Lavoro: un'emergenza nazionale

 

Il lavoro "resta un'emergenza nazionale. L'Italia deve mettere il lavoro al primo posto." Lo sottolinea la Cei nel messaggio presentato oggi in vista del 1 maggio. La Cei, dati alla mano, nel messaggio per il 1 maggio presentato oggi da mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei e da mons. Filippo Santoro, presidente del comitato organizzatore della Settimana Sociale che si svolgerà a Cagliari dal 26 al 29 ottobre prossimi, si sofferma sulla drammaticità dei livelli occupazionali:: "I livelli disoccupazione nel nostro Paese arrivano al 40% con punte del 50-60% al Sud. Otto milioni di persone a rischio di povertà, spesso a causa di un lavoro precario o mal pagato, più di 4 milioni di italiani in condizione di povertà assoluta. Nonostante la lieve inversione di tendenza registrata negli ultimi anni, il lavoro rimane un' emergenza nazionale. Per tornare a guardare con ottimismo al proprio futuro, l'Italia deve mettere il lavoro al primo posto". "Al di là dei numeri, – osserva la Cei – sono le vite concrete delle persone ciò che ci sta a cuore: ci interpellano le storie dei giovani che non trovano la possibilità di mettere a frutto le proprie qualità, di donne discriminate e trattate senza rispetto, di adulti disoccupati che vedono allontanarsi la possibilità di una nuova occupazione, di immigrati sfruttati e sottopagati. La soluzione dei problemi economici e occupazionali – così urgente nell'Italia di oggi – non può essere raggiunta senza una conversione spirituale che permetta di tornare ad apprezzare l'integralità dell'esperienza lavorativa".



FROSINONE E L’EMERGENZA LAVORO: ARRIVA UNA MOZIONE M5S FIRMATA DA TUTTA L’OPPOSIZIONE

La provincia di Frosinone da troppo tempo chiede aiuto, è una delle zone con il più alto tasso di disoccupazione e dove il comparto produttivo ha subito una forte riduzione

di Cinzia Marchegiani

Frosinone – Un’emergenza lavoro già da tempo nota quella che ha colpito tutta la provincia di Frosinone. Il Presidente della Provincia di Frosinone, Antonio Pompeo, proprio in merito al primo incontro del “Tavolo interistituzionale permanente per l’emergenza lavoro” avviato a giugno 2015 svoltosi nella Sala Consiliare del Palazzo della Provincia (che ha visto la partecipazione, oltre ad una rappresentanza del Comitato promotore della Vertenza Frusinate contro la disoccupazione e la precarietà, le sigle sindacali Uil, con il segretario Gabriele Stamegna, e UGL, con il segretario Enzo Valente; i parlamentari Francesco Scalia, Maria Spilabotte, Luca Frusone; i consiglieri regionali Mario Abbruzzese, Marino Fardelli, Daniela Bianchi e in rappresentanza di Mauro Buschini, Lucio Migliorelli; il Presidente di Federlazio Alessandro Casinelli e il neo direttore Roberto Battisti; per Unindustria, Corrado Felici, Gerardo Iamunno, Girolamo Manco, Aldo Della Peruta e Daniele Ricci), aveva denunciato come l’emergenza lavoro fosse la problematica più urgente che vive il territorio.

Quattro sono state le priorità che il confronto aveva fatto emergere. 1) L’adozione, da parte della Regione Lazio, del contratto di ricollocazione, strumento di politica attiva del lavoro, capace di facilitare un più efficace percorso di reinserimento occupazionale per coloro che hanno perso il posto di lavoro; 2) Firma dei decreti per lo sblocco della mobilità sempre da parte della Regione Lazio; 3) Verifica sull’utilizzo degli strumenti messi a disposizione dal decreto legge n. 3 del 2015, in particolare prevedendo un intervento pubblico attraverso la società strumentale di Cassa depositi e prestiti per colmare la distanza tra domanda e offerta di acquisto della Marangoni, che avrebbe garantito la ripresa della produzione, dell’occupazione e un risparmio in termini di fondi attualmente destinati alla mobilità; 4) Stato dell’arte del bando Asi per la cessione del sito produttivo ex Videocon.

Arriva in Regione Lazio una Mozione per il rilancio del lavoro nel Frusinate. I consiglieri del M5S Lazio hanno depositato una mozione, firmata da tutti i gruppi di opposizione, per impegnare la Giunta ad intraprendere azioni concrete a beneficio dell’occupazione nella provincia di Frosinone. Silvana Denicolò, consigliera del M5S Lazio, in merito a questa Mozione ha dichiarato: “Nonostante il frusinate sia una delle zone con il più alto tasso di disoccupazione e dove il comparto produttivo ha subito una forte riduzione, la regione finora è intervenuta in maniera piuttosto blanda, escludendo il protocollo di intesa con l’ASI di Frosinone per la riacquisizione del sito ex Videocon. Una nuova strategia occupazionale potrebbe partire proprio dalla definizione del bando per l’utilizzo di questo importante sito industriale, alla cui redazione dovrebbero partecipare le organizzazioni dei disoccupati e dei precari. Per queste categorie, che rischiano di diventare maggioritarie nel territorio, la soluzione più ovvia sarebbe quella di una legge regionale sul reddito minimo garantito”.

