repubblica Ceca, per contrastare gli arrivi da Siria, Iraq e Afghanistan, dato che la Baviera è diventata la porta d’ingresso di quella marea umana. Lo scopo dichiarato è quello di recuperare alla CSU i voti ‘rubati’ dagli xenofobi di AfD, Alternative fur Deutschland. Lo stesso Horst Seehofer, ex governatore bavarese, per le sue proteste contro l’apertura delle frontiere stabilita dalla Merkel, è stato ‘degradato’ al rango di ministro federale degli Interni. Migranti? No grazie, perdiamo le elezioni. Erdogan, dal canto suo, – anche lui in imminenza di urne – ha chiuso al rimpatrio dalla Grecia le sue frontiere, nonostante abbia ricevuto 6 miliardi di euro dall’Unione Europea per gestirli. Come evidente ritorsione per la scarcerazione, scaduti i termini di custodia preventiva, di quattro ufficiali turchi scappati sotto il Partenone dopo il fallito colpo di Stato del 2016. Risulta quindi congelato il diritto di espulsione dalla Grecia verso La Turchia di migranti economici che non ottengono il diritto d’asilo ad Atene. D’accordo Polonia e Ungheria nel respingere le quote e i ricollocamenti di migranti stabiliti dall’UE. Piena sintonia, dunque, fra il premier polacco Mateusz Morawiecki e il nuovo premier ungherese Victor Orban. Il quale ha ribadito la sua intenzione di difendere le sue frontiere dalle ondate migratorie, mentre Morawiecki ha sottolineato l’impegno del suo governo per aiutare quelle popolazioni, colpite da fame e carestie, nei loro paesi. “In questa materia per noi è fondamentale la nostra sovranità nazionale” ha aggiunto Orban, spiegando la determinazione con la quale il suo paese difenda il diritto di decidere chi può essere autorizzato a restare sul suo territorio. Una parola a parte merita Malta, impenetrabile agli sbarchi, senza alcuna giustificazione.

Troppi nodi ci sono ancora da sciogliere

compreso quello della bandiera delle navi e delle loro autorizzazioni a navigare. Come dicevamo in apertura, nessuno vuole sul proprio territorio ondate migratorie selvagge, dettate solo da un falso senso di umanità. Gente disperata ma non troppo, che ha pagato migliaia di dollari per il passaggio, e che il più delle volte arriva a piedi scalzi, ma con il telefono satellitare in tasca. Le donne per lo più in stato di gravidanza: il che ci fa pensare che i negrieri libici o subsahariani facciano loro credere di avere automaticamente il diritto di rimanere in Italia, colpevoli le notizie sullo Ius Soli. Bene ha fatto Salvini a chiudere i porti, e bene farà a mantenerli chiusi. Probabilmente con gran disdoro del miliardario americano George Soros, che voleva, secondo alcuni, trasformare l’Italia in un ghetto a basso costo, dove gli Italiani dovessero far concorrenza al popolo dei barconi per strappare un lavoro qualunque. La fame, insomma. Quello che possiamo concludere è che l’Europa di Spinelli e Adenauer è miseramente fallita, sotto i colpi di una emigrazione clandestina voluta e procurata da chi voleva, e vorrebbe, fagocitare il nostro popolo, dopo averlo messo in miseria. Dietro questa migrazione si intravvede un disegno preciso, senza voler essere complottisti. Ma soprattutto balza agli occhi il fatto che l’Europa è fallita. Ognuno difende i suoi confini, per scopi elettorali, per lo più, e questo non è ciò che si possa definire una Unione, piuttosto una difesa dei confini, dove il tanto deprecato sovranismo – e populismo – emergono chiaramente, alla prova dei fatti. Vorremmo, in chiusura, dire al PD ai suoi residui – leggi Martina, Orfini e compagnia cantante – che l’Italia non è isolata: chiudere i porti e le frontiere l’ha messa in buona compagnia.

Roberto Ragone




Allarme servizi segreti britannici: l’Isis minaccia l’Europa

L’Isis aspira a compiere attacchi “devastanti” e “più complessi” in Europa dopo aver perso territori in Medio Oriente: è l’allarme che il capo dell’MI5 Andrew Parker lancerà durante una riunione dei responsabili della sicurezza europea a Berlino, secondo un’anticipazione della Bbc. Dodici attacchi terroristici sono stati fermati nel Regno Unito dall’attacco di Westminster nel 2017, rivelerà inoltre Parker.

Il numero uno dell’intelligence interna britannica accuserà anche il Cremlino di “flagranti violazioni delle regole internazionali” per l’avvelenamento dell’ex-spia russa Sergei Skripal e di sua figlia a Salisbury a marzo. Parker descriverà il tentativo di assassinio come “attività maligna intenzionale e mirata” che rischia di trasformare la Russia in un “paria”.