La Consigliera Denicolò spiega che proprio durante l'ultimo Tavolo regionale sul problema occupazionale di Frosinone e provincia lei stessa si era impegnata a lavorare con la Giunta per raggiungere questo importante obiettivo: “Per la provincia di Frosinone, una delle più inquinate d’Italia, come dimostra la Valle del Sacco, qualsiasi soluzione dovrebbe comunque essere inserita in un quadro di sviluppo eco-sostenibile per evitare che questo territorio debba ancora scegliere tra salute, sicurezza, tutela ambientale e lavoro”.
E ora i promotori di questa mozione, tra l’altro firmata da tutta l’opposizione, si augurano che possa essere discussa presto e senza pregiudizi da parte della maggioranza: “Perché la provincia di Frosinone – chiosa la Denicolò – da troppo tempo chiede aiuto, e quello che la regione sta facendo è soltanto una piccola parte di quanto si dovrà fare per ridare un futuro a questi territori.”




EMARGINAZIONE SOCIALE: GIOVANE 30 ENNE SI LANCIA NEL VUOTO

di Cinzia Marchegiani

Sottomarina (VE) – Alle porte della festa del 2 giugno, Federico Pagan, un giovane uomo di 30 anni ha deciso di togliersi la vita gettandosi nel vuoto da un’impalcatura sistemata addosso ad un edificio, sotto le accorate suppliche delle persone che avevano notato il ragazzo stazionare all’altezza del sesto piano le quali immediatamente avevano attivato le richieste d’aiuto ai vigili e il commissariato locale. Per Federico il lancio è stato fatale, morto nella sua città dove viveva in una tenda, un dramma di un’emarginazione sociale e della disperazione. Un appello la sua situazione finito anche sulle pagine del giornale Nuova, dove chiedeva aiuto: “Mio padre ha perso il lavoro, perché è fallita l’azienda in cui lavorava, non siamo più stati in grado di pagare l’affitto e ci hanno sfrattati. Ora i miei vengono ospitati da parenti e io ho solo questa tenda dove stare”

Una situazione al limite del grottesco verrebbe da dire, una nazione il nostro Bel Paese, attento a non discriminare migranti e profughi ma cieco verso situazioni insostenibili e di grande dignità umana a chi all’improvviso la vita prende un taglio inaspettato, gettando per strada matericamente persone.

Federico aveva fatto una scelta sofferta, rimanere a dormire in quella tenda, suo padre aveva trovato un altro lavoro e una sistemazione. Ma Federico stava combattendo evidentemente per qualcosa di importante, una battaglia forse più profonda, invisibile alla superficialità, fatta di solitudine, di certezze che all’improvviso vengono a mancare, per la sfiducia verso un sistema che divora speranze e sogni. La sua tenda era diventata un simbolo di una protesta forse più grande di lui, perché evidentemente non ce l’ha fatta a superare i suoi stessi fantasmi, e ha programmato il suo giorno della morte. L’isolamento, una società che cambia repentinamente, quei valori che diventano labili e disumani sono stati la spinta forse a decidere che questo mondo non meritava le sue sofferenze.

Solo era nella società e solo ha voluto morire Federico. In tasca una lettera, un testamento lungo parecchie pagine sicuramente faranno luce su quel gesto a molti incomprensibile, ma carico di tanta amarezza e incapacità di questo paese di saper accogliere e dare aiuto, non solo materiale, per chi non è in grado di giustificare un accanimento della vita. Quando un giovane di 30 anni decide di farla finita perché il suo paese non ha ascoltato il suo grido di dolore e i suoi grandi problemi, c’è da chiedersi dove questa nazione voglia andare e cosa abbia da festeggiare. Federico Pagan era un italiano, e la sua battaglia l’ha combattuta nella sua patria; era un giovane uomo che all’improvviso ha dovuto combattere contro un sistema che toglie lavoro, casa e dignità. Un tiro alla fune scattato anche contro quelle stesse istituzioni che l’hanno lasciato vivere dentro una tenda, senza far nulla affinché si potesse reintegrare e avere un’altra possibilità per riscattare un vita che lo aveva messo a dura prova.

Ecco come muore un italiano, mentre oggi fiumi di vuote parole riempiranno i tg nazionali e la felicità di qualche bambino di sventolare la bandiera italiana, Federico non c’è più. Federico forse anche lui da piccino riempiva le file delle parate. A noi rimane l’amarezza di testimoniare come la vita umana spesso abbia poco valore; viviamo inermi i drammi delle altre persone e per paura non riusciamo a guardare in faccia questi orrori.